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La discussione dottrinale a Nicea nel 325

Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 1 aprile 2025

Il Professor Samuel Fernández ha tenuto per il ROR un seminario di presentazione del lavoro di riedizione delle fonti di Nicea (con testo critico e traduzione a fronte), già pubblicato in edizione inglese, spagnola e italiana: Fontes Nicaenae Synodi: The Contemporary Sources for the Study of the Council of Nicaea (304-337), tradotto come Le fonti antiche sul Concilio di Nicea (Città Nuova 2025).

Il professore cileno ha presentato il problema delle fonti, focalizzando la riflessione sul ruolo che Atanasio ed Eusebio ebbero nella storia conciliare, affrontando altresì il problema dell’homoousios alla luce del suo contesto originario.

Le fonti sono molte, ma molti dei testi dipendono da Atanasio e anche dalla Vita Costantini di Eusebio. Il problema principale è che si posseggono testi citati da altri: il tentativo di estrapolarli e ricollocarli nel loro contesto rappresenta una vera e propria sfida ermeneutica.

Atanasio, primo cronista della storia, ha scritto immediatamente dopo Nicea. Egli visse sempre in lotta contro gli ariani e i cripto-ariani, per tale ragione non è possibile aspettarsi da lui un racconto bilanciato. Eusebio, invece, è uno dei primi autori a citare direttamente testi, fatto peculiare perché gli storici greci non usavano farlo.

Fernández ha anticipato ai partecipanti di esser giunto a distinguere tre categorie di fonti: le narrazioni di prima mano (opere storiche che descrivono le controversie del primo secolo); le testimonianze di seconda mano (resoconti delle controversie scritti da coloro che parteciparono agli eventi); i documenti contemporanei ai fatti, trasmessi dagli antichi scrittori cristiani.

Ciò premesso, un discorso a parte va riservato alle dottrine originali degli autori, mentre fonti di secondo livello sono le deduzioni in ordine alle dottrine originali: le deduzioni dipendono da determinati principi o macro-principi, che devono essere applicati. Proprio il secondo livello, quello delle deduzioni, appare il più interessante per gli studiosi.

Nella seconda parte del suo intervento Fernández ha dedicato spazio all’analisi dei contenuti. Il testo più antico della crisi ariana è la lettera di Ario a Eusebio di Nicomedia (FNS 6,2-3); essa contiene il primissimo riassunto della cosiddetta dottrina ariana. Dal testo emerge un chiaro messaggio di Ario ad Eusebio e agli altri vescovi: il Vescovo Alessandro condanna me, ma in realtà con me condanna tutti voi (vescovi eusebiani).

Alla luce di questo testo Fernández ha sottolineato come le vicende del Concilio si possano comprendere appieno solo se si guarda ad esso come ad un “conflitto insorto tra Vescovi”, e, segnatamente tra Alessandro e il gruppo facente capo ad Eusebio. Questi ultimi compresero di essere accusati nella loro tradizione che affermava che il Figlio fosse posteriore al Padre, benché tutti, compreso Ario, accettassero la regola di fede secondo cui il Figlio proviene dal Padre prima di tutti i secoli.

Nelle vicende di Nicea, ha osservato il professore, la divinità del Figlio è una derivata legittima. Il vero oggetto della discussione, la vera discrepanza si attestò tra la coeternità del Figlio e la tesi contraria della priorità del Padre rispetto al Figlio. Va altresì tenuto presente che la teologia di Ario è deficitaria sotto il suddetto aspetto ma non ha negato la divinità del Figlio.

Commentando, inoltre, alcuni interessanti testi di Eusebio (d.e. 5.1,19 e d.e. 4.3.5) Fernández ha messo in luce il peculiare uso che il Vescovo di Cesarea fa della classica metafora del raggio e della luce, al fine di affermare che il Padre preesiste al Figlio, essendo l’unico “ingenito”. Alcuni studiosi nello stesso testo ritengono, invece, che traspaia la dipendenza ontologica del Figlio, posizione con cui Fernández non concorda: non vi sarebbe ragione, ad esempio, di utilizzare la metafora della luce in maniera differente da Origene.

