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Ror Studies Series | Storia Religioni Comparazione

Introduzione

Angela Maria Mazzanti

Alma Mater Studiorum Università di Bologna

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La questione della metodologia della storia delle religioni è particolarmente complessa. Se il contenuto “religioni” non definisce immediatamente un’evidenza concettuale e quindi è necessario farne oggetto di riflessioni, sulla storia in sé (come ambito di conoscenza e quindi come disciplina) il dibattito attuale non è meno problematico. L’enunciazione di qualche spunto può essere indicativa. Si consideri come indizio il manifesto di “Historia a debate” che pone questioni di metodologia,1 si prenda atto della contrazione degli insegnamenti di storia in Italia, non estranea alla valutazione già espressa da tempo in America sulla maggiore utilità delle scienze applicate rispetto ad una disciplina incapace di progettare il futuro e accusata di arbitrarietà e di conseguenti connessioni con l’esercizio del potere dominante,2 si pensi alla possibilità di “perdita di memoria” cui si ritiene siano destinate le future generazioni come conseguenza di specifici indirizzi ideologici3 e, per converso, al concomitante confinamento museale della memoria stessa.4 Non sempre le accuse sono condivisibili: di recente gli studi hanno spesso rese note denunce invece che svelare assensi ad egemonie politiche.5 L’irrilevanza inoltre di prospettive emergenti dalla ricerca storica ha una genesi che si manifesta sempre più profonda: l’assenza radicale della speranza6 e l’attenzione esclusiva al presente, propria del mondo contemporaneo, tendono a ridurre la dimensione temporale eliminando in primis il passato.

L’iter inerente alla questione della conoscenza storica è noto. Qualche dato, a grandi linee, può essere ripreso. Rilevati i limiti di una metodologia storica ritenuta oggettiva perché basata su documenti da cui si reputava, tramite l’analisi filologica,7 fossero estraibili tout court i fatti, il prevalere della soggettività interpretativa che interviene tra il fatto e la sua rappresentazione storica o ha lasciato aperto qualsiasi tentativo di pronunciamento o ha reso necessario il ricorso ad uno statuto ritenuto accettabile perché “scientifico”.8

Quale nesso può ipotizzarsi fra storia e scienza?9 È proponibile l’assimilazione della disciplina storica alla normatività della scienza? È possibile spiegare razionalmente la storia?10 Ne consegue il tentativo di quantificare, di “pensare per numeri” e di privilegiare le “strutture” a discapito degli eventi e della verifica della libertà umana?11 La contrapposizione fra Scienze naturali e Scienze dello spirito a cui si è ricorso in funzione dell’affermazione che ne cogliesse sia un nesso, sia, nel contempo, gli elementi diversificanti, non è condivisibile: attesterebbe l’esistenza di una logica applicabile esclusivamente, come scriveva H.I. Marrou, in ambito di scienze sperimentali, sosterrebbe il ricorso alla metafisica dell’intuizione e quindi all’irrazionale nella trattazione storica e, nel contempo, manifesterebbe la mancanza di obiettività delle scienze naturali rendendo reperibili elementi di similarità fra le due tipologie.12

Il tentativo di ricondurre direttamente alla prospettiva dell’unicità della scienza l’interpretazione storica, in riferimento alla teorizzazione di C.G. Hempel, basata sul cowering law di K. Popper,13 non è valido perché esclude la pretesa di conoscenza globale dell’evento e si basa su leggi che risponderebbero ad una successione di causalità in rapporto ad una legge universale, secondo la metodologia propria delle scienze umane e sociali.14

Per converso, possono essere attestati elementi di similarità. Come scriveva Ricoeur,15 riprendendo M. Bloch, la “conoscenza per tracce…non squalifica per nulla la storia come scienza” poiché osservare non implica registrare, dal momento che la memoria non è un archivio,16 ma porre una domanda, come è chiaro a chiunque faccia ricerche scientifiche. Un’intuizione presiede comunque ogni indagine ed è fattore creativo in contrasto ad un’origine che proceda per assunti aprioristici. L’analisi per la comprensione che procede anche per analogie e rilievo di concatenazioni è quindi necessaria anche se non esauriente, come è evidente anche nel campo della fisica, se si leggano le considerazioni che A. Einstein esprimeva nella ”Lettera a Solovine”.17 L’accentuazione d’altra parte sulla soggettività dello storico non comporta la totale mancanza di obiettività. L’esigenza di cogliere un avvenimento che costituisca il punto di riferimento e di continuità in un contesto, la comprensione di cause concomitanti, il rapporto con un altro presente che non può se non essere immaginato, la simpatia per l’umano di cui si prende consapevolezza, non sono, secondo Ricoeur,18 dati che vanifichino la relazione della storia con metodologie di altre discipline ritenute incontestabili. Si deve inoltre riconoscere la presenza nello studioso di una dimensione di ‘oggettività storica’ a partire da sé, da una ἐποχή a cui è educato dalla stessa ricerca e che ne verifica gli esiti.19 Riscontri e accertamenti sono d’altra parte attestati dalla presenza di una comunità di studiosi che interviene in questo campo, come in ogni settore di ricerca, e comportano un’indagine continua. Interessante è, per converso, considerare che ogni disciplina ha una storia, deriva da una tradizione e con questa si confronta.20 La mediazione del phainomenon, di ciò che si manifesta e che deve essere salvato e non del fatto oggettivo, è necessaria anche nella conoscenza fisico-matematica che prende avvio dall’interazione fra un soggetto che osserva e l’oggetto osservato.21 La continua revisione è implicita nelle discipline: per quanto riguarda la storia si deve tenere conto che nella memoria storica è sotteso un lavoro continuo, un dinamismo dal momento che l’identità è costantemente ricreata.22

A questo punto è opportuno considerare anche il dibattito attuale che si svolge in particolare in ambito anglo-americano e che ha rimosso l’esigenza della definizione categoriale della storia e ha incentrato lo studio “sulla prassi sociale di produzione dei significati storici” e dell’intreccio mutevole di varie componenti disciplinari (metafisiche, logiche, tropologiche, psicologiche, politiche, ideologiche, mediatiche) che pure fanno storia in modo difforme.23 Di qui anche il particolare valore dato alla linguistica, evidente nei concetti di “linguistic turn”, “narrative turn”.24 L’annientamento della verità soggettiva ed oggettiva in una chiave di lettura decostruzionista che si incentra sull’”intersoggettività”, comporta il rischio dell’annullamento della tradizione e dell’eliminazione della storia con la relativa riduzione di tutti i processi a cicli biologici.25 L’assenza identitaria dell’io implica esiti chiaramente identificabili. “Se l’io «si scioglie in un magma indistinto, diviene impossibile trovare nella sua esistenza un significato, una direzione, una continuità, ossia narrarne la storia»”.26

