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Ror Studies Series | Storia Religioni Comparazione

Ripensare lo gnosticismo: decostruire e ricostruire una categoria storico-religiosa

Giuliano Chiapparini

Università Cattolica di Milano

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Col presente contributo intendiamo soffermarci sul ’dinamismo tipologico’1 quale elemento distintivo del metodo storico-comparativo, cui si può ricorrere quando si tratta di riconoscere e studiare ciò che attiene alle religioni. In particolare, per non rimanere sul mero piano della teoria metodologica, prenderemo in esame il caso dello gnosticismo antico.

In questo modo ci proponiamo anche di mostrare come alcune istanze decostruttive possano risultare preziose, quale movente verso la correzione e il perfezionamento di categorie storico-religiose, come, appunto, quella di gnosticismo.

1. Osservazioni preliminari di metodo

Esistono almeno tre condizioni perché la revisione di cui sopra acquisti, alla fine del processo, un carattere costruttivo, cioè che dalla pars destruens si approdi alla pars construens; una prima condizione è che l’operazione decostruttiva venga condotta tenendo costantemente presenti i dati filologici e storici; in caso contrario verrebbe a mancare l’ancoramento ai realia, col rischio dell’asservimento, consapevole o meno, dell’opera decostruttiva a precomprensioni o intenzionalità di natura ideologico-speculativa. La storia, insomma, svolge in questa circostanza una decisiva funzione di controllo.2

Una seconda condizione è data dalla disponibilità a intendere le categorie (o concetti o tipologie) storico-religiose come suscettibili di continua necessaria correzione. Non di rado davanti alle pretese decostruttive si assiste a una sorta di arroccamento da parte dei depositari del sapere consegnato dalla tradizione; con ciò si rinuncia a quel proficuo confronto fra le ragioni degli uni e degli altri, anticamera di ogni vero avanzamento della conoscenza. In buona sostanza si tratta di porsi in un atteggiamento di apertura.3

Una terza e ultima condizione consiste nel fatto che le categorie in questione vengano gradualmente sempre meglio focalizzate a partire dal ricorso virtuoso alla comparazione. Tale virtuosità va concretamente individuata, in primo luogo, in una pratica comparativa integrale; infatti, almeno in via programmatica si vuole tenere conto dell’intera ricchezza, varietà e imprevedibilità di ciò che riguarda l’umano, senza riduzionismi previi; inoltre, l’analisi mira non soltanto a individuare somiglianze, contiguità e familiarità, ma valorizza anche, e in alcuni casi soprattutto, le differenze, distanze e difformità; in questo modo l’oggetto posto sotto osservazione viene studiato e descritto non solo in orizzontale, ma anche in profondità secondo una prospettiva multidimensionale e propriamente individualizzante.

Si tratta di evitare una comparazione selettiva, usata a metà utilizzando la parte più docile della documentazione, cioè solo le somiglianze, solo le conferme. In questo modo è facile accedere al sempre e ovunque. Infatti, la storia, selettivamente intesa, può fornire una legittimazione empirica che può sembrare inoppugnabile, ma che in realtà consiste in una manipolazione a partire da presupposti ideologici per propria natura chiusi, statici, rigidi, esclusivi, dogmatici: il fenomenologo trova nella quantità e diffusione di un ’tipo’ la conferma della sua universalità e della sua irrinunciabilità entro il proprio concetto di religione. L’antropologo individua nella ripetitività di alcune costanti del comportamento umano a diverse latitudini gli estremi per ricavarne ’leggi’ culturali (antropologia culturale), dell’evoluzione sociale (sociologia) o della struttura della mente/psiche (cognitivismo, psicologia), collocate non di rado in una prospettiva evolutiva.

Una contromisura efficace per questi diversi riduzionismi è, dunque, data dalla comparazione integrale; essa, tuttavia, può ampliare notevolmente la propria efficacia ricorrendo a un altro straordinario strumento conoscitivo che è dato dall’analogia. Andando oltre le ristrettezze dei nominalismi o dei localismi idiografici, cronologici e geografici, l’indagine comparativa e analogica consente di assumere all’interno di una data categoria anche quegli aspetti peculiari e distintivi da cui dipendono, come dicevamo, la varietà e l’imprevedibilità dei fenomeni storici.4

Per via di analogia è possibile ampliare il campo della religione stessa, circoscritto sulla base della tradizione occidentale, ma che si dimostra suscettibile di allargarsi a comprendere come religiose anche spiegazioni del mondo e dell’uomo, ed è il caso del buddhismo più antico,5 che non prevedono la condivisione di nozioni, come quella del divino, che, fuori dall’analogia storico-comparativa, parrebbero irrinunciabili.

Perciò duplice è il dinamismo tipologico del metodo storico-comparativo che concerne il campo religioso; un dinamismo aperto a sollecitazioni ab extra consiste nel mettere a disposizione dell’indagine scientifica degli strumenti (categorie) ricavati per via induttiva in maniera mai definitiva in quanto aperti a continua revisione, aggiornamento e riorganizzazione; un dinamismo che volge ad intra mira a che tali strumenti (categorie) vengano costantemente perfezionati fino a diventare, grazie soprattutto all’analogia, estremamente sofisticati in modo da attingere a una conoscenza sempre più profonda e completa.6

Quindi, si tratta di assumere un atteggiamento umile e nello stesso tempo forte; umile in quanto non si pretende di forgiare categorie assolute e generalizzanti, valide in ogni tempo e in ogni luogo e perciò fuori dalla portata dell’indagine propriamente storica; umile anche perché ci si astiene dall’esprimere sulla base di odierne precomprensioni giudizi di realtà7 circa fatti e credenze del passato; ma forte a motivo dell’affidabilità del proprio metodo comprovata da una lunga tradizione di studi.

2. Tradizione accademica: storia degli studi e istanze decostruttive

Gli ambiti scientifici che hanno posto le espressioni religiose come proprio oggetto di studio sono molteplici; ognuno di essi si distingue per il metodo utilizzato e per le distinte motivazioni e finalità con cui procede nell’indagine.

La Storia delle religioni è soltanto uno di questi ambiti, con l’aggiunta, però, di una funzione, per così dire, mediatrice fra le distinte istanze metodologiche, quasi fosse una sorta di ’luogo’ d’incontro cui tutti possono accedere qualunque sia lo statuto epistemologico della propria disciplina religiosa, sia essa teologica, filosofica, etnologica, antropologica, cognitivista e via distinguendo.8

Questa caratteristica, che fa perno su un’intrinseca vocazione multidisciplinare, comporta la ricezione di una congerie di categorie faticosamente sedimentatesi sulla base di metodologie ed esigenze diverse nel corso dei secoli.

In effetti, la gran parte degli elementi strutturali o ’categorie’, come divino, mito, sacrificio, rito, sacerdozio, preghiera, individuati all’interno delle religioni e che innervano il discorso accademico, è stata forgiata utilizzando gli stampi della tradizione teologica e filosofica occidentale, oggi indicata come euro-americana e colonialista.

Il decostruzionismo comporta una profonda rivisitazione di questa attrezzatura ideologica, che permea gli studi di settore e che presenta una natura rigida e una dichiarata propensione all’universale. Con ciò non di rado si perviene alla constatazione della impraticabilità o della profonda emendabilità dei percorsi scientifici di studiosi delle religioni come M. Eliade, H. Jonas, A. Brelich, E. De Martino, J. Ries e pure del fautore della ’vanificazione’ dei concetti storico-religiosi, D. Sabbatucci.

Pertanto, questa eredità accumulatasi grazie a molteplici approcci agli studi religiosi, proprio per la sua eterogenea costituzione, pone sulle spalle dello storico delle religioni il fardello del vaglio critico; in questo modo, tuttavia, egli può esercitare la sua precipua funzione di controllo, verificando la validità delle fondamenta storico-filologiche di categorie come rito, mito, sacro e, non da ultima, religione.

Appare, quindi, evidente che questa delicata operazione di verifica (decostruzione) comporta lo smontaggio e l’eventuale rimontaggio del meccanismo che costituisce ogni singolo concetto o categoria religiosa consacrati dalla tradizione.9

Ora, è un dato di fatto che negli ultimi decenni i tentativi di realizzare questa verifica hanno avuto origine sempre più spesso presso ambiti scientifici di varia natura (strutturalismo, decostruttivismo), ma, comunque, poco rispettosi dei realia storico-filologici. In luogo della critica da parte degli storici delle religioni nei confronti delle categorie introdotte da altre discipline, sono state queste ultime le protagoniste del processo di verifica.

Tuttavia, a motivo dei presupposti epistemologici di tali discipline, non specificamente attenti alla documentazione filologica, ai contesti storici e ai singoli quadri cronologici, la rivisitazione critica ha assunto una natura quasi esclusivamente demolitoria (decostruttivismo):10 non di rado il risultato è apparso come un cumulo di rovine, in quanto l’azione decostruttiva è stata spinta oltre il lecito, sminuendo i dati storici sulla scorta, a sua volta, di istanze ideologico-speculative che inducono alla tabula rasa a motivo della presupposta impossibilità di accedere a qualsivoglia conoscenza che non sia riconducibile a dialettica narrativa. Di conseguenza, queste modalità di revisione critica non prevedono una vera e propria fase propositiva e (ri)costruttiva.

Tuttavia, ancora una volta il metodo storico-religioso si può giovare di questi apporti, seppur parziali, provenienti da altri contesti scientifici. La pars destruens, così mutuata, non di rado aiuta a porre in discussione certi limiti delle categorie in uso e, secondo quella apertura all’emendazione di cui dicevamo, costituire una sorta di anticamera condivisa per la necessaria fase (ri)costruttiva e innovatrice.

Appare evidente, però, che tale pars construens può sperare di reperire sufficienti e solide basi principalmente su una sempre più consapevole e ampia valutazione dei dati filologici, raccolti in funzione dell’analisi storico-comparativa. Ciò, d’altra parte, costituisce la specificità e il senso proprio della disciplina che va sotto il nome di Storia delle religioni.

Inoltre, le modalità della critica decostruttiva suggeriscono allo storico delle religioni che non ne fosse già di per sé consapevole, l’utilità di approfondire e delineare con attenzione la storia degli studi che hanno condotto alla costituzione e definizione di ogni singola categoria religiosa di uso corrente.

Perciò lo storico delle religioni non può occuparsi solo delle religioni, ma, la consapevolezza metodologica che lo contraddistingue, lo obbliga a occuparsi anche di chi e come ha parlato o studiato i fatti religiosi. Si tratta di una necessaria storiografia critica di settore, una ’archeologia intellettuale’ che indaga, tenendo presente il rischio di derive storicistiche, la stratificazione e articolazione della letteratura secondaria.

In questa indagine non è questione di ricercare l”asetticità’ dello studioso, ma di sostenere l’etica della ricerca, l’imparzialità e l’astensione dalla militanza, la quale, invece, comporta una strumentalizzazione di natura ideologica del dato storico.

L’opera decostruttiva potrebbe, per altro, risultare oggi agevolata se si rivelasse reale il generale e diffuso disimpegno ideologico da parte di nuove generazioni di studiosi che si trovassero a operare in contesti culturali più elusivamente militanti. Resta, però, il dubbio circa il fatto che nelle istituzioni accademiche possano venir meno le istanze positivistico-scientiste, storicistiche, ma anche apologetico-confessionali, che dettano i parametri (per lo più ancora secondo una prospettiva controversistica che oggi appare irreversibilmente di retroguardia: protestanti/cattolici, positivisti/fideisti, marxisti/cristiani) entro cui inserire i realia storici.

Tuttavia, va evitato anche il rischio, dovuto alla mera sostituzione di un impianto ideologico con un altro, della creazione di categorie ugualmente tendenziose: per esempio, l’uso del termine ’mitologico/mitologia’ per trattare non solo delle religioni pre-cristiane (o, in taluni casi, semplicemente non cristiane), ma anche della speculazione gnostica o, in tempi più recenti, di gran parte della letteratura agiografica o degli impianti teologici cristiani, siano essi riformati o cattolici.

Un certo allentamento della pressione ideologica può agevolare la pratica di una Storia delle religioni in senso ’forte’ e vero, che si astiene dal decontestualizzare i ’fatti’, dall’alleggerirli e dal renderli ’deboli’. In questa umile fedeltà al vero nella sua completezza (cui lo storico, almeno in via pregiudiziale, mira) sta la concreta speranza per lo storico delle religioni di avere ancora oggi una funzione determinante circa la comprensione del proprio oggetto di studio.

Ciò comporta la dismissione di ogni atteggiamento passivo di fronte agli strumenti euristici, che la tradizione accademica tende a perpetuare, e l’acquisizione di una maggiore consapevolezza (’awareness’) dei loro limiti.

Con ciò si tocca con mano l’attualità di quanto siamo andati dicendo in precedenza a proposito di quel ’dinamismo tipologico’, di cui U. Bianchi è stato strenuo e spesso incompreso fautore. Basta scorrere velocemente la sua bibliografia per rendersi conto di quali e quante categorie religiose ha voluto rivisitare, introdurre ex-novo o anche, talora, respingere come inutilizzabili e fuorvianti.11

La tradizione accademica, infatti, tende a cristallizzare quanto acquisito e a irrigidire le categorie con cui opera, ogni volta illusoriamente credendo di essere pervenuta a risultati definitivi.

Negli ultimi anni, per fare un esempio, il vaglio decostruttivista è pervenuto al quasi totale smantellamento di categorie, mutuate principalmente dagli studi etnologici, come totemismo e sciamanesimo.12 Esse sono apparse prive di reale consistenza storica e frutto di forzature ideologiche. Resta, però, da soppesare con attenzione se quanto era entrato a far parte di tali categorie, possa essere diversamente sottoposto a indagine o debba essere considerato estraneo al dominio della conoscenza storica.

Altri esempi potrebbero essere addotti, anche in relazione al campo della cristianistica. Si pensi alle discusse categorie di giudeo-cristianesimo e adozionismo o, per certi versi, di montanismo.13

Preferiamo, invece, soffermarci in maniera più approfondita sul caso dello gnosticismo antico, in quanto particolarmente istruttivo ed esemplificativo dei problemi metodologici testé delineati.

3. Lo gnosticismo come categoria eresiologico-controversistica

Manca ancor oggi quella storia degli studi gnostici che G. Filoramo auspicava qualche decennio fa.14 Essa consentirebbe di acquisire una più precisa percezione delle circostanze che hanno condotto alla diffusione dell’attuale paradigma predominante, ma che pure giustificano la necessità di una revisione.

Il termine moderno ’gnosticismo’ nasce nel XVII secolo in ambito riformato15 e viene successivamente sussunto anche fra gli studiosi di storia del dogma cattolici. Il vocabolo è ricavato sulla scorta delle fonti antiche, cristiane e non cristiane, che denominavano abitualmente come ’gnostikoi’ i fautori di dottrine eretiche, cioè riconosciute allora come devianti e intimamente estranee rispetto all’evoluzione speculativa della gran parte delle forme di cristianesimo e platonismo del II-III secolo d.C..

In particolare, la nuova categoria risultava utile in quanto permetteva di classificare sotto un’unica denominazione l’insieme delle molteplici forme di eresia elencate soprattutto nel I libro dell’Adversus Haereses di Ireneo e nel Panarion di Epifanio. Da questi eresiologi era tratta anche l’idea che tali dottrine devianti fossero originariamente estranee al cristianesimo, in quanto tentativi di pericolose infiltrazioni di elementi di estrazione filosofica, quindi pagana.

Fra molti studiosi protestanti, per altro, questa visione venne ulteriormente sviluppata a scopo controversistico: lo gnosticismo rappresentava una deviazione dalla purezza del cristianesimo originario a motivo di forti compromissioni con quello che si amava definire ’ellenismo’; ma anche quegli stessi eresiologi, cui andavano aggiunti Tertulliano e soprattutto gli alessandrini Clemente e Origene, apparivano come la punta intellettualmente più avanzata di quello che sarebbe diventato il cristianesimo romanocentrico, anch’esso, seppur in misura più moderata, sempre più inquinato dalla filosofia.

Dal canto loro, i teologi cattolici, difendendo l’operato patristico, accentuavano l’antica opposizione fra eresia e ortodossia così funzionale al contrasto delle nuove istanze protestanti: lo gnosticismo appariva come il primo di una lunga serie di tentativi che nel corso dei secoli rischiarono di far deviare dalla retta via la Chiesa guidata dal papa; Lutero e gli altri riformatori incarnavano l’ultimo di tali gravi pericoli.

Su entrambi i versanti, quindi, gnosticismo, gnostico, gnostici erano termini connotati negativamente, utilizzati con valore denigratorio. Anche l’avvicinarsi agli scritti degli autori antichi che ne trasmettevano il pensiero, fu guardato a lungo con sospetto.

