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Ror Studies Series | Ecologia integrale della relazione uomo-donna

La relazione umanizzante a partire dalla differenza sessuale: condizione sessuata versus sesso, genere, e stereotipi

Antonio Malo

Pontificia Università della Santa Croce

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Una delle tendenze più chiare della cultura occidentale è la dissolvenza progressiva della differenza sessuale. Infatti, basta guardare le mode nel vestire, il linguaggio e i gesti dei giovani dell’uno e dell’altro sesso per rendersi conto della portata e dell’estensione di questo fenomeno. Pur essendo i divi del cinema, della canzone e dello sport i modelli principali di questo cambiamento, ci sono anche delle opere di finzione, soprattutto alcuni romanzi e film, che hanno rivestito un ruolo importante nella diffusione a scala globale di questo trend culturale. Pensiamo, ad esempio, ai Pirati dei Caraibi, il cui protagonista, il famoso capitano Sparrow è un personaggio di grande ambiguità non solo per quanto riguarda il modo di vestire, di truccarsi, per le movenze e i gesti corporali, ma soprattutto per quanto riguarda il suo desiderio senza alcun oggetto preciso, al di fuori della topica caccia al tesoro dei pirati. In questo senso, la bussola magica di Sparrow, cui manca qualsiasi riferimento spaziale oggettivo, è un eccellente simbolo del desiderio indifferenziato del protagonista.

Che cosa c’è dietro l’indifferentismo sessuale? Senz’altro, come ha ripetutamente indicato Papa Francesco, la paura dell’altro,1 poiché la differenza sessuale è la prima manifestazione dell’alterità dell’altro. Forse, però, questo rifiuto della differenza, anche se oggi si manifesta con più irruenza, non è un fenomeno completamente nuovo. Infatti, penso che lungo la Storia si possa rintracciare un tentativo quasi continuo di ridurre la dualità maschile e femminile all’unità perfetta, quella corrispondente al maschile; certamente non nell’ambito della sessualità e dell’amore umano, bensì in quello della società. Per cui, la donna non sarebbe un modo dell’umano altrettanto originario e degno di essere imitato.

Forse è proprio in questa inclinazione monistica che si trova la radice sia della perdita progressiva della differenza sessuale, le cui manifestazioni bizzarre oggi sono sotto gli sguardi di tutti, sia di alcuni tipi di femminismo, in cui la donna esige per lei – in modo speculare – di essere la forma originaria dell’umano. Ciò spiegherebbe perché il maschile, anche se in forme deteriori e contaminate, continui a mantenere il fascino di un modello da imitare, soprattutto in una società tecno-capitalistica come la nostra, che rifugge dalla responsabilità nei confronti dell’altro, dai legami familiari e dalle relazioni durature.

Le domande cui tenterò di rispondere sono, dunque, queste: la differenza sessuale è reale oppure – come sostengono tante femministe – è solo una costruzione sociale? La differenza sessuale è legata solo alla riproduzione, come negli animali, oppure ha anche un valore umano? In caso affermativo, in che cosa consiste tale valore?

Lo scopo di questo saggio sarà, perciò, duplice: da una parte, cercar di esaminare le risposte che a queste domande offrono alcune delle attuali concezioni sulla sessualità umana; dall’altra, proporre una nuova visione della sessualità, basata sul paradigma relazionale, che tenga conto sia degli aspetti positivi di queste concezioni sia dei loro limiti. Ma, per farlo, prima si deve partire dall’origine e dal significato antropologico della differenza sessuale.

2.1 Alle origini della differenza sessuale

Poco tempo fa il paleontologo John Long, della Flinders University di Adelaide (Australia) ha compiuto una scoperta inaspettata. Curiosando in una scatola di fossili custodita nell’Università estone di Tallinn, ha trovato dei Microbrachius dicki, i primi pesci dotati di dimorfismo sessuale che 385 milioni di anni fa nuotavano nei laghi della Scozia, dell’Estonia e della Cina.2

L’invenzione del sesso sembra, dunque, molto antica. Che cosa aggiunge il sesso alla vita dei viventi?

Anche se gli studiosi non concordano interamente, sembra che la riproduzione sessuale rafforzi l’individualità fisica e psichica dei viventi. Infatti, a differenza di quanto accade negli altri modi di riproduzione (gemmazione, frammentazione, partenogenesi, ecc.), in cui la variabilità degli individui dipende solo dalle mutazioni genetiche, nella riproduzione sessuale essa deriva soprattutto dalla ricombinazione dei patrimoni genetici del maschio e della femmina. Perciò, nella riproduzione sessuata si produce una maggiore diversità nelle caratteristiche genetiche dei discendenti. Così il vivente sessuato si differenzia non solo da tutti gli altri esseri per la sua unità interna e per la sua appartenenza ad una determinata specie (come accade anche con le piante e gli animali asessuati), ma soprattutto da tutti gli individui della stessa specie e di sesso opposto, poiché un maschio si differenzia da tutte le femmine e viceversa. Quindi, di fronte alla differenza specifica che possiedono i viventi non sessuati, il vivente sessuato ha in sé una seconda differenza: la differenza sessuale, che è intra-specifica.

Le differenze, però, non solo danno luogo a una maggiore individualità perché separano il vivente dal resto, ma anche perché gli permettono di comunicare in un modo più intimo e determinato. Perciò, le nostre differenze rispetto agli altri esseri non solo rappresentano un rischio per la propria sopravvivenza – come quella del leone rispetto alla gazzella –, ma sono anche una risorsa per la nostra stessa vita. Anzi, c’è una proporzionalità diretta fra identità individuale e differenza, in virtù della quale più variegata è l’identità individuale più ricca è la sua capacità di comunicare secondo le sue differenze, fino – come nel caso della differenza fra uomo e donna – a comunicarsi personalmente, come amanti.

La riproduzione sessuale è dunque una comunicazione non solo più specifica, poiché solo gli animali della stessa specie possono riprodursi (il mulo, ossia l’ibrido di due specie equine – asino e cavallo –, è perciò sterile), ma anche più individuale, poiché ogni animale con riproduzione sessuale, tranne nel caso di anomalie, si riproduce solo mediante un individuo dell’altro sesso.3 Perciò, la relazione sessuale del maschio e della femmina, a differenza della comunicazione dell’individuo con il resto dell’ambiente, non ha come scopo l’assimilazione dell’altro individuo (anche se ci sono animali, come la mantide religiosa in cui la relazione sessuale finisce con l’uccisione e posteriore deglutizione del maschio da parte della femmina), bensì il mantenimento della specie mediante la generazione di un altro individuo.

D’altro canto, con l’emergere di una maggiore differenziazione sessuale si dà all’interno della specie una riproduzione più specializzata, non solo dal punto di vista delle funzioni nell’atto sessuale, ma anche nella suddivisione dei compiti tra maschio e femmina riguardanti la prole: la femmina partorisce i cuccioli – e nei mammiferi li allatta – li protegge, mentre il maschio protegge e feconda le sue femmine. Tuttavia questa differenziazione nel comportamento non va neppure oltre il fine della specie. Perciò, nell’animale, si dà una relazione necessaria fra specie, differenza sessuale, riproduzione specializzata e comportamento sessuale di ogni individuo, il che ci fa capire ancora meglio che la sessualità animale è un istinto rigido legato necessariamente alla genetica e ai cicli biologici (fisiologici e ormonali), che non riguarda l’individuo in quanto tale, ossia dal punto di vista della sua esistenza singolare, ma unicamente in quanto maschio o femmina fertili di una determinata specie, senza che, perciò, ci sia esclusione alcuna per motivi di parentela, di età o di bellezza. Perciò, nonostante il maggiore grado d’individualità e di comunicazione genetica e comportamentale, la sessualità degli animali non ha un significato per l’identità dell’individuo né familiarmente né esistenzialmente, ma solo specificamente.

Quindi, nel mondo animale, la differenza sessuale è solo una strategia della vita per riprodursi in un modo più vario, sviluppato e ordinato secondo un dimorfismo corporeo e comportamentale. Il che significa che la riproduzione sessuale animale rappresenta solo un fenomeno vitale specifico. Accade la stessa cosa con la differenza sessuale umana? È, cioè, la differenza sessuale legata solo alla vita della specie?

Per rispondere a queste domande si deve analizzare la sessualità umana nella totalità dei suoi processi specifici e personali, cioè quelli che fanno riferimento all’origine del corpo sessuato umano od ominazione e quelli che fanno riferimento alla personalizzazione della sessualità o umanizzazione.

2.2 La differenza sessuale nella relazione umanizzante fra uomo e donna: moderare l’aggressività e la promiscuità sessuale

La distinzione fra ominazione e umanizzazione della sessualità umana non deve intendersi, però, come opposizione, ma piuttosto come due tappe di uno stesso e unico processo. Da qui il fatto che il sesso corporeo, oltre ad essere specifico e individuale come negli animali (genetico, ormonale, cerebrale, gonadico), è anche relazionale, cioè il processo socio-culturale porta la sessualità corporea alla sua umanizzazione.