Quale valenza attribuire quindi all’avvenimento?27 A questo riguardo si noti anche come la storia globale tenda a non considerare il concetto di avvenimento se questo è concepito come “atomo” storico che assume senso nel rapporto con altri.28

Esaminando, in modo particolare, la disciplina “storia delle religioni” è opportuno chiedersi se la storia costituisca il/un metodo di ricerca dell’oggetto identificato da “le religioni”. Non si tratta, di giustificarne la legittimità, come è stato necessario perché la disciplina stessa acquisisse credito,29 ma di capire ora se la metodologia di indagine “storica”, pur recepiti elementi di problematicità, abbia valore conoscitivo, risponda ad un processo di ricerca che lo studioso (pressoché esautorato dalla pluralità di interpretazioni metodologicamente differenziate) non può comunque rinunciare a percorrere.

È possibile cogliere il “fatto”, in questo caso, religioso, o meglio i fatti inseriti nelle loro particolari coordinate spazio-temporali contemporanee e antecedenti? L’oggetto della storia è individuabile in fatti, idee, credenze, concezioni, modi di comportamento30 che, a partire dalla valenza riscontrata e sperimentata nella propria cultura di base, lo storico delle religioni, senza cadere in superficiali e aprioristiche prese di posizione, verifichi nel processo temporale specifico e possa comparare?31La storia è identificata, scriveva U. Bianchi, con la ricerca e la descrizione di un fatto non certo estrapolato singolarmente ma accaduto in rapporto ad altri, il cui approfondimento può configurare nessi significativi, congruenze.32

La questione è fondamentale perché nel contesto attuale è ribadita, secondo varie considerazioni, la concezione dell’inesistenza del dato religioso. Relativizzato perché considerato in ambito storico come un prodotto culturale nato in un contesto specifico, nel rapporto cioè fra cristianesimo e mondo romano,33 o annoverato fra le diverse componenti della cultura per condizionamenti propri della formazione occidentalistica ed esigenze di approccio conoscitivo similare ad altri elementi34 o, per converso, assolutizzato secondo una fisionomia priva di riscontri verificabili oggettivamente35 o reputato conseguenza di processi mentali, il fatto religioso si ritiene non abbia un’autonomia storicamente individuabile. La letteratura manualistica anglofona dominante, come sottolinea G. Filoramo citando Schilbrack,36 sembra rievocare “la disputa medievale sugli universali fra nominalisti e realisti”, concependo come “realisti” coloro che comunque attribuiscono al religioso un’identità definita da istituzioni, insieme di credenze, pratiche.37 Anche N. Mapelli si era soffermato su tali contrasti e aveva definito gli interlocutori del dibattito contemporaneo come “essenzialisti” e “antiessenzialisti” o ”antiriduzionsti” e “riduzionisti” citando concezioni di studiosi che hanno incrementato la discussione, optando decisamente sulla seconda ipotesi e rimarcando quindi la natura di categoria ideologica della religione.38

Certo, non è possibile non riconoscere il ruolo rilevante del soggetto nella domanda posta alla base della ricerca e, ovviamente, nell’interpretazione del fatto riscontrato. Si tratta infatti di cogliere l”’avvenimento”, cioè il fatto connotato del senso o, secondo la definizione di avvenimento di Ricoeur, comprendere “di che cosa si parla quando si dice che qualcosa è accaduto”.39 Il tentativo di afferrare i significati non è compito esclusivo dell’ermeneuta. Lo storico delle religioni non può fermarsi alla descrizione e, al limite, demandare ad altre discipline il compito della spiegazione: la sua comprensione si avvale di analisi di processi storici, che precedono quella krisis che potrà essere, in seguito, deferita anche a deduzioni teoretiche.40 E la domanda sulla “verità” non potrà comportare delle classificazioni, ma non potrà neppure dirsi estranea, avulsa dalla stessa trattazione.41 Tale cognizione coincide inevitabilmente con la caduta nell’arbitrarietà e quindi con la vanificazione già della stessa constatazione del dato? Le attestazioni delle “fonti”, verificate secondo criteri filologici e colte nei rispettivi contesti, rappresentano il manifestarsi di un’alterità documentata, che può essere approfondita o ridotta screditando irrazionalmente testimonianze e accertamenti espressi nelle stesse testimonianze ma a rischio di rinunciare consapevolmente a conoscere e a trasmettere cognizioni.

I contributi presenti nel volume affrontano approfondendole alcune questioni enunciate, offrendo spunti per una riflessione che concorra a chiarimenti su metodi di studio specifico in cui la teoria sia connessa con modalità attuate e con acquisizioni che incrementino la ricerca: ne emergono prospettive.

La Cognitive Science of Religion, che G. Sfameni Gasparro42 esamina con particolare acribia in questo volume a partire dalle tesi di Boyer, pone in evidenza i fondamenti biologico-naturalistici che sovrintendono al religioso. L’intento su cui verte la ricerca è teorico: si tratta di cogliere i processi di rappresentazione e trasmissione di nozioni e pratiche determinati da quell’unità cognitiva dell’uomo concernente il religioso che le scienze neurologiche hanno individuato. La pluralità di “rappresentazioni culturali” su esseri al di fuori dell’umano e su processi che non si possono riscontrare, secondo la definizione attribuita alla religione, cui questa unità dà adito, sono sintetizzati in repertori di concezioni. G. Sfameni Gasparro notando che queste idee non hanno valenza esclusivamente religiosa, ma possono essere usate anche in altri ambiti, pone particolare interesse sulle modalità di trasmissione di tali nozioni che si avvalgono di intuizioni e di contro-intuizioni. Nel considerare l’assenso con cui la teoria è stata accolta ed è stata fatta oggetto di approfondimenti, è opportuno anche osservare come la centratura su un elemento organico identificato con la mente e non sull’individuo nella sua totalità, comporti dei limiti nella stessa cognizione del religioso. Nel contributo, oltre alla ripresa di talune valutazioni, si intravede anche l’ipotesi promossa da alcuni studiosi di una possibile integrazione di metodi in relazione soprattutto all’esigenza, considerata talora imprescindibile, di non tralasciare la ricerca storica, riproponendo quindi la valenza di un soggetto (di cui è tenuta presente la materialità) in relazione alla realtà esistente. Il rischio di un’assolutizzazione, da parte degli studi cognitivi, è enunciato anche da N. Spineto.43 G. Sfameni Gasparro, in sintesi, pur non negando possibilità di confronti e di apporti, afferma la chiara identità del metodo storico-comparativo in grado di supportare autonomamente lo studio delle religioni.

