Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 4 dicembre 2024
Per il ciclo ROR Seminar, Juan José Sanguineti, professore emerito della facoltà di filosofia, ha tenuto una lezione sulla linea di un suo recente articolo pubblicato nella rivista Religions, dal titolo God in the Face of Natural and Moral Evils: a Thomistic Approach. Ha introdotto e moderato il seminario il Prof. Ariberto Acerbi.
Il tema del male è per molti il grande ostacolo nel credere in Dio anche per questa ragione è molto presente nel tessuto narrativo delle grandi religioni del mondo. Peraltro la domanda sul male non può trovare una soluzione definitiva: questo è un presupposto da abbracciare preliminarmente ove ci si voglia addentrare in un simile campo d’indagine.
Il male in quanto tale può essere pensato in una prospettiva cosmologica o antropologica. Nel primo caso si può dire che il male naturale esista in modo strutturale. La domanda sottesa a questo tipo di approccio si attesta sovente sulla fine dell’universo e sul come, in rapporto ad esso, sia possibile conciliare l’esistenza del male tanto in una prospettiva teleologica che teologica. Una ragionevole risposta in quest’ambito potrebbe essere data a partire da una lettura evolutiva dell’interconnessione tra male e cosmo. Nella prospettiva antropologica, la domanda sul male diventa una domanda “tragica”.
È un dato incontrovertibile quello per cui l’essere umano, non solo tenta sempre di spiegare il male ma lo combatte continuamente e -se così si può dire- costitutivamente. Ci si chiede perché il male, perché sussiste ciò che nessuno vuole, ciò che tutti respingono. In generale se il male trova una spiegazione, un senso, diventa accettabile. Se resta inintellegibile porta alla disperazione.
Per tali ragioni la domanda sul male si trasferisce a Dio: perché egli lo permette? Gli autori di area anglosassone tendono a rispondere che Dio sa trasformare il male in bene ma non è irrilevante che il libro di Giobbe, in una pura attestazione di umiltà della creatura verso il Creatore, finisca senza offrire una spiegazione. Il fatto che non vi sia soluzione e che il male rimanga un problema aperto nella prospettiva del libro non getta nella disperazione ma comunica invece fiducia e speranza nel creatore. Ci suggerisce, infatti, che non disponendo della prospettiva di Dio possiamo guardare il male solo dal basso, ovvero dalla prospettiva umana. Chiediamo per questo costantemente: “Padre nostro … liberaci dal male!”. È vero che il male non può vincere ma noi dobbiamo comunque “a fare qualcosa” per esplorarne il senso.
I mali si distinguono tra mali fisici e mali morali. Nella prospettiva aristotelico-tomista il male fisico nasce a partire dalla perdita della forma. Male è, ad esempio, la corruttibilità dei corpi. Allo stesso modo le strutture biologiche che sostengono i viventi possono essere compromesse in senso anti-teleologico. Il vivente in questi casi non riesce a controllare l’ambiente. Si pensi a fenomeni come inondazioni e catastrofi: in questi casi la causalità materiale diventa nociva. Il male incide dolorosamente sull’individuo ma non necessariamente sulla specie. L’evoluzionismo ci ha insegnato che spesso dalle catastrofi sono scaturiti sensibili miglioramenti evolutivi: la contingenza è a servizio dell’evoluzione. In questo senso i mali fisici possono essere considerati “funzionali”.
Oltre ai mali fisici c’è il dolore fisico. Molti si chiedono che senso abbia il dolore negli animali. In se stesso il dolore è una sentinella per il corpo, è funzionale ad evitare danni ulteriori. Non lo stesso si può dire del dolore fisico cronico, a questo dolore è molto più difficile trovare un senso. Nel contesto della domanda sul male ci si chiede altresì che senso abbiano le aggressioni in natura (tra le specie e nell’uomo): nel mondo fisico si incontrano difficoltà, ostacoli rispetto ai quali il vivente deve difendersi. Rispetto a questo genere di male la filosofia cristiana non rinviene un collegamento con il peccato originale. Non si può affermare che essi accadano a causa di una natura corrotta dal peccato originale anche se è più che ragionevole pensare che nell’universo escatologico finale violenza e dolore, anche negli animali, non esisteranno più.
Il male morale nella visione cristiana è, invece, collegato al peccato originale.
Dopo il peccato l’uomo è lasciato in balia di forze naturali e animali, e sperimenta la dicotomia insanabile del desiderio di bene, che convive con un interiore disordine. In particolare esiste nel cuore umano, spiega Sanguineti, un’opposizione tra il desiderio di giustizia e i bassi istinti.
Cionondimeno l’uomo continua a lottare contro il male. E ci chiediamo: cosa fa Dio di fronte a questi mali tremendi? Qual è il suo progetto? Dio attraverso la provvidenza collabora con l’uomo per condurlo al bene. La provvidenza influisce sulle cause seconde. È così che Dio nella sua bontà provvidente ci fa superare una malattia. I miracoli costituiscono, invece, quella che chiamiamo la provvidenza straordinaria. La provvidenza di Dio non elimina il danno che proviene dal peccato, non ci esime dalle leggi fisiche, né naturalmente dal lottare contro le ingiustizie. La provvidenza divina poi è occulta, misteriosa, richiede nell’uomo affidamento: Dio in effetti lascia all’uomo una libertà integrale, non lo costringe ad evitare il male.
Quanto poi alla discussione intorno ad un’eventuale fine catastrofica del cosmo, pur non essendoci vere risposte è bene non assolutizzare la storia, l’uomo, e i suoi progetti, pena lo scadere in un’illusione idolatrica. Nel piano di Dio che provvede c’è anche la redenzione. Gesù Cristo ci ha salvati abbracciando il dolore, trasformando l’ingiustizia in amore, in unione a Gesù crocifisso ogni male acquista un significato, anche la sofferenza degli innocenti. Per questo la lotta in Cristo e con Cristo ha un senso, ma bisogna ricordarsi che combattere il male è un processo. L’uomo può farlo, con l’aiuto della grazia, attraverso l’educazione, il diritto, la tecnologia. Non sempre sarà possibile avere successo ma alla fine poiché manca solo la consumazione finale è importante sapere che la vittoria è già in atto.