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Christian Faith and the Future of Capitalism

Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 30 settembre 2024

Il 30 settembre 2024 si è tenuto un workshop organizzato dal gruppo ROR e dalla Cattedra di Dottrina Sociale della Chiesa della Pontificia Università della Santa Croce, in risposta alle provocazioni del libro di Kathrin Tanner Christianity and the New Spirit of Capitalism (YALE University Press 2021), aprendo ulteriori riflessioni in prospettiva cristiana sul tema dell’odierna condizione del capitalismo e su ulteriori possibili sviluppi del pensiero sociale cristiano. Al dibattito, tenutosi a porte chiuse e moderato da Ilaria Vigorelli (PUSC, Roma) e Giulio Maspero (PUSC, Roma), hanno partecipato, oltre a giovani politici e funzionari delle istituzioni, Luigino Bruni (LUMSA, Roma), Brian Griffiths (House of Lords, London) Ilyas Khan (University of Cambridge), Riccardo Ribera di Alcalà (già presso Parlamento europeo) e Cristian Mendoza (PUSC, Roma).

Luigino Bruni nel suo intervento ha sottolineato come molti siano i punti di contatto tra religione e capitalismo: W. Benjamin lo definì addirittura “una religione”. È opinione condivisa che esso si sia evoluto in modo “parassitario” rispetto al cristianesimo occidentale. Cionondimeno nella Bibbia molti sono i riferimenti e i registri che rimandano al capitalismo, la teologia stessa sin dal Medioevo fu influenzata dall’economia, infine lo stesso termine “economia” è profondamente implicato nella teologia dogmatica. E. Sella parlò di marchio trinitario dell’economia, guardando ai tre fattori portanti: terra, capitale, lavoro. Ciò posto un passaggio chiave da considerare sul fronte delle interconnessioni tra teologia ed economia va individuato nelle vicende legate all’epoca della riforma e della controriforma. Lutero reagì contro due elementi della Cristianità romana: la commistione tra denaro e grazia; il lusso in cui viveva la curia romana. La nascita del capitalismo è forse il più calzante esempio, secondo Bruni, di conseguenze non intenzionali dell’azione: ebbe infatti origine dalla critica a istituzioni ecclesiali che apparivano troppo orientate al mercato. Dopo questo cruciale passaggio l’antropologia luterana e protestante si attestò pessimisticamente sulle tesi agostiniane, per cui la natura dell’uomo, ferita dal peccato, sarebbe stata incapace di assumere comportamenti umani genuini. A questa posizione si contrappose la cultura cattolica: la natura umana è sì ferita ma non sino al punto da essere incapace di virtù relazionali. In tale prospettiva divenne cruciale il ruolo di istituzioni di mediazione (il re, il padre, il sacerdote) al fine di trasformare passioni negative ed errori. La mediazione dei santi nel cattolicesimo ricopre questo stesso ruolo. Nello scenario moderno si è assistito ad un declino delle figure di mediazione. L’altro è mio pari, costituisce, perciò, una possibile minaccia per me. La mano invisibile del Leviatano di Hobbes diventa un mediatore secolare che punta ad evitare la minaccia costituita dall’altro: una sorta di immenso progetto di immunità. Anche le visioni di Smith e Milbank sono connotate da un certo pessimismo: non è prudente basarsi sulle virtù dell’altro, meglio guardare ai propri interessi particolari. Conseguenza di questa rivoluzione culturale è stata l’eclissi delle virtù etiche, che sono per loro natura espressione di un’antropologia positiva. Questo assetto pervase lo spirito del capitalismo occidentale. Si pensi alle tesi di Hobbes e Smith in cui la totale assenza della prospettiva etica è evidente: business is business, gift is gift, ovvero la dottrina dei due regni. Si profila in aggiunta a questa visione anche un’altra interessante lettura del capitalismo, una sorta di visione alternativa: la cosiddetta civil economy. In questa prospettiva gli stati, la famiglia, la comunità, le aziende, le cooperative e la Chiesa sono tutte interpellate: business and gift. Bisogna, però, fare attenzione rispetto ad alcune possibili deviazioni. La prima grande forzatura del capitalismo è stata la riduzione della religiosità a merce. La seconda operazione, quella a cui stiamo assistendo con il cosiddetto capitalismo spirituale, vede le grandi imprese trasformarsi nei primi consumatori di questa “merce spirituale”. Le ultime frontiere della leadership pongono obiettivi strategici di spiritualità nella gestione: come “formare leader spirituali” o “spiritualità e leadership”. Questo assetto, secondo Bruni, non ha nulla a che fare con la Economy of Francesco a cui il papa Francesco ha dato impulso, ma sembra fare eco, un millennio più tardi, alla dottrina pelagiana del merito. Il rischio è sempre lo stesso: imprigionare Dio in una logica meritocratica e assistere così ad una liturgia laica senza più nessuna possibilità di scelta.