Altro interesse ha riguardato la riflessione sull’uso del vocabolo “generato”. Quali elementi della generazione – si domanda Fernández – applichiamo al Figlio? La differenza tra Eusebio e Alessandro sta nel fatto che, pur usando lo stesso termine, mentre l’uno afferma che il prima e dopo fanno parte della generazione, l’altro esclude il prima e il dopo. Il motivo centrale per Eusebio è questo: «l’uno è ingenito e l’altro generato (si v. d.e. 4.3,5)». Tutto ciò giustifica per Fernández, a pieno titolo, l’insorgenza della crisi ariana.

Ciò premesso il focus della presentazione è stato indirizzato su alcuni testi peculiari, tra cui d.e. 5.1,13 e 5.1,13 di Eusebio. Nel primo il Vescovo di Cesarea si dichiara esplicitamente contrario alla teologia dei due stadi del Logos. Egli ritiene che quest’ultima dottrina implichi che ci siano due realtà ingenite, il Logos e Dio, e che Dio abbia in sé parti mutevoli: egli non ammette alcun mutamento, data per presupposta la semplicità di Dio. Interessante, in Eusebio d.e.  5.1,15, la distinzione tracciata tra il modo con cui il Figlio proviene dal Padre e quello con cui vi proviene la creazione. Il testo, ha sottolineato il Professor Fernández, è usato per distinguere la posizione di Eusebio da quella di Ario: il Figlio è venuto dal nulla ma “non” come le altre creature.

Ciò premesso i tre principali antecedenti teologici di Nicea possono essere individuati: nell’incontro del cristianesimo con il monoteismo filosofico; nella teologia delle due fasi del Logos; nella teologia della generazione eterna. Sul fronte dell’incontro del cristianesimo con il monoteismo filosofico, Fernández ha sottolineato come il problema sotteso sia affermare la divinità del Figlio senza negare il monoteismo (eresie come il monarchianesimo e il sabellianismo ebbero questa radice).

La sessione si è conclusa con la disamina di due testi di Alessandro (FNS 8, 15 e 26). Fernández ha evidenziato l’opposizione del Vescovo di Alessandria tanto alla posteriorità del Figlio quanto alla sua nascita “dal nulla”.

Quanto all’homoousios Fernández ha sottolineato che la sua interpretazione è deduttiva. Se, tuttavia, la ricostruzione proposta è corretta, l’unico iato tra Eusebio e Alessandro sussiste nel fatto che il primo sostiene la priorità temporale del Padre, l’altro la co-eternità del Padre e del Figlio.

Ciò premesso, e posto che la divisione tra i due gruppi è in gran parte derivata dal modo di intendere l’homoousios, Fernández ha osservato che se si mettono insieme questi due punti di vista il contenuto dell’homoousios può essere inteso nel senso della “coeternità del Padre e del Figlio”, ovvero che non si può pensare il Padre senza il Figlio. In tal senso si dovrebbe parlare dell’espressione “Figlio consustanziale al Padre”: due soggetti in mutuo rapporto. Questo starebbe a significare, altresì, che quando i Cappadoci iniziarono a riflettere su questo concetto poterono contare su di un punto di partenza saldo. Invece, ha osservato il professore, la riflessione, nel tempo, si è attestata più sulla parola che sulla relazione.

Inizialmente, infatti, l’homoousios aveva una base negativa, ovvero la contrapposizione tra le due parti (banalmente: “siccome loro non lo accettano noi lo accettiamo”). Per Fernández si può invece ragionevolmente sostenere, sempre partendo da un punto di vista speculativo, che l’espressione ha un senso e un contenuto specifici: Il Dio cristiano non è accettabile senza il Figlio, eternamente c’è la relazione tra il Padre e il Figlio. Nicea, infatti, non ha definito la generazione eterna ma l’eternità della paternità di Dio.

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