Infatti, oltre ad avere determinate caratteristiche biologiche comuni ad altre specie animali, la differenza sessuale umana ha un’origine squisitamente antropologica, in quanto dipende dai processi di ominazione e umanizzazione della sessualità animale. Infatti, come altre caratteristiche corporee (bipedismo, liberazione delle mani, produzione e uso di strumenti, ecc.) la sessualità umana è il risultato di un lungo processo evolutivo attraverso cui il corpo degli ominidi diventa un corpo personale.

Lo studio paleontologico dei fossili ritrovati rileva già una soluzione di continuità fra le scimmie, gli ominidi e la comparsa dell’homo sapiens, soprattutto per quanto riguarda la capacità di percorrere lunghe distanze, la condivisione degli alimenti e la prima distinzione del lavoro fra cacciatori e raccoglitori.4 Anche nella sessualità umana si scoprono alcune caratteristiche proprie, come la liberazione dell’istinto sessuale dai cicli naturali o la cosiddetta nascita “prematura” dei piccoli, i quali richiedono perciò maggiori cure da parte di tutti e due i genitori.5 Un altro cambiamento fisiologico che rende il legame di coppia più attraente è il fatto che «fra gli umani, l’estro venereo è nascosto (cioè le donne non mostrano il loro stato di fertilità). Collegato a ciò, c’è anche l’esistenza di una più ampia recettività al sesso. Dal punto di vista della teoria dei giochi, ciò spiegherebbe l’importanza per uomini e donne di restare con lo stesso partner, poiché ciò massimizza le opportunità di generare».6 Comunque, forse l’aspetto più decisivo è la diminuzione del dimorfismo sessuale negli umani riguardo, ad esempio, alle scimmie, in cui il maschio dominante possiede un harem che deve proteggere di fronte agli altri maschi del gruppo. Ciò impedisce che si intreccino legami fra il maschio e i figli, poiché questi diventano i suoi concorrenti. Nel caso degli umani c’è invece una tendenza a creare un legame affettivo con i propri figli e a proteggerli quantomeno da piccoli. Questa coscienza di paternità è anche alla base della scomparsa di relazioni sessuali fra il padre e le figlie, il che non accade fra le scimmie dove le figlie, come il resto delle femmine, fanno parte dell’harem.

In definitiva, l’ominazione della sessualità ci parla di un’importante modifica della struttura comportamentale tipica degli animali, in particolare di quelli più evoluti come le scimmie, che porta il maschio ad agire aggressivamente nei confronti degli altri maschi, poiché sono attuali o potenziali concorrenti, e sessualmente nei confronti delle femmine.7 Nei maschi umani, invece, l’aggressività scompare parzialmente permettendo loro di condividere i compiti della caccia, della protezione del gruppo, della guerra, ecc. Mentre la loro sessualità si rivolge solo ad alcune donne. Si creano così due ambiti in cui i maschi adulti umani agiscono: quello del gruppo di cacciatori maschi e quello della relazione con le donne e, attraverso di loro, con i propri figli. D’altro canto, la donna si occupa della casa e dell’allevamento dei figli. La famiglia appare così come l’istituzione che ha lo scopo di mantenere collegati il mondo maschile e quello femminile in modo che essi contribuiscano alla crescita delle persone.

Questi cambiamenti dal punto di vista istintivo, come la diminuzione dell’aggressività e della promiscuità, però, non impongono un determinato comportamento agli uomini e alle donne, ma sono unicamente possibilità che devono essere realizzate culturalmente, ad esempio, mediante il divieto dell’incesto o dell’uccisione o la cacciata dei figli maschi da parte del padre o del padre da parte dei figli,8 o mediante l’istituzione del matrimonio e le cure coniugali e genitoriali. Perciò, la sessualità umana non dipende né solo né fondamentalmente dall’ominazione, ma soprattutto dalla sua umanizzazione, cioè dalla nascita di una particolare relazione di cura fra maschi e femmine, genitori e figli, di cui solo gli esseri umani sono capaci, poiché unicamente loro hanno la capacità di diventare ec-centrici,9 ossia di adottare il punto di vista dell’altro per interpretare i suoi bisogni, sentimenti, pensieri e voleri in modo di aiutarlo a crescere e diventare se stesso. Questa relazione di cura, sebbene sia inizialmente legata all’altro sesso e ai figli, si estende poi ad ogni tipo di persona, alle cose che si possiedono e si usano, e agli altri viventi.10 Insomma, nell’umanizzare la sessualità, la cura diventa il principale collante delle relazioni personali.

Perciò, non sono tanto alcune caratteristiche corporee o mancanze istintive a differenziare la sessualità umana da quella delle scimmie e degli ominidi, quanto la trasformazione della sessualità da istinto biologico al servizio della diffusione della specie, a cura dell’altro nel senso più proprio, in quanto cioè appartiene all’altro modo – maschio o femmina – di essere umano, con cui si vuole costruire una relazione stabile generativa.

È vero che, oltre alla cura, nelle relazioni basate sulla differenza sessuale è ancora presente l’influsso dei rapporti animaleschi di violenza, promiscuità, dominio e sottomissione che hanno lasciato una traccia incancellabile nella Storia delle relazioni fra uomini e donne in tutte le culture. Forse una delle caratteristiche principali di questo influsso si trova in una visione unitaria della specie umana attorno alla figura maschile, come modello perfetto in tutti gli ordini, e che, perciò, deve dominare. Contro quest’ingiustizia palese si è levata la voce dei diversi movimenti femministi, senza però raggiungere una posizione chiara riguardo allo scopo delle loro lotte né al modo in cui il femminile debba essere riconosciuto nella società e nella politica. In definitiva, resta ancora senza risposta questa domanda centrale: come distinguere nella relazione fra uomini e donne ciò che fa parte della cura e, quindi, dell’umanizzazione della sessualità, da ciò che è frutto della violenza e del dominio socio-culturale di un sesso sull’altro?

La differenza sessuale contiene, dunque, oltre agli aspetti che abbiamo in comune con gli animali, la storia dell’ominazione e dell’umanizzazione della sessualità, ma anche il modo di concepirla lungo la Storia.11 È possibile mettere insieme tutti questi elementi?

Di fronte a questa domanda, nel dibattito attuale sulla sessualità umana possiamo individuare quattro risposte.

2.3 Essenzialismo, costruttivismo, performatività e femminismo della differenza

Essenzialismo o naturalismo

Nell’ambito della sessualità si considera essenzialistica o naturalistica la visione secondo cui la differenza uomo/donna è naturale e, perciò, ha valore assoluto. Non può essere modificata senza cambiare la stessa natura umana.

Per il naturalismo, la differenza sessuale dipende dalla sessualità corporea (sesso genetico, morfologico e genitale). Perciò, essa ha un significato riproduttivo, mediante la differenziazione dei sessi e la loro comunicazione: genetica, corporea, familiare e genealogica.

La differenziazione dei sessi si dà in tutti gli ordini della vita – dalla sessualità corporale e psichica a istituzioni come la famiglia, dalla società civile a quella religiosa – in virtù della quale all’uomo, in quanto sesso forte, corrisponde una posizione di preminenza. Sebbene ammetta sottolineature e sfumature secondo culture, contesti sociali ed epoche storiche, la concezione naturalistica presenta sempre queste tre caratteristiche come essenza della differenza femminile: la specializzazione all’ambito della vita privata e familiare, la dipendenza totale dalla generazione e dall’educazione dei figli, e la sua dedicazione quasi esclusiva al lavoro domestico. Insomma, la donna appartiene a un sesso inferiore, che non gode di autonomia, ma dipende completamente dall’uomo, prima nella famiglia di origine, poi in quella del marito. Certamente, come si vedrà, ciò non corrisponde a una differenza reale bensì a un pregiudizio culturale, anche se purtroppo è stato molto spesso accettato storicamente come verità. Nella concezione naturalistica della sessualità umana, i rapporti uomo-donna vengono modellati a partire dal dominio del maschio sulla femmina e dalle loro relazioni basate sulla riproduzione e cura dei piccoli.

In fondo, l’essenzialismo cerca di ridurre la pluralità umana all’unità della specie e questa alla figura del maschio, per cui le differenze, in particolare quella femminile, vengono intese come allontanamento dalla perfezione. Ciò porta a capire le differenze fra l’uomo e la donna come una serie di opposizioni binarie (attività/passività, forza/debolezza, ragione/affettività) da ricondurre all’unità mediante la sottomissione della donna all’uomo, cioè del negativo e imperfetto al positivo e perfetto.

