Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 10 giugno 2024
Lunedì 10 giugno, il dottor Robert Marsland e il dottor Douglas Sponsler hanno riunito un gruppo internazionale di due filosofi e quattro scienziati nell’Aula Benedetto XVI per una conversazione sull’ontologia del mondo vivente, con il sostegno del ROR. Marsland ha lavorato come ricercatore post-dottorato in biofisica ed ecologia teorica prima di iniziare la licenza in teologia con il professor Giulio Maspero, mentre Sponsler è ricercatore post-dottorato in entomologia presso l’Università di Würzburg.
Dopo un breve intervento introduttivo del dottor Marsland, la professoressa Ellen Clarke, filosofa della biologia all’Università di Leeds, ha iniziato la conversazione ponendo il problema dell’identificazione delle “unità di vita” (“units of life”). Utilizzando l’esempio del polipo di corallo, ha mostrato come il compito di identificare dove finisce un organismo e dove inizia un altro rappresenti normalmente una sfida seria, e che i casi “paradigmatici” in cui i confini dell’individuo sono immediatamente evidenti sono l’eccezione alla regola generale. L’autrice ha poi sottolineato la rilevanza di questa questione apparentemente astratta per il compito della conservazione ambientale: per elaborare una politica coerente, è necessario innanzitutto identificare le entità da conservare, siano esse interi ecosistemi, comunità più piccole o singole specie.
Con queste premesse, il professor Torstein Tollefsen dell’Università di Oslo ha fornito una panoramica di due aspetti centrali della metafisica di Massimo il Confessore, oggi comunemente definiti “Christocentric cosmology” e “holomerism”, utilizzando termini coniati dallo stesso Tollefsen. Queste due nozioni forniscono una base promettente su cui costruire un’ontologia del mondo vivente che affermi sia la reale esistenza dei singoli organismi, sia la loro reale unità all’interno di una serie gerarchica di comunità sempre più grandi.
Dopo un’animata pausa caffè, i quattro scienziati hanno condiviso il modo in cui la questione delle “unità di vita” si pone nelle loro ricerche attuali. La professoressa Fernanda Valdovinos dell’Università della California-Davis ha esordito dimostrando come l’incapacità di riflettere criticamente su questa questione abbia ostacolato il progresso della comprensione ecologica, scoraggiando l’indagine sui mutualismi – anche se tali co-dipendenze tra specie distinte sostengono la produzione primaria alla base della maggior parte degli ecosistemi sulla terra. L’idea che i singoli organismi o le singole specie sono le uniche entità rilevanti rende difficile concepire questo tipo di relazioni, e rende la ricerca sulla competizione, la predazione o il parassitismo molto più intuitiva.
Gli altri tre scienziati hanno offerto proposte specifiche per l’identificazione delle “unità della vita,” rappresentando il consenso generale del proprio campo di studi. Come biologo teorico, il professor Chaitanya Gokhale dell’Università di Würzburg ha condiviso l’approccio proposto dal professor Clarke nel primo intervento, definendo l’individuo biologico come ciò che è soggetto alla selezione naturale, in virtù dei tre ingredienti essenziali: riproduzione, ereditarietà e variazione. Come fisici, il professor Tikhonov (che ci ha raggiunto online dall’Università di Washington a Saint Louis) e il dottor Jacopo Grilli, del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, hanno considerato l’ontologia come una questione “problem-specific”, con l’individuo da definire nel modo che meglio facilita la previsione e il controllo in un determinato contesto.
Infine, il dottor Sponsler ha concluso il pomeriggio spiegando la sfida centrale da affrontare per progredire verso una visione più adeguata della struttura e della dinamica del mondo vivente. Bisogna avere contemporaneamente il coraggio e l’energia di perseguire una formalizzazione rigorosa, come stanno facendo nostri scienziati, ma anche sapere quando rinunciare a questa ambizione nella consapevolezza che il mistero dell’esistenza supera sempre la nostra portata. Ha indicato questo come il frutto più importante da ricercare nel dialogo scienza-teologia, e nell’incontro con Massimo in particolare: accompagnarsi a vicenda nel faticoso cammino verso la maturità epistemologica.