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Ror Studies Series | Identità relazionale e formazione

La cura delle identità il rispetto della relazione; come riformulare gli approcci educativi, l’annuncio del Vangelo, la predicazione

Giuseppe Brighina

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Questo tema offre una preziosa occasione per riflettere sulle ricadute pratiche dell’ontologia relazionale. Per evitare un’analisi generalista, limiteremo, in due momenti distinti, l’indagine all’ambito educativo e formativo-pastorale. Cercheremo indirettamente di fare i conti con l’aporia, sentita oggi con viva sofferenza da molti educatori e formatori, secondo cui, nell’attuale contesto postmoderno, sia molto difficile, se non impossibile, comunicare in modo persuasivo e attraente un sapere sul senso dell’esistenza umana e delle sue dimensioni più rilevanti.

1. I nativi nichilisti e gli abitatori del sentire

Iniziamo dall’ambito educativo. In queste note mi avvalgo anche dell’esperienza maturata nell’insegnamento della Religione cattolica nei licei statali. Grazie all’ora di religione vissuta da docente mi sono scontrato con l’aporia a cui prima accennavo. Ero convinto che la strada maestra per rendere significativa l’esperienza religiosa fosse la grande domanda sul senso della vita. Ma è bastato poco per capire che la mia strategia non era adeguata. Per lo più, i miei alunni erano convinti che ormai l’umanità, nel suo cammino lungo la storia e nella sua punta più avanzata, fosse giunta alla conclusione definitiva che la nostra vita sia priva di senso. Ho parlato di convinzione, ma non si tratta della conclusione di un rigoroso processo razionale quanto piuttosto di un sentire fortemente radicato.

È giunto il momento di introdurre una categoria interpretativa che può esserci di aiuto. Mi riferisco a quella di nativi nichilisti. L’espressione è, evidentemente, un calco della più nota nativi digitali, riferita a quanti sono nati già nell’epoca dell’informatica, dei dispositivi elettronici e di internet. I nativi nichilisti sono i ragazzi nati in un contesto culturale in cui la koi più diffusa è nichilista. Tutti ci troviamo a vivere, per la prima volta nella storia, in un’epoca di nichilismo di massa o nichilismo compiuto. C’è però una differenza non piccola. Noi adulti abbiamo conosciuto un mondo non nichilista e abbiamo assistito al cambiamento epocale del crollo dell’idea di Dio dal vertice dell’ordine simbolico. I ragazzi di oggi invece sono venuti alla luce in un mondo nichilista come se fosse l’unico mondo, come se il mondo fosse da sempre stato nichilista. Non hanno partecipato alla tragedia della morte di Dio, nel senso in cui ne parla Nietzsche; non hanno vissuto l’esperienza angosciante del precipitare nell’abisso senza poter trovare un appiglio che interrompa questa folle corsa verso il nulla.1 Quando sono nati, Dio era già culturalmente morto.

È molto difficile, se non impossibile, non provare un senso di smarrimento nei confronti dei nativi nichilisti. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere la loro innocenza. Non hanno scelto di essere nichilisti, sono nati così. A questo punto la sfida sta nel chiedersi se è possibile far qualcosa per riaccendere in questa nuova generazione l’inquietudine per il senso oppure se bisogna rassegnarsi e gettare la spugna.