Penso però che, sebbene le differenze fra uomo e donna siano reali, le differenze sopra accennate non le rispecchino, giacché l’essenza umana non si riduce a particolarità specifiche, come il carattere genetico (fisico e psichico), e neppure corrispondono a una polarità in cui il femminile sarebbe il negativo del maschile. E ciò per due motivi: da una parte, perché l’essenza umana contiene in sé la possibilità e anche l’obbligo di essere modellata o, meglio, umanizzata; dall’altra, perché ognuno dei due modi in cui esistiamo (maschile o femminile) è ugualmente originario e perfetto.

Ad ogni modo, il naturalismo indica un aspetto essenziale della differenza sessuale: il corpo. Certamente, come vedremo, esso non è pura natura né conduce a comportamenti determinati, poiché, oltre ad avere un valore simbolico, richiede di essere interpretato, soprattutto per quanto riguarda la tendenza sessuata ed il desiderio.

Costruttivismo

Il costruttivismo si oppone radicalmente all’essenzialismo, poiché sostiene che la sessualità umana non corrisponde a un’essenza immutabile, bensì a qualcosa di mutevole e modificabile, che dipende dal potere del linguaggio, dai desideri, dai modelli.

Così, il costruttivismo corregge l’unilateralismo naturalistico di quanti concepiscono la sessualità come qualcosa di puramente dato e specifico, senza tener conto della sua umanizzazione attraverso i processi di socializzazione. In questo senso, il costruttivismo fa capire il carattere complesso della sessualità umana, in particolare il ruolo svolto dalla società, in virtù del quale la sessualità non è solo una proprietà degli individui della specie homo sapiens, ma anche una realtà sociale.

Il problema del costruttivismo non consiste, dunque, nell’indicare che esistono queste differenze riguardo alla sessualità animale, ma piuttosto nel rifiutare qualsiasi somiglianza con essa, che non sia puramente biologica.

Proprio per questo motivo, in quanto comune a tutti i maschi e le femmine della specie umana, il sesso biologico non serve a determinare – secondo il costruttivismo – la sessualità di ognuno di noi. Perciò i costruttivisti distinguono fra “genere” e “sesso”. Il termine “genere” (in inglese gender) farebbe riferimento alla costruzione della propria identità sessuale mediante una scelta che tiene conto dei condizionamenti sociali, dei desideri, dei sentimenti, delle aspirazioni, ossia dell’orientamento sessuale; mentre il sesso (in inglese sex) farebbe riferimento solo alla connotazione di attributi corporei. Ne deriva che qualsiasi differenza sessuale prima della scelta e del comportamento sarebbe un mero aspetto biologico suscettibile sempre di essere modificato e trasformato in gender. Ecco perché, sempre secondo questi autori, l’uomo e la donna, che hanno un’uguale dignità, non dovrebbero mai essere condizionati nella scelta del proprio genere né dal corpo né da pressioni socio-culturali – come la compulsory hetereosexualiaty o eterosessualità compulsiva –, stereotipi e pregiudizi sessuali, come l’omofobia,12 che si basano su una corrispondenza normativa fra il corpo e il desiderio.

Insomma, secondo questi autori, l’elemento determinante della sessualità non è più il corpo, la generazione e la famiglia, bensì la politica e la vita pubblica, poiché si deve superare la mancanza di uguaglianza fra uomo e donna, e anche quella fra i diversi generi.

Se le cose stanno così, sembrerebbe che la sola scelta che si possa fare sia fra costruttivismo o essenzialismo, fra un genere che assorbe il sesso corporeo trasformandolo in qualcosa di linguistico o un sesso che si mantiene immutabile al di là di qualsiasi processo culturale?

Performatività

Butler, principale esponente di una concezione performativa della sessualità, non considera valida nessuna di queste due opzioni, perché entrambe guardano il corpo sessuato come qualcosa di dato, al margine della sua interpretazione culturale. Mentre la visione della sessualità nell’essenzialismo sarebbe molto rozza poiché considera il corpo un dato immodificabile, quella del costruttivismo appare più fine, ma ugualmente sbagliata: inizialmente il corpo sarebbe qualcosa di prelinguistico, ma poi, una volta inglobato nel genere, finisce per essere qualcosa di puramente discorsivo. Di conseguenza, per il costruttivismo, anche se il genere non ha inizialmente nulla a che vedere con il sesso corporeo, alla fine diviene la sola realtà, per cui il corpo diventa un fantasma. Perciò, a parere di Butler, si deve sostenere che non esista né una sessualità che sia puramente corporale né un corpo che possa essere classificato come appartenente pienamente a un determinato genere. Insomma, sempre secondo quest’autrice, essenzialismo e costruttivismo si rifiutano di accettare un nucleo che non è né puramente naturale né puramente culturale, il corpo.

La strategia critica di Butler consiste allora nel collegare inscindibilmente il corpo e il discorso, senza però ridurre le due realtà ad una sola. Ciò è reso possibile dal potere performativo del linguaggio. Infatti, secondo lei, quando il dottore o la levatrice dicono dell’appena nato – è un bambino o è una bambina! – non solo descrivono i connotati del corpo, ma lo fanno anche appartenere a un determinato genere. In questo modo incomincia il processo di genderizzazione. Perciò, il genere non può mai diventare una categoria da determinare una volta per tutte, ma deve sempre essere aperta al corpo e al discorso. Con le sue stesse parole: «il genere non è alla cultura come il sesso è alla natura; il genere è anche il mezzo discorsivo e culturale per cui “la natura sessuata” o “un sesso naturale” è prodotto e stabilito come “pre-discorsivo”, previo cioè alla cultura, ossia una superficie politicamente neutrale sulla quale agisce la cultura».13 Ecco perché, secondo Butler, è lo stesso discorso sul corpo come maschile e femminile a farci pensare che il sesso corporale sia previo al discorso. Ma se così fosse, ci sarebbe un controsenso: in quanto si parlerebbe del sesso corporale, cioè di qualcosa di non linguistico, mediante il linguaggio.

È chiaro che, per Butler, il discorso è il solo orizzonte del reale, per cui non lo si può oltrepassare. Anzi, il suo potere è tale che non solo sessualizza il corpo, ma prescrive anche le pratiche regolatrici che danno coerenza e stabilità alla sessualità, producendo così la differenza fra il desiderio di un corpo maschile per una donna e di un corpo femminile per un uomo. In questo modo si escludono tutte quelle «identità in cui non vi è alcuna correlazione tra il sesso, il genere e il desiderio. Le identità incoerenti appaiono allora come fallimenti del processo di sviluppo».14 Ma è proprio il fatto dell’esistenza di una serie di identità contrarie alle prescrizioni ciò che fa ritenere a Butler che le norme di genere possano essere sovvertite e rovesciate, dall’interno stesso di questo discorso. Infatti, poiché la sessualità umana richiede una performazione continua e non naturale o costruita una volta per tutte, c’è bisogno di ripetere sempre le stesse pratiche regolative. Ed è proprio nella coazione alla ripetizione della norma eterosessuale che compare la possibilità di errore e, con essa, la sovversione della stessa norma.

Il femminismo queer trova nella tesi performativa di Butler l’armamentario concettuale che gli permette di diventare un po’ più intelligibile. Poiché, a differenza del femminismo del genere, il femminismo queer si trova nella difficile tessitura di dover argomentare il rifiuto di ogni identità sessuale. La performazione della sessualità mediante l’imitazione, il mimo, l’iperbole e la parodia teatrale del genere serve – secondo Butler – a mettere in rilievo il fatto che nella sessualità non c’è nulla di originario e, dunque, non ci sono corpi né generi individuati come identici.15

Se si accetta la tesi di Butler sul potere performativo del discorso,16 allora la sua conclusione è coerente: non esiste né una pura descrizione della sessualità né un corpo sessuato, ma solo una materia che si sessualizza discorsivamente e un discorso che prescrive e realizza quanto dice sul corpo.17 In questo senso, la teoria di Butler permette di criticare la distinzione binaria fra natura/cultura, corpo sessuato/linguaggio, poiché essi sono inscindibili; d’altro canto fa capire che la complessità della sessualità umana non dipende solo dai processi di socializzazione, ma è ancora più profonda, poiché deriva da una trasformazione del concetto stesso di natura umana (certamente, Butler rifiuta questa categoria come inesistente), che è sempre qualcosa di linguistico, ossia qualcosa di culturale. Ciò non significa però – contro Butler – che la differenza sessuale umana sia solo il risultato della ripetizione continua di pratiche discorsive sul corpo. Poiché, da una parte, il corpo ha sempre un simbolismo che non è riducibile al linguaggio e, dall’altra, il linguaggio sulla sessualità ha una verità, che si basa sull’origine delle relazioni umane e sulla loro umanizzazione. Forse il principale limite della visione butlereana della sessualità è il suo individualismo che esclude da essa la sponsalità, la generazione e la genealogia.