Brian Griffith, dal canto suo, è intervenuto proponendo una serie di serrate confutazioni delle tesi di K. Tanner. Griffith ha in primo luogo messo in dubbio che la finanza influenzi profondamente il capitalismo e che lo domini in tutte le sue forme, incidendo così inesorabilmente sulla persona e sulla sua autodeterminazione. Il punto non è capire se il capitalismo sia o meno compatibile con la fede cristiana: il lavoro, del resto, è elemento fondamentale nel mandato che l’essere umano ha ricevuto dal Creatore. Se si guarda al mercato con un approccio anatomico, che esplora i fenomeni partendo da essi come da dati oggettivi, non necessariamente capitalismo e fede cristiana si pongono agli antipodi l’una dell’altro. Per Sir Griffith la visione negativa riservata al ruolo delle banche non trova adeguata giustificazione nelle argomentazioni offerte dall’autrice; allo stesso modo il modello weberiano adottato nella sua analisi presta il fianco a critiche, restando un modello “ideale” dalle cui maglie possono sfuggire molte realtà concrete degne di considerazione. Anche le critiche di Tanner alle multinazionali o all’approccio non equilibrato al lavoro, non convincono l’economista britannico. Nella sua esperienza non necessariamente le grandi realtà sono luoghi disumani, soprattutto in considerazione degli strumenti di flessibilità presenti oggi sul mercato del lavoro. Ciò premesso Sir Griffith ha focalizzato la sua attenzione su alcuni temi chiave che a suo modo di vedere meriterebbero di essere messi a fuoco. Il valore del mercato è indiscutibile, così come quello della proprietà: senza libertà economica è molto difficile possedere una vera libertà politica. I prezzi forniscono importanti informazioni per la costruzione della social market economy o democratic economy. Il mercato crea networks e social networks; a tal proposito i covenant con la città, il territorio o la nazione costituiscono un’interessante area ancora tutta da esaminare e conducono ad esplorare con ancor più determinazione le possibili aree di implementazione del principio di sussidiarietà. Il vero nemico da battere è, infine, l’inflazione.

Il dibattito successivo alla conclusione della sessione mattutina, mediando tra le varie posizioni espresse, ha messo in evidenza la necessità da parte dei cristiani di sviluppare un’attitudine positiva verso il mercato in quanto tale. Esso nella sua essenza si configura come cooperazione di persone legate in tutto il mondo. Le stesse aziende in se stesse possono essere comprese come productive collective actions. Questa connotazione è intrinsecamente buona, su di essa si deve far leva per accrescere la giustizia. Un dibattito utile può concernere, semmai, le strutture e la qualità del loro operato. Certo problema odierno assai rilevante è l’individualismo, o peggio la sua degenerazione nell’ impersonalismo, con le conseguenze della sua assimilazione negli approcci che governano l’agire degli operatori economici. Al contrario l’economia nella sua essenza è legata al concetto di mutual benefit; la cui golden rule è la reciprocity.

Se dunque il capitalismo è un sistema che persiste, bisogna assolutamente evitare che l’essere umano venga considerato una mera commodity all’interno dello scenario evolutivo del progresso. L’intervento di I. Khan, in questa chiave, ha evidenziato un’elemento cruciale da tener in considerazione in ogni tentativo di bilanciamento degli scenari futuri: se perdiamo di vista l’umanità il sistema, secondo alcune prospettive, fallisce. La sopravvivenza del neo-liberismo implica il fallimento della democrazia e poiché la ricchezza finanziaria crea disparità è necessario guardare al sistema con oggettività: sprechiamo più cibo in una settimana in certe città occidentali di quanto ne venga consumato in interi paesi nell’arco di sei mesi. È la tecnologia a creare sistemi e anche a decidere se lasciarli persistere o meno. La tecnica oggi domina anche il capitalismo, è forse il suo tallone d’Achille, afferma provocatoriamente Khan, e non è più sotto il controllo dell’uomo.

Cionondimeno la stessa tecnologia che ha creato una società migliore ha il potenziale per rendere all’uomo la libertà che gli ha sinora negato. Il problema in questo senso è costituito da alcune realtà dominanti, che impongono la loro influenza sul mercato, regolandone la vita in assenza di responsabilità e trasparenza sufficienti. È verso queste realtà che il livello di attenzione va innalzato per garantire eguaglianza, libertà e pari opportunità a tutti. Come ha tuttavia sottolineato Riccardo Ribera nel suo intervento, l’economia può essere messa a servizio dell’umano e in tal senso il lavoro di Tunner costituisce una buona analisi di partenza.

Altro grande ambito di riflessione è quello del lavoro e della sua connessione con il benessere e la felicità dell’essere umano. Il lavoro come vocazione dell’uomo è stato il tema centrale nella riflessione di Cristian Mendoza. Il punto di partenza è l’idea che ciò che produciamo sia ben diverso da cosa diventiamo grazie alla produzione. Il lavoro parte dalla materia ma, nella prospettiva cristiana è concepito come qualcosa che va “offerto a Dio”. Lo stesso Gesù fu lavoratore per la maggior parte della sua vita, per questo possiamo ad imitarlo. In questa prospettiva la nostra missione consiste nel rendere il prodotto del lavoro il più umano possibile. Per questo si parla di una autonomia relativa della vita economica e finanziaria dalla vita spirituale dell’uomo. Siamo  coinvolti nel purificare le ragioni che guidano le azioni umane per rendere il lavoro degno di una tale altissima vocazione.

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