Le questioni emergenti sono comunque molteplici: il ‘religioso’ è funzionale, o meglio, è il frutto di un interesse di parte, dissimulato da valori, che è necessario smascherare?

W.S Goldstein, R. King e J. Boyarin, per fare riferimento ad alcuni studiosi particolarmente impegnati in questi studi (si consideri la rivista «Critical Research on religion»), dibattono con McCutcheon, Fitzgerald e Martin44 su tesi avvallate in modo concorde per alcuni aspetti: la religione occulta l’utilità sottesa da valori ultimamente soggettivi, sui quali si è costruito un consenso più ampio. L’indagine non può fermarsi alla descrizione dei fatti («facts do not speak for themselves»45), ma deve studiare i singoli contesti, localizzarli dal punto di vista sociale, con lo scopo, in questa ottica, di sottoporre quindi a decostruzione la religione stessa. Secondo W.S Goldstein, R. King, J. Boyarin, che non approvano una finalità esclusivamente distruttiva, questo può essere un passaggio per l’approfondimento di una teoria critica della religione su cui si incentra la questione che deve trovare apporti ulteriori. Indicativo è il permanere comunque, nel dibattito, dell’attribuzione in primis del compito di allontanare lo “spettro” della teologia, secondo finalità ben note.46

N. Spineto47 sottolinea la rilevanza di questi indirizzi nati in rapporto alle teorie di M. Foucalt e J. Derrida e sviluppati secondo un’ottica semplificata. Categorie tradizionali, in particolare inerenti al religioso, sono state lette in relazione all’oppressione esercitata dall’Occidente sia all’esterno verso i paesi colonizzati sia all’interno verso i gruppi socialmente più deboli per varie motivazioni. Di qui il tentativo di smascheramento e l’ipotesi conseguente perfino della soppressione degli stessi lemmi connotati negativamente. È documentabile questa interpretazione? La cultura occidentale deve considerarsi macchiata da una colpa che la identifica,48 legata alla stessa inventio del termine, la cui semantica è articolata e connessa a contesti differenziati?49 Non è possibile attuare differenziazioni, procedere per cognizioni che sappiano operare una krisis e rapportarsi senza rinnegare il tutto e senza tacitarne gli aspetti rilevanti?50 Il tentativo di annullamento dell’identità rende più idonei alla conoscenza del diverso? Una nozione proveniente da una civiltà rende possibile, in un processo non di applicazione ma di sollecitazione all’indagine, la lettura più adeguata di altri dati religiosi appartenenti ad aree geografiche diverse. Attraverso approfondimenti storici, senza avere la finalità di costruire un orizzonte universalistico, si rivelano elementi significativi che manifestano cognizioni rapportabili?51

Eppure, opportunità che gli studi decostruttivi possano offrire alla stessa ricerca storico-religiosa e, in particolare, all’esito, alla formulazione di tipologie, sono colte da G. Chiapparini, nel contributo presente in questo volume.52 L’enunciazione non è astratta, ma comprovata dall’affondo su un tema specifico. Cruciale è la concezione del “dinamismo tipologico” su cui proficuamente si inseriscono i tentativi di revisione. All’esigenza di verifica continua delle interpretazioni storiche a cui lo studioso non può sottrarsi, pena la vanificazione degli esiti della propria ricerca, si connette in modo prioritario il riferimento documentato alle fonti storiche e quindi l’uso della filologia nella prospettiva di una critica che comporti una rielaborazione avvalorata dalla comparazione. Il rilevamento ad ampio raggio di elementi similari e differenzianti permette infatti una comprensione articolata in cui non prevalga l’uniformità a scapito delle singolarità, l’elaborazione di leggi o di sviluppi ripetitivi secondo un processo evolutivo. La disamina, particolarmente accurata, della tipologia gnostica, comprova la positività dell’applicazione del metodo storico religioso che tenga conto degli apporti, senza pregiudiziali esclusioni.

Invalidare esiti raggiunti richiede quindi riscontri puntuali, verifiche circonstanziate. Tesi aprioristiche sono in grado di vanificare tout court vari apporti e, in particolare, di rimuovere approcci metodologici?

Ulteriori considerazioni sono riscontrabili. La questione, dibattuta di frequente o, per meglio dire, ineludibile, sull’esigenza che lo studioso non abbia un punto di vista “emico” ma “neutrale” e, quindi, “scientifico”, per mancanza di coinvolgimento esistenziale con un credo religioso, certo correlato con le motivazioni delle origini della disciplina che aveva come prospettiva il differenziarsi dall’insegnamento della teologia, svolto in Facoltà confessionali,53 pone l’esigenza di esaminare ulteriori elementi. I settori di ricerca storico e teologico sono infatti ora chiaramente distinti (è infine la ”teologia delle religioni” a essere considerata in fase di definizione54): non si tratta quindi di delineare contenuti e metodologie specifiche che ne contraddistinguano le peculiarità. Non essendo la finalità delle indagini solo descrittiva, talora l’opzione religiosa è considerata fondamentale ma, nel contempo, discriminante. Si consideri, per fare un esempio, la distinzione sugli indirizzi di ricerca storico-religiosa nati in Italia dalla scuola di Raffaele Pettazzoni identificati dalla laicità o dal cattolicesimo degli studiosi che li rappresentano.55 L’accentuazione sull’importanza di non definire il contenuto della ricerca, o meglio, di non delimitare la “religione” sin dall’origine dell’indagine, propugnata da U. Bianchi,56 non è determinata forse dalla necessità che lo studioso operi un incontro, volga l’attenzione anche all’altro e non funzionalizzi gli esiti secondo un orizzonte ermeneutico chiuso, già stabilito dal soggetto stesso e quindi in qualche modo ideologicamente circoscritto? L’interpretazione inoltre non deve tenere conto della comunicazione che il dato contiene e che implica la disponibilità a cogliere il significato espresso più o meno esplicitamente? La constatazione di un’eccedenza è una costante nella ricerca e pone la questione dell’impossibilità di racchiudere la conoscenza entro limiti posti dall’io. La categoria della possibilità non deve essere applicata anche di fronte ad un’alterità che (espressa attraverso credenze, operatività) appare come non condivisibile? A meno che si neghi l’esistenza di una diversità constatabile dallo stesso soggetto. M.V. Cerutti a lungo si sofferma sulla nozione di analogia che U. Bianchi ha chiarito e ridiscusso più volte, perché non sia ingessata una configurazione e quindi pressoché inutile la ricerca.57 L’annotazione sull’etica evocata da G. Chiapparini58 non è forse inevitabile condizione per l’approccio e non solo a questa disciplina?

