Ror Studies Series | Identità relazionale e formazione
L’identità nello sguardo del padre
Pierluigi Imperatore
Nelle parole di Gesù a santa Caterina da Siena, secondo la Legenda Maior scritta dal beato Raimondo da Capua, possiamo scorgere l’essenza dell’essere del Padre e dell’uomo: «Caterina, ricordati che Io sono Colui che sono, e tu sei colei che non è».1 Il Padre è il solo che ha l’essere, è Lui l’essere, è Lui il datore di essere e di identità. Ogni uomo non è, non in quanto non avente identità in sé o non avente essere, ma in quanto avente un’identità bucata, un’identità instabile, ossia un’identità ricevuta da coloro che lo hanno educato e mantenuta da un processo inconsapevole di identificazione costante. Tale identità storica non esaurisce la persona nella sua potenzialità possibile nel Padre.
Ciò che ogni persona definisce come il proprio Io è l’insieme delle identificazioni note di sé che, all’interno della propria storia personale, hanno avuto la funzione di farla sopravvivere agli inevitabili traumi relazionali passati. Data la funzione di sopravvivenza che le identificazioni hanno svolto nel passato, l’istinto più forte dell’essere umano sarà la conservazione delle identificazioni storiche, il mantenimento dell’identità nota di sé. L’essere umano non è naturalmente orientato alla disidentificazione dall’identità nota ma, al contrario, è naturalmente programmato alla conservazione delle identificazioni storiche che gli hanno consentito, nel passato, di sopravvivere ai traumi relazionali.
Il Padre, Colui che è, Colui che dona l’essere alle sue creature, dona vita nuova e identità nuova ai suoi figli rivelandosi nel Figlio. L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, creato capace di Dio, può accedere al dono della conoscenza del Padre «quando ascolta il messaggio delle creature e quando ascolta la voce della propria coscienza».2 Non potendo sperimentare il Padre «se non a partire dalle creature e secondo il modo umano»3 la relazione con il fratello diviene strumento per una buona formazione della coscienza, «nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità».4
Il fratello che, avendo sperimentato nella propria coscienza, ben formata e ordinata al Padre, il suo sguardo di misericordia generatore di identità nuova al di là delle identificazioni storiche, può generare nell’accompagnamento spirituale un dispositivo in cui l’accompagnato può scorgere la sua identità unica, rivelata dal Padre nell’intimo della sua coscienza, «primo di tutti i vicari di Cristo»5.
L’accompagnatore spirituale è dunque colui che, disidentificato dalle identificazioni storiche della propria storia passata, conservative dell’identità acquisita, ha vissuto nell’intimo della propria coscienza, formata alla luce della Parola e dei Sacramenti,6 un’esperienza correttiva nel Padre nella quale ha intuito un’identità altra, generata dalla relazione con il Padre stesso, dallo sguardo di misericordia del Padre sulle proprie identificazioni. L’accompagnatore è colui che ha sperimentato nello sguardo del Padre uno spazio di disidentificazione nel quale ha ricevuto un’identità altra al di là del noto, del noto “psicologicamente sano” (prodotto di un processo di psicoterapia) e del non-noto (prodotto di un processo di analisi), un’identità dalla quale ha verticizzato tutte le identificazioni storiche del proprio Io dal vertice del Padre nell’imitazione del Figlio.
L’accompagnatore che, vissuta l’esperienza correttiva del riceversi dallo sguardo del Padre si mantiene stabile in questa posizione, è colui che può donare al fratello un percorso di accompagnamento spirituale orientato all’incontro con il Padre. L’accompagnamento spirituale può così essere definito come un dispositivo relazionale che genera un contenimento per l’accompagnato, uno spazio relazionale in cui l’accompagnato riceve dall’accompagnatore un’accoglienza incondizionata delle proprie identificazioni storiche. L’accompagnatore che ha vissuto l’esperienza correttiva del Padre potrà infatti, nel dispositivo dell’accompagnamento spirituale, donare al fratello una relazione contenitiva, uno sguardo in cui il fratello può perdersi e scorgere di avere esistenza e vita al di là delle proprie identificazioni.
Donando uno sguardo di disidentificazione l’accompagnatore riceverà inevitabilmente, da parte dell’accompagnato, costanti tentativi e richieste indirette di conferma della sua identità storica. L’accompagnato, pur nell’intenzionalità positiva, tenterà infatti, inconsapevolmente e inconsciamente, di ottenere dall’accompagnatore una conferma delle proprie identificazioni, per poter continuare a mantenersi in esistenza tramite l’identificazione con la propria identità storica.
L’accompagnatore è chiamato a sostare nella sospensione della conferma dell’altro, sospensione dalla quale, nel tempo, l’accompagnato potrà sperimentare che la propria identità non si esaurisce nelle identificazioni con le quali si è sempre identificato. L’accompagnatore riuscirà a mantenersi in questa posizione se delibera ogni giorno una strutturazione del tempo e dello spazio, elette dalla propria soggettività unica, utile a non perdere quanto intuito nell’esperienza correttiva del Padre, in quello sguardo del Padre dal quale ha ricevuto un’identità nuova, un’intuizione dalla quale riorganizzare la propria identità passata a servizio dei fratelli.