Femminismo della differenza

Il femminismo della differenza rifiuta radicalmente sia il costruttivismo sia il femminismo queer, ma anche il naturalismo. Infatti, esso afferma che la differenza uomo e donna non è qualcosa di secondario o costruito bensì di originario, e, di conseguenza, che la differenza sessuale è il fondamento di tutte le altre differenze umane. Orbene, la differenza uomo/donna può essere accettata come originaria solo se si parte dal presupposto che il sesso non è né una caratteristica sociale o culturale né una caratteristica etnica e neppure una caratteristica appartenente a una qualche comunità umana – come la lingua, la religione o il territorio –, ma piuttosto un tratto differenziale della specie umana, in virtù del quale l’umano non esiste al di fuori di questo doppio modo di essere.

In questo senso, il femminismo della differenza si oppone anche al relativismo postmoderno, tornando all’idea della differenza come universale umano, senza, però, cadere, nell’essenzialismo perché sostiene anche il carattere storico e culturale della sessualità umana, che – per le femministe della differenza – è sempre di natura politica.

A parere di alcune femministe della differenza, l’idea secondo cui le relazioni fra uomo e donna sono sempre di natura politica – nel senso ampio del termine – permetterebbe di pensare il superamento delle due principali concezioni della sessualità: quella che la fonda interamente sulla natura e quella che la spiega essenzialmente a partire dalla cultura. Così, secondo Agacinski, la differenza uomo/donna, oltre ad essere sessuale, include un gran numero di determinazioni di cui fanno parte sia quelle naturali sia quelle storiche,18 per cui esiste l’obbligo di negoziare un rapporto fra i sessi che è allo stesso tempo necessario e convenzionale. Ed è proprio il mescolarsi di necessità, solidarietà e divergenza di interessi a dare alla relazione tra i sessi la sua dimensione politica. I rapporti politici tra uomo e donna obbligano perciò a mettere in pratica una politica dei sessi. Una politica che, a parole di Agacinski, deve essere post-femminista, perché deve «abbandonare tanto i modelli maschili quanto quelli puramente femminili, considerati unilateralmente, iscrivendo nella società la presenza e lo sguardo delle donne».19

Per questa ragione, anche se alcune femministe della differenza accettano la questione dell’identità del genere e anche del riconoscimento pubblico dei rapporti sentimentali fra persone dello stesso sesso, rifiutano però i nuovi modelli di famiglia e soprattutto la generazione e adozione di bambini da parte da coppie omosessuali. E ciò per due motivi: primo, perché l’origine del figlio/della figlia dovrebbe fondarsi sulla struttura parentale mista o mixité, l’unica in cui si dà la differenza originaria; secondo, perché ogni figlio/figlia ricava la sua singolarità, anche dal punto di vista biologico, a partire dall’unione della differenza sessuale dei genitori. Perciò, come sostiene Agacinski, citando Françoise Héritier, un’altra femminista di questo gruppo, la differenza nella generazione/procreazione, anche se è stata oggetto di molte interpretazioni sbagliate, mette tuttavia l’accento sulla fertilità delle donne come fondamento della differenza tra i sessi. Dunque, nella generazione di ogni essere umano, la doppia origine naturale – maschile e femminile – pone la struttura genitoriale mista a fondamento della filiazione.

Basta, però, il ricorso alla generazione e alla differenza originaria uomo e donna per poter superare le obiezioni di Butler sulla differenza sessuale, in quanto essa dipenderebbe da un determinato tipo di discorso sulla sessualità? Detto in altro modo: come si fa a sapere se la differenza corrisponde a qualcosa di originario e non piuttosto a delle pratiche regolative del discorso eterosessuale?

Credo che il modo in cui Agacinski affronta l’omosessualità sia molto illuminante a questo riguardo. Infatti, mentre accetta, da una parte, l’omosessualità perché essa permetterebbe di modificare il falso principio aristotelico dell’interdipendenza fra i sessi; dall’altra, rifiuta qualsiasi tentativo di modifica della struttura familiare, perché la famiglia dovrebbe essere fondata su alcune regole di parentela e di filiazione, la più universale delle quali è che un bambino nasca da un padre e una madre, da un uomo e una donna, anche quando i progressi medici permettano di fare i bambini, separando il desiderio parentale dalle condizioni biologiche di nascita.20

In fondo, lei pensa che possa esistere una relazione sessuale fra uomo e uomo e donna e donna perché la differenza originaria non dice nulla delle singole persone in quanto tali, ma solo dei due sessi in quanto origine necessaria del figlio e, di conseguenza, della famiglia. Dunque, la differenza sessuale è per lei “iscritta” nel sociale solo in riferimento al figlio, non agli sposi, ai fidanzati, al ragazzo e alla ragazza, al bambino e alla bambina. Perciò, anche se le femministe della differenza sono consapevoli dell’errore di un femminismo della pura uguaglianza,21 trattano la dualità fra uomo e donna come se fosse un’alterità irriducibile, di tipo fondamentalmente politico. Ne deriva il fatto che esse concepiscano la maternità fisica e la relazione speciale della madre con il figlio/la figlia come l’essenza della femminilità.

Insomma, sebbene il femminismo abbia tanti aspetti positivi, soprattutto quello di promuovere i diritti sociali e politici delle donne, penso che non si possa risolvere la questione della differenza fra l’uomo e la donna né, come le femministe radicali, facendo appello a una donna emancipata da qualsiasi legame anche nei confronti del proprio corpo, né, come le femministe della differenza, facendo appello a una donna che si distingue radicalmente dall’uomo in virtù della sua maternità fisica e simbolica. Insomma, mi sembra che per pensare la relazione fra i sessi non serva né il monismo libertario né il dualismo fra il reale – la donna – e il simbolico – l’uomo –, ma si debba pensare la dualità di persone sessualmente differenti che sono però in una relazione originaria di reciprocità poiché questa relazione originaria, e non solo la maternità, è l’origine delle persone e delle loro relazioni.

Tutto ciò ci parla della sessualità umana come di una struttura antropologica molto complessa, che per svilupparsi dipende non solo dal sesso genetico, ormonale, cerebrale e gonadico, ma soprattutto dalle relazioni con altre persone, in modo particolare con altri uomini e con altre donne. Ossia la sessualità umana è più una condizione sessuata, ovvero un modo originario di esistere-con come uomini o donne, che un istinto legato solo alla riproduzione della specie umana o ad una scelta puramente arbitraria.

2.4 La condizione sessuata e la differenza

Prima di studiare la condizione sessuata nella sua struttura e nel suo dinamismo relazionale, è conveniente analizzare due dei racconti più belli sull’origine della sessualità umana: il mito dell’androgino di Platone e il racconto della Genesi, poiché essi possono farci scoprire alcuni aspetti essenziali della sessualità sia quando li si accetta sia quando li si rifiuta.

Secondo il mito platonico, i primi esseri umani sono androgini, ossia contemporaneamente uomini e donne; essi sono, perciò, autonomi, onnipotenti e perfetti, costituendo un motivo d’invidia per gli stessi dèi che guardano la loro perfezione come una minaccia al loro potere. Per punire la superbia degli androgini, Zeus decide di separarli in due metà: una maschile e un’altra femminile; in questo modo, gli esseri umani diventano bisognosi e deboli, incapaci di vivere da soli. Più tardi, nel vedere che essi muoiono di dolore per non riuscire a trovare l’altra metà, Zeus – mosso da compassione – fa nascere in loro l’eros, la spinta che li porta al ricongiungimento.22 Così il desiderio di ognuna delle parti verso l’altra ha un doppio valore: da una parte è il marchio di una mancanza, dall’altra è il mezzo per tendere mediante la loro unione verso la perfezione perduta, anche se non sarà mai raggiunta. Ne deriva che, secondo questo mito, la differenza sessuale non è originaria.

È interessante mettere in relazione l’androgino platonico con il Da-sein heideggeriano, poiché ci fa capire un aspetto del mito che, altrimenti, potrebbe passare inosservato: il Da-sein – come anche l’androgino – è asessuato (Geschlechtlosigkeit) o neutro (Neütrer), poiché manca di differenza. Ciò significa che, secondo Heidegger, la differenza sessuale non corrisponde a nessuna categoria ontologica o necessaria, ma solo ad una determinazione ontica o contingente. Perciò, come nel mito platonico, l’asessualità del Da-sein non è vista come una mancanza, bensì come positività originaria (ursprüngliche Positivität) che manifesta il potere dell’essenza (Mächtigkeit des Wesens), sorgente di ogni possibilità.23 Anzi, nei confronti del Da-sein, la differenza sessuale è una dispersione della potenza originaria di esserci. E anche se Heidegger si sforza di affermare che dispersione (Zerstreuung) non ha qui un significato negativo, bisogna riconoscere – come, per altro, fa Derrida – che in questo termine c’è almeno la contaminazione di un senso parzialmente negativo dovuto alle sue connotazioni etico-religiose.24 Insomma, per Heidegger, la differenza sessuale non presuppone un genere animale e una specie homo sapiens, ma un Da-sein che, in quanto gettato nel mondo, si disperde nel Mitsein o essere-con.25 Poiché in Heidegger la differenza sessuale non è originaria, si deve risalire fino alla neutralità del Da-sein.26 Infatti, se la differenza fra uomo e donna non è originaria, l’originarietà è proprietà esclusiva del neutro, cioè della potenzialità senza determinazioni. Si vede così, come l’androgino porti non solo alla negazione di una differenza originaria, ma anche a qualcosa di più radicale: il neutro come categoria ontica che si disperde attraverso la relazione con altri. Negare l’esistenza di una differenza originaria implica, dunque, considerare il neutro come condizione di partenza dell’esistenza umana.

