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Heidegger: tra esistenza ed essere

Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 20 Marzo 2025

Il Professor Carmine Di Martino dell’Università degli Studi di Milano il 20 marzo 2025 ha tenuto un seminario sugli scritti di Heidegger del primo periodo di Friburgo, presentandoli attraverso lo sviluppo di alcuni nuclei tematici.

Dalla pubblicazione in poi la lettura critica che si dà di tali scritti, che il filosofo era incerto se pubblicare (avrebbero portato alla luce qualcosa che lo infastidiva?), è in parte mutata. Quale eredità essi rappresentassero è divenuto chiaro solo successivamente.

Secondo Di Martino, Heidegger è autore che riassume in sé in modo esemplare le due grandi matrici della cultura occidentale: quella greca e quella ebraico-cristiana. Le fa giocare insieme in modo produttivo con una certa strategia di lettura e di contaminazione.

Dalla pubblicazione di Essere e Tempo in poi, nessuno si è più potuto sottrarre al canone interpretativo da lui coniato, che rileggeva tutto l’occidente come una grande parabola della dimenticanza dell’essere e della riduzione dell’essere ad ente: una metafisica della presenza o dell’ente presente che dir si voglia.

La grande mossa di Heidegger fu quella di porre un problema che non era ovvio. La matrice ebraico-cristiana gli diede lo spunto per individuare un punto di svolta. La prima messa in questione non avviene rispetto all’essere ma rispetto all’uomo. Non si parte dall’essere in quanto tale, ma dall’essere che l’uomo stesso è e per il quale l’essere è una questione. Tutta la tradizione non riesce a pensare l’essere umano nella sua storicità perciò manca il bersaglio.

Ma come fa Heidegger a interpretare altrimenti l’essere umano? Qual è la sua fonte?

La risposta è il protocristianesimo e in particolare tre luoghi: le lettere di Paolo, Agostino in Le Confessioni, la mistica, da Bernardo di Chiaravalle a Meister Eckhart fino a Lutero. Da lì ricava genialmente una peculiare eredità, poiché la cristianità primitiva è depositaria di una esperienza di vita autentica.

Primo nucleo tematico individuato dal professor Di Martino: elementi del proto-cristianesimo e la questione del senso dell’essere. In Paolo, Heidegger trova una peculiare concezione della temporalità, la temporalità kairologica. Il tempo che si condensa nell’attimo, vissuto come conversione, come decisione, attimo appropriante, tempo kairologico: questa è la storicità del vivente. Il senso escatologico della parousia condiziona l’esistenza cristiana, che è sotto il segno della seconda venuta del Cristo. Ciò viene tradotto da Heidegger in un vivere al futuro. Questo, ha spiegato Di Martino è il modo di pensare all’esserci, alla totalità concreta dell’uomo, a quel sé fattizio improntato al futuro e non alla semplice presenza. Gli uomini proto-cristiani vivono “in-futurandosi”, e questo conferisce alla loro vita un peso, una autenticità: l’essere protocristiano è sbilanciato oltre se stesso, verso il futuro.

Perché è problematico che l’essere sia semplice presenza? A partire da qui nasce l’antitesi, non da una riflessione metafisica del senso dell’essere ma per una interpretazione della vita in un contesto, in una comunità determinata.

Secondo nucleo tematico: l’effettività dell’esistenza, mai considerata dalla filosofia. Fonte di questo secondo nucleo è il pensiero di Agostino: “Questio mihi factum sum”: l’autocomprensione del mio essere è la questione fondamentale. La “vita deietta” è altresì trascrizione tratta da Agostino insieme al concetto dell’inquietudine: “Inquietum est cor nostrum donec requiescant in te”.

Quanto alla fenomenologia della dispersione De Martino ha osservato che la deiezione è il luogo dove l’essere umano sperimenta la possibilità di ripresa: dispersione e ripresa come dialettica uomo-mondo. Agostino offre ad Heidegger la possibilità di elaborare la descrizione del movimento rovinante, dove “ruinanz” è vocabolo tratto da Lutero: fenomenologia del movimento rovinante e del movimento contro-rovinante.

L’inquietudine, invece, verrà concepita come la kinesis o motilità dell’esistenza quando Heidegger utilizzerà la fisica (e non la metafisica aristotelica), per tradurre le sue intuizioni nel linguaggio filosofico (Heidegger, dopo i corsi friburghesi dal 1923 in poi, reinterpreta Aristotele alla luce dell’esperienza effettiva della vita protocristiana).

Il cristianesimo permette a Heidegger di pensare la storicità concreta nella sua temporalità autentica: questa vita effettiva che sente il peso di se stessa – la vita nella molestia (Agostino, Confessioni) – che si avverte trascinata nella dispersione dalla tentazione.

Heidegger, dunque, radicalizza l’esperienza cristiana tagliandone l’ulteriorità teologico-metafisica. L’essere umano è ripensato: l’esserci si temporalizza in-futurandosi. Non rileva la presenza ma l’avvenire: ecco il rovesciamento. Anche l’Inquietudo, tagliando la seconda parte della frase di Agostino, resta come preoccupazione, il più autentico significato dell’esistenza. Inquietudo ovvero “esserci come cura”.

Concludendo Di Martino si è riferito a questo processo come ad una ontologizzazione dell’eredità cristiana e traduzione nelle sue categorie teologiche e ontologiche con le categorie metafisiche greche.

Questo approccio si ripercuote sull’interpretazione dell’Essere: non più appiattito sull’ente, non ad-veniente per oggettivarsi ma ad-veniente nel suo sottrarsi. L’essere assicura la presenza degli esseri sempre sottraendosi, senza tradursi in presenza. Parusia, venuta che non deve mai oggettivarsi, venuta senza l’atteso, se l’atteso si presentasse l’attesa verrebbe meno. Lo stesso accade per l’inquietudine.

Questa operazione diede luogo ad Essere e Tempo, un’opera che a dispetto di ciò che l’autore voleva è il più grande trattato sull’essere umano e sull’esistenza, non già un trattato sull’essere, o meglio: trattato di stile trascendentale sull’essere umano, il vivente, per cui soltanto la comprensione dell’essere è un problema.

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