L’accompagnatore potrà generare quello stato mentale necessario per mantenere l’identità che ha eletto e deliberato nel Padre tramite un’organizzazione del proprio tempo e del proprio spazio scandita dai mezzi corrispondenti: «la conoscenza di sé, la pratica dell’ascesi, l’obbedienza ai divini comandamenti, l’esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera».7 La lectio divina, l’adorazione eucaristica e la partecipazione alla vita liturgica della Chiesa saranno i mezzi fondamentali affinchè l’accompagnatore possa “radicarsi e fondarsi” (Ef 3,16-17) nella vocazione ricevuta dal Padre e intuita nel sacrario della propria coscienza.
Per poter donare al fratello un percorso di accompagnamento spirituale l’accompagnatore dovrà fare proprio un presupposto: la distinzione tra il Padre, Dio e l’Io. Se il Padre è l’essere che dona vita nuova ai figli nel Figlio, Dio è la proiezione creata dalla mente umana per mantenere l’identità storica e per conservare l’Io in quanto aggregato di identificazioni storiche. La mente identificata in Io utilizzerà inconsciamente la Parola per confermarsi nell’identità nota di sé, rendendo Dio il meta-garante delle proprie identificazioni: «occorre dunque purificare continuamente il linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di imperfetto per non confondere il Dio ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile, con le rappresentazioni umane».8
Nell’Io l’essere umano si posiziona nel punto più vicino a Dio, garante delle identificazioni storiche, e nel punto più lontano dal Padre, datore di un’identità altra, al di là di ogni identificazione. Come indica la parabola del Padre Misericordioso del Vangelo di Luca, quando il figlio rientra in sé si incammina verso Dio, alterità prodotta da una proiezione che crea l’aspettativa di un padre garante del sé storico. L’aspettativa di incontrare Dio, un padre che conferma le identificazioni del figlio assecondando la sua proposta di trattarlo come uno dei servi, viene disillusa dall’esperienza della misericordia del Padre, il Totalmente Altro, il totalmente al di là di ogni attesa, il datore di vita nuova che fa tacere il figlio per non farlo precipitare nelle identificazioni, luogo di presenza di Dio e di assenza del Padre.
Nel dispositivo dell’accompagnamento spirituale l’accompagnato può sperimentare nello sguardo dell’accompagnatore quanto l’accompagnatore stesso ha vissuto nello sguardo del Padre: un contenimento delle proprie identificazioni storiche, un luogo relazionale in cui poter parlare delle proprie identificazioni e in cui poterle esplorare, allo scopo di riconoscerne la funzione storica conservativa dell’identità passata. L’accompagnatore, restando nella posizione di disidentificazione dal proprio noto e di identificazione con quanto intuito nello sguardo del Padre, potrà donare al fratello quell’ascolto empatico, quella sospensione del giudizio e quell’accoglienza incondizionata che genereranno un contenimento utile a fargli esplorare le identificazioni del proprio Io, fino a mantenersi in una posizione di disidentificazione dalle identificazioni.
Se l’accompagnamento spirituale è quel dispositivo relazionale in cui l’accompagnato riceve un contenimento, il discernimento spirituale può essere considerato la tappa successiva del percorso spirituale. L’accompagnato, ricevuto lo sguardo di accoglienza dell’accompagnatore sulle proprie identificazioni, potrà sostare nella posizione di disidentificazione, fino a scorgere, nel dispositivo relazionale, quello sguardo del Padre che lo genera a vita nuova donandogli un’identità altra, un’identità al di là delle identificazioni storiche, un’identità ricevuta dalla gratuità del Padre che chiama a vita nuova i propri figli affinché portino ai fratelli il dono del suo sguardo. Nella relazione con l’accompagnatore l’accompagnato potrà dunque intuire e discernere l’identità nuova, il desiderio del Padre su di sé, il progetto per cui è stato chiamato in esistenza.
L’accompagnatore, che non parte dal presupposto della distinzione tra il Padre e Dio, non donerà uno sguardo in cui il fratello potrà perdersi, disinvestendo di energia psichica il noto di sé per investire di energia psichica quello stato di sospensione da ogni identità in cui il Padre dona vita ed essere, ma darà uno sguardo in cui il fratello troverà conferma delle proprie identificazioni, sperimentando come pseudo-alterità un Dio inconsciamente creato a garanzia del proprio Io. L’accompagnamento spirituale, in questo caso, si configura come uno pseudo accompagnamento spirituale in cui l’accompagnatore conferma l’accompagnato per evitarsi il dolore mentale prodotto dalla sospensione della rassicurazione data dalle identificazioni.
Precipitando nelle identificazioni storiche l’accompagnato non attuerà nel presente la potenzialità che sente nel Padre, ma filtrerà la potenzialità del Padre secondo il proprio storico. Il Padre lo invita a compiere, nel presente, l’ignoto. Precipitando nelle identificazioni l’ignoto viene tramutato nel noto storico.