Inoltre, il prevalere dell’attenzione sulla contemporaneità tende ad annullare l’interesse nei confronti delle diverse tradizioni religiose.59 Consapevoli che il prima non è necessariamente la causa del dopo, l’attenzione agli “inizi” è, di conseguenza, priva di senso? Le origini, pur non essendo lo scopo ossessivo delle indagini, secondo l’espressione impiegata da Bloch,60 non costituiscono comunque un punto di riferimento?61 È utile forse riproporre la nota espressione di R. Pettazzoni che ogni phainomenon è un genomenon, nel tentativo di rimarcare che gli eventi storici sono segnati dal processo cui sono sottoposti e non consistono solo in un tempo momentaneo, anche se peculiare.62 La comprensione ne è condizionata. Il limitato interesse per gli studi storico-religiosi rivolti al mondo antico è una conseguenza attualmente constatabile.

Sulla comparazione il contributo di M.V. Cerutti63 presenta i lineamenti fondamentali: la studiosa si sofferma sulle modalità in cui ricerche idiografiche confluiscono nella comparazione che riguarda necessariamente non solo dati storici inseriti in contesti specifici ma processi storici, concomitanti e non, in funzione della comprensione di discontinuità e continuità. La tipologia storica, esito della verifica di “analogie”, apre possibilità di comprensione significative. La disciplina non è orientata in primis ad una funzionalità specifica, ma, in un tempo in cui l’esigenza del “dialogo interreligioso” è chiaramente presente, l’opportunità, se non la prospettiva, di una conoscenza specifica,64 è evidente.

Dare continuità ad una linea di studi seguita in modo preferenziale da U. Bianchi, in funzione della dimostrazione della fertilità del metodo è l’ottica che muove E. Sanzi nel formulare il suo contributo.65 É auspicata l’opportunità di realizzare una serie di ricerche sulla soteriologia del cristianesimo in rapporto allo specifico contesto storico in cui il cristianesimo si affermò per completare le numerose ricerche del docente, la cui opera può essere letta alla luce di questo fil rouge che ne costituì il punto di riferimento degli studi e dell’esistenza. E. Sanzi si sofferma sulla fondamentale importanza della definizione di Storia delle religioni come ambito di indagine più volte messa in discussione nei convegni della IAHR in favore della designazione di Scienze delle religioni, osteggiata da U. Bianchi per evidenti motivi.

Ed è questo un argomento ulteriore che implica varie questioni. L’importanza del religioso è certificato dalla pluralità di discipline che ne trattano contenuti differenziati. L’opportunità di uno studio articolato e su più metodi non è oggetto di dubbi. E la storia? Potrebbe essere il luogo della confluenza di vari procedimenti di indagine o meglio, non è, comunque, per sua stessa esigenza un punto di riferimento in cui la conoscenza del contesto e dei processi richiede il reperimento di elementi provenienti da ricerche specifiche in ambito sociologico, antropologico, psicologico?

La lucida e puntuale disamina di N. Spineto, che nella conclusione tematizza l’importanza del concetto, l’esistenza di rapporti nella stessa nozione, l’uso consueto della comparazione per conoscere, l’esigenza di trovare un ordine e un senso, pone la possibilità che la ricerca storica sia punto di riferimento anche se ne considera in qualche modo la debolezza del metodo.

Le divergenze su questa prospettiva sono notevoli e hanno antecedenti connessi con concezioni riproposte nel tempo. Non stupiscono le tensioni che hanno sempre accompagnato la formulazione dei metodi di ricerca della Storia delle religioni sin dalle origini e sono state sempre più accentuate per l’ampliamento dei rapporti con studiosi di ambiti religiosi diversi e di discipline la cui centralità del contenuto è analizzata tramite ottiche di indagine con presupposti specifici. Un’interessante disamina delle questioni, alla luce dei vari convegni dell’International Association of History of Religions, è riproposto in Numen The Academic Study of religions, and the IAHR, Past Present and Prospect, Edited by T. Jensen and A.W. Geertz66 in cui si colgono i dati concettuali che hanno guidato la nascita e lo sviluppo di relazioni sempre più ampie e hanno dato luogo a dibattiti. Le questioni legate al nome dell’Associazione sono indicative. I termini “religioni” o “religione” segnano il riferimento alla storia o alla fenomenologia, scienze e studi sono lemmi indicativi della presenza di una molteplicità di materie inerenti al religioso la cui inclusione comporterebbe il tentativo di una configurazione unificante. Ed è questa pluralità che si vorrebbe tutelare in un insieme che difficilmente assume una prospettiva onnicomprensiva. G. Filoramo67 considera problematico il campo dei Religious Studies difficilmente individuabili come una disciplina o un’area disciplinare che si possa sottoporre al vaglio della scientificità, avendo sentore inoltre che si possano ravvisare finalità non esclusivamente legate alla ricerca. Ne ripropone quindi le divergenti prospettive sintetizzate da Donald Wiebe in studi specifici68 e pone la questione della metodologia. A fronte di questa “impresa” globale, secondo G. Filoramo, la storia comparata non può competere, anzi è considerata un impedimento.69 Può invece in modo significativo essere riproposta la categoria di Scienze della religione, che, considerando l’esistenza della religione in re e non come esito esclusivo della costruzione mentale, identifica un “campo conoscitivo di tipo cumulativo” che, tramite un’impostazione riflessiva, possa porre in comunicazione le varie discipline.70 Lo studio inerente al passato secondo G. Filoramo,71 è recuperato perlopiù dal punto di vista dei sondaggi sulla realtà materiale. È l’opzione più adeguata?

Più volte nei contributi è stata ribadita l’importanza della storia e della possibilità che altre discipline che si avvalgono di metodi specifici, possano essere coinvolte in una lettura in cui il religioso sia colto nei vari aspetti nei quali la cultura di un determinato contesto si esprime. La comparazione non è di ostacolo ad un’indagine a largo spettro. L’imporsi, nel processo di globalizzazione, di istanze diverse da quelle che hanno caratterizzato il mondo occidentale (si pensi ai tentativi di ridimensionamento dell’EASR che non ne deprime la valenza), o la sollecitazione a studi che si collochino anche su una linea orizzontale possono arricchire se non si incentrano su particolari o siano, già nell’ipotesi originaria, riduttivi.