Nel racconto della Bibbia, invece, la differenza fra i sessi è così originaria come il loro essere in una relazione reciproca (l’uomo è uomo nei confronti della donna e viceversa) o come il desiderio di uno nei confronti dell’altro. Infatti, si tratta di una differenza fra uguali, perché, da una parte ognuno di questi modi umani di esistere ha la stessa dignità, è cioè amato da Dio per se stesso e non per la specie come negli animali, e dall’altra perché – a differenza dell’androgino – ognuno ha bisogno dell’altro per conoscersi e amare come uomo o donna. Insomma, l’essere umano non è mai unico, ma plurale, perché è maschio e femmina. Certamente, non possono comunicarsi nell’essere perché ognuno è creatura: ha l’essere, ma non lo è. Ciò nonostante, essi possono riconoscersi come fatti l’uno per l’altra mediante il linguaggio («ossa dalle mie ossa, carne dalla mia carne»),27 perché esso è contemporaneamente materiale e simbolico.

Tuttavia, prima ancora del linguaggio, il corpo umano stesso comunica la sua differenza, poiché mostra già il riferimento ad un altro che lo può riconoscere, desiderare e amare. Infatti, il corpo di Adamo si riferisce a quello femminile, prima ancora di scoprire la donna nella persona di Eva e, quindi, prima ancora di conoscersi come uomo e di potersi esprimere come tale. E viceversa, il corpo di Eva fa riferimento a un corpo maschile prima ancora di conoscere Adamo, e di scoprirsi così come donna. Perciò il corpo sessuato, nonostante non sia irripetibile, in quanto corrisponde alla mascolinità o femminilità specifica, manifesta l’irripetibilità della persona, che permette così di comunicarsi amorosamente ad un altra.

Il corpo personale appare così come un enigma: da una parte, esso permette di differenziare il corpo di ogni uomo e ogni donna da tutti gli altri corpi maschili e femminili, indicando così l’irripetibilità della persona e la sua solitudine originaria; d’altra parte, permette di abbandonare parzialmente questa solitudine comunicandosi con il corpo dell’altro cui originariamente si riferisce, ossia permette di uscire da sé per desiderare, amare ed entrare in comunione con l’altro modo – maschile o femminile – di essere persona. Penso che questo carattere enigmatico del corpo umano sia dovuto al fatto che in esso si manifesta sempre una persona che è essenzialmente in relazione. La necessità dell’altro di condizione sessuata differente, che si accenna nella morfologia del corpo, si esprime già nella tendenza verso l’altro (o tendenza trascendente) e, soprattutto, nel desiderare di essere desiderato dall’altro come uomo e donna. Ecco perché la condizione sessuata non è qualcosa di esclusivamente biologico e, meno ancora, di sessuale, ma coinvolge tutte le dimensioni della persona a cominciare dal corpo.

Perciò, di fronte alla differenza sessuale degli animali, la condizione sessuata contiene in sé una doppia differenza: sessuale e personale, che però fanno parte di una stessa identità. Infatti, di fronte all’animale la cui identità è solo idem (lo stesso animale in quanto individuo della specie), l’essere umano ha un’identità che è, soprattutto, personale o ipse, perché capace di identificarsi e differenziarsi personalmente dagli altri attraverso le relazioni a partire dalla sua differenza sessuale.28

2.4.1 La condizione sessuata e la differenza sessuale

Oltre ad essere corporea, la differenza sessuale umana è, da una parte simbolica e tendenziale; dall’altra, immanente e trascendente ad ogni uomo ed ogni donna in quanto modi reciproci di essere persona. Infatti, la differenza sessuale implica una reciprocità immanente, sia in ogni uomo ed in ogni donna, poiché – come abbiamo visto – si è uomo in relazione alla donna e viceversa, sia nei simboli della mascolinità e della femminilità (i simboli maschili fanno riferimento a quelli femminili e viceversa), sia nella tendenza sessuata (la tendenza maschile si riferisce a quella femminile e viceversa). Se non ci fosse questa reciprocità immanente, avrebbe ragione Butler: non solo il desiderio eterosessuale sarebbe uno stereotipo compulsivo, ma anche la stessa differenza fra uomo e donna. L’individuo sarebbe allora, come in Platone e Heidegger, originariamente neutro. Poiché invece esiste questa reciprocità immanente, la differenza corporea-simbolica-tendenziale non è uno stereotipo, ma una realtà originaria.

In che cosa consiste questa differenza reciproca immanente? Forse prima di dare una risposta, possiamo già dire ciò che non è. Infatti, tale differenza non è costituita da determinate caratteristiche che possono darsi prevalentemente in uno dei due sessi, come la forza fisica o la dolcezza, la visione d’insieme o la cura dei particolari, poiché anche se le une o le altre possono prevalere in uno dei sessi e possono essere complementari, non sono qualcosa di reciproco. E, dunque, non sono qualcosa di essenziale, poiché solo ciò che è reciproco costituisce essenzialmente la differenza sessuale. Quando si scambia l’accidentale con l’essenziale nascono gli stereotipi in un senso o nell’altro, che portati all’estremo diventano caricaturali. Una di queste esagerazioni è il machismo che, basandosi sulla disuguaglianza fisica, considera la donna una schiava al servizio dell’uomo; il machismo distingue in modo rigido ciò che un uomo e una donna possono sentire, desiderare, pensare, parlare o fare, creando così una costellazione di norme sociali e di divieti non scritti che regolano la loro intera esistenza. Un’altra serie di stereotipi di segno contrario viene dall’ideologia femminista radicale, secondo cui la donna non dovrebbe mai fare la casalinga, sposarsi o avere figli, perché tutto ciò la rende dipendente dall’uomo. Il femminismo radicale diventa così una negazione caricaturale del machismo.

Gli stereotipi non solo presentano i pregiudizi come differenze reali, ma nel farlo rendono difficili o addirittura impossibili le relazioni fra gli uomini e le donne. Non, perché, come sostiene Butler, gli stereotipi siano iperboli della norma eterosessuale, poiché abbiamo visto che ci sono anche stereotipi costruttivisti o queer,29 ma perché non rispecchiano la diversità reale fra i sessi. E ciò per due ragioni: da una parte, perché essi confondono la differenza sessuale con una serie di aspetti caratteriologici, sociologici e culturali; dall’altra, perché – come si vedrà – non tengono conto del fatto che negli esseri umani la differenza sessuale si dà fra persone irripetibili e non fra individui sostituibili.

Qual è allora l’aspetto essenziale della differenza sessuale? Credo che esso sia tanto l’esistenza di una doppia prospettiva reciproca – maschile e femminile – nel modo di relazionarsi con il mondo e con l’altro, quanto l’inclinazione o la tendenza degli uni nei confronti delle altre. La prospettiva e la tendenza sessuata, anche se hanno la loro origine nel corpo, non sono però come l’istinto sessuale dell’animale, determinati necessariamente dal bisogno specifico della riproduzione e dall’ambiente. Esse sono inizialmente sessuate senza essere sessuali. Perché diventino sessuali c’è bisogno dell’identificazione e della differenziazione personali. Per cui il comportamento sessuale umano, tranne in casi patologici, non è necessario, bensì libero, dipendente cioè dalla persona, dalle sue relazioni, dal suo amore, dal suo progetto esistenziale. Comunque, la personalizzazione della propria sessualità non si dà inizialmente senza l’aiuto degli altri, poiché ciò richiede sia di capire il significato personale della sessualità sia di imparare a personalizzarla. Il ruolo che l’altro ha nella personalizzazione della tendenza sessuata è tanto importante quanto la sessualità genetica, ormonale e cerebrale o quella affettiva, perché il significato della sessualità umana si scopre attraverso la relazione corporale e simbolica con le altre persone, che appartengono sempre a una delle due condizioni sessuate. La tendenza sessuata umana non porta, quindi, inizialmente verso atti concreti, come negli animali, bensì verso l’identificazione con la persona del medesimo sesso e la differenziazione dall’altro, poiché riconoscendo l’identità e l’alterità dell’altro nei confronti di se stessi si riconosce e sviluppa la propria identità. In breve, la tendenza sessuata permette l’identificazione psicologica del bambino o la bambina con il suo corpo sessuato perché essi incomincino a rendersi conto di sentire ed agire come maschio o femmina prima ancora di sperimentare qualsiasi tipo di desiderio sessuale.

