Seveso, 28-30 marzo 2025
Si sono riuniti a Seveso, presso il Centro Pastorale Ambrosiano, esponenti di diversi campi del sapere e delle professioni (filosofi, teologi, psicologi, psichiatri, educatori della scuola e del sociale) tra cui i membri del ROR, co-organizzatori del convegno. Sono stati messi a tema la crisi dell’io e il disagio psichico nella società pato-plastica, ovvero che genera patologie, che le causa e le produce. Quali domande e quali suggerimenti operativi suscita questa situazione di diffuso malessere soprattutto tra le fila dei giovani, anche in un’ottica multidisciplinare?
I partecipanti hanno condiviso una prima essenziale considerazione: non è il disagio psicologico, educativo o sociale l’unico tema su cui soffermarsi. Quest’ultimo è spesso percepito come un problema da risolvere o da “curare”, come una diagnosi da formalizzare con urgenza, quando invece, soprattutto se pensato insieme alla crisi dell’io, si pone a noi come il sintomo di una crisi più profonda, che attiene alla stessa dimensione ontologica dell’uomo.
Ciò che sottostà e origina questi problemi, fino a produrre patologie, è il nichilismo contemporaneo. Se, infatti, i valori non sono punti fermi, scompare la stessa identità del soggetto; il difetto di identità ne costituisce il carattere fluido, sostituito da tante maschere (consumatore, paziente, studente…). Del resto, se non c’è più un soggetto e tutto diventa “diritto”, anche nel rifiutare la verità, non si sa neanche più cosa sia il diritto.
Spesso, inoltre, in un contesto così ideologizzato, la crisi dell’io viene ricondotta a pattern di sé, in cui la persona è identificata con il problema che sta presentando: si tratta di modelli “parziali”, che generano un’etichetta, frutto del riferimento non alla storia puntuale dell’io ma alla narrazione che altri ne danno. Così “dalla storia si passa all’idolo” ma, fortunatamente, la storia di ciascuno è sempre più ampia e articolata dell’idolo stesso: pertanto questi approcci sono da rifuggire.
Nietzsche ha avuto ragione sul nichilismo passivo: ne ha parlato come di una malattia. L’accidia spirituale causa la perdita del desiderio e della speranza. Il nichilismo stesso è, in fondo, la perdita del desiderio. È necessario orientare il desiderio verso l’oltre, verso l’alterità, in altre parole verso Dio, per non cadere in un desiderio infinito e autosufficiente. Porre l’ipotesi di un “oltre” è ciò che oggi più che mai rappresenta il compito dell’adulto e dell’educatore.
Il desiderio, poi, è legato non solo alla fragilità umana ma anche alle doti relazionali. Scienza e tecnologia non riescono ad appagare il desiderio di amore infinito che alberga nel cuore di ogni uomo. Sotto questo profilo anche il disconoscimento – se non il rifiuto – del tema della “dipendenza simbolica” nell’ambito della relazione, che nella fede cristiana trova il suo fondamento nella Filiazione, è un effetto del nichilismo contemporaneo. Siffatta negazione, infatti, causa la perdita della dimensione donale nella relazione. Il paradosso del dono, per cui chi si dona non si perde ma guadagna i beni della relazione, origine e destino di ognuno di noi, deve essere oggi rimeditato e messo a tema come fine.
La relazione è ciò che ci resta per ricostruire l’identità dell’io nella società pato-plastica. Occorre, però, prima capire che cos’è la relazione, perché non la percepiamo più compiutamente. Spesso la relazione è concepita come un “riferimento a” ma la relazione è molto più complessa, poiché in se stessa è una realtà sussistente: è ciò che emerge dall’azione reciproca di chi è in relazione. Proprio il concetto di reciprocità apre nuove prospettive di riflessione in un’epoca in cui l’io è fuso nella rete. Ciò che io sono per gli altri, chi sono io, lo decide “chi io sono per te” e “chi sono io per gli altri”.
Il nichilismo annulla la differenza tra normalità e anormalità in un dato contesto e questo è legato oggi a come si delineano e si gestiscono le relazioni nella rete. Se, tuttavia, la patologia è prodotta dalla rete come può l’individuo risolvere i suoi problemi individualmente? Non basta il terapeuta occorre rivolgersi anche agli altri significativi.
Ciò premesso, il dibattito attuale non offre convincenti risposte, perché non percepisce la negazione della verità come un problema. Occorre invece porre al centro della nostra attenzione il disagio psichico, non per etichettarlo ma per trasformarlo in occasione per una ripresa. La crisi dell’io, la mancanza, il malessere, che tante volte vediamo attorno a noi senza risposta, devono, dunque, essere primariamente intesi come espressione di un’ontologia più che di una patologia.