Seguendo la metodologia di Giorgio Buccellati, nell’ambito quindi di discipline archeologiche connesse a tematiche storico-religiose, J. Lynch72 se solleva un dibattito riferendo la definizione di religione come “la codificazione dell’interazione con un assoluto che rimane ignoto empiricamente, ma è comunque empiricamente presupposto”,73 attesta nel contempo la fertilità della comparazione non solo teoricamente ma tramite un’esemplificazione. La divinazione in contesto mesopotamico e il profetismo nel mondo ebraico sono paragonati nel tentativo di cogliere elementi di connessione e di differenziazione. Lo studioso nel contributo considera che il confronto non possa avere come riferimenti solo parole ma richieda approfondimenti su concetti e intere strutture di pensiero delle diverse culture, prospettando inoltre ricerche per potere applicare la network analysis alla rete di connessioni tra nodi di dati, in modo da raggiungere esiti constatabili in qualche modo più oggettivamente.

E l’importanza della comparazione nella storia è il fulcro del contributo di G. Maspero74 che ha una genesi epistemologica differenziata rispetto a quella storico-religiosa inerente alla disciplina oggetto di riflessioni. Significativa è la convalida, alla luce di esemplificazioni provenienti da studi connessi all’antropologia e alla filologia, e segnatamente da analisi di R. Girard e di E. Auerbach, dell’acquisizione di conoscenze generate da un confronto fra Scrittura e religioni non cristiane. La lettura dei Padri poi, nei quali è verificabile, secondo rilevazioni assodate dai saggi di C. Gnilka il metodo della chrêsis,75 è indicativa di contenuti in cui similarità e diversità rispetto a testi di autori pagani, riscontrabili in approcci comparativi, comportino quella distinzione fra dimensione semantica e dimensione sintattica su cui si sofferma lo studioso, formalizzandone la teorizzazione. Non si tratta di proporre, a questo punto, interpretazioni teologiche nel contesto della ricerca storica che teme in tale apporto la perdita della propria oggettività, ma di rendere evidente come l’estensione sintattica permetta non solo la lettura verticale, ma anche quella orizzontale, relativa ai diversi contesti insita nell’ermeneutica stessa. Il tempo in questo modo viene, di conseguenza, valorizzato nelle sue dimensioni.

Considerando la patristica come un contesto in cui la storia delle religioni, secondo vari indirizzi, è rilevante, particolare interesse assume il contributo di J. Leal76 che ha formulato alcune linee basilari sull’elaborazione delle fonti patristiche che nell’attuale contesto sembra abbiano perso importanza e non essere più significative.77 Il metodo storico-critico è fondamentale ma, perché non comporti la delineazione di un insieme di elementi frammentari, occorre che intervenga l’interpretazione che riconosca in primis la presenza del soprannaturale. Lo studioso, secondo le indicazioni che guidano sempre ogni ricerca, nel cogliere i significati espressi dalla fonte non può fondarsi su precomprensioni, deve conoscere in modo approfondito l’autore, il suo linguaggio inserito nel contesto storico, l’uso dei termini in relazione fra loro, rintracciando parallelismi e derivazioni, simpatizzando, scrive J. Leal, con la sua proposta.


1 Il manifesto di “Historia a debate”, redatto nel 2001 e tradotto da Daniela Romagnoli, è rappresentativo rispetto alla problematica in atto. Si delinea una critica alla storiografia del XX secolo e si prospetta, alla luce dell’esistenza dei due soggetti che influiscono sulla conoscenza, gli agenti storici e gli storici, la storia come scienza sociale e come parte dell’ambito umanistico in funzione della confluenza delle due culture, umanistica e scientifica: si auspica lo scambio di metodi non solo con le scienze sociali, la letteratura e la filosofia dal punto di vista umanistico, ma anche con le scienze della natura e quelle connesse con le nuove tecnologie. Lo storico è chiamato a svolgere non solo un’attività intellettuale, ma anche un lavoro empirico in vista del superamento dello scollamento fra una prassi (secondo un orizzonte positivistico) senza teoria e una teoria speculativa priva di prassi. Si intende alimentare l’impegno dello studioso in ambito sociale e politico. La prospettiva è volta al futuro, all’interazione fra passato e futuro. La storiografia del XXI secolo, si afferma che abbia esigenza dell’illusione e della realtà di ottiche nuove per non arrestarsi in modo definitivo.

Si rammentino le considerazioni di M. Bloch in Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino 2009 (redazione uscita in Francia nel 1993), 8, sulla concomitanza fra il dubbio che una società ha su se stessa e la questione delle ragioni della ricerca sul proprio passato: la valenza della storia e della lettura della storia sono oggetto di problema.

2 Si veda il saggio di Chiara Ottaviano, La “crisi della storia” e la Public History, «RiMe» n. 1/1 n.s. dic. 2017 special issue, G. Sini (a cura di), Scienze umane, dalla produzione di nuova conoscenza alla disseminazione e ritorno, 41-56.

3 Ilaria Morali in «Studi e Materiali di Storia delle religioni» 84/1 (2018) 370-389, prefigura la difficoltà cui andranno incontro le nuove generazioni prive di ancoraggio sulla tradizione e rimanda ad un manifesto firmato da storici in cui era posto l’accento sulla mancanza attuale di cognizione dell’identità e sul privilegio assunto dal “presentismo” e dalle discipline “senza tempo”. Questi dati assumono particolare rilievo in ambito di studi storico-religiosi.

4 A. Tarpino scrive in Crisi della società del ricordo, SISSCO.it (Società italiana per lo studio della storia contemporanea, Convegni e Incontri 2001), “Eppure mi sembra che nei tempi più recenti a questa polarità in dialogo memoria-oblio sia subentrata, nelle distorsioni sempre più accelerate della temporalità, un più radicale ossimoro tra una memoria quella tardomoderna avvertita come “debole” intermittente, svuotata dei suoi contenuti identitari, disegnata piuttosto sulle superfici effimere di una comunicazione elusiva e per definizione mutante, e, al contempo, una memoria espansa alla sua massima potenza, pervasiva e debordante “una virtù ipertrofica” (l’espressione già ricordata all’inizio é dello storico Charles Mayer) oppressa da una tendenza cannibalica a musealizzare, a perpetuare una pratica commemorativa narcisisticamente compiaciuta e autoindulgente: una tendenza, insomma morbosa e inautentica alla canonizzazione liturgica della memoria”.