Anzi, è proprio nella relazione corporea e simbolica con l’altro che la tendenza può diventare desiderio sessuale. Infatti, il desiderio umano è radicalmente differente dall’istinto animale, perché quest’ultimo dipende da un bisogno specifico che nasce solo da fattori genetici, ormonali e ambientali, mentre quello umano dipende dalle relazioni affettive (sessuate) con gli altri, soprattutto con i genitori o con quelli che fanno le loro veci. Questo è l’aspetto più enigmatico del desiderio: per poter desiderare è necessario identificarsi con il desiderio di un altro, che funge così da modello. Ecco perché la persona si scopre desiderando sessualmente l’altro senza poter conoscere come si è originato il suo desiderio. Ciò non significa che il desiderio dipenda da fattori genetici non modificabili, come pensano alcuni, ma piuttosto che esso si forma attraverso le relazioni affettive con gli altri prima ancora di avere coscienza di sé.30

La distinzione fra tendenza sessuata e desiderio sessuale ha, perciò, una grande portata euristica non solo nel campo del cosiddetto orientamento sessuale, che sarebbe meglio chiamare desiderio sessuale, ma anche nella scoperta di una possibilità per amare personalmente che – come nel linguaggio – può realizzarsi solo mediante relazioni interpersonali, simboliche e culturali adeguate. Infatti, così come possiamo affermare che non esiste una lingua naturale, ma solo la capacità naturale di parlare (le lingue sono contingenti perché sono solo delle possibilità), possiamo sostenere che non esiste una sessualità istintiva, ma piuttosto una prospettiva e una tendenza sessuata con cui poter amare, condividere cioè con un altro la propria condizione sessuata.

Proprio perciò la sessualità umana non fa riferimento solo ad aspetti fisiologici, emozionali e comportamentali, ma anche a nuovi fenomeni relazionali, come il desiderio, l’innamoramento, il matrimonio e la famiglia. Anzi, questi nuovi fenomeni indicano le differenti tappe attraverso le quali la tendenza sessuata deve normalmente passare per essere personalizzata. Ma poiché queste tappe sono solo delle possibilità, la tendenza non sempre raggiunge il suo traguardo: può restare più o meno indefinita o il desiderio chiudersi narcisisticamente su di sé o l’innamoramento non dar luogo all’amore. È però possibile che dalla tendenza si passi al desiderio, all’innamoramento e al dono di sé senza particolari difficoltà, il che significa, da una parte, che la personalizzazione della sessualità è un processo che non ha un successo assicurato e, dall’altra, che queste tappe hanno uno scopo preciso: la generazione delle persone e delle loro relazioni.

Inoltre, per personalizzare la differenza sessuale, si ha bisogno anche dei codici simbolici, come i colori, i giocattoli, i gesti e i vestiti. E nell’esprimere la differenza, questi stessi simboli acquistano un valore differenziatore, per cui la loro trasgressione è vista come indifferenziazione, come il drag queen, l’uomo che si veste da donna. Certamente, i codici simbolici sono – come nel linguaggio – convenzionali e, perciò, suscettibili di essere modificati (come l’uso di pantaloni da parte solo degli uomini), sempre, però, che con il cambiamento non si perda la differenza reciproca; infatti, le donne continuano a esprimere la loro femminilità mediante la forma, i colori e gli adorni dei loro pantaloni.

In secondo luogo, la differenza sessuale è trascendente. Infatti, la differenza porta all’apertura spontanea e/o volontaria alla persona dell’altra condizione sessuata. Questa trascendenza guida il codice simbolico delle relazioni fra uomo e donna, come figlio-figlia, fratello-sorella, marito-moglie, padre-madre. Ciò significa che esiste un modo differente – maschile o femminile – di essere in relazione, di sapersi in relazione e di dar origine alle relazioni. Come nel caso dei simboli, tutte le altre differenze possono essere modificate, sempre che nel farlo non facciano perdere le differenze proprie di queste relazioni (come la differenza figlio/figlia) né la possibilità di stabilire relazioni secondo la differenza sessuale, come nella coppia.

In che cosa consiste questo modo reciproco di essere in relazione? Nel modo differente di vivere la cura: l’uomo, ad esempio, protegge e dà sicurezza alla donna, perché essa possa dedicarsi al suo essere sposa e madre, e al figlio o alla figlia perché possano iniziare ed addentrarsi nella complessità della vita. Il carattere esterno della cura maschile si deve al distacco che ogni uomo ha dal corpo materno, non solo fisicamente, ma anche simbolicamente, in quanto egli non può identificarsi con il corpo di madre. La donna, invece, può identificarsi fisicamente e simbolicamente con il corpo di madre. Perciò la donna offre agli altri, ad esempio, ai figli e allo sposo, accoglienza affettiva e sicurezza. Attraverso il proprio corpo – come origine della vita – e della casa – come il suo prolungamento –, la donna fornisce all’altro (allo sposo, al figlio o alla figlia) l’attaccamento affettivo necessario affinché essi, nel sentirsi sicuri, possano sviluppare l’autostima radicale, radice della loro autonomia.

Forse ha ragione Muraro quando parla della relazione madre-figlio o figlia come prima relazione individualizzante.31 Poiché alla filiazione data segue, spesso, la filiazione vissuta, cioè la madre accettata e amata dal figlio. Ma, come si è visto, questa relazione non è chiusa, bensì aperta tramite la figura del padre. Infatti, il figlio o la figlia entrano in una relazione che è parte essenziale della stessa maternità e paternità simboliche, le quali a loro volta costituiscono un aspetto essenziale dell’identità di ogni persona, che è sempre figlio/figlia.

È vero che «la psicologia femminile contiene un fattore che nell’uomo manca: il mondo psicologico della maternità»,32 ossia l’accoglienza di un altro dentro di sé. Perciò la donna, e non solo la madre, percepisce se stessa come spazio per accogliere, cioè come abitazione o casa.33 Ciò nonostante, questa differenza non fa riferimento unicamente al figlio, fisico o spirituale, ma anche all’uomo e, soprattutto, al marito; altrimenti, il figlio corre il rischio di rimanere irretito in una simbiosi con la madre. Anche la paternità, a sua volta, ha bisogno di aprirsi ad una relazione ternaria. Infatti, la paternità non è solo il risultato dell’atto generativo, ma anche e, soprattutto, un modo continuo di comportarsi nei confronti della sposa-madre e del loro figlio. Quindi, la relazionalità propria della differenza sessuata è ternaria e non duale.34

Ecco, dunque, il paradosso della trascendenza della differenza sessuale: mediante essa ognuno è segnato dalla dipendenza dagli altri, soprattutto a partire dalle relazioni di tipo filiale e parentale. Questa dipendenza relazionale si richiede, però, perché ognuno possa ottenere il necessario grado di libertà per potersi dare ad un’altra persona con cui costituire una famiglia.35 Quindi, la differenza sessuale del figlio, originata dall’unione dei genitori, è aperta al dono di sé come uomo o donna, al servizio della cura degli altri, soprattutto dei più piccoli, deboli e bisognosi. Perciò, quando si cerca di non dipendere da un altro o da un’altra, evitando qualsiasi obbligo nei suoi confronti, si può rifiutare la relazione (o, perlomeno, i legami duraturi) e addirittura la stessa differenza sessuale, come accade nella rivendicazione sociale di un genere neutro. Ma poiché la differenza sessuale non solo è necessaria per la maturità psichica, ma anche e, soprattutto, per le buone relazioni con gli altri, quando essa manca si sconvolge la stabilità e la sicurezza delle persone con cui si hanno legami, specialmente dei figli piccoli, che sono i più dipendenti. Perciò, la mancanza o perdita di differenza sessuale negli adulti genera un profondo disorientamento nei bambini, che saranno gli uomini e le donne di domani. Così il ciclo relazionale, invece, di generare buoni legami, produce relazioni malate.