Per altro, il conio stesso della categoria di gnosticismo può essere considerato uno degli effetti della diffusione delle prime edizioni a stampa delle antiche opere eresiologiche. Tuttavia, se in ambito cattolico la preclusione verso di esse durò a lungo, nei Paesi riformati l’interesse verso gli gnostici andò vieppiù aumentando. L’autorevole e influente A. von Harnack ebbe a ribadire sul finire del XIX secolo la posizione tradizionale con la celebre definizione dello gnosticismo come ’acuta ellenizzazione del cristianesimo’.16 Ciò si accompagnava, comunque, al rapido montare di un’ondata di studi e di edizioni specifiche sulla scorta anche della moda mandea e dei primi ritrovamenti di traduzioni copte di testi riconducibili agli gnostici.17

In effetti, non mancavano i motivi, ancora sommessamente controversistici, per prestare interesse agli antichi gnostici. Essi furono i primi a essere bollati di eresia, ma soprattutto presentavano talora elementi di consonanza con la sensibilità luterano-calvinista in relazione all’assenza di vere e proprie strutture istituzionali, clero e organizzazione ecclesiastica, alle ridotte pratiche sacramentali, a una tendenza verso il predestinazionismo e la sottolineatura del valore salvifico per gli eletti della sola fides/gnosis.

Questi aspetti potevano sembrare una sopravvivenza del cristianesimo originario, seppure accompagnati da numerosi elementi irricevibili come il libertinismo etico e soprattutto il dualismo teologico che si accompagnava non soltanto a una svalutazione dell’Antico Testamento, ma dava origine a divagazioni sulla natura divina che apparivano incomprensibili e accomunabili alle narrazioni della mitologia greco-romana.

Pertanto, l’evoluzione degli studi mostra come si è andata costituendo una categoria di gnosticismo a partire dalle curvature ideologiche presenti nelle fonti antiche disponibili, cristiane e non cristiane, a loro volta piegate alle esigenze contingenti degli studiosi moderni.

Il pericolo gnostico da parte cattolica era individuato, secondo una logica controversistica, nella tentazione di ridurre il cristianesimo alla sola ’conoscenza’ (’gnosis’) di fede, senza le opere. Sul fronte opposto, gli studiosi riformati vedevano nello gnosticismo la forma estrema di infiltrazione del paganesimo entro la tradizione cristiana originaria al punto da minare il culto monoteistico con regressioni mitologizzanti.

Questo paradigma confessionale, non del tutto disattivato ancora oggi, riserva allo gnosticismo uno spazio molto ristretto all’interno dei trattati di storia del dogma, in memoria di un capitolo lontano e definitivamente superato, legato alla confusione teologica che poté sorgere nel primo cristianesimo a contatto con la speculazione ellenistica.

4. Una religione a parte: dalla RGS alla svolta di Jonas

Un primo tentativo di scardinare o, comunque, di andare oltre questa impostazione di tipo controversistico, può essere individuato presso studiosi come W. Bousset (1865-1920) e R. Reitzenstein (1861-1931), riconducibili alla cosiddetta ’Religionsgeschichtliche Schule’ (RGS).18

Essi cercarono di focalizzare meglio l’estraneità dello gnosticismo rispetto al cristianesimo marcata dagli eresiologi. Gli gnostici apparvero loro come gli esponenti di una religione a parte, autonoma, sganciata dalla tradizione giudaica e cristiana. L’esempio ancora storicamente tangibile sembrava essere offerto dai mandei, stanziati in un’area fra Iraq e Iran.19

Così il dualismo di molte fonti gnostiche, inteso come contrapposizione fra il dio dell’Antico Testamento e il vero sommo dio che sta al di sopra di quello, servì a stabilire per via comparativa non solo la radicale alterità rispetto ai monoteismi giudaico e cristiano, ma suggerì la derivazione da aree dove le tendenze dualistiche avevano trovato ampio sviluppo, cioè l’Oriente mesopotamico.

Quindi, questa innovativa dislocazione geografica, indotta da quella mandea oltre che dalle mode orientalistiche ottocentesche, recideva i legami con la tradizione greco-ellenistica, accentuando la già diffusa svalutazione del tenore filosofico della speculazione gnostica, nonostante avesse suscitato a lungo l’interesse di Plotino e di altri esponenti della filosofia tardo antica, come Celso e Giamblico.

Inoltre, accompagnava questa assolutizzazione del dualismo e la conseguente individuazione mesopotamica delle origini il riposizionamento cronologico della nascita e sviluppo dello gnosticismo originario. La sua forma più pura, quella più radicalmente dualistica, doveva risalire a una fase storica necessariamente precedente il cristianesimo. L’assenza di conferme documentarie era da ritenersi legata proprio all’antichità, perifericità e radicalità che lo caratterizzavano.

La credibilità dell’ipotesi di un’origine precristiana, tuttavia, era messa a repentaglio dal fatto che nella dottrina gnostica la figura del salvatore giocava un ruolo decisivo. Si tentò, così, di individuare elementi per sostenere l’esistenza, ben prima di Cristo e separatamente dalla tradizione vetero-testamentaria, di una dottrina che prevedeva la figura del cosiddetto ’salvatore salvato’.

Ora, gli elementi cardine del paradigma alternativo avanzato dalla RGS sia in relazione ai mandei, sia alle origini iranico-mesopotamiche, sia alla collocazione cronologica pre-cristiana, sia, infine, al ’salvatore salvato’ si sono dimostrati erronei o, comunque, estremamente fragili.20

Tuttavia, il sussulto innovativo introdotto dagli studiosi della RGS non mancò di influire sulla riperimetrazione cui la categoria di gnosticismo fu sottoposta nel corso del ’900.

Durante la prima metà del XX secolo, infatti, si venne a formare un fascio di nozioni che definivano, e ancora in buona parte, almeno nella percezione vulgata, continuano a definire, lo gnosticismo antico: da Plotino, soprattutto, è stata ricavata l’idea che concorressero a caratterizzarlo il libertinismo, il basso tenore filosofico, l’anticosmismo e il pessimismo antropologico; sulla base degli scritti degli eresiologi, invece, fu posta in evidenza una modalità irrazionale e astrusa di parlare del divino e delle sue articolazioni oltre al determinismo etico.21

In effetti, è su queste basi che prese forma quello che potremmo chiamare il ’paradigma di Jonas’, in quanto fu il filosofo esistenzialista Hans Jonas a definirne lo statuto operando una sorta di sintesi dei due precedenti paradigmi, quello eresiologico-controversistico e quello della RGS.22

In particolare, H. Jonas valorizzò l’idea di una religione autonoma e cercò di definire gli elementi che la rendevano tale. Egli fu affascinato soprattutto dall’antropologia gnostica per la quale l’individuo si trova ad ’essere gettato’ in un mondo ostile e tenebroso rispetto al quale si riconosce come ’straniero’.

Le palesi risonanze di questo vocabolario, affine alla coeva riflessione esistenzialista, non potevano certo sfuggirgli, così come, proprio grazie a Jonas, non mancarono di attirare l’attenzione di molti esponenti della cultura occidentale. Lo gnosticismo uscì dall’hortus conclusus degli studi di storia ecclesiastica per assurgere a emblematica e antesignana espressione di una precisa ’Weltgefühl’ tipica dell’uomo del XX secolo.

Fuori dalla prospettiva confessionale evocare gli gnostici non significava più richiamare confusamente i tempi di un antico cristianesimo quando l’ortodossia era minacciata, se non talora soverchiata dall’eresia, come sosteneva provocatoriamente W. Bauer (1934).23

Significava, invece, richiamare alla mente l’immagine di un uomo consapevole della propria grandezza, ma costretto in una sordida prigione mondana e avviluppato dagli insopportabili limiti materiali del proprio corpo. Un uomo la cui superiorità rispetto a quanto lo circonda risiede nella ’gnosis’, quella conoscenza da cui sola è offerto un pertugio di redenzione.24

Questo mondo oscuro, questo uomo prigioniero di forze superiori che ne tarpano la libertà, il pessimismo esistenziale che ne nasce, la sconfortante prospettiva anticosmica e antisomatica, il disprezzo per la dimensione terrena, la materia e la storia rappresentano le tessere di un mosaico, che ridefinirono la percezione comune degli antichi gnostici. Così, marcando a dismisura queste tinte fosche, facendo del dispotico demiurgo gnostico un malvagio dominatore luciferino, prendendo a prestito l’immaginario iconico dei gironi danteschi, H.-Ch. Puech, ad esempio, affascinava gli studenti che a Parigi accorrevano per ascoltare le sue lezioni durante gli ultimi Anni ’50.25

Ancora oggi questa immagine, che fa del mondo la sanguinosa scena dello scontro ineluttabile fra il Bene e il Male, dualisticamente personificati, conserva il suo indubbio fascino. E sulla base di essa non di rado capita che si cerchino (e trovino) tracce ’gnostiche’ nella produzione letteraria, figurativa e cinematografica presente e trascorsa.26

Jonas stesso, d’altra parte, era convinto che perfino Plotino, che aveva energicamente combattuto gli ’gnostikoi’ del suo tempo, fosse in realtà da classificare fra gli gnostici,27 sorte che qualche anno dopo dovette toccare anche a Paolo di Tarso.28

Il nuovo paradigma si prestava anche a sostenere le ragioni di quanti videro ben presto nello gnosticismo antico il riemergere in ambito tardo giudaico e del primo cristianesimo del fiume carsico di una gnosi esoterica che attraverserebbe sotto diversi paludamenti, in forma parassitaria, i cunicoli più sotterranei della storia. Quella sapienza segreta conservata gelosamente da un ristrettissimo numero di eletti che travalicherebbe il tempo e lo spazio, le religioni storiche e gli eventi mondani.29

Naturalmente queste interpretazioni come pure quella esistenzialista di Jonas non potevano sottomettersi alla prosaica evidenza dei dati filologici e dei parametri cronologici.

Tuttavia, circa le origini e l’ancoramento cronologico Jonas non seguì le tesi della RGS, conservando al contrario sullo sfondo le risultanze del paradigma tradizionale, con l’eccezione della preclusione verso la mitopoiesi gnostica.

Egli, infatti, riconobbe all’interno delle narrazioni gnostiche di natura mitologica uno spessore filosofico-teologico non disprezzabile. Anzi, traendo spunto da queste letture, in varie occasioni ebbe modo di sostenere l’utilità del mito anche per la speculazione contemporanea, spiegando la sua efficacia comunicativa.30

Nel contempo, per altro, proprio a partire da una certa rivalutazione della tendenza gnostica alla mitopoiesi, in particolare nell’indagine circa le caratteristiche del divino e la graduazione che ne segna la manifestazione, G.G. Scholem ebbe modo di riconoscere alcuni degli influssi più significativi sugli scrittori della Kabbalah.31

Jonas, d’altra parte, ebbe il merito di non sopprimere del tutto e, anzi, avviare la rivalutazione delle componenti giudaiche palesemente rinvenibili all’interno delle dottrine gnostiche, a lungo sottostimate sulla base delle istanze antigiudaiche che pure le caratterizzano.

5. La rilettura delle fonti greco-latine e le scoperte di Nag Hammadi

Con la seconda metà del Novecento lo gnosticismo si può considerare una categoria entrata a far parte del bagaglio culturale di un sempre maggior numero di intellettuali, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno a una precisa tradizione religiosa.

Anche gli studiosi cattolici si affrettarono a recuperare il ritardo maturato in precedenza e contribuirono all’avanzamento della ricerca in maniera significativa. Il loro contributo non è sempre stato adeguatamente valorizzato per il fatto che taluni risultati mal si adattavano ai paradigmi tipologici elaborati fino ad allora.

L’improvvisa notorietà dello gnosticismo si accompagnò in ambito cattolico con il ’resourcement’ patristico, il ritorno alle fonti dei Padri della Chiesa. Questa cifra filologica caratterizzò l’opera di alcuni studiosi di quei decenni e rende i loro studi validi ancora oggi.

Naturalmente, al contrario dei frequentatori degli gnostici più pessimisti e inquietanti, questi studiosi si volsero preferibilmente verso le forme gnostiche dichiaratamente vicine al cristianesimo, vale a dire quelle valentiniane.

Sulla scorta delle edizioni critiche più affidabili, anche se non del tutto eccepibili,32 frutto dell’alacre stagione della filologia germanica a cavallo fra Otto e Novecento, nonché di quelle pubblicate opportunamente nella collana delle ’Sources Chrétiennes’, i risultati delle loro ricerche non tardarono ad arrivare.

Nel 1947 Sagnard pubblicò una sintesi dedicata allo gnosticismo valentiniano, basata su un’attenta e rispettosa rilettura dei dati documentari.33 Era, infatti, possibile procedere a individuare all’interno dello gnosticismo una ben delimitata sub-categoria, quella di valentinianesimo o valentinismo, sulla base delle classificazioni eresiologiche che individuavano nei ’valentiniani’ (οἱ Οὐαλεντινιανοί) o ’seguaci di Valentino’ (οἱ ἀπὸ Οὐαλεντίνου) una precisa variante gnostica. Anzi, dopo il fondatore, vissuto attorno alla metà del II secolo e di cui G. Quispel proprio in quegli anni tentò la ricostruzione del pensiero nonostante l’esiguità e frammentarietà della documentazione,34 la ’scuola’ si sarebbe articolata in due rami, l’uno, detto ’orientale’, più conservatore ma poco documentato, avrebbe annoverato tra i corifei il Teodoto di cui parla Clemente di Alessandria; l’altro, ’occidentale’, avrebbe presentato degli sviluppi più innovativi (e più ’eretici’) ad opera di maestri come Tolomeo, Eracleone e Marco il Mago.

Questa ben documentata e nuova sub-categoria, con le sue possibile ulteriori micro-categorie (’orientale’/’occidentale’),35 disegnava il profilo di una speculazione gnostica, che alla luce del paradigma di Jonas risultava decisamente secondaria, a motivo della presenza di pervasivi teologumeni cristiani: il salvatore è identificato con Cristo, il mondo non è il prodotto deteriore di un dio minore, l’uomo vi è stato provvidenzialmente inserito per poter raggiungere la salvezza e la signoria del dio sommo appare indiscussa, quasi il dualismo si fosse completamente defilato. Insomma, si disegnava un quadro moderatamente più ottimistico.

Lungo il medesimo solco si avviò il lungo e innovativo percorso di ricerca propugnato da A. Orbe;36 le sue pagine, anticipando i tempi, passano in rassegna le fonti dell’antico cristianesimo senza distinzioni reali fra dottrine ortodosse ed eretiche, gnostiche o di altra estrazione. Anzi, la sua ricostruzione del dibattito sorto attorno ai nodi dogmatici della tradizione cristiana fin dal II secolo valorizza in maniera inusitata proprio l’apporto dei valentiniani: furono costoro i primi grandi esegeti della cristianità; si devono a loro le sollecitazioni teologiche che spinsero i Padri a definire con sempre maggiore precisione i parametri cristologici.

Come per Ireneo anche per Orbe la punta più avanzata del movimento gnostico era rappresentata proprio dal valentinianesimo; i suoi esponenti avevano sviluppato una riflessione teologica di alto livello e le loro fini disquisizioni circa la natura del divino ricorrevano a tutti gli strumenti messi a disposizione dalla Scrittura e dalla tradizione filosofica e religiosa antica. Insomma, questi gnostici erano tutt’altro che degli sprovveduti e i loro testi, apparentemente fumosi e incomprensibili, andavano presi sul serio, come un capitolo decisivo dei primi sviluppi della teologia cristiana.

Pertanto, non solo agli gnostici più ’dualisti’, ma anche a quelli che sembrava lo fossero assai meno a motivo delle loro connessioni cristiane e giudaiche, doveva essere restituita piena dignità teologico-speculativa.

Ciò acuiva l’urgenza di capirne meglio le origini, in quanto da ciò dipendeva il paradigma interpretativo da adottare: si trattava (paradigma della RGS) di un’antica religione iranico-mesopotamica innestatasi a un certo punto sul tronco della tradizione giudaica e cristiana, perdendo irrimediabilmente la propria purezza? Oppure era da intendersi come partecipe di quel groviglio di varianti teologiche indotte presso molteplici sette del primo cristianesimo dalla penetrazione dell’ellenismo (paradigma eresiologico-controversista)? O, ancora, e si trattava di una sorta di via mediana, lo gnosticismo, con il suo tetro dualismo anticosmico, era pullulato nel terreno di coltura offerto da conventicole marginali all’interno del giudaismo precedente l’era cristiana (paradigma di Jonas)?

Data l’evidente debolezza della prima ipotesi, la pietra d’inciampo che impediva l’imporsi definitivo di una delle altre due era dato proprio dalla conformazione delle categorie di gnosticismo da cui discendevano.