5 A. Prosperi nella recente pubblicazione Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Torino 2021, 113-114, nota che la consapevolezza della verità abbia smascherato gli inganni del potere esercitato dallo Stato.

6 In ibidem, è significativo questo passo:”La domanda che il giovane più di tutti rivolge alla storia nasce dalla speranza: lo sguardo ansioso che cerca di penetrare nelle nebbie del domani e di riconoscere il suo posto nella vita è quello di chi si volta indietro per capire da dove viene. Se la speranza muore, al posto della storia si cerca l’illusione, l’evasione o peggio, ci si affida agli inganni di ideologie… Solo la certezza di venire da lontano può spingere a guardare davanti a sé”.

7 La complessità del lavoro del filologo è oggetto di considerazioni in C. Neri Il metodo della filologia (ovvero, le regole del gioco), in Un metodo per il dialogo fra le culture. La chrêsis patristica, A.M. Mazzanti (a cura di), Brescia 2019, 33-42.

8 H.I. Marrou, in La conoscenza storica, tr. it., Bologna 1997, 226-227 si soffermava sulla problematicità inerente al tentativo di porre la storia sullo stesso piano delle scienze naturali identificando la verità con l’obiettività o l’affermazione dello scetticismo.

9 La questione ha prodromi non trascurabili, basti citare, a titolo esemplificativo, il saggio di Villari pubblicato alla fine del XIX secolo La storia è una scienza?, e ristampato nel 1999 a Soveria Mannelli a cura di M. Martirano. Il riferimento alla scuola delle “Annales” è immediato.

10 O. Capitani in Ragione e Storia, in Atti del Colloquio Interdiscipliare di Trieste, Trieste 1983, 19-38, sul tema ragione e storia, considerando anche il rapporto fra ricerca storica e ricerca scientifica, scrive: “il cercare attraverso la razionalità della conoscenza storica la razionalità della storia si risolve… nella presa di coscienza della non componibilità globale del processo storico stesso. D’altra parte… questa ‘disarmonia’ appare come la condizione stessa di ogni possibile conoscenza storica: la razionalità della spiegazione del senso della storia in quanto assolutamente non coincidente necessariamente con la razionalità del senso della storia sembra essere l’unico modo per fondare con qualche probabilità la storicità stessa dell’uomo e l’attribuzione alla sua responsabilità del mondo della storia” (21-22).

11 M. Borghesi in Il soggetto assente. Educazione a scuola tra memoria e nichilismo, Castel Bolognese 2005, 53-54 esemplifica considerando come la “storia globale” sostituisca il riferimento ai fatti con “l’interdipendenza dei fattori, la struttura, la rete invisibile che spiega la totalità e il cui studio richiede l’apporto dell’etnologia, dell’antropologia, della sociologia, della psicologia”.

12 H.I. Marrou La conoscenza, 227-229. Si tenga presente anche il Discorso tenuto nell’Incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg il 12 settembre 2006 in cui Benedetto XVI accenna alla questione del “canone scientifico” posto come criterio valido per ogni tipo di disciplina: “Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità”.

13 The Function of General Laws in History, «Journal of Philosophy» 39 (1942) 35-48.

14 F. Foschi in Camminare nella storia. Lezioni di metodo storico, Soveria Mannelli 2006, 57-61, riporta la tesi risalente a Popper sulla possibilità che le enunciazioni storiche possono avere valenza scientifica.

15 Storia e verità, tr. it. Lungro di Cosenza 1991 (1° éd. 1955), 9-10.

16 Ne parla S. Caianello in Accorciare le distanze tra la storia e le scienze della vita, «Logos» 7 (2012) 209-218, nella presentazione del volume di A. Musi, Cervello Memoria Storia, affermando che le teorie neurobiologiche contemporanee della natura sono in linea con le conoscenze emerse fra fine Ottocento e inizi Novecento che dimostrarono come la memoria proceda in modo ricorsivo, riscoprendo e ricreando.

17 A. Einstein, Opere scelte, tr.it. a cura di E. Bellone, Torino 1988, 740-741 : “Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo (Wunder) e un eterno mistero (ewiges Geheimnis)”.

18 Storia e verità, 12-20.

19 Ibidem, 20.

20 Si vedano gli Atti del convegno “Scienze e Storia nell’Italia del Novecento” pubblicati in «Rivista di Storia della filosofia» 1 (2007) da D. Moretta e S. Salvia che attestano l’importanza della storia in vari ambiti scientifici.

21 L. Russo in Pensiero critico e cultura scientifica,. (https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=L.+Russo+Pensiero+critico+e+cultura+scientifica ) scrive: “Il fenomeno antico era il risultato di un’interazione tra l’uomo che osserva e gli oggetti osservati. Questo aspetto di interazione verrà recuperato molto tardi (fine Ottocento, inizi Novecento), mentre nella prima età moderna si pensa che in qualche modo l’uomo possa rendersi conto direttamente dei fatti oggettivi, dimenticando la sua azione di filtro”.

22 Si sofferma su queste nozioni S. Caianello in Accorciare le distanze.

23 Ne parla diffusamente D. Bondì in Filosofia e storiografia nel dibattito anglo-americano sulla linguistica, Firenze 2013. Le espressioni citate sono reperibili a p. 14.

24 Si veda N. Spineto, Religioni. Studi storico-comparativi in 1256-1311, in Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento, A. Melloni (a cura di), Bologna 2010, vol. II, in partic. 1303.

25 H. Arendt in Tra passato e futuro, tr.it., Firenze 1970, 9 afferma: “Senza testamento, o, fuori di metafora, senza la tradizione (che opera una scelta e assegna un nome, tramanda e conserva, indica dove siano i tesori e quale ne sia il valore), il tempo manca di una continuità tramandata con un esplicito atto di volontà, e, quindi, in termini umani, non c’è più né passato né futuro, ma soltanto la sempiterna evoluzione del mondo e il ciclo biologico delle creature viventi”.

26 M. Borghesi in Il soggetto, 52 cita l’articolo di A. Magris, Novecento: Lo scrittore nel videogame, «Corriere della sera», 12 gennaio 1998.

27 Si consideri la distinzione fra fatto, evento e avvenimento: F. Foschi in Camminare, 69-87 ne sintetizza le accezioni definendo le “tipologie”.

