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La teologia tra ressourcement e aggiornamento. Spunti da alcuni scritti di J. Ratzinger

Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 6 febbraio 2024

Intervento: Ilaria Morali (Pontificia Università Gregoriana)

Il 6 febbraio, in occasione di una seduta seminariale organizzata congiuntamente dal ROR e dall’Associazione Patres, la prof. Ilaria Morali, Ordinario di Teologia dogmatica della Pontificia Università Gregoriana, ha illustrato il pensiero di J. Ratzinger sul rapporto tra ritorno alle fonti (ressourcement) e aggiornamento. Due nozioni fondamentali per il Concilio Vaticano II, da leggersi in stretta correlazione e continuità tra loro: l’una proveniente dal rinnovamento teologico grazie alle due Scuole di Lyon Forvière (gesuiti) e Le Saulchoir (domenicani), l’altra introdotta da Giovanni XXIII ed approfondita da Paolo VI.

Nel corso della conferenza, la relatrice ha spiegato come il grande teologo tedesco in un articolo dedicato all’attualità dei Padri nella teologia contemporanea di inizio anni ’70 avesse evidenziato, con preoccupazione, la rottura di questo nesso, l’insinuarsi di una tensione insanabile, a motivo del sorgere di «una nuova coscienza tanto determinata dal senso della pregnanza del momento attuale da farle sembrare in qualche modo romantico il rivolgersi al passato». La relatrice, quindi, ha spiegato il senso originario dei due concetti chiave, come pure in qual modo essi costituiscano  due criteri fondamentali per comprendere la mens che ispirò, anche metodologicamente, il rinnovamento conciliare.

Si è poi a lungo soffermata sulle ragioni della critica che Ratzinger rivolse all’interpretazione post-conciliare di aggiornamento, per l’approccio ideologico al passato e alla storia che ne è derivato. A fronte della tendenza a «murare la porta di un’epoca passata», Ratzinger infatti opponeva l’esigenza di «riflettere nuovamente su ciò che, nel mutare dei tempi, è quel che sostiene davvero», per non «smarrire la nostra anima».

Si tratta in ultima analisi di stabilire, come egli ancora sottolineava, «quale quantità di presente la teologia debba attribuire alla sua stessa storia». Tali considerazioni sono condotte da Ratzinger non già con intento archeologico o per una sorta di nostalgia del tempo perduto, ma nella consapevolezza che l’attualità della fede non è attualismo, perché il presente non può fagocitare il passato in nome delle mode del momento. Questa tendenza incide tra l’altro negativamente sulla lettura della relazione tra l’apporto culturale dell’Occidente alla fede e quello di altre culture: è la forma occidentale anche accidentale, passata e quindi tralasciabile? o appartiene invece costitutivamente alla trama del discorso cristiano, senza nulla togliere all‘odierno sopravvenire di altre culture, che reclamano lo stesso diritto di incidere sulla comprensione della Rivelazione di quello detenuto dall’Occidente?

Nella concezione ratzingeriana di teologia, si afferma l’esigenza di mantenere il giusto equilibrio tra bisogno di adattamento (Zeitgemaßheit) e la necessaria autonomia della teologia dal tempo (Zeitlosigkei). Ogni sforzo di aggiornamento, tanto nella Chiesa come in teologia, deve rimanere fedele alla «forma del cristianesimo (Gestalt des Christentums) ontologicamente connessa alla «forma di Cristo» (Christus-gestalt): per Ratzinger è in definitiva nell’unico Cristo, ieri, oggi, in eterno, in questa sua tridimensionalità che cementa, nella sua persona, il rapporto tra le tre declinazioni del tempo (Dreidimensionertheit), che risiede la soluzione ed il superamento della tentazione di una lettura unilaterale. Nel corso del suo intervento la relatrice ha spiegato le ragioni del profondo legame tra questa lettura ratzingeriana ed il pensiero dei maggiori esponenti del ressourcement, più particolarmente i gesuiti H. de Lubac e J. Daniélou. Se J. Ratzinger teologo rappresenta di fatto l’ultimo grande esponente di questo movimento, la potenza interrogativa delle sue riflessioni, anche da pontefice, resta in tutta la sua attualità giungendo intatta fino a noi.

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