Vale a dire che la categoria eresiologico-controversistica come pure quella esistenzialista non erano in grado di spiegare la natura anticosmica, antisomatica e antigiudaica di molte espressioni gnostiche e, in ultima istanza, quel dualismo che ne era la scaturigine. Come poteva questa natura derivare dall’ottimismo verso il mondo della tradizione greco-ellenistica, segnata a fondo dall’eredità platonica e stoica tipicamente procosmiche? Come giustificare, d’altro canto, il disprezzo per la dimensione materiale così apprezzata da giudei e cristiani? Come far discendere il dualismo degli gnostici dal pervicace monoteismo di quelli? Cioè, come è possibile che Jahvè sia stato trasformato da qualcuno di essi addirittura in avversario di un altro dio a lui superiore? Come, infine, ipotizzare il sorgere di istanze antigiudaiche proprio dall’interno di quel giudaismo da cui si suole volentieri immaginare siano derivati gli gnostici ancor prima dei cristiani?

La situazione di stallo favorì l’imporsi del paradigma di Jonas in quanto esso percorreva una sorta di via mediana, evitando sostanzialmente di confrontarsi con queste contraddizioni. L’irrisolta questione delle origini, comunque, stava a segnalare l’incompiutezza del paradigma.

Il tentativo di R.M. Grant di spiegare la svolta anticosmica e la degradazione del dio veterotestamentario come conseguenza dell’ondata emotiva che travolse il mondo giudaico, a seguito della distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.), non fu risolutivo pur se raccolse un certo seguito.37

Negli Anni ’50 furono, però, le prime notizie circa i testi gnostici in copto ritrovati a Nag Hammadi nel 1945 a suscitare la speranza di poter uscire dall”impasse’. Non si trattava, in realtà, di una novità assoluta, in quanto fonti analoghe erano già note da fine Ottocento; tuttavia, la mole dei nuovi ritrovamenti e i primi studi di J. Doresse e H.-Ch. Puech suscitarono entusiasmo promettendo finalmente di poter ascoltare la viva voce degli gnostici, senza il tendenzioso filtro dei loro avversari.38

Fu posto forse troppo frettolosamente in secondo piano il fatto che i nuovi testi rappresentavano in realtà traduzioni, più o meno fedeli e relativamente tarde (IV-V sec. d.C.), di originali in greco la cui collocazione cronologica e sociologica rimaneva nella maggioranza dei casi imprecisata.

Tuttavia, la pubblicazione dell’Apocrifo di Giovanni (NHC II, 1; III, 1; IV, 1; BG 2),39 per il quale per altro poteva essere reperito un aggancio cronologico presso Ireneo, del Vangelo di Verità (NHC I,3; XII,2)40 e del Vangelo di Tommaso (NHC II,2)41 convinse ben presto anche i più scettici dell’importanza del ritrovamento.

Giocando sulla diversa accezione con cui gli gnostici utilizzavano il termine ’vangelo’, non di rado si lasciava intendere che da Nag Hammadi si potesse ricavare una versione alternativa delle vicende di Gesù e di altri personaggi della tradizione cristiana. Quindi, questi testi non dovevano destare l’attenzione soltanto di specialisti dei dialetti copti, ma meritavano un risalto certamente maggiore.

Tuttavia, la lentezza nella pubblicazione dell’intero corpus ritrovato a Nag Hammadi42 ritardò una valutazione complessiva e un’immediata valorizzazione. Ciò nonostante, gli studiosi più attenti, come Jonas, Quispel e Orbe, seppero fare velocemente tesoro delle nuove acquisizioni e aggiornare i propri studi, il cui impianto di fondo, comunque, non cambiò.43

Le nuove fonti, infatti, non modificarono il paradigma interpretativo e, anzi, sembrarono rafforzarlo in quanto consentivano di conoscere meglio proprio lo gnosticismo meno documentato fino a quel momento, cioè quello più ’dualista’ e scevro da troppe collusioni col cristianesimo.

6. Dal “Documento finale” di Messina all’imporsi della categoria di sethianesimo

Alla metà degli Anni ’60, sulla scorta dei nuovi ritrovamenti, si crearono le condizioni per cercare di analizzare meglio la questione delle origini dello gnosticismo e di conseguenza pervenire a una descrizione tipologica condivisa.

Fu questo lo scopo del Colloquio Internazionale di Messina (1966) cui diede il proprio contributo la gran parte degli specialisti del tempo.44 I differenti approcci metodologici alla materia furono ricondotti entro l’alveo storico-comparativo dall’attenta regia del principale organizzatore del convegno, cioè U. Bianchi, uno dei maggiori esponenti della scuola italiana di Storia delle religioni.45

Il “Documento finale” (o “Rapporto”)46 proponeva non tanto una definizione di gnosticismo,47 comunque ben distinta da quella di ’gnosi’, ma, facendo tesoro con equilibrio delle differenti sensibilità, avanzava esplicitamente delle “proposte concernenti l’uso scientifico dei termini gnosi, gnosticismo”.48 Il “Documento” assumeva la visione anticosmica propugnata da Jonas, legata alla ’devoluzione del divino’ seguita dalla sua reintegrazione,49 e valorizzava nel contempo la natura divina della componente pneumatica nell’uomo, che per Quispel richiamava il ’sé’ junghiano e per Bianchi era comparabile con la ’scintilla’ degli orfici.50 Con ciò si accentuava la portata speculativa della riflessione gnostica e sulla base di un uso equilibrato delle fonti, greco-latine e copte, si focalizzava l’attenzione sulle dottrine gnostiche del II secolo dopo Cristo, lasciando però aperta la strada per individuare, tramite la comparazione, espressioni gnostiche eventualmente sviluppatesi prima e dopo quel secolo.51

La definizione o, per meglio dire, la descrizione di Messina riusciva, dunque, nell’intento di non marginalizzare il valentinianesimo come espressione edulcorata e secondaria dello gnosticismo; nel contempo, escludeva l’eventualità di un’origine orientale dell’intero movimento riconoscendovi un dualismo tipologicamente diverso da quello iranico-mesopotamico.52

Il riassestamento della categoria di gnosticismo fu accompagnato, infatti, anche da quello di un’altra categoria molto discussa, cioè, appunto, il dualismo. Proprio le fonti gnostiche mostravano i limiti della nozione tradizionale di estrazione filosofico-teologica, cioè quella che chiama dualista soltanto una dottrina che preveda l’esistenza di due principi divini coeterni e contrapposti. La speculazione gnostica valentiniana, ad esempio, presenta, invece, una soluzione più sofisticata, egualmente dualistica, per la quale il secondo principio, personale o no, si attiva in una fase protologica successiva al primitivo operato del sommo e unico dio, comunque condizionandolo.53

L’innovativa articolazione e il sensibile perfezionamento della tipologia di dualismo si deve, anche per gli anni seguenti, principalmente all’indagine analogico-comparativa condotta da Bianchi ed esemplifica la complessità assunta da talune tipologie storico-religiose, spiegando, per altro, la loro difficile ricezione fuori da tale approccio metodologico.54

A Messina, comunque, si impose la consapevolezza della necessità di una formulazione strutturata, almeno come punto di partenza per l’indagine,55 della tipologia di gnosticismo; solitamente, invece, il paradigma era ricavato deducendolo dall’uso del termine da parte degli studiosi; ciò consentiva un certo margine di incertezza e manteneva una zona grigia che sfumava i contorni di una descrizione troppo precisa e stringente.

L’intento del convegno mirava proprio a cercare di giungere a una chiarificazione tipologica, onde rendere più agevole l’attività di ricerca; fornire, cioè, gli studiosi che dovessero avvicinarsi allo gnosticismo, qualsiasi fosse il proprio metodo di lavoro, di una descrizione condivisa di partenza.56 Comunque, “Messine a incontestablement orienté les études gnostiques de la fin de notre siècle”, come ebbe modo di osservare J. Ries.57

Naturalmente chi non aveva colto appieno la strumentalità e la provvisorietà di quel ’Documento’, fraintendendo la sua natura per certi versi ufficiale, non mancò di avanzare delle critiche:58 da una lato la si ritenne una proposta troppo rigida, sia nella direzione della delimitazione geografica sia in quella cronologica; dal lato opposto si attribuì un’eccessiva predisposizione all’inclusione per via analogica, denunciando l’assenza di adeguate e puntuali conferme documentarie: optando per le strettoie del nominalismo filologico, entro la categoria di gnosticismo sarebbero potuti rientrare al più quanti, da se stessi o ad opera di altri autori antichi, erano chiamati ’gnostikoi’.

Tuttavia, anche il rifiuto della sovrapposizione fra gnosi e gnosticismo, tanto in voga negli ambienti anglosassoni,59 la riconferma del credito verso le fonti greco-latine e la sostanziale equiparazione, tramite una nozione più sofisticata di dualismo, fra il valentinianesimo e le altre forme di gnosticismo impedirono probabilmente una vasta e proficua ricezione dei risultati del colloquio messinese da parte del mondo accademico.

In effetti, gli esperti di lingua copta, che si apprestavano ad assumere per certi versi il monopolio degli studi gnostici volgevano in altra direzione, tendendo con disinvoltura a forzare i parametri storico-cronologici che pure potevano essere individuati solo attraverso le fonti tradizionali.

Infatti, appare sintomatico, prima ancora che si addivenisse al completamento della pubblicazione del corpus di Nag Hammadi, il tentativo del coptologo, K. Rudolph (1977), di raccogliere in un’ampia sintesi lo scibile circa lo gnosticismo antico. Se pure egli non potesse esimersi dal riproporre molto di quanto la tradizione aveva desunto dalle fonti patristiche e filosofiche del Tardo Antico, al centro dell’attenzione stavano i nuovi testi che consentivano finalmente di correggere l’“immagine oscura e distorta” degli gnostici diffusa fino ad allora.60

Nel frattempo a imporsi, sulla scorta degli studi di Schenke, fu la nuova sub-categoria di ’sethianesimo’.61 Essa serviva a indicare quella serie articolata di espressioni gnostiche non valentiniane, che i testi rinvenuti a Nag Hammadi documentavano ampiamente.62

La denominazione aveva il vantaggio di richiamare da una parte l’insolito spazio riservato alla figura di Seth in molte fonti copte, e dall’altra di trovare un certo aggancio storico-documentario anche in ambito eresiologico, laddove si parla di ’sethiani’ o ’sethiotai’.63

Agevolata dalla prima traduzione inglese di tutti i nuovi testi,64 la rapida ricezione della bipartizione sethiani/valentiniani fu sancita dal Convegno di Yale del 1978.65 Essa fu accompagnata da un significativo riassestamento del paradigma ermeneutico che in buona sostanza riprendeva quello di Jonas, ma recuperava anche certe istanze di derivazione RGS, che sembrano ormai superate.

Alla nuova categoria di ’sethianesimo’ vennero attribuite tendenzialmente le caratteristiche in precedenza riservate allo gnosticismo più ’puro’ e ’dualistico’; di conseguenza all’interno delle nuove fonti venne sottostimata la componente cristiana e, laddove non era possibile scotomizzarla, la si neutralizzava attraverso ardite ipotesi filologico-redazionali, come la cosiddetta ’cristianizzazione secondaria’.66

Molte sono le riserve circa l’effettiva utilità euristica di una categoria così ristrutturata; il metodo storico-religioso, infatti, insiste su un uso critico, ma equilibrato e scevro da manipolazione delle fonti, di tipologie analogiche senza ’più’ e senza ’meno’, cioè gradazioni di intensità: non può essere individuata una versione ’più gnostica’ (o ’più sethiana’) o ’meno gnostica’ (o ’meno sethiana’) all’interno di un dato contesto religioso, in quanto il dinamismo tipologico fa da ostacolo alla definizione di un ’nocciolo duro’, di una ’essenza’, di un ’minimo comun denominatore’ propriamente gnostici.

Semmai, sulla base della diffusione quantitativa di aspetti comuni e della ’produttività’67 di alcuni di essi al suo interno, si potrà opportunamente riconoscere la ’posizione’ di una singola espressione religiosa all’interno di una ’area’, per via di comparazione analogica distinta come tipologicamente ’gnostica’; sarà possibile, allora, qualificare tale ’posizione’, all’interno di quel singolo sistema ’orografico’ dinamico, chiamato ’gnosticismo’, come più o meno ’centrale’ ovvero più o meno ’periferica’.68

Tornando al sethianesimo, con esso venne riesumata pure l’ipotesi, cara agli studiosi della RGS, della natura a-cristiana e pre-cristiana dello gnosticismo originario. L’assenza di elementi per l’ancoramento cronologico e sociologico della quasi totalità dei testi ’sethiani’ di Nag Hammadi fu sfruttata per disinvolte operazioni di retrodatazione, che col tempo si sarebbero rivelate insostenibili.69

Inoltre, l’affidabilità delle fonti gnostiche non copte venne posta sotto discussione e sostanzialmente negata, salvo farvi ricorso quando risultasse utile a sostenere il rinnovato paradigma. Agli eresiologi, in particolare, fu attribuita la responsabilità di avere deformato se non addirittura inventato certi aspetti delle dottrine gnostiche allo scopo di denigrare e confutare più facilmente i loro avversari. Un trattamento più condiscendente fu, invece, attribuito alle fonti non cristiane, come Plotino.

Dalle grotte di Nag Hammadi era uscito, dunque, un nuovo gnosticismo, diverso da quello dei Padri, ma sorprendentemente vicino a quello già prefigurato dalla RGS e da Jonas. Una proposta religiosa la cui memoria era stata obliterata dal controllo della Grande Chiesa, che aveva preso il sopravvento e cancellato quasi del tutto gli altri cristianesimi (’Lost Christianities’).

Una religione che poteva suscitare l’interesse dell’industria culturale, come rivelò l’inopinato successo editoriale di ’Gnostic Gospels’ (1979) di E. Pagels:70 l”appeal’ esoterico di una sapienza segreta, la riutilizzazione in chiave ’new-age’ del sè gnostico raggiunto tramite una cognizione intuitiva (’insight’) e il favore del grande pubblico per i reietti della storia rappresentano una mistura che in diverse combinazioni garantirà una inusitata esposizione mediatica allo gnosticismo in diverse circostanze anche in seguito.71

7. Categorie e paradigmi ermeneutici a confronto

Sulla scorta del rinnovato paradigma di Jonas-Schenke si assistette in breve al completamento della pubblicazione dell’edizione fotografica del fondo di Nag Hammadi.72 Essa rese possibile la predisposizione di una serie di edizioni critiche dei singoli codici da parte di un più ampio spettro di specialisti. Vennero avviate anche collane che proponevano l’edizione e traduzione, in lingua inglese o francese e più tardi anche tedesca, dei singoli testi.73

L’intensa attività promossa dagli esperti di lingua copta e incentrata sui ritrovamenti di Nag Hammadi creò, come era prevedibile, una sorta di scompenso nell’ambito degli studi gnostici. Il discredito che ormai circondava le fonti greche e latine ridusse di molto l’attenzione verso di esse da parte del mondo accademico. Di conseguenza, diminuì drasticamente l’interesse per un aggiornamento filologico delle edizioni critiche ormai vetuste, così come la pubblicazione di monografie e contributi dedicati al valentinianesimo, in quanto forma gnostica secondaria, o a quegli esponenti o gruppi gnostici poco o nulla rappresentati a Nag Hammadi, come Basilide, Carpocrate o i simoniani e gli ofiti.

Il dibattito sulle origini dello gnosticismo ebbe, invece, a ravvivarsi grazie alle caratteristiche della nuova documentazione. Apparve con evidenza che le connessioni giudaiche erano molto più consistenti di quanto si era mai ritenuto. Quindi, si rafforzò l’idea che il terreno di coltura di molte tradizioni gnostiche dovevano essere ricercate in ambienti analoghi e quelli delle sette apocalittiche della parte finale del periodo del Secondo Tempio.74

Tuttavia, restava un ostacolo all’imporsi definitivo di un’ipotesi giudaica circa le origini gnostiche, cioè l’assenza di un’adeguata spiegazione dei noti teologumeni antigiudaici, in primis la decisa svalutazione dell’intera economia veterotestamentaria a partire dal ruolo di Jahvè.

Questo problema offrì a S. Pètrement (1984) l’occasione per un rilancio dell’ipotesi di un’origine tutta interna all’evolversi delle prime forme di cristianesimo.75 La sua tesi teneva conto delle fonti copte, ma si basava principalmente su una rilettura, per alcuni versi innovativa, di quelle tradizionali. Essa non trovò rispondenza immediata, ma solo alcuni anni più tardi, dopo la pubblicazione della traduzione inglese del libro.76

La sintesi della Pétrement intendeva porsi controcorrente e certamente, con quel rifarsi alla classificazione eresiologica, a molti parve superata, ma lasciava intravedere un’alternativa al paradigma ermeneutico dominante.