Una prima strada possibile è aiutare i nativi nichilisti a comprendere che è molto difficile essere coerenti con una posizione radicalmente nichilista. È inutile una riflessione teorica e astratta con loro su questo punto. Bisogna prendere in esame i contenuti simbolici di cui si nutrono (canzoni, serie televisive, film, programmi giornalistici d’impatto – per esempio Le Iene – post nei social, libri etc.); alla luce di questa indagine senza pregiudizi, non potranno non riconoscere che spesso in questi testi viene presentata la sensatezza di vari ambiti dell’esperienza umana. Facciamo qualche esempio: molte canzoni, apprezzate dagli adolescenti di oggi, presentano un’ingente carica di rabbia per un mondo che appare ingiusto, per genitori che tradiscono il patto affettivo nei confronti dei figli, per una società che non assicura un futuro ai giovani. etc. Ma questa rabbia non è generata da un’aspettativa di senso che non viene soddisfatta? Perché provare questo sentimento se tutto è privo di senso? Come reagirebbe un ragazzo se il padre lo privasse progressivamente di spazi di libertà (per esempio: orari di rientro, viaggi, acquisti di prodotti informatici…) giustificandosi che la libertà è priva di senso e che la sua autorità paterna è, invece, fondata sul suo massiccio potere economico? Come ritenere privo di senso ciò che risulta piacevole? Anche se, dall’interno dell’esperienza piacevole, si accende la domanda sull’estensione dell’esperienza: come ebbe a dire Nietzsche,2 il piacere vuole eternità, profonda eternità, ma non riesce a ottenerle e lascia delusi. Perché in un mondo privo di senso si desidera un piacere eterno e profondo?

C’è anche una seconda strada, forse migliore della prima. In un orizzonte nichilista viene potenziato al massimo il sentire. Se infatti la realtà è priva di senso, è una noce senza gheriglio, l’unico modo in cui possiamo entrare in contatto con la realtà è il modo in cui la sentiamo, il modo in cui ne siamo affetti. Per questa ragione i nativi nichilisti sono abitatori del sentire nella forma più immediata dove vige assoluto il principio secondo cui emozione scaccia emozione. Si tratta di un sentire formato Instagram. In questo social, così abitato dai giovani, ogni messaggio vive della morte del precedente, fa scorrere giù il precedente, la storia dura 24 ore e poi viene cancellata. Se la realtà appare ai nativi nichilisti come un inarrestabile panta rei con una raffica di stimoli che continuamente li colpiscono, la loro identità è simile ad un tiro a segno dove vanno a fermarsi le frecce per un tempo irrisorio fino a che sopraggiungano altre frecce. Si tratta di un’identità joyceana, un alveo in cui scorre un fiume. Su questo fiume non è pensabile edificare nessun ponte permanente. È inevitabile che tale situazione produca un senso di precarietà e insicurezza. Ogni emozione positiva è come un atollo in un oceano di ansia e inquietudine. In questo scenario, l’educatore può redimere i nativi nichilisti grazie allo sguardo relazionale. Si tratta dello sguardo che riconosce la preziosità dell’altro. Grazie a questo sguardo, l’educatore fa capire ad ogni ragazzo che lo considera assolutamente prezioso, che ci tiene davvero a lui indipendentemente da ogni risultato o performance. Questo sguardo riconsegna ad ogni nativo nichilista la sua permanente dignità. Essere gratuitamente oggetto di questo sguardo origina in lui un sentire intenso, profondo e stabile, di gran lunga superiore ad ogni emozione provocata da uno stimolo esterno. In questo frammento di esperienza, circoscritto dalla relazione, la realtà appare pregna di senso. Viene così praticamente sconfessato il nichilismo. La luce di questo sguardo si percepisce nella relazione, quindi esige un tempo disteso, un tempo sufficiente a far cadere ogni forma di pregiudizio. Lo sguardo relazionale ha una funzione generativa e apre l’orizzonte per ogni altra comunicazione educativa. È molto difficile che uno studente ascolti un docente da cui non si senta riconosciuto sinceramente come prezioso.

Questo percorso non condanna, ma invera, il primato del sentire del nostro tempo. Se, come abbiamo visto il nativo nichilista è abitatore del sentire, non si tratta di buttarlo fuori di casa, ma di mostrargli che la sua casa non è una piccola e angusta stamberga, ma un castello di cui non conoscerà mai tutte le stanze. Ritorna la forza dell’intuizione di Eraclito: «Per quanto andrai peregrinando, non raggiungerai mai i confini dell’anima, tanto profondo è il suo logos».3

2. La sfida formativa nelle aggregazioni carismatiche

Cercheremo di affrontare adesso la seguente questione: l’ontologia relazionale può fornire delle indicazioni utili e feconde agli operatori pastorali o impegnati in attività formative?