Dio, sembiante del Padre, è colui che rinforza il grado di identificazione con l’identità storica, rassicurando dalla paura di perdersi nella sospensione da ogni identificazione. Il Padre invece, Colui che è, si sperimenta nella relazione con un fratello il cui sguardo amplifica l’assenza di certezza, il vuoto di vitalità nota presente in ogni identificazione, generando uno stato di sospensione da ogni identificazione, unico stato in cui si può scorgere lo sguardo del Padre nello sguardo del fratello. L’energia psichica, liberata dalla sospensione dell’identificazione con la versione storica di sé, genera lo stato della paura di perdersi senza identità, paura che si rende luogo in cui il Padre rivela l’identità nuova nella notte dell’assenza di ogni identità.
Se l’accompagnamento spirituale è il dispositivo che contiene l’accompagnato nello sperimentare la paura di perdersi nello stato di sospensione, il discernimento spirituale è la fase successiva. L’accompagnato, dopo aver vissuto l’esperienza correttiva nello scorgere lo sguardo del Padre che dona identità e vita al di là della notte della sospensione, può intuire in questa esperienza di vita l’identità nuova che il Padre gli dona, il progetto del Padre su di sé. Il discernimento si configura così come fase in cui l’accompagnato, sentendo in sé sia la versione storica di sé sia l’intuizione di un’identità nuova, può distinguere, tra le identificazioni auto-generate dal proprio Io, l’identità etero-generata dallo sguardo del Padre. In questa fase di discernimento il fratello sperimenta una paura diversa dalla paura di perdersi, la paura di deliberare: l’atto di deliberare è l’atto di riorganizzazione cosciente delle identificazioni storiche dal vertice dell’identità intuita nello sguardo del Padre.
Nel momento in cui avviene il deliberare ossia la sottrazione di energia psichica dalle identificazioni storiche per riorganizzarle dal vertice del Padre, l’accompagnato può entrare nel discernimento degli spiriti. Nelle prime due tappe dell’accompagnamento e del discernimento non vi è ancora il contatto con gli spiriti, in quanto la via di accesso al Padre è serrata dalle identificazioni dell’Io che aprono la strada al contatto rassicurante e conservativo con Dio, meta-garante delle identificazioni.
Solo se l’accompagnato ha il dono di incontrare un fratello che ha sperimentato lo sguardo del Padre e che lo guarda sostando nell’assenza di conferme, potrà arrivare a fare esperienza del Padre e giungere alla tappa del discernimento degli spiriti. Riorganizzate le identificazioni dal vertice del Padre, liberate le identificazioni dalla loro funzione conservativa del noto, si scateneranno gli spiriti allo scopo di far abbandonare alla persona l’intenzione deliberata di riorganizzare la propria strutturazione del tempo a favore dell’identità intuita nell’esperienza correttiva del Padre.
L’accompagnatore potrà così guidare l’accompagnato nel discernimento degli spiriti, affinché possa riconoscere e non assecondare gli spiriti che lo porterebbero ad abbandonare quanto intuito, per tornare alle identificazioni precedenti. Gli spiriti tenteranno la persona affinché, rientrando in se stessa, reifichi la propria identità, cercando vita e identità nel noto di sé oppure nel non-noto (effetto di un processo umano come l’analisi), non più cercandola e ricevendola, invece, dalla relazione con il Padre.
Fare esperienza del dispositivo dell’accompagnamento spirituale offre la possibilità di vivere una vita artificialmente costruita a partire da quanto intuito nello sguardo del Padre, una vita artificiale, una vita altra dalla vita proposta naturalmente dall’unione mente-corpo, profondamente orientata alla conservazione del noto. Nel dispositivo dell’accompagnamento spirituale, l’accompagnato delibera tramite un arteficio, sposa la notte dell’assenza di identità per riceversi dallo sguardo del Padre che lo invita ad uscire dal noto, per sostare nell’ignoto e per sperimentare Lui, vertice dal quale riorganizzare artificialmente la propria vita.
Sostando nella paura di deliberare e deliberando il riceversi dallo sguardo del Padre, la persona potrà essere, per i fratelli, esperienza correttiva, testimonianza del Totalmente Altro, goccia di misericordia.
Bibliografia
R. Da Capua, Legenda maior di santa Caterina da Siena, Cantagalli, Siena 1994.
Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano, LEV, 1992.
Concilio Ecumenico Vaticano II, cost. ap., Gaudium et spes, 07.12.1965: AAS 58 (1966) 1025-1115, n. 16.
J.H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5: Certain Difficulties felt by Anglicans in Catholic Teaching, v. 2, Westiminster, 1969.
1 R. Da Capua, Legenda maior di santa Caterina da Siena, Cantagalli, Siena 1994, 97.
2 Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano, LEV, 1992, n. 46.
3 Ibidem, n. 40.
4 Concilio Ecumenico Vaticano II, cost. ap., Gaudium et spes, 07.12.1965: AAS 58 (1966) 1025-1115, n. 16.
5 J.H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5: Certain Difficulties felt by Anglicans in Catholic Teaching, v. 2, Westiminster, 1969, 248.
6 Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1785.
7 Ibidem, n. 2340.
8 Ibidem, n. 42.