In linea con esso, invece, si moltiplicarono gli studi atti a riconsiderare gli elementi propriamente filosofici riscontrabili nei nuovi testi e la loro rilevanza speculativa. Lo gnosticismo, grazie a Plotino e a Jonas, aveva già in precedenza attirato l’attenzione di eminenti esperti della tradizione platonica,77 ma nuove ricerche approfondirono in modo decisivo la natura e l’estensione dell’eredità medioplatonica e dei rapporti col neoplatonismo.78

Seppure in maniera sommessa, pertanto, si andava correggendo all’interno della categoria vulgata di gnosticismo la convinzione, di estrazione RGS, che la componente speculativa non fosse altro che il derivato di una sorta di ’platonismo del proletariato’;79 e nel contempo si poteva mettere in dubbio anche l’idea che tale componente fosse sopraggiunta, al pari del cristianesimo, a inquinare in varia misura la ’purezza’ originaria della ’Weltgefühl’ gnostica.

L’esigenza di una sempre maggiore chiarezza tipologica in quegli stessi anni aveva condotto U. Bianchi a promuovere un’intensa attività di ricerca storico-comparativa proprio attorno a tematiche, tutte in qualche maniera connesse all’universo gnostico, che si ponevano in varia misura a cavallo fra tradizioni greco-ellenistica, giudaica e cristiana.80

Pur senza soverchie prese di posizione polemiche verso i fautori del paradigma di Jonas-Schenke e tutt’altro che arroccata in difesa del “Documento finale” di Messina, l’indagine storico-religiosa propugnata da Bianchi e dalla sua scuola perfezionò ulteriormente la concezione di dualismo sviluppando nuove categorie come la ’scalarità del divino’ e la ’necessità di sistema’,81 la ’doppia creazione’ dell’uomo,82 il ’male etico e ontologico’ e pure ’male concavo e convesso’;83 approfondì anche le peculiarità tipologiche delle nozioni di misteri e misteriosofia nel quadro della soteriologia antica,84 encratismo,85 apocalittica,86 protologia-escatologia87 e politeismo-monoteismo, compreso il cosiddetto ’monoteismo pagano’.88

In relazione al “Documento” di Messina il dato forse più evidente risulta essere il graduale abbandono dell’idea che l’atteggiamento anticosmico potesse rappresentare un elemento distintivo dello gnosticismo.89 Questa acquisizione appare non solo un derivato dell’analisi delle nuove fonti copte, ma l’effetto ultimo della riflessione comparativa circa le diverse declinazioni della sensibilità dualistica.90

Non solo la tendenza monoteistica valentiniana non esclude la presenza di un dualismo di fondo, ma tale dualismo non necessariamente comporta una visione negativa della permanenza umana nel mondo. E il valentinianesimo è la dimostrazione che una forma propriamente gnostica, anzi probabilmente la forma più sofisticata e meglio fondata dal punto di vista speculativo di questa espressione religiosa, può nel contempo risultare, al termine di un’analisi comparativa integrale, insieme dualista e moderatamente procosmica.91

8. Decostruzionismi

Le molteplici ricerche sviluppatesi ormai da decenni attorno ai codici di Nag Hammadi avrebbero dovuto sfociare sullo scorcio del XX secolo in una sintesi in grado di presentare finalmente il vero volto degli gnostici, senza le deformazioni introdotte dalle fonti indirette.

Invece, tirando le somme di questa ormai lunga stagione di studi M.A. Williams (1996)92 trovò che le differenze rispetto alla categoria, ancora per molte parti erede della tradizione accademica precedente alle scoperte di Nag Hammadi, erano sorprendentemente marcate e, per di più, riguardavano aspetti ritenuti basilari.

Gli gnostici dovevano essere radicalmente pessimisti, disprezzare il mondo e il corpo, considerarsi salvi per natura e proclamare l’inutilità delle leggi, dell’impegno etico, dell’ascesi; dovevano praticare un esegesi che capovolgeva l’interpretazione dei testi sacri della tradizione giudaica e cristiana, mostrare un’incontrollata propensione alla mitopoiesi e un livello infimo di consapevolezza e innovazione speculativa, apparire, insomma, come una sorta di parassiti rispetto agli altri contesti religiosi. E, invece, le risultanze degli innumerevoli approcci alle fonti copte dimostravano l’esatto contrario.

A questo punto, Williams, e con lui buona parte del mondo accademico che ruotava attorno allo studio dello gnosticismo, si trovò di fronte a un bivio: mettere seriamente a confronto la nuova documentazione con quella antica e verificare effettivamente sul piano filologico se era possibile stabilire e in quale misura il grado di deformazione attribuibile alle fonti greco-latine; oppure evitare il confronto e concludere per l’inutilizzabilità della categoria tradizionale di gnosticismo, dato che era stata forgiata a partire da fonti ritenute inaffidabili.

Lo studioso americano optò per la seconda alternativa. Egli propose di indicare le dottrine veicolate nei codici di Nag Hammadi attraverso una specificazione aggettivale, nella fattispecie ’biblical demiurgical’.93 In buona sostanza queste fonti possedevano una propria identità in base alla presenza di un tessuto di richiami terminologici e testuali alla tradizione biblica, che si articola all’interno di una struttura filosofico-speculativa graduata sostanzialmente riconducibile al medioplatonismo.

Williams non venne seguito su questa strada, anche perché la terminologia che proponeva risultava troppo vaga, in quanto poteva essere utilizzata anche per molte altre espressioni religiose del Tardo Antico, come l’apocalittica giudaica o certi esponenti della prima teologia cristiana. Infatti, un risvolto, implicito e finora, per quel che ci risulta, mai posto in adeguata evidenza, dell’operazione decostruttiva di Williams era evidentemente rappresentato dalla definitiva rinuncia a riconoscere in queste fonti la presenza di una forma religiosa autonoma e distintivamente caratterizzata.

Appare, in effetti, poco giustificata la pretesa della RGS, di Jonas e di tanti altri dopo di loro di trattare lo gnosticismo come una religione a parte e non di una particolare corrente esegetico-speculativa del tardo giudaismo e del cristianesimo.

Comunque, il modus pensandi di Williams venne condotto alle estreme conseguenze pochi anni dopo da K.L. King (2003).94 Riutilizzando alcune istanze teoriche del decostruttivismo (J. Derrida, ma soprattutto Bourdieu), la coptologa americana concluse che non solo la categoria e, quindi, il vocabolo stesso di ’gnosticismo’ (e ’gnostico’) non potevano più essere utilizzati in ambito scientifico, ma che le dottrine religiose raccolte fino a quel momento sotto la tipologia di gnosticismo non presenterebbero caratteristiche identitarie corrispondenti a quelle previste da essa. Quella loro discriminante catalogazione, operata per motivi di potere e sopraffazione politica dagli eresiologi, all’interno del cristianesimo nascente non avrebbe ragion d’essere. Di qui l’artificialità di una categoria lesiva del pluralismo religioso, tenuta in vita prima dalla teologia cristiana e in seguito dall”intellighentia’ accademica come strumento di egemonia culturale. Dentro il contenitore gnostico, dunque, non rimarrebbe nulla.

Il dibattito attorno a queste problematiche terminologiche e tipologiche non ha, comunque, prodotto conseguenze tangibili.95 Fa eccezione forse la tendenza a delimitare con apici i termini di gnosticismo/gnostico/gnostici.96

Un effetto concreto semmai può essere individuato nella tendenza ad acuire la bipartizione infra-gnostica tra i due domini sethiano e valentiniano. Le sintesi dedicate al sethianesimo da J.D. Turner (2001) e al valentinianesimo da E. Thomassen (2006), entrambi coptologi, soffrono non solo per una tendenza a neutralizzare l’incidenza della documentazione greco-latina sulle coordinate cronologiche, geografiche e speculative, ma soprattutto mancano di un adeguato confronto rispettivamente con i teologumeni valentiniani e sethiani, quasi che i due ambiti non siano permeabili reciprocamente.97 Il problema se entrambi possano concorrere a delineare i tratti di una più generale forma religiosa propriamente gnostica viene eluso.

Analogamente può essere affermato anche per le monografie che hanno segnato il rilancio di interesse, specie in ambito germanico, per i gruppi e le figure di maestri gnostici di cui si dispongono più precise referenze cronologiche e dottrinali tramite le fonti eresiologiche.98 L’approfondimento del loro pensiero teologico raramente si accompagna a uno sforzo comparativo grazie al quale verificare la legittimità e le circostanze della loro collocazione all’interno dell’orizzonte gnostico.

Fa eccezione la monografia che Ch. Markschies (1992) ha dedicato a Valentino.99 Al termine di una escussione, non sempre metodologicamente irreprensibile,100 dei realia disponibili, lo studioso tedesco perviene alla paradossale conclusione che Valentino non possa essere annoverato fra gli esponenti del valentinianesimo e, di conseguenza, non sarebbe corretto considerarlo propriamente uno gnostico. Infatti, nella prospettiva della ’Dogmengeschichte’ Markschies tende a esaurire la categoria di gnosticismo (e valentinianesimo) entro quella più ampia di eresia; il risultato è che il mancato reperimento di prove certe della condanna ecclesiastica di Valentino per eterodossia, impedisce formalmente di porlo sullo stesso piano di Tolomeo, Eracleone e altri valentiniani esplicitamente trattati come eretici dagli antichi autori cristiani.

Appare chiaro, tuttavia, che questa precisazione, legittima a livello di storia della Chiesa e del dogma, non ha eguale peso nel quadro della comparazione storico-religiosa. D’altra parte, come accennato, i moderni paradigmi con cui si è cercato di studiare lo gnosticismo da quasi un secolo a questa parte avevano fin da Jonas abbandonato la sovrapposizione gnosticismo/eresia di estrazione eresiologico-controversistica.

Comunque, in sede di bilancio alcune delle osservazioni critiche avanzate da parte decostruttivista al modello di gnosticismo ampiamente utilizzato nel corso del ’900 meritano di essere seriamente prese in considerazione. Esse, infatti, crediamo possano sancire per molti versi la falsificazione del paradigma ermeneutico ancora oggi ampiamente in uso.101

Come non di rado accade, però, in luogo di una correzione o di una migliore focalizzazione tipologica, l’operazione decostruttiva ha tracimato oltre i limiti del dato storico-filologico pervenendo, almeno sul piano teorico, alla perdita del proprio oggetto di studio, privandolo di identità e, perfino, di esistenza.102

L’estremizzazione della critica decostruttiva trova una spiegazione in primo luogo sul piano ideologico, laddove, come accennato, si nega in via pregiudiziale la possibilità di accedere a una reale conoscenza dei fatti del passato e si destituiscono di fondamento le basi del sapere storico, negandosi al faticoso processo di avanzamento della ricerca col vaglio critico della documentazione.

Nella fattispecie si è preteso di attribuire definitivamente alle fonti antiche relative allo gnosticismo una tendenziosità che le renderebbe inaffidabili e, quindi, inutilizzabili. Ad esempio, Plotino o, prima ancora, Ireneo di Lione si sarebbero costruiti ad arte degli avversari attribuendo loro caratteristiche che ora si pretenderebbe di ritenere fasulle. La categoria di ’gnostikoi’, sotto il cui ombrello Plotino e Ireneo assieme a molti altri autori del Tardo Antico indicavano uno specifico sentire religioso, sarebbe una costruzione artificiale, frutto della retorica narrativa dell’establishment culturale e sociale del tempo.

Gli studiosi moderni, quindi, sarebbero stati vittima di un grande abbaglio, in quanto non avrebbero riconosciuto l’artificialità di quella costruzione ideologica.

La tabula rasa invocata al termine dell’analisi decostruttivistica incorre evidentemente in un fraintendimento di fondo; infatti, le tipologie storico-religiose, come quella di gnosticismo, rappresentano uno strumento euristico, imperfetto ed emendabile, che non va affatto reificato. Altrimenti, ogni volta che esse vanno incontro a un aggiustamento o a una correzione significativa, si corre il rischio di voler eliminare assieme alla categoria scientifica anche l’insieme dei realia che con essa si intendeva studiare.

Ciò non toglie, come si è detto, che vi possano essere categorie, che per la verificata assenza di realia cui ancorare l’indagine, è necessario abbandonare. Non ci sembra, però, il caso dello gnosticismo.

Si tratta, invece, di una categoria da ristrutturare, il che significa in buona sostanza abbandonare il paradigma ermeneutico che la critica decostruttiva, posta in essere dagli studiosi più avveduti ben prima delle avvisaglie dell’ondata decostruttivistica, ha dimostrato lacunoso. Si tratta di articolare un paradigma più efficace, che gli studiosi possano utilizzare a partire dalla consapevolezza della lunga storia che ha condotto all’uso odierno della nozione di gnosticismo.

Inoltre, sovrapporre meccanicamente la categoria di gnosticismo, pur consacrata da un uso pervasivo, a ciò che si cerca di indagare ricorrendo a quello strumento tipologico d’indagine, significa avere la pretesa di essere pervenuti a una sua conoscenza esaustiva. Pretesa che, oltre a considerare vana ogni ulteriore ricerca, obbedisce a una cristallizzazione del sapere che non ha parte alcuna nel bagaglio della Storia delle religioni. Il sorprendente dinamismo e l’imprevedibile varietà di ciò che riguarda l’umano la costringe, come detto, all’umiltà di categorie tutt’altro che assolute, parametri da cui far decollare la comparazione, sempre riformabili e a lungo andare caduchi.

Pertanto, il decostruttivismo appare non tanto pervenire allo scardinamento dell’affidabilità della complessiva ricostruzione comparativa che riguarda lo gnosticismo antico, quanto piuttosto sancire la crisi del paradigma di Jonas-Schenke;103 tuttavia, le sue argomentazioni possono essere in buona misura assunte come pars destruens di un processo di sempre più necessaria, come si è visto, ristrutturazione della categoria di gnosticismo.

9. Per una ristrutturazione della categoria di gnosticismo

Riteniamo che la Storia delle religioni possa contribuire alla ristrutturazione tipologica della nozione di gnosticismo così da offrire ai distinti approcci metodologici alle religioni uno strumento euristico più efficace e affidabile.

Naturalmente questo aggiornamento necessita di alcune precauzioni connesse alla specificità del metodo storico-comparativo che abbiamo delineato in abbrivio, a cominciare da un’urgente verifica dei dati filologici di partenza. Nel far ciò non si può prescindere dal ricorso, avvertito e criticamente equilibrato, a tutte le fonti disponibili.104 Ciò comporta l’abbandono di ogni valutazione pregiudiziale: ogni fonte deve essere valutata una a una.

Va preso atto che le fonti gnostiche dirette in lingua originale sono numericamente assai limitate e la loro tradizione è indiretta (’Lettera a Flora’ e ’Lettera dottrinale Valentiniana’ e una serie di citazioni frammentarie); vanno, pertanto, attentamente considerate modalità e affidabilità di tale tradizione, nonché il genere letterario, le finalità e il contesto da cui provengono.105

I codici di Nag Hammadi assumono, quindi, un’importanza fondamentale, ma il loro ruolo non va assolutizzato: conservano non esattamente fonti originali, ma la versione copta, pervenuta talora in modo frammentario, realizzata attorno al IV-V secolo in circostanze e con finalità ancora non ben precisate.106

Anche tali fonti devono essere sottoposte a un’attenta verifica filologica secondo i criteri utilizzati per quelle greco-latine, che pure scontano le conseguenze di edizioni in taluni casi decisamente antiquate.107 Nel caso di estese sezioni frammentarie, in effetti, sembrerebbe opportuno un atteggiamento più cauto, onde evitare tentativi congetturali rivelatisi assai poco affidabili.108 Inoltre, dal punto di vista metodologico solleva soverchie perplessità la tendenza a collazionare in un unico dettato testuale quegli scritti che sono pervenuti in traduzioni distinte.109

Analogamente a quanto accade all’Adversus Haereses di Ireneo, pervenuto per la gran parte in una traduzione latina del V sec. all’incirca, va debitamente considerata per le fonti copte la possibilità di fraintendimento, deformazione o adattamento, cosciente o no, del testo originale da parte dei traduttori almeno a partire dal differente contesto teologico (per Ireneo, ad esempio, post-niceno).

Maggiore considerazione va riservata alle problematiche circa il genere letterario e gli strumenti retorici utilizzati dagli autori: si pensi alla complessa struttura compositiva della ’Grande Notizia’ di Ireneo sui valentiniani o della natura epitomatica degli ’Estratti da Teodoto’.110

A partire da questa consapevolezza filologica, per la revisione tipologica che auspichiamo va presa in considerazione, caso per caso, l’utilità o meno dei criteri di classificazione di estrazione eresiologica.111 In effetti, la bipartizione sethianesimo/valentinianesimo invalsa negli ultimi decenni appare una incresciosa semplificazione, laddove essa non comprende al proprio interno numerose e significative espressioni gnostiche, come quelle legate a Satornil, Basilide, Carpocrate, Prodico, Giustino, naasseni, perati fino a giungere ai mandei.