28 M. Borghesi in Il soggetto, 53-54 segnalando affermazioni tratte da T. Stoianovich, scrive che il tentativo di non considerare l’avvenimento come un atomo che assume senso nel rapporto con altri cui è legato cronologicamente, determina il passaggio dall’esame dei fatti a quello dei fattori. Conseguente è l’attenzione alla struttura e quindi l’esigenza di convogliare gli apporti di discipline come l’etnologia, l’antropologia, la sociologia, la psicologia.

29 Si sofferma sui contrasti emersi all’origine della disciplina U. Bianchi in A proposito di G..Gentile e i modernisti. Considerazioni epistemologiche e in Après Marbourg (Petit discours sur la méthode), in U. Bianchi, Saggi di metodologia della Storia delle religioni, Roma 1991, 315-327 e 231-246, in partic. 231

30 U. Bianchi, La religione nella storia delle religioni in Saggi di metodologia, 15

31 U. Bianchi, La religione nella storia, 27. Scrive M.V. Cerutti in Storia delle religioni. Oggetto e metodo, temi e problemi, Milano 2014, 140, che la storia delle religioni “non studierà la religione ma – in quanto disciplina storica – le religioni o singoli fatti religiosi come fenomeni della storia, ovvero avvenimenti, personaggi, pratiche, credenze, espressesi nella storia e indagabili con i mezzi della storiografia”.

32 Après Marbourg. Petit discours sur la méthode) in Saggi di metodologia, 234: “Il nous semble avant tout que l’histoire est la recherche et la description d’un fait, qui s’est déroulé dans un temps et dans un lieu donnés, en rapport objectif avec d’autre faits: c’est l’acception hérodotéenne d’histoire, “recherche”. Il nous semble aussi que cette recherche doit aboutir à établir une série suffisamment ample de faits, dans le sens synchronique et diacronique, horizontal et vertical, de l’extension géografique et de la profondeur temporelle: une série qui ait une cohérence et qui s’exprime dans un peuple, dans une civilisation, dans un groupe mineur”.

33 Si veda su questa nozione, attestata da vari studiosi, l’esposizione sintetica di N. Mapelli in Storia delle religioni Una prima introduzione alla disciplina, Roma 2009, 22-30.

34 La concezione è alla base di linee di ricerche. D. Sabbatucci in Sommario di Storia delle religioni, Roma 1987, 3, distinguendo, all’inizio della trattazione, due indirizzi storico-religiosi uno storico e l’altro fenomenologico scriveva, accentuandone la finalità: “La religione può essere oggetto di ricerca filosofica, teologica, psicologica, etc. Ma quando è oggetto di ricerca storica essa deve essere riguardata soltanto come componente culturale, o, più precisamente, in funzione di una cultura”.

35 Si consideri la nozione di religiӧse Anlage di Schleiermacher, all’origine dello svolgimento dell’indirizzo fenomenologico che assunse un’importanza significativa, pur con accentuazioni successivamente differenti per il riferimento alla presenza di “un oggetto reale o presunto” che precede il sentimento, come rilevava R. Otto in Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, a cura di E. Buonaiuti, Milano 1994 (5 ed.), 20-22. Fare menzione, nell’elaborazione di questo metodo, dell’importanza degli studi di M. Eliade, di J. Ries è necessario, anche se ovvio.

36 G. Filoramo, Introduzione allo studio scientifico della religione in G. Filoramo, M.C. Giorda, N. Spineto, Manuale di Scienze della religione, Brescia 2019, 11-30, in partic. 15.

37 J.S. Jensen, nel volume Che cosa è la religione?, tr. it., Roma 2018, 100, elenca e successivamente analizza in modo specifico, nei vari capitoli, i fenomeni dai quali afferma che le religioni siano costituite e tramite i quali possano essere classificati: credenze, rappresentazioni e narrative, pratiche e modalità del comportamento religioso, istituzioni religiose.

38 Storia delle religioni, 9-22. L’Autore analizzando questi studiosi scrive che le loro trattazioni sono esemplificative di un complesso dibattito che comporta dissonanze e valutazioni differenziate.

39 F. Foschi in Camminare, 69-87, fa una disamina dei concetti di “fatto” identificato come il puro accadere, “evento” considerato come oggetto prodotto per avere risultati, “avvenimento” individuato come fatto che ha una densità ontologica particolare ed è destinato ad avere conseguenze spazio-temporali. Lo studioso riporta le varie definizioni di J. Guitton, H. de Lubac, A. Cournot, R. Aron, E. Morin. Dalle argomentazioni di Ricoeur (tratte da La memoria, la storia, l’oblio Milano 2003, 253) sulla distinzione fra fatto e avvenimento sono riportate concezioni significative ulteriori, oltre alla definizione citata: “che sia trattato con sospetto o che sia trattato da ospite gradito dopo una lunga assenza, l’avvenimento può figurare nel discorso storico come referente ultimo”. F. Foschi infine ribadisce che l’avvenimento come significato del fatto assume un contenuto ontologico e appare come novità del fatto stesso in comunicazione con il presente.

40 M.V. Cerutti sottolinea queste affermazioni, riferendo citazioni di U. Bianchi che spiegano la differenza fra approcci interpretativi storico-religiosi e approcci che provengono dall’ermeneutica, menzionando anche Ricoeur a cui imputa la mancanza di un’attenzione precipua alla storicità dei dati esaminati, in Lo studio storico (e comparativo) delle religioni. Riflessioni a partire dalla lezione metodologica di Ugo Bianchi, infra, 83-143, partic. 116.

41 Si veda il contributo di M.V. Cerutti che commenta concezioni di U. Bianchi sull’argomento, Lo studio storico, infra, 122-123.

42 Il metodo storico-comparativo alla prova: un confronto con la “Scienza cognitiva della religione, infra, 45-69.

43 Contributo per un dibattito sul metodo della storia delle religioni, infra, 71-81, partic. 74.

44 Nell’editoriale Critical theory of religion vs critical religion in «Critical Research on religion» 4 (2016) 3-7, W. S Goldstein – R. King – J. Boyarin, assentendo in parte alle concezioni espresse da McCutcheon, Fitzgerald e Martin sulla religione come categoria, ne discutono gli apporti e le divergenze.

45 Ibidem, 4.

46 Ibidem, 7: “Calls for neutrality and objectivity have long resonated through the methodological articulations we have proffered defining our tasks for ourselves, our students and our colleaguels as a way of distinguishing our discipline from the specter of theology”.