Siamo costretti a limitare la nostra indagine a quanti svolgono attività pastorali e formative all’interno di aggregazioni carismatiche. Nella chiesa i carismi creano campi magnetici che possono dare origine a comunioni di persone. Queste comunioni di persone hanno bisogno di un principio di organizzazione e dell’esercizio dell’autorità. Il senso autentico dell’autorità è essere principio di unità e di comunione. Questa autorità deve essere esercitata per il bene comune ed esige rispetto e obbedienza. Ogni comunione di persone che intenda raggiungere un fine unitario ha bisogno di questo principio di organizzazione. Ricorriamo ad un esempio: se il preside di una scuola chiede ai docenti che nelle ore di disposizione siano veramente a disposizione, cioè pronti ad andare in classe se è necessario, e un docente, invece, viene trovato assente ripetute volte, scatterà necessariamente ai suoi danni un provvedimento disciplinare perché l’ordine costituito va rispettato. In una scuola questa procedura evidentemente ci sta, è pertinente.

Nelle comunioni carismatiche di persone il fine implica che ci sia anche un servizio di accompagnamento spirituale perché ognuno possa raggiungere la sua piena fioritura e svolgere la missione legata a quel carisma. Ma qual è il principio che può ispirare questo accompagnamento spirituale? Come ipotesi di lavoro, possiamo dire che il principio ispiratore dell’attività di accompagnamento spirituale sia la maturazione verso la comprensione della natura abissale della libertà.

Ma cosa vuol dire natura abissale della libertà? Penso che questa sia una tesi che possiamo dedurre dalla filosofia classica.4 Già Aristotele presenta la libertà come la capacità di muoversi da sé.5 Anche san Tommaso si ritrova in questa descrizione.6 Ma si tratta di una capacità di muoversi da sé di natura peculiare. In senso elementare anche gli animali sono capaci di muoversi da sé. Ma l’uomo è capace anche di avere il dominio sul principio che dà origine all’azione. L’uomo è libero nel giudizio che sta a monte dell’azione. L’uomo è libero nell’arbitrio e nella possibilità di volere e di scegliere.7 In un secondo momento, si capisce che la libertà non riguarda soltanto la nostra volontà. Se riguarda la nostra volontà riguarda anche noi, Altrimenti che libertà sarebbe quella in cui la libertà riguardasse soltanto una nostra facoltà (la volontà) e non noi? Si arriverebbe al paradosso che una nostra facoltà è più perfetta di noi che possediamo quella facoltà. Come può essere la nostra volontà libera e noi che siamo il fondamento di questa volontà (non esiste la volontà, esiste la mia e la tua volontà) essere determinati? La libertà riguarda il nucleo più profondo della nostra persona. Qui si capisce cosa voglia dire “natura abissale della libertà”. Non vuol dire libertà anarchica. Se intendo l’abissalità della libertà come anarchia, distruggo la libertà, la perdo. Divento schiavo del sentire nelle forme più banali: emozione scaccia emozione, oppure asservimento al potere. “Natura abissale della libertà” significa che come l’uomo, grazie alla sua anima, è, secondo la famosa sentenza di Aristotele,8 in un certo senso tutte le cose, così egli può volere tutto9. Ciò, evidentemente, non vuol dire che l’uomo possa realizzare tutto ciò che vuole. Infatti nel realizzare ciò che vuole l’uomo incontra tanti limiti. L’esperienza del limite non sarebbe per lui motivo di sofferenza se la sua libertà non fosse abissale. Rimane però che l’uomo vuole tanto quanto è l’essere. Io, in quanto formatore, devo prendere coscienza di questo e devo accompagnare le persone perché maturino questa consapevolezza.

Ma se la libertà è abissale devo trovare qualcosa che sia degno di questa abissalità. E proporzionato a questa abissalità è soltanto colui che è veramente abissale, pienamente abissale, cioè Dio e tutti coloro che sono immagine dell’abissalità di Dio. Così la libertà trova il suo senso più alto e più bello nelle relazioni tra libertà abissali e, quindi, tra persone. Proprio perché la libertà è abissale può entrare in comunione, senza limiti intrinseci (poi i limiti verranno dall’esterno della relazione, dal tempo, dallo spazio, dalla stanchezza. Se, per esempio, devo telefonare a 10 amici e ognuno mi chiede un’ora mi passo una giornata al telefono trascurando tutte le altre incombenze ordinarie).