D’altro canto, questa relazionalità spiega anche una serie di fenomeni spontanei della sessualità umana, come la necessaria identificazione e differenziazione riguardo ai modelli genitoriali, fraterni e coniugali, che altrimenti potrebbero essere interpretati in modo puramente sociale o performativo, come fanno rispettivamente i costruttivisti e Butler. È vero che la sessualità umana ha bisogno di norme e di modelli, ma non perché essa sia solo discorsiva o si trovi dominata da una coazione eterosessuale, bensì perché il nostro desiderio – come anche il nostro amore – non ha un oggetto determinato, ma si rivolge sempre al desiderio e all’amore di un altro, con il quale tendiamo ad identificarci affettivamente. Nell’imitazione del desiderio, accade qualcosa di simile al linguaggio: come la lingua dell’altro diventa propria per quanto riguarda la capacità di articolare fonemi, ovverosia suoni con significato, la scelta delle parole, la sintassi, le espressioni, i giri, ecc. quando essa ci permette di poter esprimere ciò che pensiamo, sentiamo e vogliamo dire, così il desiderio dell’altro diventa proprio quando esso non si copia per una semplice inclinazione mimetica o per una coazione sociale, ma per un tentativo più o meno conscio di rendere personale la propria sessualità, di scoprire cioè qual è il modo di essere uomo e donna che più si confà ad ognuno. Imitando il desiderio dell’altro con cui ci identifichiamo scopriamo il nostro desiderio più profondo: quello di essere noi stessi. Ciò spiega perché un bambino si differenzi meno da una bambina di quanto un ragazzo si differenzia da una ragazza e meno ancora di quanto lo sposo si differenzia dalla sposa e un padre da una madre, poiché per essere sposo o sposa, padre o madre si richiede una maggiore personalizzazione del proprio modo di essere uomo o donna e, di conseguenza, di desiderare con un desiderio più proprio.

2.4.2 La condizione sessuata e la differenza personale

Ma se la differenza sessuale si personalizza mediante le relazioni con gli altri, significa che essa non è la differenza più profonda, poiché non serve ad individualizzarci completamente. C’è bisogno, dunque, di un’altra differenza che individualizzi il modo maschile o femminile rendendoli personali. La distinzione fra l’individuo specifico (maschio o femmina) e la personalizzazione di questa differenza sessuale è pertinente, perché la personalizzazione implica ancora una maggiore separazione dagli altri individui della specie umana: non solo da tutte le donne o da tutti gli uomini, ma da ogni altro, uomo o donna che essa sia, giacché ciascun essere umano è irripetibile.

Ebbene, la differenza che permette di individualizzarci in un modo ancora più profondo è la relazione basata sull’amore (la cura dell’altro, anche se non equivale all’amore, ne fa parte), che consente ad ognuno di poter diventare più se stesso, in quanto uomo o donna. Questa differenziazione è, perciò, propria unicamente della persona, poiché solo lei è capace di individualizzarsi mediante l’amore con cui agisce e, fino ad un certo punto, anche con cui si comunica nelle sue relazioni come uomo o come donna. Perciò, sebbene la personalizzazione della differenza sessuale non sia originariamente ontologica (la differenza ontologica si basa sull’essere personale, che separa l’homo sapiens dal resto degli animali e ominidi), essa si colloca sulla scia di quella ontologica; infatti, l’amore perfeziona ogni uomo e ogni donna in quanto esseri personali. E ciò non perché l’amore non tenga conto della sessualità, ma piuttosto perché esso permette d’integrarla, rendendola irripetibile.

Fra tutte le relazioni, quella sponsale, proprio per il fatto di essere originata dal dono di sé come marito e moglie, costituisce il fondamento della stessa differenza sessuale e, di conseguenza, di ogni relazione umana.36 Perciò, nell’amore sponsale si attualizza la doppia dimensione trascendente ed immanente della differenza sessuale; infatti, anche se il dono di sé è trascendente, esso tende alla immanenza di una reciprocità basata sulla fiducia nell’altro, in virtù della quale l’altro è in me come io sono nell’altro e, tutt’e due, nella relazione. Ciò esige anche l’uso di una riflessività relazionale, che consenta di prendere distanza dalla relazione, in modo da poter giudicarla adeguatamente, guidarla e, spesso, anche correggerla.37

Infatti, la sponsalità richiede una speciale riflessività sia per accettare la totalità della struttura relazionale – dipendenza-autodominio-donazione (senza rimanere fissi ad uno di questi elementi a danno degli altri) – sia per agire secondo le diverse relazioni cui può dare origine. Ad esempio, poiché la filiazione si basa sulla dipendenza dai genitori non solo dal punto di vista della generazione fisica, ma anche di quella educativa, esige da loro la riflessività genitoriale per permettere ai figli e alle figlie di diventare capaci di amare rispettivamente come uomini o donne. Insomma, ogni relazione familiare o sociale dell’uomo e della donna ha bisogno di riflessività, la quale può intendersi come una conversazione con se stesso – nel caso dei genitori, anche di dialogo di uno con l’altra – in cerca di essere in modo adeguato nella relazione.38

Una caratteristica essenziale della riflessività relazionale è tener conto dell’apertura della relazione al terzo, poiché la differenza maschile e femminile non dà mai luogo a una relazione duale, bensì ternaria, che è origine del bene relazionale. Perciò, quando come nel femminismo radicale la riflessività è puramente discorsiva, la struttura della relazione e, soprattutto, il terzo sono rifiutati o visti in modo negativo, secondo la dialettica del servo/padrone o secondo la performatività “creativa” del genere. Invece, quando come nel femminismo della differenza si accetta una relazione duale, ma non ternaria, si separa la differenza sessuale dall’identità della persona, e la relazione materna-filiale dalla paternità, in modo che l’uomo sembra essere differente solo riguardo alla donna madre – non alla donna qua talis – e viceversa, perciò si accetta come un bene la relazione omosessuale.39

D’altro canto, fa parte della riflessività relazionale il fatto che il padre e la madre tengano conto della differenza sessuale dei figli, perché esso/essa ha bisogno di cure differenti secondo la propria condizione sessuata. Ad esempio, la bambina ha bisogno che il padre la faccia sentire apprezzata come figlia, cioè amata per ciò che è, in modo da potersi sentire più tardi degna di essere amata da un uomo come sposa. Se il padre non offre questo sguardo di approvazione, lo cercherà in altri uomini, che fungeranno così da “padre”, perché il suo vero padre è indifferente o assente. Il bambino, invece, ha bisogno di essere confermato nella sua identità come uomo, cioè capace come suo padre di far innamorare una donna e di amarla. Quindi, le cure differenti date dai genitori al bambino o alla bambina, che secondo le femministe sono degli stereotipi, in realtà altro non sono che un semplice modo di aiutare i figli a superare una certa angoscia esistenziale:40 la bambina vuole sapere se essa è degna di essere amata come donna; il bambino aspetta la conferma della sua identità maschile da una persona già confermata come è suo padre.

Insomma, domande come: che cosa significa essere uomo o donna? Quali sono i comportamenti socialmente attesi da loro? Quali sono le aspettative che un sesso nutre nei confronti dell’altro? Fanno riferimento sia alla differenza sessuale, sia ai codici simbolici, sia alla riflessività relazionale, che corrispondono a ciò che l’uomo e la donna sono in una determinata cultura e, soprattutto, nelle loro relazioni mutue e con il terzo. L’insieme di queste differenze e relazioni costituiscono la base dell’identità affettiva, sociale ed educativa di ognuno come figlio o come figlia e, di conseguenza, esso è il nucleo da sviluppare mediante le relazioni future. Ad esempio, per diventare se stessa, la figlia non solo dovrà essere apprezzata dal padre, ma dovrà anche identificarsi simbolicamente con il corpo di madre e la cura dell’altro a partire dal corpo. D’altro canto, anche se i modelli genitoriali sono necessari per poter elaborare la propria identità, bisogna evitare gli estremi: confondere la differenza sessuale con dei modelli stilizzati e ideali, impossibili da essere incarnati, oppure pensare che questi modelli, come anche i codici simbolici, sono sempre stereotipi.

2.5 Condizione sessuata e comunicazione personale

A partire dalla sua essenza relazionale, la differenza sessuale può essere concepita come potenzialità per una comunicazione massimamente personale, che permette l’uscita da se stessi per potersi dare a un altro come uomo o donna. Poiché si tratta di una potenzialità naturale – o, meglio, donata –, c’è bisogno di attualizzarla. Come la lingua, l’attualizzazione della differenza sessuale è contemporaneamente naturale e culturale. Infatti, come non esiste una lingua naturale, ma solo la capacità di parlare che ha come scopo la comunicazione di ciò che è vero, non esiste una sessualità naturale, ma solo una capacità di comunicazione intima di sé che ha come scopo la comunione e la trasmissione della vita. Certamente, come è possibile dire delle bugie mediante l’uso della lingua, così pure si può usare la sessualità fingendo di amare. Nel caso della sessualità, però, la falsità è più grave perché riguarda l’intimità della persona e le relazioni personali naturalmente indirizzate al bene relazionale per antonomasia, i figli.