Perciò, la consapevolezza della riduttività di quella bipartizione, seppur tanto frequentata, rende palese l’utilità, pur soltanto pratica, di una categoria più ampia, come quella di gnosticismo.

Va da sé, come accennato sopra, che certi teologumeni che concorrono a delineare il profilo tipologico dello gnosticismo decostruito da Williams sulla base delle fonti copte, vanno sottoposti nuovamente a una verifica circostanziata sulla base delle istanze provenienti dalle fonti greco-latine:112 è proprio vero, ad esempio, che Ireneo o Clemente presentano gli gnostici, tutti gli gnostici, come libertini convinti di essere salvi per natura? Ancora, a parte i valentiniani, risponde ai fatti che la visione del mondo propugnata dalla gran parte degli gnostici fosse decisamente anticosmica come sembrerebbe intendere Plotino?

Tornare a una ricognizione delle fonti cristiane o a una lettura di Plotino sulla scorta dei testi rinvenuti a Nag Hammadi potrebbe giovare non poco per allontanare l’impressione che non di rado siano stati gli studiosi moderni ad accentuare pro domo sua la tendenziosità di quanto si legge nelle ’Enneadi’ o in certi passaggi dei resoconti eresiologici.

Infine, non ci si può sottrarre alla constatazione che, al di là delle problematiche classificatorie, l’ancoramento cronologico delle dottrine degli gnostici documentati a Nag Hammadi dipenda dalle fonti greco-latine. Altrimenti i nuovi ritrovamenti rischiano di rimanere in un limbo, di ondeggiare in una bolla sospesa a mezz’aria, quasi neutralizzati nella loro incidenza sulla ricostruzione degli sviluppi storici dello gnosticismo in rapporto con le altre espressioni culturali e religiose del Tardo Antico.113

Una sempre migliore focalizzazione dei parametri cronologici consentirebbe anche una più affidabile valutazione circa la questione delle origini, strettamente connessa al tentativo di reperire il senso stesso della nascita e dello sviluppo di molteplici espressioni religiose gnostiche.114

Vanno considerate, a questo riguardo, le sempre più precise acquisizioni che impediscono di considerare i contesti culturali ellenistici, giudaici e cristiani come compartimenti stagni, ognuno con una loro monolitica identità. Al loro interno confidiamo sia possibile individuare il posto occupato dagli gnostici in grado di catalizzare molteplici elementi di cultura religiosa attorno a una propria specifica visione del mondo e del divino.

Si comprende con ciò come risulti riduttivo il ricorso a una categoria rigida di gnosticismo o di ’biblical demiurgical traditions’, anche debitamente riaggiornata limitandola ai sethiani. Essa, per altro, manterrebbe in vita l’illusione di poter pervenire almeno in parte a individuare uno gnosticismo puro o originario, secondo parametri di ascendenza genetico-evoluzionista.115

Una categoria costituita per via comparativa ricorrendo opportunamente all’analogia esclude, come detto, di per sé ogni distinzione fra dottrine ’più gnostiche’ e ’meno gnostiche’, più pure o meno. Anzi, il corretto e consapevole ricorso a tipologie analogiche esclude persino la possibilità di una definizione univoca di ciò che è gnostico e ciò che non lo è.

Disporre di una categoria ben delimitata permetterebbe di classificare con chiarezza e in maniera potenzialmente definitiva le fonti, in particolare quelle copte. Molti hanno voluto utilizzare in questo senso la cosiddetta ’definizione’ di Messina e M.A. Williams ha dimostrato come ciò non sia praticabile. Lo stesso difetto, una malintesa reificazione tipologica, mina fin dall’origine anche le recenti proposte di nuova ’definizione’ dello gnosticismo, a cominciare da quella proposta da Williams stesso,116 ricavate sulla base di una selezione, alquanto personale invero, degli aspetti gnostici ’più significativi’ individuati nelle fonti.117

Al contrario, la categoria di gnosticismo prende forma a partire dalla constatazione che quegli aspetti distintivi sono variamente presenti e risultano ogni volta diversamente combinati all’interno delle fonti; quindi, non tutti gli ’aspetti’ riconosciuti come inerenti l’espressione religiosa che indichiamo col termine di ’gnosticismo’, devono essere necessariamente e contemporaneamente presenti in una fonte, affinché essa possa essere considerata ’gnostica’. Non si tratta, infatti, di disporre di una categoria univoca, ma di una categoria costituita grazie al ricorso all’analogia, intesa in senso aristotelico. Senza lo strumento analogico, questa tipologia, per così dire, ’combinatoria’ perderebbe ogni vitalità e si cristallizzerebbe inesorabilmente, venendo meno al proprio scopo.118

Di conseguenza, come è invalsa l’abitudine di parlare di giudaismi e di cristianesimi, bisognerà tornare a parlare di gnosticismi, tutti egualmente gnostici, sethiani, valentiniani o altro, il che non sarebbe lontano, pur con tutti i distinguo, da quanto suggerivano fra II e III secolo Ireneo e l’autore della Refutatio omnium haeresium.119

Quindi, evitando metodi sottrattivi, rifuggendo forzature confessionali e ideologiche e mantenendo velleità olistiche di metodo,120 una categoria dinamica e aperta di gnosticismo crediamo possa ancora conservare un ruolo nello studio delle religioni.

Quanto alla individuazione del senso delle espressioni religiose gnostiche, può forse giovare porsi come scopo la verifica che una spiegazione della loro propensione antigiudaica, più o meno accentuata, non sia da ricercare nell’ambito delle ripercussioni sulle speculazioni e pratiche religiose delle comunità giudaico-ellenistiche di I e II secolo della novità cristiana.121

Ora, gli gnostici delle fonti antiche, non ignari gli uni degli altri, possedevano una ’Weltanschauung’ segnata dall’idea di decadenza di una scintilla divina e del suo recupero in un quadro dualistico che giustifica la caduta con un secondo principio non sempre personale, ma talora, come nei valentiniani, a motivo di istanze monoteistiche, configurato come necessità di sistema, con diverse variazioni dell’intensità anticosmica e ascetica, in rapporto col ruolo, più o meno positivo del dio dell’AT; e per l’ascesi, della influenza dell’etica sulla ’gnosis’, sminuendone il ruolo di tendenziale fattore predestinante ed esoterico.

Si tratta di un profilo estremamente caratterizzante nel contesto culturale e specificamente religioso del Tardo Antico. Ciò non significa si possa parlare di una religione gnostica strutturata e organizzata.122 Pare lecito semmai ipotizzare una articolazione settaria complessa, collocata a ridosso della diffusione della novità cristiana presso comunità giudaiche disposte ora a respingerla ora ad accoglierla in misura più o meno sensibile.123

I forti riferimenti scritturistici, la centralità della tematica soteriologica e la concezione di un divino variamente strutturato e graduato tratteggiano la sagoma di forme religiose di ambito giudaico-sapienzale inquadrate entro concezioni medioplatoniche, in cui preponderante risulta l’apporto stoico.124 Esse da un lato rappresentano una conferma della forte componente ellenistica che operò nei giudaismi del Secondo Tempio, o almeno per via osmotica con il cristianesimo nascente,125 e che può forse spiegare l’evidente e peculiare valorizzazione gnostica del tema orfico delle particelle divine sparse nel mondo e conservate nell’uomo.

Tema probabilmente veicolato da alcuni tramiti della tradizione platonica, da cui discende, oltre alla tendenza all’ontologizzazione dell’intellettualismo socratico, anche una pervasiva sensibilità propriamente dualistica, di un dualismo oltremodo sofisticato in certi casi, che rappresenta un altro tratto distintivo di quelle molteplici e tipiche espressioni religiose che confidiamo sia lecito ancora a buon diritto e consapevolmente riunire sotto la categoria, debitamente ristrutturata, di gnosticismo.


1 Utilizziamo questa espressione per indicare il ricorso a categorie storico-religiose aperte e flessibili, in grado di aggiornarsi costantemente col progredire della ricerca, senza rigidità derivanti da presupposti teorici o ideologici.

2 Cfr. N. Spineto, Storia delle religioni, in G. Filoramo – M.G. Giorda – N. Spineto (a cura di), Manuale di scienze della religione, Brescia 2019, 31-52; Il paradosso di Don Ferrante. Note sul concetto di religione e la sua decostruzione «Percorsi Yoga» 75 (2019) 8-14.

3 Cfr. U. Bianchi, Saggi di metodologia della storia delle religioni (Nuovi saggi, 75), Roma 1979, 15-122; G. Sfameni Gasparro, Introduzione alla storia delle religioni, Roma – Bari 2011, 7; M.V. Cerutti, Storia delle religioni. Oggetto e metodo, temi e problemi, Milano 2014, 153-159.

4 Cfr. Bianchi, Saggi di metodologia, 83: “Considereremo il mondo storico della religione come una emersione, variamente coestensiva agli orizzonti stessi dell’indagabile storico, che costituisce come un acrocoro le cui vette e le cui dorsali sono variamente ordinate in serie distinte che si incatenano in punti forti che coincidono con quegli ‘aspetti comuni’ di cui era parola (cioè gli ‘universali storici’, n.d.r.), ma che si definiscono anche in rapporto alla loro posizione, dal punto di vista delle relazioni e delle funzioni”. Cfr. pure U. Bianchi, Il metodo della storia delle religioni, in A. Molinaro (a cura di), Le metodologie della ricerca religiosa (Dialogo di filosofia, 1), Roma 1983, 17-28; Cerutti, Storia delle religioni, 117-127. Sul rapporto tra Bianchi e il maestro R. Pettazzoni in relazione al ricorso all’analogia, cfr. S. Giusti, Analogia metodologica e contrasti teorici fra Raffaele Pettazzoni e Ugo Bianchi, in G. Casadio (a cura di), Ugo Bianchi. Una vita per la storia delle religioni, Roma 2002, 393-400. Per un esempio della perdurante distanza fra il metodo di Bianchi, inteso sostanzialmente come ’fenomenologico’ e ’metafisico’, e quello storicista, cfr. P. Scarpi, Alle origini della comparazione storico-religiosa in Italia. I misteri tra modello tipologico e specifico storico-culturale «Storiografia» 6 (2002) 49-71: 57 n. 54; P. Xella, Laici e cattolici alla scuola di Raffaele Pettazzoni, in M.G. Lancellotti – P. Xella (a cura di), Angelo Brelich e la storia delle religioni: temi, problemi e prospettive. Atti del Convegno di Roma, C.N.R., 3-4 dicembre 2002 (Storia delle religioni, 1), Verona 2005, 21-40: 34-40.

5 Cfr. M.V. Cerutti, Storia delle religioni, 88-89.

6 Con perspicacia J.P. Burris, Comparative-historical Method [Further Considerations], in L. Jones (ed.), Encyclopedia of Religion. Second Edition, Detroit – London – Munich 2005, 1871-1873: 1871, ha osservato che “it is reasonable to say that Bianchi viewed the comparative-historical method as the dynamic fulcrum of the history of religions. The comparative-historical method is very much at the heart of the academic discipline of religion”.

7 Alludiamo alla pretesa di una singola religione (es. il cristianesimo, riformato e non, l’islam), nell’ambito delle proprie esigenze controversistiche, apologetiche e più latamente confessionali, o posizione ideologica (il positivismo scientista, l’evoluzionismo, lo storicismo, il funzionalismo antropologico, il cognitivismo, il decostruttivismo) di ’valutare’ il grado di verità o di qualità o l’esistenza ’reale’ stessa di espressioni religiose. Il risultato è la difficoltà oggi di ricorrere a un linguaggio che appare tendenzioso, retaggio di una egemonia culturale che si tende a superare; si veda l’uso di termini come ’eresia’, ’pagano’, ’idolatria’ e pure ’mitologia’.

8 Cfr. il contributo di N. Spineto in questo volume.

9 Da questo punto di vista un approccio decostruttivo ante litteram può essere intravisto in molte parti dell’articolazione tipologica storico-religiosa di U. Bianchi, così ben delineata fin dall’innovativo Problemi di storia delle religioni (Universale Studium, 56; Nuova Universale Studium, 48), Roma 1958, 19862.

10 Utilizziamo il termine ’decostruttivo’ per indicare la pars destruens della verifica storico-religiosa finalizzata ad accedere a una pars construens, ricostruttiva. Il termine ’decostruttivistico’ indica, invece, il programmatico limitarsi del ’decostruttivismo’ alla pars destruens, ritenendo impossibile, in base alle proprie premesse filosofico-ideologiche, pervenire a una credibile pars costruens. Cfr., circa critiche decostruttive negli studi riguardanti la religione, la veloce sintesi in Cerutti, Storia delle religioni, 134-136.

11 Per una bibliografia di Ugo Bianchi, cfr. M. Monaca, Ugo Bianchi e la Storia delle religioni (Studiorum et Fidei, 8), Roma 2012, 50-76.

12 Sulla categoria di sciamanesimo, bastino i saggi contenuti in A. Saggioro (a cura di), Sciamani e sciamanesimi (Biblioteca di testi e studi, 602), Roma 2010; L. Arcari – A. Saggioro (a cura di), Sciamanesimo e sciamanesimi. Un problema storiografico (Sapienza Sciamanica, 3), Roma 2015, e in particolare quelli firmati da S. Botta. Per la categoria di totemismo, cfr. C. Lévi-Strauss, Le totémisme aujourd’hui, Paris 1962; tr.it. Il totemismo oggi, Milano 1964.

13 Sul problema del giudeo-cristianesimo cfr. le sintesi di P. Mattei, Le christianisme antique. De Jésus à Constantin, Paris 2008, tr. it. Il cristianesimo antico. Da Gesù a Costantino, (Le vie della civiltà), Bologna 2012, 147-153; E. Norelli, La nascita del cristianesimo (Le vie della civiltà), Bologna 2014, 173-179; sulla equivocità della categoria di ’adozionismo’, cfr. già A. Orbe, Estudios valentinianos, III: La unción del Verbo (Analecta Gregoriana, 113), Pontificia Università Gregoriana, Roma 1961, 333-344; sulla difficoltà di circoscrivere i criteri per l’uso dell’etichetta di ’montanista’, cfr. già D. Powell, Tertullianists and Cataphrygians «Vigiliae Christianae» 29,1 (1975) 33-54: 40-41.

14 Cfr. G. Filoramo, Gnosticismo e Storia delle religioni «Storiografia» 6 (2002)13-25: 14 n. 2.

15 Cfr. Henry More, An Exposition of the Seven Epistles to the Seven Churches, together with a Brief Discourse of Idolatry with Application to the Church of Rome, London 1669, 99: ’that which was called Gnosticisme’. Sul significato estremamente estensivo del termine utilizzato dal teologo inglese appartenente ai cosiddetti ’platonici di Cambridge’, cfr. Ch. Markschies, Die Gnosis, München 2001; tr. ingl. Gnosis. An Introduction, London – New York 2003, 14-15.

16 Cfr. A. von Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, vol. I, Freiburg 1888, 162: “Die Gnosis ist akute Hellenisierung des Christentums”.

17 La pubblicazione di testi mandei, di cui si avevano notizie imprecise dal XVII secolo, ebbe inizio soltanto nel XIX secolo; spiccano le prime edizioni del Ginzā (1867) e Qolasta (1867). Invece, alcuni testi gnostici copti conservati nei codici Askewianus e Brucianus, noti dal 1778, furono pubblicati per la prima volta nel 1851 (’Pistis Sophia’) e 1891 (’Libri di Jeu’). Diversamente, per una serie incredibile di peripezie, i testi, pur frammentari, del Papiro di Berlino 8502 (’Vangelo di Maria’, ’Apocrifo di Giovanni’ e ’Sophia di Gesù Cristo’), di cui si ebbe notizia nel 1896, apparvero solo nel 1955.

18 K.L. King, What is Gnosticism?, Cambridge, MA 2003, 71-109.

19 L’origine dei mandei era allora ritenuta pre-cristiana; cfr. W. Brandt, Die Mandäische Religion, J.C. Hinrich, Leipzig 1889; oggi, a parte qualche eccezione (cfr. K. Rudolph, Die Gnosis. Wesen und Geschichte einer spätantiken Religion, Koehler Amelang, Leipzig 1977, 19903; trad. it. La Gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica, Brescia 2000, 438), è condivisa la collocazione nel II-III sec. d.C; cfr. M.V. Cerutti, Dualismo e ambiguità. Creatori e creazione nella dottrina mandea sul cosmo (Nuovi Saggi, 80), Roma 1981, 151-166; E.F. Lupieri, I mandei. Gli ultimi gnostici, Brescia 1993; tr. ingl. The Mandaeans: The Last Gnostics, Grand Rapids, MI 2001, 127-165.