47 Contributo per un dibattito, infra, 73.

48 Concezioni che deprezzino la civiltà occidentale e valorizzino in particolare contesti orientali (ma non solo, talora a fianco della Cina compare anche l’America) sono ben attestate già dal Cinquecento. F. Chabod (Storia dell’idea d’Europa., Roma-Bari 2007, 64) scrive che l’Europa è contrapposta alla non-Europa, l’una considerata il paese sanguinario dei barbari, l’altra quella degli uomini miti e saggi.

49 Si consideri l’interessante studio di G. Casadio, Religio versus Religion, in Myths, Martyrs, and Modernity. Studies in the History of Religions in Honour of Jan N. Bremmer, edited by Jitse Dijkstra, Justin Kroesen and Yme Kuiper, Leiden-Boston 2010, 301-326.

50 Su questo concetto si sofferma anche M.V. Cerutti, in Lo studio storico (e comparativo), infra, 91-93.

51 M. V. Cerutti ne offre un esempio in Lo studio storico (e comparativo), infra, 121-122.

52 G. Chiapparini, Ripensare lo gnosticismo: decostruire e ricostruire una categoria storico-religiosa, infra, 145-200.

53 N. Spineto (Religioni, 1257-1263) descrive in modo sintetico questo processo originatosi nell’Ottocento nei Paesi Bassi.

54 A. Anelli in Teologia delle religioni, in Manuale, G.Filoramo – M.G. Giorda – N. Spineto (a cura di), 245-288, ritiene che ci siano vari elementi da esaminare nel campo di questa disciplina: il riferimento al cristianesimo, la pretesa di verità insita nelle diverse fedi, il concetto di religione, lo statuto e il metodo della teologia delle religioni in riferimento alla collocazione delle religioni stesse fra ambito umano e rivelazione. Lo studioso scrive precisando i problemi di metodo: “Se si pongono le religioni dalla parte dell’umano e il cristianesimo dalla parte del divino si generano l’esclusivismo e l’inclusivismo. Se si pongono tutte le religioni, compreso il cristianesimo, dalla parte del divino, si giunge al pluralismo e alla teologia interreligiosa” (p. 264).

55 Si veda P. Xella Laici e cattolici alla scuola di Raffaele Pettazzoni in Angelo Brelich e la storia delle religioni: temi, problemi e prospettive: atti del Convegno di Roma, CNR, 3-4 dicembre 2002, M.G. Lancellotti e Xella (a cura di), Verona 2005, 21-40, che narra le origini della disciplina di Storia delle religioni in Italia e gli svolgimenti successivi della scuola di Raffaele Pettazzoni, soffermandosi sulle diversità nell’elaborazione dei contenuti e del metodo da parte di Angelo Brelich e U. Bianchi.

56 Sull’importanza di non definire la religione con presupposti aprioristici, che si connette con l’esigenza che lo studioso si dedichi alla ricerca senza premesse ideologiche sistematiche si sofferma M. V. Cerutti, Lo studio storico (e comparativo), infra, 91-93.

57 M.V. Cerutti, Lo studio storico (e comparativo), infra, 93-101.

58 Ripensare lo gnosticismo, infra, 152.

59 L’auspicio posto nella conclusione dello studio da Natale Spineto (Religioni. Studi, 1311) esprime l’opportunità dello sviluppo della storia delle religioni anche alla luce di metodologie consolidate.

60 Riprende queste formulazioni citando M. Bloch N. Spineto in Religioni. Studi, 1265.

61 Il presente si comprende da se stesso? M.V. Cerutti sottolinea l’importanza della conoscenza della genesi dei processi religiosi, Lo studio storico (e comparativo), infra, 112-114.

62 M.V. Cerutti in Lo studio storico (e comparativo), infra, 111-112, avvalora l’espressione di R. Pettazzoni, riferendone la positività tramite talune esemplificazioni e riprendendo significative considerazioni di U. Bianchi.

63 M.V. Cerutti si sofferma su tale tematica in particolare in Lo studio storico (e comparativo), infra, 130-135.

64 G. Filoramo in Che cos’è la religione. Temi metodi problemi, Torino 2004, 111 scriveva che la comparazione in epoca moderna è stata indispensabile nel campo delle scienze umane per comprendere orizzonti culturali nuovi. La traduzione secondo categorie occidentali se ha determinato il rischio di “violenza assimilante”, si pensi alle critiche decostruzionistiche, ha permesso la scoperta di differenze consentendo l’approfondirsi dell’autocoscienza.

65 E. Sanzi, “Forse non c’è soltanto il bisogno della fame tra i bisogni primordiali”: Ugo Bianchi e la «Soteriologia dei culti orientali nell’impero romano» tra metodologia e lasciti, infra, 201-217.

66 Il volume è uscito a Leiden-Boston nel 2016.

67 Introduzione allo studio scientifico, 11-30, in particolare 16-18.

68 In Introduzione allo studio, 16-18, si identificano studi teologici, indagini che hanno come finalità l’educazione religiosa, un ambito di “impresa” scientifica, una disciplina che ha nell’interpretazione un principio unificante.

69 Lo studioso scrive in Introduzione allo studio, 19 “Quella di Storia comparata delle religioni è diventata, a parere di chi scrive, una veste troppo stretta per poter abbracciare un campo disciplinare in crescita esponenziale come quella dei Religious Studies. Piaccia o non piaccia, molte (se non la maggior parte delle discipline che oggi si occupano di studiare la religione) vedono nella storia più un impedimento che un aiuto e, comunque, la dimensione storica non è al centro dei loro interessi. Volendo trovare un denominatore comune per quest’area in fermento, occorrerà dunque rivolgersi altrove”.

70 Introduzione allo studio, 20-22.

71 Introduzione allo studio, 28-29.

72 Un metodo per paragonare religioni. Il confronto fra politeismo mesopotamico e monoteismo biblico in un recente lavoro di G. Buccellati, infra, 221-239.

73 Un metodo per paragonare, infra, 223.

74 Cfr. Religioni e relazione: epistemologia e studio della storia, infra, 259-294.

75 Si veda la recente pubblicazione Chrêsis, il concetto di retto uso. Il metodo dei Padri della Chiesa nella ricezione della cultura antica, tr.it., Brescia 2020.

76 Epistemologia patristica e metodo interpretativo, infra, 241-257.

77 M. Arostegi Esnaola in I Padri come risposta (Antwort) alla Parola (Wort), in Storia e mistero Una chiave di accesso alla teologia di Joseph Ratzinger e Jean Daniélou, a cura di G. Maspero, J. Lynch, Roma 2016, 41-68, in particolare 42-48, pone la questione della irrilevanza attuale della patrologia e riporta il pensiero di Ratzinger.