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La dottrina della assimilazione a Dio (homoiosis theõ) nel Timeo di Platone

Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 22 gennaio 2025

Nell’ambito del ciclo di seminari sull’homoiosis theõ, il Prof. Franco Ferrari dell’Università di Pavia ha illustrato i contenuti della stessa dottrina nel Timeo di Platone.

Secondo Ario Didimo, Platone trattò dell’assimilazione a Dio in tre modi: fisico, alla maniera pitagorica (Timeo); etico (Repubblica); logico (Teeteto). Fu oggetto di critiche nell’antichità la discontinuità di questo approccio, che nell’opinione di alcuni era solo apparentemente incostante, rispettando, in fondo, le macro-aree della filosofia.

Nella Repubblica l’assimilazione a Dio deve avere come riferimento il cosmo ordinato delle idee, in cui domina la razionalità, e fungere come parametro sia etico che politico. In questa prospettiva la dottrina dell’assimilazione riguarda il filosofo, l’unico in grado di proporre alla società, attraverso la propria vita, l’ordine eidetico.

La versione logica della dottrina, che nel Teeteto si caratterizza come una “fuga”, attrasse i neoplatonici.

Nel Timeo sono presenti due schemi cosmogonici analogici e sovrapponibili, quello demiurgico e quello del mondo generato da un padre, che possiede un’anima, l’anima del mondo per l’appunto. Il modello a cui l’uomo deve assimilarsi è il cosmo stesso. Il cosmo è un dio: tale aspetto, per Ferrari è la cifra della distinzione tra la visione platonica e quella cristiana.

Se tuttavia il cosmo è un dio, si tratta comunque di un dio minore, una copia o proiezione del modello. Si parla di un dio felice, dipendente da un altro dio ad esso superiore nella consistenza ontologica (il demiurgo). La chora è lo spazio, la funzione di questo terzo. Da mondo delle idee e chora viene generato il cosmo, unico cielo, figlio di unica generazione.

Ciò premesso, quel che l’uomo deve fare è contemplare i movimenti degli astri, espressione della razionalità dell’universo. I movimenti della nostra anima – sembra questa l’interpretazione più convincente nell’opinione di Ferrari – sono affini a quelli dell’anima del mondo. Si tratta, dunque, di imitare i movimenti della nostra anima, circolari anch’essi e simili a quelli degli astri, ma perturbati all’atto della nostra nascita, trasformati da circolari a rettilinei. Bisogna in questo quadro tornare alla circolarità, espressione di ordine.

Alla fine del dialogo i motivi dell’assimilazione sono ripresi in termini assai interessanti.

Ciò che è generato direttamente dal demiurgo è eterno, non soggetto a dissoluzione: il cosmo, il tempo, le anime razionali degli uomini. Al contrario le realtà generate dagli dèi di secondo grado sono mortali: “noi” uomini, evidentemente.

Cionondimeno per Platone nella nostra anima è radicato qualcosa di divino (daimon). L’uomo può perciò acquistare una qualche forma di immortalità. Non si tratta di una qualche aggiunta all’esistenza ma di una intensificazione della stimolazione del daimon o ragione che è in lui.

Ora l’immortalizzazione, legata all’esercizio dell’anima razionale, entra in rapporto con la dottrina dell’assimilazione a Dio perché la realizza, stabilisce in qualche maniera l’oggetto del cosmo.

L’uomo, in conclusione, può raggiungere una condizione di immortalità “senza aggiunte all’esistenza”, implementando, se guarda alle cose divine, la componente divina che è in Lui, cioè la ragione.

Accogliere questa interpretazione non vuol dire negare che Platone credesse all’immortalità dell’anima, ha sottolineato il Prof. Ferrari. Bisogna infatti tenere presente che lo sfondo del dialogo è l’esistenza del disordine e del male (malevolenza, invidia) al cospetto di un universo creato buono, privo di gelosia e invidia.

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