20 Cfr. H. Lietzmann, Ein Beitrag zur Mandäerfrage «Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften, philo. hist. Klasse» (1930) 596-608 (gli scritti mandei sono successivi al canone neotestamentario); C. Colpe, Die religionsgeschichtliche Schule. Darstellung und Kritik ihres Bildes vom gnostischen Erlösermythus, Göttingen 1961 (sulla infondatezza della categoria pre-cristiana del mito del salvatore).

21 In ambito teologico l’apparente astruseria degli eoni valentiniani, in realtà, appartiene ai primi sviluppi di un processo che condurrà all’elaborazione della cristologia e della trinitaria della Grande Chiesa, come dimostrano gli studi di A. Orbe.

22 Cfr. H. Jonas, Gnosis und spätantiker Geist, I: Die mythologische Gnosis mit einer Einleitung fur Geschichte und Methodologie der Forschung, Göttingen 1934, 19542, 19643; II/1: Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Göttingen 1954, 19662; tr. it., Gnosi e spirito tardoantico (Il pensiero occidentale), Milano 2010.

23 Cfr. W. Bauer, Rechtglaubigkeit und Ketzerei in ältesten Christentum, Tübingen 1934.

24 Sulla estrema valorizzazione gnostica dell’uomo, cfr. I.P. Culianu, Les Gnoses dualistes d’Occident: Histoire et Myth, Paris 1987, rist. Paris 1990; tr.. it. I miti dei dualismi occidentali. Dai sistemi gnostici al mondo moderno, Milano 1989, 21, 79, 136, 166 e 219.

25 Cfr., ad esempio, H.-Ch. Puech, Phénoménologie de la Gnose, Annuaire de Collège de France 1953-1956, trad. it., Sulle tracce della Gnosi (Il ramo d’oro), Milano 1985, 225-226 e 231.

26 Per un rapido sguardo d’insieme, che annovera, fra gli altri, J. Bosch, W. Blake, Novalis e A. Rimbaud, cfr. il pur datato S. Hutin, Les gnostiques, Paris 1958; tr. it. Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri (Orizzonti dello spirito, 80), Roma 2007, 121-133. C.G. Jung si interessò direttamente ai codici di Nag Hammadi al tempo del ritrovamento, cfr. H.C. Puech – G. Quispel – W.C. Van Unnik, The Jung Codex, London 1955; cfr. anche G. Quispel, C. G. Jung und die Gnosis «Eranos» 37 (1968) 277-298; R.A. Segal, The Gnostic Jung, Princeton 1992; G. Quispel, Jung, Buber, and Gnosticism Revisited «The San Francisco Jung Institute Library Journal» 19 (2000) 7-9. Utile, fra letteratura e cinema, anche M. Desjardins, Retrofitting Gnosticism. Philip K. Dick and Christian Origins, in T. Pippin – G. Aichele (eds.), Violence, Utopia and the Kingdom of God, London 1998, 122-133. Più in generale A.D. DeConick, The Gnostic New Age. How a Countercultural Spirituality Revolutionized Religion from Antiquity to Today, New York 2016.

27 La seconda parte del secondo volume di Gnosis und spätantiker Geist non vide mai la luce, ma doveva servire a presentare Plotino come un continuatore del pensiero gnostico. Sulle tendenze pangnostiche di Jonas, cfr. M. Simonetti, Alcune riflessioni sul rapporto fra gnosticismo e cristianesimo in «Vetera Christianorum» 28 (1991) 337-374: 341.

28 Cfr. E.H. Pagels, The Gnostic Paul. Gnostic Exegesis of the Pauline Letters, Philadelphia 1975.

29 Cfr. G. Quispel, Gnosis als Weltreligion, Zürich 1951 e pure S.M. Wasserstrom, Religion after religion: Gershom Scholem, Mircea Eliade, and Henry Corbin at Eranos, Princeton, NJ 1999. Siamo di fronte alla forma di destorificazione più acuta dello gnosticismo.

30 Cfr. H. Jonas, Immortality and the Modern Temper «Harvard Theological Review» 15 (1962) 1-20.

31 Cfr. G.G. Scholem, Jewish Gnosticism. Merkabah Mysticism, and Talmudic Tradition, New York 1960, 19652.

32 Alludiamo alla tendenza verso una più o meno marcata invasività filologica sulla base di una normalizzazione linguistica e dottrinale; cfr., per alcuni esempi significativi, G. Chiapparini, Valentino gnostico e platonico. Il Valentinianesimo della ‘Grande Notizia’ di Ireneo di Lione: fra esegesi gnostica e filosofia medioplatonica (Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi 126), Milano 2012, 48-50; Id., Il divino senza veli. La dottrina gnostica della ‘Lettera valentiniana’ di Epifanio, Panarion 31 5-6. Testo, traduzione e commento storico-religioso (Studia Patristica Mediolanensia, 29), Milano 2015, 11-12; Id. (a cura di), Clemente di Alessandria. Estratti da Teodoto: frammenti delle perdute Ipotiposi (Letture cristiane del primo millennio 60), Milano 2020, 126-130; 439-444.

33 Cfr. F. Sagnard, La gnose valentinienne et le témoignage de Saint Irénée, Paris 1947, che precedette la sua edizione degli ’Estratti da Teodoto’, cfr. Clément d’Alexandrie, Extraits de Théodote (SCh 23), Paris 1948. Seguì l’edizione della ’Lettera a Flora’ del valentiniano Tolomeo, affidata a G. Quispel; cfr. Ptolémée, Lettre à Flora (SCh 24), Paris 1948.

34 Cfr. G. Quispel, The Original Doctrine of Valentinus «Vigiliae Christianae» 1 (1947) 43-73; poi in Gnostic Studies, vol. I, Istanbul 1974, 27-36, ricostruzione che, piluccando fra i resoconti eresiologici, realizza una sorta di ’puzzle’ ignorando ogni precauzione filologico-letteraria.

35 La micro-tipologia di valentinianesimo ’orientale’, più antico, e ’occidentale’, più recente, è stata decisamente messa in discussione anche di recente; cfr. G. Sabau, Le modèle sotériologique et l’histoire de la doctrine valentinienne. Une évaluation critique de la thèse d’Einar Thomassen «Vigiliae Christianae» 68 (2014) 119-154; F. Berno, Inauguratio quaedam dividendae doctrinae Valentini: Inconsistencies about Valentinianism’s Split into duae cathedrae between Adversus Valentinianos and De Carne Christi, in A. Destro – M. Pesce (eds.), Texts, Practices, and Groups. Multidisciplinary Approaches to the History of Jesus’ Followers in the First Two Centuries: First Annual Meeting of Bertinoro (2-5 October 2014) (Judaïsme ancien et origines du christianisme), Turnhout 2017, 317-334.

36 Da segnalare soprattutto i sei volumi degli Estudios valentinianos, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1955-1966, fino ai successivi Cristología gnóstica: Introducción a la soteriología de los siglos II y III, 2 voll., Madrid 1976; Introducción a la teología de los siglos II y III, 2 voll., Pontificia Università Gregoriana, Roma 1987; tr.it. La teologia del II e III secolo, 2 voll., Casale Monferrato (AL) – Roma 1995; Estudios sobre la teología cristiana primitiva, Madrid-Roma 1994.

37 Cfr. R.M. Grant, Gnosticism and Early Christianity, New York – London 1959, 19662 (trad. it. Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Bologna 1976), 27-38.

38 Cfr. J. Doresse, Les livres secrets des gnostiques d’Égypte, I: Introduction aux écrits gnostiques coptes découverts à Khénoboskion, II: L’Évangile de Thomas ou les paroles secrètes de Jésus, Paris 1958-1959; H.-Ch. Puech, Gnostische Evangelien und verwandte Dokumente, in E. Hennecke – W. Schneemelcher, Neutestamentliche Apokryphen in deutscher Übertsetzung, I: Evangelien, Tübingen 1959, 158-271.

39 Cfr. W.-C. Till (hrsg.), Die gnostischen Schriften des Koptischen Papyrus Berolinensis 8502, Berlin 1955 (NHC III,1; BG 2).

40 Cfr. M. Malinine – H.-Ch. Puech – G. Quispel (eds.), Evangelium Veritatis, Zürich 1956.

41 Cfr. A. Guillaumont (ed.), The Gospel According to Thomas: Coptic Text Established and Traslated, Leiden 1959.

42 Per una versione della vicenda, cfr. J.M. Robinson, The Nag Hammadi Story, I: The Discovery and Monopoly, II: The Publication (Nag Hammadi and Manichaean studies, 86), Leiden – Boston 2014.

43 Cfr. H. Jonas The Gnostic Religion: The Message of the Alien God and the Beginnings of Christianity, Boston 1958, 19632, 19724, tr.it. Lo Gnosticismo, Torino 1973, 19912.

44 Fra i partecipanti segnaliamo A.J. Festugière, W. Foerster, R.W. Funk, R.M. Grant, M. Krause, G.W. MacRae, K. Rudolph, S. Pétrement, G. Quispel, J. Ries, J.M. Robinson, G. Sfameni Gasparro e R.McL. Wilson.

45 Cfr. G. Sfameni Gasparro, Lo gnosticismo nella prospettiva di Ugo Bianchi: tra storia e tipologia. Una proposta interpretativa alla luce dell’attuale stato della ricerca «Annali di Scienze Religiose» n.s. 9 (2016) 33-84.

46 Su proposta di C.J. Bleeker fu creato un comitato ristretto per predisporre una proposta di “Documento finale”; esso comprendeva, oltre a Bianchi, G. Widengren, H. Jonas, J. Daniélou, C. Colpe, M. Simon e H.I. Marrou; alcuni ebbero a esprimere “delle riserve su alcuni punti, anche importanti, o delle obiezioni”; cfr. U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo. Colloquio di Messina 13-18 aprile 1966. Testi e discussioni – The Origins of Gnosticism. Colloquium of Messina 13-18 April 1966. Texts and Discussions (Studies in the History of Religions. Supplements to Numen, 12), Leiden 1967, xx.

47 Il termine ’definizione’ non compare nel “Documento finale”, ma è alluso quando nel par. III si fa riferimento al par. I; cfr. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xxii.

48 Le proposte erano due: una [A] riguardava la distinzione fra gnosi (“conoscenza dei misteri divini riservata a una élite”) e gnosticismo (“un certo gruppo di sistemi del II secolo d.C, che vengono comunemente così [scil. ’gnostici’, n.d.r.] denominati”); l’altra [B] comprendeva alcune “ipotesi di lavoro” suddivise in sei capitoli; cfr. U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xx-xxiii (in lingua italiana), xxiii-xxvi (francese), xxvi-xxix (inglese), xxix-xxxii (tedesca). Al “Documento” ci si riferisce come a un “Rapporto” a p. xxii (par. III). La proposta del par. IV (p. xxii) verte ancora sulla distinzione gnosi/gnosticismo in relazione alla legittimità delle loro rispettive “storie mondiali”, che travalicano ampiamente i parametri cronologici del II secolo presi semplicemente come punto di partenza metodologico, annotando (n. 2) che l’aggettivo ’gnostico’, onde evitare ambiguità, andrebbe usato solo in relazione allo gnosticismo.

49 Il significativo ruolo di Jonas è ben esplicitato anche dalle precisazioni in nota che accompagnano le “ipotesi di lavoro” e in particolare la distinzione fra due distinte tipologie di degradazione divina, l’una positiva (neoplatonismo), l’altra relativamente negativa (gnosticismo); cfr. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xx-xxi e nn. 2-3. È stato fatto notare che nel “Documento finale” non è stata utilizzata la tipica terminologia messa a punto da Bianchi, in quanto il gruppo di lavoro si riconosceva più facilmente con quella di Jonas; cfr. I.D. Băncilă, Ugo Bianchis Religionsgeschichtliche “Gnosis” und die Gnosisdefinition der Messinakonferenz (1966) «Archaeus» 14 (2010) 69-91: 87.

50 Il paragrafo II delle “ipotesi di lavoro” è dedicato a chiarire questo aspetto del par. I: “non ogni gnosi è lo gnosticismo, ma solo quella che implica (…) l’idea della connaturalità divina della scintilla, (…) l’identità divina del conoscente (lo gnostico), del conosciuto (la sostanza divina del suo Io trascendente) e del mezzo per cui egli conosce (la gnosi come facoltà divina implicita che deve essere risvegliata e attuata; questa gnosi è una rivelazione-tradizione. Questa rivelazione-tradizione è dunque di tipo diverso dalla rivelazione-tradizione biblica e islamica)”; cfr. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xxi.

51 Il paragrafo III si sofferma sulla delimitazione cronologica al II secolo sostenendo la legittimità delle nozioni di pre- (apocalittica giudaica e correnti del giudaismo) e di proto-gnosticismo (mondo indo-iranico, orfismo-pitagorismo e platonismo), ma chiarendo anche l’alterità tipologica dello gnosticismo da giudaismo e cristianesimo a motivo della ’degradazione’ del divino; cfr. U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xxi-xxii.

52 Cfr. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xxii-xxiii. Il par. V è dedicato appositamente a chiarire la categoria di dualismo: “la costituzione del mondo risulta dalla dialettica di due principii irriducibili e complementari (per quanto caratterizzati spesso da disparità di valore)”; ma anche la sua articolazione: a) dualismo anticosmico dello gnosticismo; 2) quello procosmico dello zoroastrismo; 3) infine quello metafisico o dialettico di Platone e del platonismo. Non rientrano nel dualismo (p. xxiii n. 1) nozioni ’binarie’, o contrapposizioni etiche, psicologiche o di estrazione filosofica.

53 Per la distinzione fra dualismo “radicale” e “monarchiano”, cfr., ad esempio, U. Bianchi, Le strutture del male [tra apocalittica e gnosticismo], in M.V. Cerutti (a cura di), Apocalittica e Gnosticismo, Atti del Colloquio Internazionale, Roma, 18-19 giugno 1993, Pisa – Roma 1995, 11-24, ora in L. Bianchi (a cura di), Ugo Bianchi. Religions in Antiquity, vol. II: Gnostica et Manichaica (Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi, 138), Milano 2015, 151-164. Tale nozione complessa di dualismo costituisce un altro esempio di categoria storico-religiosa che si è dimostrata particolarmente utile nell’ermeneutica dello gnosticismo antico, cfr. G. Chiapparini, Valentino gnostico, 297-307 e 327-332; Id., Sulle tracce di Ugo Bianchi: le ’tipologie’ storico-religiose come strumento per lo studio delle fonti gnostiche valentiniane «Annali di Scienze Religiose» n.s. 9 (2016) 121-139.

54 Cfr. U. Bianchi, Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico, Roma 1958; Roma 19822; Id., Tipologia storica delle religioni e comparazione: il caso del dualismo «Annals of the Sergiu Al-George Institute» 6-8 (2004) 7-16, ora in L. Bianchi (a cura di), Ugo Bianchi. Religions in Antiquity, vol. I: Christiana (Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi, 132), Milano 2014, 1-11. Per un’analisi più precisa della posizione di Bianchi e per adeguati rimandi bibliografici, cfr. M.V. Cerutti, Ugo Bianchi e il dualismo, in Casadio (a cura di), Ugo Bianchi, 291-326. La tipologia di ’dualismo’ in senso storico-religioso è delineata in maniera chiara da M.V. Cerutti, Per una tipologia storica del dualismo «Studi e materiali di Storia delle Religioni» n.s. 7 (1983) 263-277.

55 Questa funzione di ’punto di partenza’ è ben marcata dall’ultimo lapidario punto della “proposta” (par. VI): “Il Colloquio esprime il voto che la ricerca futura approfondisca l’aspetto cultuale e sociologico dello gnosticismo”; cfr. U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, xxiii.

56 In questo senso, ad esempio, cfr. R.McL. Wilson, Gnosis and the New Testament, Oxford 1968, 1-30.

57 J. Ries, Un regard sur la méthode historico-comparative en histoire des religions, in G. Sfameni Gasparro (a cura di), Ἀγαθἡ ἐλπίς. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi, Roma 1994, 121-148: 134. Analoghe considerazioni in R. van den Broek, Gnostic Religion in Antiquity, Cambridge 2013, 6-7: “The Messina description of the characteristics of second-century Gnosticism is still broadly accepted, albeit with qualifications” (p. 7).

58 Sulle principali critiche post-Messina, cfr. A. Cosentino, Le origini dello gnosticismo. A quarant’anni dal Congresso di Messina (1966), in G. Sfameni Gasparro – A. Cosentino – M. Monaca (eds.), Religion in the History of European Culture, Proceedings of the 9th EASR Annual Conference and IAHR Special Conference, 14-17 September 2009, Messina (Italy) (Biblioteca dell’Officina di Studi Medievali, 16.2), Palermo 2013, 267-281.