Però, se la nostra libertà è abissale possiamo essere capaci di una comunione senza limiti. Ma, se due libertà entrano in relazione di comunione, ciò è possibile soltanto liberamente, cioè attraverso la gratuità. Ecco perché la gratuità, precisando quanto già accennato nella sezione precedente, è rivelativa della dignità dell’uomo, perché mette in luce la sua abissalità. Soltanto liberamente, attraverso la gratuità, due o più libertà abissali possono entrare in comunione. E questa comunione porta con sé l’esperienza di una intensificazione senza precedenti del sentire, fino a giungere alla grande passione. La grande passione è quella passione che ha come oggetto un oggetto “interale”. Oggetto interale è un oggetto che ha l’entità di perfezione dell’intero o che assomiglia a questo. Tale relazione tira fuori tutta la profondità del nostro sentire, il massimo coinvolgimento. La grande passione ha come caratteristica di essere sorgente e fonte continua di emozioni, di emozioni di alta qualità, cioè del sentirci sempre intensamente coinvolti. Anche qui può esserci utile un esempio. Immaginiamo un signore che abbia una piccola passione per i francobolli, per lui ogni francobollo è prezioso, gli origina un’emozione intensa. Immaginiamo anche che la sua passione filatelica si estenda agli annulli postali. Annullo postale è il timbro con cui si annulla un francobollo in una giornata in cui ricorre un anniversario di rilievo pubblico. Il nostro signore va a cercare in giro eventi, manifestazione, anniversari e ricorrenze per proporre annulli postali. Di fronte ad ogni annullo postale conquistato, lui è come se fosse in trance. Sembra al momento assolutamente appagato. La passione è sorgente di nuove emozioni. Ciò significa che il soggetto appassionato non ha bisogno di uno stimolo esterno per far scoccare l’emozione. A volte a scuola i ragazzi ci dicono che non hanno stimoli, che avrebbero bisogno di stimoli per impegnarsi, per studiare e nessuno di loro sa dove poterli trovare. Nella passione abbiamo invece una sorgente interiore di nuove emozioni. Questo dinamismo raggiunge un’intensità molto elevata nella grande passione dove è in gioco un oggetto interale. L’oggetto interale più adeguato è quello relativo alla passione suscitata dalla relazione di comunione con le libertà abissali, in primo luogo con quella piena assoluta che è Dio e, in secondo luogo, con tutti coloro che sono immagine e somiglianza di Dio.

Ma qual è il rischio a cui è esposto l’accompagnamento spirituale nelle comunioni carismatiche? Se devo accompagnare una persona lungo il cammino della maturazione della libertà abissale, mi trovo di fronte ad un percorso lungo, difficile da capire e incerto nei suoi risultati. Potrei ottenere un clamoroso fallimento anche perché non possiamo mettere guinzagli alle libertà abissali. Allora sorge la tentazione di trovare una scorciatoia. La scorciatoia sta nel prendere i modi e i tipi che funzionano nell’organizzazione del governo di un gruppo umano e trasferirli nell’ambito dell’accompagnamento spirituale. Ciò non significa far ricorso a sanzioni disciplinari o a deterrenti di natura normativa, ma a sanzioni che possiamo chiamare, in senso lato, affettive. Vediamo come funziona questo meccanismo: ti faccio capire che se tu non fai ciò che io ti suggerisco o ti consiglio mi sentirò deluso da te. Prima la mia stima nei tuoi confronti era altissima, adesso, se non fai ciò che ti suggerisco, diminuirà vertiginosamente. Questo condizionamento può portare la persona inconsapevolmente ad adeguarsi a quanto viene consigliato per la paura irriflessa di essere privato della stima nel formatore. Questo meccanismo può funzionare per un certo tempo, ma progressivamente toglie il respiro e dà la sensazione di essere in apnea. La ragione è abbastanza evidente. Quello che non scopriamo, non maturiamo nella libertà abissale, che è la nostra più alta dignità, non ci appartiene. Stiamo costruendo sulla sabbia.

