Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 21 maggio 2024
Intervento: Ariberto Acerbi (Pontificia Università della Santa Croce)
Il Prof. Ariberto Acerbi ha offerto al ROR un seminario di approfondimento sulla lettura di Platone nella filosofa Simon Weil. «Cos’è la filosofia se non una chiara espressione del dinamismo dell’anima?»: si chiede la Weil citando La Repubblica di Platone.
Weil visse in un’epoca in cui il ritorno agli autori classici, e in particolare a Platone, costituiva un’opzione di particolare interesse in vista della ricostruzione dell’Europa, sia sul fronte intellettuale che morale. Cionondimeno comprendere come la Weil interpretò il platonismo appare obiettivo di assoluto interesse anche per lo sviluppo della civiltà postmoderna. La sua lettura dei testi platonici parla molto chiaramente: quanti sono giunti a vedere il bene sono chiamati a diffonderlo dando la vita; occorre riscoprire grandi idee come l’interesse per il bene del mondo o la sussistenza di veri e propri obblighi verso l’essere umano, condotte che gli assicurino la soddisfazione tanto dei bisogni materiali tanto di quelli spirituali.
Le idee della giustizia (commutativa e distributiva), sviluppate da Aristotele nell’Etica Nicomachea, apparivano ormai insufficienti. Tra i passaggi di maggior interesse presi in considerazione dalla Weil Acerbi ha segnalato quelli sul giudice iniquo, che non ascolta il grido muto del misero vagabondo. La domanda sottesa è: chi è capace di ascoltare il grido degli sventurati? Può riuscirci solo il giudice capace un’attenzione in cui all’intelligenza si aggiunga la compassione. Del resto, solo l’operazione soprannaturale della grazia può trasformare l’anima. Si chiedeva la Weil come formare giudici e politici educati alla verità e alla giustizia, e segnatamente quali disposizioni d’animo occorresse formare. Il punto principale era distinguere la morale fondata sul consenso sociale da quella basata sulla verità oggettiva. Nel pensiero di Platone i valori più alti che possano fondare una società sono il senso del giusto, del sacro, del bello e dell’onesto.
Al contrario Protagora, relativista, riteneva che non esistessero valori assoluti ma solo fondati sul senso comune. Nella grande digressione del Teeteto Socrate reagisce a questa visione, sostenendo che solo l’educazione filosofica può ancorare il senso dei valori più alti su un fondamento veritativo e non consuetudinario. Fuga è divenire simili a Dio secondo le proprie possibilità, rendendosi giusti e sapienti con l’intelligenza – si tratta evidentemente di una fuga paradossale. L’intelligenza (phronesis) ovvero il senso del bene e del vero, consente di operare davvero il bene, perché aiuta a distinguere le virtù vere da quelle socialmente in auge. Nel Fedone la phronesis consente di riconoscere il bene e con ciò autenticare la virtù: infatti una condizione morale apparentemente buona è diversa da una virtù radicata nel vero bene. Weil riflette sul fatto che la sapienza è qualificata come associata ad una virtù vera, radicalmente diversa dalle realtà apparenti. Essa diventa, quindi, rappresentante qualificata della conoscenza desiderabile per l’uomo.
A differenza della condotta morale basata sulla consuetudine, quella genuina reca in sé, per Weil, una ricompensa per l’uomo che la persegue: l’essere immagine di Dio. Molto interessante è, infine, capire come la Weil interpreti l’assimilazione a Dio. Le idee di Platone sono i pensieri di Dio, gli attributi di Dio. Ciò premesso ci si può chiedere come sia possibile l’imitazione di Dio da parte di un uomo? La risposta è in Cristo. Ne La Repubblica Platone scrive che “il giusto” avrà l’amara sorte di essere impalato e ucciso ma per congiungere gli estremi di Dio e dell’uomo non vi è altra via che quella di un mediatore.
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Documenti a disposizione dei partecipanti
- Imiter Dieu (mar 21.5.25)
- A. Acerbi, Sulla persona e il bene in Simone Weil (Studi Cattolici 758, aprile 2024)