59 Si tratta di un apporto da ascrivere principalmente a U. Bianchi, nella prospettiva dei suoi studi precedenti sui misteri e la misteriosofia, secondo I.D. Băncilă, Ugo Bianchis Religionsgeschichtliche “Gnosis”, 69-71.

60 Cfr. Rudolph, La Gnosi, 47 e 346-347. Il discredito sugli eresiologi era ben diffuso fin da E. De Faye, Gnostiques et gnosticisme. Étude critique des documents du Gnosticism chrétien aux IIe et IIIe siècle, Paris 1913, 19252, 335-336; sintomatiche per il dopo Nag Hammadi le posizioni di F. Wisse, The Nag Hammadi Library and the Heresiologists «Vigiliae Christianae» 25 (1971) 205-223; E. Pagels, Conflicting versions of valentinian Eschatology: Irenaeus’ Treatise Vs. The Excerpts from Theodotus «Harvard Theological Review» 67 (1974) 35-53; H.-M. Schenke, Die Relevance der Kirchenväter für die Erschliessung der Nag-Hammadi-Texte, in J. Irmscher – K. Treu (hrsgg.), Das Korpus der griechischen christlichen Schriftsteller. Historie, Gegenwart, Zukunft, (Texte und Untersuchungen, 120), Berlin 1977, 209-218.

61 Cfr. H.-M. Schenke, Das sethianische System nach Nag-Hammadi-Handschriften, in P. Nagel (hrsg.), Studia Coptica, vol. XLV, Berlin 1974, 165-173; The Phenomenon and Significance of Gnostic Sethianism, in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism. Proceedings of the International Conference on Gnosticism at Yale New Haven, Connecticut, March 28-31, 1978, II: Sethian Gnosticism, Leiden 1981, 588-616, ampliando la selezione di testi proposta da F. Wisse, The Nag Hammadi Library and the Heresiologists, 205-223. Significativa la ricezione della nuova categoria da parte di U. Bianchi, Il male nel dualismo gnostico «Parola spirito e vita» 19 (1989) 199-208: 202; G. Filoramo, L’attesa della fine. Storia della gnosi, Roma – Bari 1983, 26-31 e 105; G. Casadio, Antropologia gnostica e antropologia orfica nella notizia di Ippolito sui Sethiani, in F. Vattioni (a cura di), Sangue e antropologia nella teologia, Atti della VI settimana di studi, Roma 23-28 novembre 1987, Roma 1989, 1295-1350, poi rielaborato in Vie gnostiche all’immortalità, Brescia 1997, 20-29. Perplessità sono state espresse da F. Wisse, Stalking those Elusive Sethians, in Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, II, 563-576; R. van den Broek, The Present State of Gnostic Studies «Vigiliae Christianae» 37 (1983) 41-71: 53-56; G. Chiapparini, Anticosmismo e procosmismo negli gnostikoi del II e III secolo. A proposito del “paradigma ermeneutico” di H. Jonas «Annali di Scienze Religiose» 9 (2004) 325-371: 343-344; Id., Gnosticismo: fine di una categoria storico-religiosa? A proposito di alcune tendenze recenti nell’ambito degli studi gnostici «Annali di Scienze Religiose» 11 (2006) 181-217: 184-189.

62 Solitamente rientrano tra le fonti del sethianesimo i testi copti di Nag Hammadi Apocryphon Johannis (NHC II, 1; III, 1; IV, 1; versione di BG e il parallelo di Ireneo, Adv. Haer., I, 29), Zostrianus, Allogenes, Marsanes, Melchisedech, Hypostasis Archonton, Euangelium Aegyptiorum, Apocalypsis Adam, Norea, Protennoia trimorphe e Tres columnae Seth, cui vanno aggiunti Anonimus Brucianus e le dottrine riferite da Epifanio, Pan., 26, 39-40.

63 Cfr. Ps. Tert., Adv. Omn. Haer. 2,7-9 Kroymann 1404-1405 («Sethoitai«); Epiph., Pan. 39,1-8 Holl II 71-80 (οἱ Σηθιανοὶ ἀπὸ Σήθ); Hipp., Ref. V 19,1-24,2 Wendland 116-125 (οἱ Σηθιανοί).

64 Cfr. J.M. Robinson (ed.), The Nag Hammadi Library in English, San Francisco – Leiden 1977.

65 Il convegno si proponeva fin dal titolo di dare finalmente una nuova immagine dello gnosticismo a partire dalla bipartizione sethiani/valentiniani, come rimarcano il titolo (Rediscovery of Gnosticism) e la bipartizione in due separati volumi degli atti (I: The School of Valentinus, 1980; II: Sethian Gnosticism, 1981), curati da B. Layton.

66 Sull’inaffidabilità di ipotesi interpretative basate su ’cristianizzazione secondaria’ o ’decristianizzazione’ dei testi copti, cfr. L. Painchaud, La classification des textes de Nag Hammadi et le phénomène des réécritures, in L. Painchaud – A. Pasquier (éds.), Les textes de Nag Hammadi et le problème de leur classification, Actes du Colloque tenu à Québec du 15 au 19 septembre 1993, Québec – Louvain – Paris 1995, 51-86.

67 Per ’produttivo’ intendiamo un teologumeno che innesca una sorta di reazione a catena, catalizzando in maniera molto peculiare concezioni e pratiche presenti anche in altri contesti religiosi, ma orientate diversamente; è il caso, ad esempio, del dualismo ontologico gnostico, che comporta una ermeneutica alternativa dei dati scritturistici giudaici e cristiani circa fasi protologiche, cosmogonia e antropogonia, cristologia, soteriologia, escatologia, ma anche ascetismo, sessualità, politica e pure eucarestia, battesimo, unzione. Troviamo analogie circa questo aspetto in quanto osserva M.V. Cerutti, Storia delle religioni, 149 a proposito della “creatività culturale” del cristianesimo.

68 Questa metafora tettonico-geografica è suggerita da U. Bianchi, Saggi di metodologia della storia delle religioni, Roma 1979, 83 e 175. Cfr. pure le note 4 e 118.

69 Per una critica ben documentata e opportuni rimandi bibliografici, cfr. E.M. Yamauchi, Pre-Christian Gnosticism. A Survey of the Proposed Evidence, Grand Rapids, MI 1973, posizione ripresa in Pre-Christian Gnosticism in the Nag Hammadi Texts? «Church History», 48 (1979) 129-141; Id., Pre-Christian Gnosticism, the New Testament and Nag Hammadi in recent debate «Themelios» 10 (1984) 22-27; e Id., The Issue of Pre-Christian Gnosticism reviewed in the Light of the Nag Hammadi Texts, in J.D. Turner – A. McGuire (eds.), The Nag Hammadi Library after Fifty Years. Proceedings of the 1995 Society of Biblical Literature Commemoration, Leiden – New York – Köln 1997, 72-88.

70 Cfr. E. Pagels, Gnostic Gospels, New York 1979; tr. it. I Vangeli gnostici, Milano 1981. Per una nota critica, cfr. G. Chiapparini, “Vangeli gnostici”: conoscenza come Insight? Rilevanza per la vita cristiana «Credere Oggi» 39,1 (2019) 49-66.

71 Alludiamo all’operazione mediatica attorno alla pubblicazione del Vangelo di Giuda (2006), all’insistenza sui cristianesimi perduti, vangeli segreti, parole nascoste di Gesù, sue frequentazioni femminili, senza tralasciare sospetti circa la circolazione e falsificazione della documentazione (M. Smith, K.L. King).

72 Cfr. J.M. Robinson et alii (eds.), The Facsimile Edition of the Nag Hammadi Codices, 12 voll., Leiden 1972-1984.

73 Si tratta della “Coptic Gnostic Library’, della ’Bibliotèque copte de Nag Hammadi’ e della ’Nag Hammadi Deutsch’.

74 Cfr. già G.W. MacRae, The Jewish Background of the Gnostic Sophia Myth «Novum Testamentum» 12 (1970) 86-101; ma soprattutto A.F. Segal, Two Powers in Heaven. Early Rabbinic Reports about Christianity and Gnosticism, Leiden 1977; G.A.G. Stroumsa, Another Seed: Studies in Gnostic Mythology, Leiden 1984; J.E. Fossum, The Name of God and the Angel of the Lord. Samaritan and Jewish Concepts of Intermediation and the Origin of Gnosticism, Tübingen 1985; e la sintesi di B.A. Pearson, Gnosticism, Judaism and Egyptian Christianity, Minneapolis, MN 1990.

75 Cfr. S. Pétrement, Le Dieu séparé. Les origines du gnosticisme (Patrimoines. Gnosticisme), Paris 1984.

76 Cfr. S. Pétrement, A Separate God. The Christian Origins of Gnosticism, San Francisco 1990.

77 Cfr. H.J. Krämer, Der Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam 1964, 19672; J. Dillon, The Middle Platonists, 80 B.C. to A.D. 220, London 1977, tr. it. I medioplatonici: uno studio sul platonismo (80 a.C.-220 d.C.) (Temi metafisici e problemi del pensiero antico, 118), Milano 2010.

78 Cfr. D.Th. Runia (ed.), Plotinus amid Gnostics and Christians, Symposium held at the Free University, Amsterdam, on 25 January 1984, Amsterdam 1984; R.T. Wallis – J. Brogman (eds.), Neoplatonism and Gnosticism, Papers presented at the International Conference on Neoplatonism and Gnosticism, University of Oklahoma, Mar. 18-21, 1984 (Studies in Neoplatonism: Ancient and Modern, 6), Albany 1992; A. Magris, La logica del pensiero gnostico, Brescia 1997; J.D. Turner – R.D. Majercik (eds.), Gnosticism and later platonism: themes, figures and texts (SBL Symposium Series, 12), Society of Biblical Literature, Atlanta 2000; J.D. Turner, Sethian gnosticism and the platonic tradition (Bibliothèque Copte de Nag Hammadi. Études, 6), Québec – Louvain – Paris 2001.

79 L’espressione “Proletarierplatonismus” è di W. Theiler, Gott und Seele im kaiserzeitlichen Denken, in P. Courcelle et alii, Recherches sur la tradition platonicienne. Entretiens sur l’antiquité classique de la Fondation Hardt, Vandoeuvres – Genève 12- 20 août 1955, t. III, Vérone 1957, 65-94: 78, ed è ripresa da P.L. Donini, Le scuole, l’anima, l’impero. La filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino 1982, 147-148.

80 Cfr. G. Filoramo, Dualismo platonismo gnosticismo nell’interpretazione inattuale di Ugo Bianchi «Annali di Scienze Religiose» n.s. 9 (2016) 85-98. Per un rapido e preciso sguardo sulla parabola scientifica di Bianchi, cfr. G. Sfameni Gasparro, Ugo Bianchi e la storia delle religioni: l’eredità di un Maestro, in M. Geraci – A. Ndreca (a cura di), Insigni Maestri. Tra storia, etnologia e religione. Atti della giornata di studi in onore di Bernardo Bernardi, Ugo Bianchi, Teobaldo Filesi, Vinigi L. Grottanelli, Italo Signorini, Città del Vaticano, 19 aprile 2018 (Percorsi culturali, n.s. 29), Roma 2020, 31-58.

81 Per ’scalarità’ si intende la presenza di una graduazione ontologica che comporta diversità di ’intensità’ all’interno della compagine divina, mentre con l’espressione ’necessità di sistema’ si vuole indicare la presenza di un secondo principio non personale, ma ugualmente attivo come sfondo che condiziona in sede protologica le modalità dell’attività divina; cfr. U. Bianchi, Il dualismo come categoria storico-religiosa «Rivista di storia e letteratura religiosa» 9 (1973) 3-16; Id., Prometeo, Orfeo, Adamo; Id., Le Gnosticisme: Concept, Terminologie, Origines, Délimitation, in B. Aland (hrsg.), Gnosis. Festschrift für Hans Jonas, Göttingen 1978, 33-64, ora in L. Bianchi (a cura di), Gnostica et Manichaica, 3-33; e ascrivibili alla scuola bianchiana, G. Sfameni Gasparro, Gnostica et Hermetica. Saggi sullo gnosticismo e sull’ermetismo (Nuovi saggi, 82), Roma 1982; Id. (a cura di), Ἀγαθἡ ἐλπίς. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi.

82 A livello antropogonico emerge in talune fonti una concezione per la quale le circostanze del primo intervento creativo divino sull’uomo ne implicano un secondo, in senso non necessariamente ’cronologico’, per ovviare ad alcuni effetti, pur ancora di là da venire, di quello; cfr. U. Bianchi (a cura di), La “doppia creazione” dell’uomo negli Alessandrini, nei Cappadoci e nella gnosi (Nuovi saggi, 71), Roma 1978; U. Bianchi, Dieu unique et création double: pour une phénomenologie du dualisme, in Orientalia J. Duchesne-Guillemin emerito oblata (Acta Iranica, 23; Deuxième série. Hommages et opera minora, 9), Leiden 1984, 49-60, ora in L. Bianchi (a cura di), Gnostica et Manichaica, 95-104.

83 Il male è inteso o come effetto di un agire (’etico’) o come una realtà ontologica; in questo secondo caso, tuttavia, può configurarsi come una sostanza dotata di consistenza (’convesso’) oppure come mancanza di essere, intendendo questo come bene e la sua assenza (’concavo’) come male; cfr. U. Bianchi, Théologie et théorie du mal aux premiers siècles de l’ère nouvelle «Le Muséon» 100 (1987) 1-11, ora in L. Bianchi (a cura di), Gnostica et Manichaica, 105-113; Il male nel dualismo gnostico; Le strutture del male.

84 Cfr. U. Bianchi, Selected essays on gnosticism, dualism and mysteriosophy (Studies in the history of religions, 38), Leiden 1978; U. Bianchi – M.J. Vermaseren (a cura di), La soteriologia dei culti orientali nell’Impero romano. Atti del Colloquio internazionale su ’La soteriologia dei culti orientali nell’Impero romano’, Roma, 24-28 settembre 1979 (Études préliminaires aux religions orientales dans l’Empire romain, 92), Leiden 1982; G. Sfameni Gasparro, Misteri e Teologie. Per la storia dei culti mistici e misterici nel mondo antico (Hierà, 5), Cosenza 2003, 20092.

85 Cfr. P. Pisi, Genesis e phthorà. Le motivazioni protologiche della verginità in Gregorio di Nissa e nella tradizione dell’enkrateia (Nuovi Saggi, 81), Roma 1981; G. Sfameni Gasparro, Enkrateia e antropologia. Le motivazioni protologiche della continenza e della verginità nel cristianesimo dei primi secoli e nello gnosticismo (Studia Ephemeridis Augustinianum, 20), Roma 1984; U. Bianchi (a cura di), La Tradizione dell’enkrateia. Motivazioni ontologiche e protologiche, Atti del colloquio internazionale, Milano, 20-23 aprile 1982, Roma 1985.

86 Cfr. M.V. Cerutti, Antropologia e Apocalittica (Storia delle religioni, 7), Roma 1990; Ead. (a cura di), Apocalittica e Gnosticismo.

87 Cfr. U. Bianchi – H. Crouzel (a cura di), Arché e Telos, L’antropologia di Origene e di Gregorio di Nissa. Analisi storico-religiosa. Atti del Colloquio, Milano, 17-19 maggio 1979, Milano 1981; G. Sfameni Gasparro (a cura di), Destino e salvezza: tra culti pagani e gnosi cristiana. Itinerari storico-religiosi sulle orme di Ugo Bianchi (Hierà, 2), Cosenza 1998.

88 Cfr. M.V. Cerutti, Monoteismo, politeismo, dualismo: aspetti del confronto tra pagani e cristiani nel tardoantico, Milano 2003; G. Sfameni Gasparro, Dio unico, pluralità e monarchia divina. Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico (Scienze e Storia delle Religioni, n.s. 12), Brescia 2010.

89 Cfr. U. Bianchi, L’uomo gnostico di fronte al divino e al mondo, in J. Ries (a cura di), Crisi, rottura e cambiamenti (Trattato di Antropologia del Sacro, 4), Milano 1995, 143-161, ora in L. Bianchi (a cura di), Gnostica et Manichaica, 165-179.

90 Per una panoramica sulle diverse posizioni gnostiche circa la dimensione cosmico-mondana e la sostanziale marginalità di quelle più anticosmiche, cfr. Chiapparini, Anticosmismo e procosmismo, 325-371.