L’opera della salvezza, se Dio non avesse voluto rispettare la dimensione abissale della libertà umana, si sarebbe potuta realizzare rapidamente e infallibilmente. Ma Dio non se ne fa niente di ottenere attraverso scorciatoie il nostro consenso perché la salvezza è una comunione di persone. Analogamente, nell’accompagnamento spirituale la scorciatoia del condizionamento affettivo è apparentemente più facile e più rapida, ma crea persone che non raggiungeranno mai il senso, il sapore, la vertigine della libertà abissale e, quindi, il gusto di mettere in gioco tutte se stesse, con grande passione, per realizzare la missione loro affidata.

Bibliografia

Aristotele, De anima.

Idem, Metaphysica.

F. Botturi, La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale, Vita e Pensiero, Milano 2009.

Eraclito, fr. 45 DK.

C. Fabro, Essere e libertà, corso universitario di Filosofia teoretica, a.a. 1966/7, 8 (pro manoscripto).

F. Nietzsche, La gaia scienza, Libro III, n. 125, in F. Masini (a cura di), Opere di Friedrich Nietzsche, vol. V/2, Adelphi, Milano 1965.

Idem, Così parlò Zarathustra IV, Il canto del nottambulo, in F. Masini (a cura di), Opere di Friedrich Nietzsche, vol. V/2, Adelphi, Milano 1965.

Tommaso d’Aquino, De Veritate.


1 «Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? – Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina?», F. Nietzsche, La gaia scienza, Libro III, n. 125, in F. Masini (a cura di), Opere di Friedrich Nietzsche, vol. V/2, Adelphi, Milano 1965, 151.

2 Mentre il dolore vuole eredi, vuole figli non se stesso perché è sensato solo se è fecondo, il piacere «vuole se stesso, vuole l’eternità, vuole il ritorno, vuole il tutto-a-sé-eternamente-eguale», F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra IV, Il canto del nottambulo, in F. Masini (a cura di), Opere di Friedrich Nietzsche, 12 «”ogni piacere vuole eternità, vuole profonda eternità».

3 Eraclito, fr. 45 DK.

4 «Il problema della libertà coincide con [quello stesso del]l’essenza dell’uomo, […] la libertà non è qualcosa dell’uomo, non è una semplice “proprietà” della natura umana […], ma è quell’ultimo “fondo” e quel primo “nucleo” verso il quale convergono tutte le altre attività e dal quale prendono figura, fisionomia, significato e valore […] noi intendiamo la “libertà” come la caratteristica metafisica-trascedentale dell’essere umano», C. Fabro, Essere e libertà, corso universitario di Filosofia teoretica, a.a. 1966/7, 8 (pro manoscripto).

5 Aristotele, Metaphysica I, 2 982 b 25: «Diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri»

6 Tommaso d’Aquino, CG 2.48.2; cfr. De Veritate q. 24 a.1.

7 Idem, CG 2.48.2-5

8 Aristotele, De anima III, 431 b 21

9 «Ma in che senso si può dire che la trascendentalità della facoltà appetitiva stia a fondamento della libertà? Se con Aristotele l’anima è “in certo modo tutte le cose” se con Tommaso trascendentale è l’apertura intenzionale secondo la totalità intelligibile e appetibile dell’ente, allora nulla può trascendere l’orizzonte trascendentale, nulla può pre-cedere il suo movimento intenzionale, e dunque il trascendentale per definizione, non può avere una causa determinante esterna: l’intrascendibilità del trascendentale comporta che la volontà non può avere altro principio di movimento che se stessa, non può avere cioè che una causa immanente nella forma della sua automotivazione. L’apertura interale dell’appetizione umana infatti, in quanto spiritualmente riflessiva, la rende capace di autopossesso, cioè priva di una motivazione “esteriore” che la pre-determini come movente autonomo. La trascendentalità interale e riflessiva dello “spirito” è dunque il costitutivo formale della libertà, quale principio di iniziativa assoluta». F. Botturi, La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale, Vita e Pensiero, Milano 2009, 137.