91 Cfr. G. Chiapparini, Valentino gnostico, 345-352.

92 Cfr. M.A. Williams, Rethinking “Gnosticism”: An Argument for Dismantling a Dubious Category, Princeton, NJ 1996.

93 Cfr. M.A. Williams, Rethinking, 263-266.

94 Cfr. K.L. King, What Is Gnosticism?

95 Il dibattito si è ampiamente articolato, come si evince dai saggi raccolti in A. Marjanen (ed.), Was There a Gnostic Religion?, Helsinki 2005. Consente, ad esempio, con la linea Williams-King N. Denzey Lewis, Introduction to “Gnosticism”. Ancient Voices, Christian Worlds, Oxford 2013, tr. it. I manoscritti di Nag Hammadi. Una biblioteca gnostica del IV secolo (Frecce, 183), Roma 2014, 47-69 (cap. 2 ’La questione dello gnosticismo’). Più moderata la cosiddetta ’scuola di Yale’ (B. Layton, D. Brakke, S. Emmel); cfr. D. Brakke, The Gnostics: Myth, Ritual, and Diversity in Early Christianity, Cambridge, MA 2011, 1-28. In Italia, fra le espressioni di dissenso, cfr. G. Filoramo, Gnosticismo e Storia delle religioni «Storiografia» 6 (2002) 13-25: 23; G. Sfameni Gasparro, Temi apocalittici nello gnosticismo, in R. Uglione (a cura di), “Millennium”: l’attesa della fine nei primi secoli cristiani. Atti delle III giornate patristiche torinesi, Torino 23-24 ottobre 2000, Torino 2002, 101-141: 103 n. 7; Introduzione, in La conoscenza che salva. Lo Gnosticismo: temi e problemi, Soveria Mannelli (Cz) 2013, 9-35: 11-15; G. Chiapparini, Gnosticismo: fine di una categoria storico-religiosa? ; rec. di K.L. King, What is Gnosticism?, 2003 «Aevum» 80,1 (2006) 236-242. Negativa la valutazione anche di R. van den Broek, Gnostic Religion in Antiquity, Cambridge 2013, 7-8.

96 Cfr. N. Denzey Lewis, Introduction to “Gnosticism”, sintesi rigorosamente limitata alle fonti copte.

97 Cfr. J.D. Turner, Sethian gnosticism and the platonic tradition; E. Thomassen, The spiritual seed. The Church of the “Valentinians”, Leiden 2006 (si notino gli apici). In linea decostruttiva circa i valentiniani, cfr. I. Dunderberg, Beyond Gnosticism. Myth, Lifestyle, and Society in the School of Valentinus, New York 2008, specie 14-31 (cap. 1: “The School of Valentinus after Gnosticism”). Per un bilancio del dibattito sul ripensamento della categoria di valentinianesimo, cfr. F. Bermejo – F. Berno, Los valentinianos. Un ensayo de status quaestionis, in G. Cano Gómez – C. Sanvito – A. Sáez Gutiérrez (eds.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, VII: Gnosis, Valentín, Valentinianos, Madrid 2018, 133-174: 139-142. Un segnale della riduzione dell’impermeabilità della suddivisione valentiniani/sethiani e di un ricorso più equilibrato alle fonti greco-latine e copte può essere scorto nei contributi presentati alla conferenza sul Valentinianesimo tenuta a Roma nell’ottobre 2013; cfr. Ch. Markschies – E. Thomassen (eds.), Valentinianism: New Studies (Nag Hammadi and Manichaean Studies, 96), Leiden – Boston 2020.

98 Cfr. W.A. Löhr, Basilides und seine Schule. Eine Studie zur Theologie- und Kirchengeschichte des zweiten Jahrhunderts (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament, 83), Tübingen 1996; A. Wucherpfennig, Heracleon Philologus: Gnostische Johannesexegese im zweiten Jahrhundert (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament, 142) Tübingen 2002; S. Haar, Simon Magus: The First Gnostic? (Beihefte zur Zeitschrift fur die Neutestamentliche Wissenschaft, 119), Berlin – New York 2003. Un caso a parte è rappresentato da B. Witte, Das Ophiten-diagramm nach Origenes’ Contra Celsum VI 22-38 (Arbeiten zum spätantiken und koptischen Ägypten, 6), Altenbergen 1993.

99 Cfr. Ch. Markschies, Valentinus Gnosticus? Untersuschungen zur Valentinianischen Gnosis mit einem Kommentar zu den Fragmenten Valentins (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament, 65), Tübingen 1992.

100 Cfr. M. Simonetti, Valentinus Gnosticus. Due note bibliografiche «Cassiodorus» 1 (1995) 197-205.

101 Cfr. G. Chiapparini, Gnosticismo: fine di una categoria storico-religiosa?, 199-200.

102 Lo gnosticismo è la reificazione di un’entità retorica creata artificialmente dagli studiosi, senza aggancio con la realtà per King, What is Gnosticism?, 3 (“an artificial entity reified”), 6 (“scholarly invention”) e 189 (“reification of a rhetorical entity into an actual phenomenon”).

103 In base a quanto evidenziato in precedenza, appare come un grave fraintendimento, invece, identificare nel “Documento finale” del Colloquio di Messina il manifesto della concezione ’classica’ di gnosticismo propugnata da Jonas, come fa N. Denzey Lewis, I manoscritti di Nag Hammadi, 52-55 (dove per altro appare una versione italiana della cosiddetta “definizione di Messina” tradotta dall’inglese).

104 Cfr. le osservazioni circa l’uso equilibrato e completo delle fonti di G. Filoramo, Luce e gnosi. Saggio sull’illuminazione nello gnosticismo (Studia ephemeridis Augustinianum, 15), Roma 1980, 123 n. 1; R. van den Broek, The Present State of Gnostic Studies «Vigiliae Christianae» 37 (1983) 41-71: 54; I.P. Culianu, Gnosticismo e pensiero moderno: Hans Jonas, Roma 1985, 17.

105 Si pensi ai cosiddetti ’Estratti da Teodoto’ rivelatisi non un’ampia raccolta di frammenti valentiniani, ma un testo eresiologico in cui Clemente di Alessandria riporta rare citazioni letterali delle sue fonti; cfr. G. Chiapparini, Introduzione, in Id. (a cura di), Estratti da Teodoto: frammenti, 7-132: 47-85. Il problema riguarda numerosi frammenti di scritti gnostici, come quelli di Tolomeo ed Eracleone. La definizione del contesto, spesso di tipo esegetico, delle fonti frammentarie risulta particolarmente ardua. Altro problema è quello delle finalità, come nel caso della “Lettera a Flora”, il cui valore è da taluni sminuito per i suoi presunti scopi proselitistici.

106 Cfr. A. Camplani, Cinquant’anni da Nag Hammadi «Adamantius» 4 (1998) 76-90: 77; Filoramo, Luce e gnosi, 123 n. 1; R. Van den Broek, The Present State of Gnostic Studies, 42. Sulla provenienza monastica, cfr. H. Lundhaug – L. Jenott, The Monastic Origins of the Nag Hammadi Codices (Studien und Texte zu Antike und Christentum, 97), Tübingen 2015.

107 Emblematici i casi di Eracleone, cfr. A.E. Brooke (ed.), The Fragments of Herakleon. Newly edited from the Mss. with an Introduction and Notes (Texts and Studies, 1.4), Cambridge 1891; e Tolomeo, cfr. G. Quispel, Lettre à Flora.

108 Cfr. R. Kasser – Ph. Luisier, Bodmer XLIII: un feuillet de Zostrien «Le Muséon» 120, 3-4 (2007) 251-272, che palesa le difficoltà nell’introdurre congetture affidabili nelle edizioni dei testi di Nag Hammadi. D’altra parte, basti confrontare le tre edizioni (due nella stessa collana!), succedutesi in breve tempo, di un altro testo molto frammentario come la cosiddetta Expositio Valentiniana (NHC XII,2); cfr. J.É. Ménard, L’Exposé valentinien. Les fragments sur le baptême et sur l’eucharistie (NH XI, 2) (Bibliothèque copte de Nag Hammadi. Section Textes, 14), Québec 1985; E. Pagels – J.D. Turner, A Valentinian Exposition (NHC XI, 2) with 2a: On the Anointing ; 2b,c: On Baptism A and B, 2d,e: On the Eucharist A and B, in C. W. Hedrick (ed.), Nag Hammadi Codex XI, XII, XIII (Nag Hammadi Studies, 28), Leiden 1990, 89-172; W.-P. Funk – J.-P. Mahé, Exposé du mythe valentinien et textes liturgiques (NH XI,2 + 2A-C) (Bibliothèque copte de Nag Hammadi, Section Textes, ٣٦), Québec – Louvain – Paris ٢٠١٦. Quanto all’effettivo testo copto del Vangelo di Giuda, cfr. A. DeConick, The Thirteenth Apostle. What the Gospel of Judas Really Says, London – New York 2007.

109 Cfr. J.M. Robinson (ed.), Nag Hammadi Library in English, 40-51 (il testo del Vangelo di Verità I,3 vale anche per XII,2); 105-123 (Apocrifo di Giovanni II,1 e IV,1 sono presentati integrati l’uno con l’altro; le versioni di III,1 e BG 8502,2 tralasciate); 171-189 (Sull’origine del mondo II,5 vale pure per XIII,2); 209-219 (la versione del Vangelo degli Egiziani di III,2 è integrata con quella di IV,2); 222-243 (il testo di Eugnostos fonde III,3 e V1 ed è posto in sinossi con quello della Sophia di Gesù Cristo di III,4 in alcune parti supplita in base a BG 8502,3).

110 Cfr. G. Chiapparini, Valentino gnostico, 279-296; Estratti da Teodoto. Frammenti, 80-123.

111 Per l’inesistenza dei ’cainiti’, cfr. B.A. Pearson, Gnosticism, Judaism and Egyptian Christianity, 95-107 (cap. “Cain and the Cainites”). Invece, fra le classificazioni moderne, emergono dubbi sull’effettiva appartenenza di Teodoto al valentinianesimo; cfr. G. Chiapparini, Estratti da Teodoto. Frammenti, 87-88, 100-101 e 116-117.

112 L’invito di Williams a ’ripensare’ lo gnosticismo può essere inteso soprattutto come incitamento a tornare a leggere le fonti gnostiche; cfr. M.R. Desjardins, Rethinking the Study of Gnosticism «Religion and Theology» 12,3-4 (2005) 370-384: 377-378.

113 Si veda il caso, ad esempio, del Trattato Tripartito (NHC I,5) o della Esposizione valentiniana (NHC XI,2) la cui datazione oscilla fra I e III e perfino IV secolo della nostra era.

114 Sull’importanza di porsi il problema del senso, cfr. U. Bianchi, Storia delle religioni, in L. Sartori (a cura di), Le scienze della religione oggi. Atti del convegno tenuto a Trento il 20-21 maggio 1981 (Pubblicazioni dell’Istituto di scienze religiose in Trento, 4), Bologna 1983, 145-175: 160; Il metodo della storia delle religioni, 17-28: 27.

115 Alludiamo all’idea di un tronco da cui si dipartano dei rami o di un capostipite da cui per variazioni ’genetiche’ abbiano preso forma specie distinte, alcune delle quali molto lontane dall’originale e suscettibili di essere confuse con altre famiglie (come il caso dei cetacei in rapporto al fatto che si tratti di mammiferi e non di pesci). Similmente, cfr. U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza (Nuovi Saggi, 66), Roma 1976, rist. 1991, 4.

116 Cfr. M.A. Williams, Rethinking ’Gnosticism’, 265: “The category ‘biblical’ demiurgical could be fairly clearly defined. It would include all sources that made a distinction between the creator(s) and controllers of the material world and the most transcendent divine being, and that in so doing made use of Jewish or Christian scriptural traditions. This category would not simply be a new name for ‘gnosticism’, however, since it would not precisely correspond to the grouping included in most anthologies of ’gnostic’ sources or discussions of this subject”. Per una valutazione positiva della nuova tipologia, cfr. R. Cox, By the Same Word: Creation and Salvation in Hellenistic Judaism and Early (Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft, 145), Berlin 2007, 280-283.

117 Cfr. Ch. Markschies, Gnosis, 15-17: fra gli aspetti caratteristici include la distinzione dio sommo/dio creatore inferiore, l’alienazione mondana, la scintilla divina nell’uomo e la tendenza al dualismo; M. Meyer, Gnosticism, Gnostics, and the Gnostic Bible, in W. Barnstone – M. Meyer (eds.), The Gnostic Bible, Boston, MA – London 2003, 1-19: 15-16, dove elenca cinque punti, che successivamente presenta in modo più sintetico, cfr. M. Meyer, The Gnostic Gospels of Jesus: The Definitive Collection of Mystical Gospels and Secret Books About Jesus of Nazareth, San Francisco 2005, xiii: “Gnostic religion is a religious tradition that emphasizes the primary place of gnosis, or mystical knowledge, understood through aspects of wisdom, often personified wisdom, presented in creation stories, particularly stories based on the Genesis accounts, and interpreted by means of a variety of religious and philosophical traditions, including Platonism, in order to proclaim a radically enlightened way and life of knowledge”. L’ancor più stringata definizione proposta da A. Marjanen, che egli stesso definisce ’bipolare’ in quanto basta su due elementi principali, permette di individuare le fonti gnostiche “on the basis that they contain a notion of (an) evil or ignorant world creator(s) separate from the highest divinity most clearly proves the point (…), they presuppose that the human soul or spirit originates from a transcendental world and, having become aware of that, has the potential of returning there after life in this world”, ‘Gnosticism’, in S.A. Harvey – D.G. Hunter (eds.), Oxford Handbook of Early Christian Studies, Oxford 2008, 203-220: 210.

118 In questo senso, mutatis mutandis, cfr. Bianchi, Saggi di metodologia, 175: “Il concetto di religione non può essere inteso come un ‘univoco’ ma solo come un ‘analogo’, cioè non come un genere (l’esempio dell’albero), ma come relativo ad un complesso di serie variamente intersecantesi in punti forti, non sempre gli stessi, il tutto costituendo una specie di acrocoro o di ‘catena’ in cui A si avvicina a B per certi rispetti (‘aspetti’) e B a C per altri e così via, ove A, B, C, non sono dei singoli fenomeni ma complessi e processi; insomma non una epistemologia del concetto astratto di genere, ma del concetto storico, di questo ‘universale concreto’ o ‘universale storico’ (…) che è per la storia delle religioni il fenomeno ‘analogo’ che è la religione, quale risultante da comunanze variamente correlate di ‘aspetti’ (non di comuni denominatori) e da una tipologia storica che è il frutto dell’applicazione della ricerca storico-religiosa”.

119 Cfr. l’immagine di un’idra dalle molte teste di Iren., Adv.Haer. I 30, 15 e Ps. Hipp., Ref. V 11. La loro insistenza sulla varietà non può essere del tutto spiegata come un ’topos’ retorico secondo il quale l’unità/unicità di una dottrina era garanzia della sua verità e il contrario della sua falsità.

120 Infatti, l’indagine storica mira a una comprensione il più possibile completa del ’fatto’: operare una scelta selettiva (il che porrebbe il problema dei criteri) mutilandone la ricchezza comporta, anche nel migliore dei casi, un certo grado di destorificazione, un salto metastorico.

121 Gli gnostici, quindi, potrebbero essere considerati una corrente sui generis del cristianesimo dei primi secoli, fortemente radicato nella tradizione giudaica e inteso in senso molto lato, cioè non limitato alla Grande Chiesa ovvero alla ortodossia; cfr. M. Desjardins, Rethinking the Study of Gnosticism, 379-380.

122 Resta uno dei pochi a insistere sullo gnosticismo come religione autonoma B.A. Pearson, Gnosticism and Christianity in Roman and Coptic Egypt (Studies in Antiquity & Christianity), London 2004, 201-223.

123 Non siamo lontani dall’idea di “a social category” cui ricorre Brakke, The Gnostics, 27: “I believe that it is possible to identify and describe such a Gnostic movement without succumbing to the dangers of rigid boundaries, essentializing, and reification that concern scholars today”.

124 L’interesse primario dello storico delle religioni è dato dallo studiare, sulla base della documentazione disponibile, il processo che ha visto sorgere e svilupparsi queste forme religiose, cioè ciò che le ha motivate (cause), le ha determinate (forme), le ha seguite (conseguenze). La sempre più precisa conoscenza di contesto, cultura e tradizione crea le condizioni per individuare anche il senso (o intenzionalità, significato) e, per certi versi, il loro valore; cfr. M.V. Cerutti, Storia delle religioni, 13 e 149.

125 Le tradizioni sapienziali giudaiche gnostiche di questo periodo, prive in origine o private in seguito di palesi elementi cristiani, possono stare alla base di speculazioni più tardi riprese dalla Kabbalah; cfr. M. Idel, Kabbalah: New perspectives, New Haven 1988, 19932; tr.it. Qabbalah. Nuove prospettive, Nuova edizione riveduta e aggiornata (Gli Adelphi, 366), Milano 2010, 90-94.