Comunque, come sostiene il linguista Roman Jacobson e molti secoli prima di lui Dante, nonostante le lingue che usiamo siano convenzionali, esiste una lingua naturale, quella della nutrice, che è previa a qualsiasi altra lingua, convenzionale e normativa. Questa lingua non è però universale, ma particolare e molteplice perché corrisponde alla relazione fra la madre, il padre e il/la figlio/a.41 Così si può affermare che, nell’ambito della condizione sessuata, la relazione originaria fra i genitori e i figli è l’equivalente di questa lingua naturale.

Dunque, come nella lingua, così nella sessualità sono necessarie le relazioni, l’imitazione, i modelli, l’educazione, l’apprendistato, il miglioramento e la correzione nella comunicazione di sé all’altro. Detto in una parola, nella sessualità è necessaria l’integrazione dell’elemento corporeo, simbolico, comportamentale, relazionale e generativo secondo la grammatica della reciprocità. Quando, invece, come osserva Giddens, si crea una «sessualità plastica, recisa dalla sua integrazione secolare con la riproduzione, la parentela e le generazioni»,42 si opera una decostruzione dagli esiti devastanti.

La distruzione dell’integrazione di questi elementi costitutivi della sessualità è, dunque, un fenomeno comunicativo e sociale dai risvolti veramente radicali, in grado di modificare il modo in cui uomini e donne vivono la loro relazione reciproca. Infatti, con la scomparsa dell’unione dei diversi aspetti della sessualità, ciò che risulta essere a rischio è il suo stesso carattere umanizzante. Da ambito d’incontro fra persone e di scambio dei loro doni più intimi, la sessualità diventa luogo di affetto, piacere, utilità e, tante volte, anche di violenza. Uomo e donna si guardano con sospetto e, in certe occasioni, con odio, perché stanno perdendo la loro differenza reciproca, ciò che permetteva ad ognuno di ritrovarsi a casa nell’esistenza dell’altro. La donna non si riconosce più donna nel suo rapporto con l’uomo, ma solo serva od oggetto di piacere. La schiavitù della donna implica anche la dipendenza dell’uomo dalla donna in senso strumentale e oggettivo, secondo la dialettica hegeliana del padrone e dello schiavo. C’è bisogno, dunque, di ricuperare la buona relazione fra i sessi.

2.5.1 Comunicazione e beni relazionali

In che cosa consiste questa relazione? In una questione politica o in una questione ancora più basilare?

Mi sembra che sia la teoria di genere, che il femminismo dell’uguaglianza e della differenza concepiscano la relazione fra uomini e donne fondamentalmente come una questione politica. Infatti, anche se i motivi di ciò sono differenti e i modi di esprimerlo diversi, il femminismo in tutte le sue forme – dall’uguaglianza dei diritti o dei supposti diritti soggettivi fino a quello post-moderno – viene sempre pensato a partire dai modelli politici. Ad esempio, per il femminismo di genere la comunicazione fra le persone è disturbata dalla dipendenza servile delle donne e dalla egemonia del discorso eterosessuale. Ne deriva la necessità di modificare gli assetti del potere per permettere nuovi modelli di matrimonio, famiglia e filiazione che siano completamente ugualitari.43 Anche per il femminismo della differenza le relazioni attuali fra uomini e donne dipendono da una costruzione politica dominata dall’esclusione del femminile, perché è altro riguardo al maschile. Così, Agacinski parla di una politica della mixité, ossia del carattere misto dell’umanità. E propone un nuovo tipo di partecipazione della donna nella vita sociale: una sua presenza nell’ambito pubblico che mostri il suo sguardo differente nei confronti del mondo e delle persone. A questo fine, lei invoca la parità fra uomo e donna, al posto dell’uguaglianza.

Anche se certamente c’è un aspetto politico e, come sostiene Agacinski, lo Stato dovrebbe facilitare che la donna dia il suo contributo femminile alla società, credo che la mancanza di buone relazioni fra uomini e donne non debba cercarsi solo in ambito politico, ma soprattutto nel modo personale di essere in relazione come figlio o figlia, come fratello o sorella, come sposo o sposa e come padre e madre, come professionisti e professioniste, come cittadini e cittadine. Quindi, gli scontri sociali fra uomini e donne non si risolveranno solo mediante un’uguaglianza di diritti o l’introduzione del femminile nella vita sociale, ma ci sarà sempre bisogno di imparare a relazionarsi come uomini e donne a cominciare dall’ambito familiare dove, come si è visto, l’apertura al terzo e agli altri beni relazionali impedisce che i rapporti fra uomini e donne degenerino.

Infatti, la relazione simmetrica (individui autonomi, che sono soggetti di diritti e doveri), che caratterizza la praxis politica, non serve a spiegare la peculiarità della differenza uomo-donna, la cui unione dà luogo alla famiglia. Oltre ad essere origine delle persone, la famiglia introduce gli uomini e le donne in una relazione umana ancora più basilare di quella politica, quella del dono, che si trova alla base di ogni giustizia simmetrica.

Nella famiglia s’impara ad amare l’altro per se stesso, indipendentemente dalle sue qualità e prestazioni, e ad accettare lui e il suo amore come un dono. Amare l’altro per se stesso ed essere amato per il medesimo motivo significa che la base della relazione con l’altro non è il piacere, l’utilità, l’affetto che trovo in lei/lui e neppure i suoi diritti, ma il dono che l’altro è. Perciò penso che la relazione della differenza uomo-donna in tutta la sua portata si scopra nella famiglia, la quale si fonda sull’asimmetria sia quella dei rapporti inter-generazionali, generativi, e intra-generazionali, sia quella dei rapporti impostati sulla gratuità e sul ringraziamento. Qui si scopre, a mio parere, il carattere più umanizzante della differenza sessuale.

La famiglia contiene così i due beni relazionali originari: la sponsalità e l’apertura al figlio. A differenza della praxis politica, la relazione fra gli sposi non è un atto dei soggetti, anche se per originarsi e perfezionarsi richiede atti, soprattutto quelli riguardanti l’amore e la cura mutua. Si tratta di due atti che condividono la stessa intenzionalità in modo reciproco (voler essere marito di questa donna e moglie di questo uomo). Insomma, anche se l’atto della volontà degli sposi è necessario per dare l’avvio alla relazione coniugale, non spiega né la presenza dell’altro nella propria identità (marito o moglie), né la riflessività relazionale degli sposi (il noi della coppia) né soprattutto la stessa relazione coniugale. Quindi, la relazione coniugale non può capirsi solo a partire dalla differenza maschile e femminile data con la nascita, come sembra indicare il naturalismo, né a partire da una riflessività culturale, come sembra indicare la teoria di genere. È necessario, dunque, un nuovo paradigma: una reciprocità generativa.

2.5.2 La reciprocità generativa come nuovo tipo di energeia

Nel parlare di reciprocità generativa, per evitare equivoci bisogna tener conto di due aspetti. In primo luogo, del valore ontologico della relazione, che non può essere ridotta agli atti di due soggetti. Infatti, considerando che nel dono di sé quando viene accolto, i soggetti trascendono non solo la propria specie, ma anche le loro stesse azioni e la loro intenzionalità individuale, si può concepire la relazione coniugale come un nuovo tipo di energeia o atto vitale che è costituito non di persone (del loro essere o del loro agire), ma dalle persone e, perciò, è in grado di trascenderle in quanto persone singolari, dando luogo alla coppia. Infatti, l’energeia relazionale contiene in sé le persone che la fanno esistere e le loro azioni, senza essere, tuttavia, persona o azione, e questo è l’enigma della relazione. Il marchio della trascendenza di quest’energeia è l’apertura al terzo o, se si preferisce, il suo carattere generativo di beni relazionali, come la sponsalità, i figli, la famiglia. In secondo luogo, la riflessività relazionale è il modo in cui marito e moglie si prendono cura non solo di sé e dell’altro, ma anche della sua relazione coniugale dei suoi figli e della sua famiglia. Qui il possessivo sua/suoi che potrebbe sembrare sbagliato dal punto di vista grammaticale, esprime non il possesso fisico o simbolico, bensì il carattere relazionale, poiché questi beni relazionali non dipendono dagli sposi al plurale, ma da essi al singolare, cioè in quanto sono immanenti nella stessa e unica relazione.

Nella relazione coniugale scopriamo così qualcosa di misterioso: la persona umana, oltre ad essere in grado di darsi ad un altro che può riceverla nella sua sponsalità, il che implica il grado più profondo di auto-possesso, è capace di avere come intenzione del suo volere la relazione per sempre con un’altra persona, come suo marito o sua moglie, e ciò, lungi dal portare all’alienazione dalla propria libertà, fa nascere una realtà assolutamente nuova e perfezionante delle persone, il bene relazionale della coppia.44

Perciò, la differenza fra gli sposi è costituita sia dalla differenza fra il loro modo di essere uomo e donna, marito e moglie, sia dalla relazione coniugale e dalle preoccupazioni come sposi e genitori. Anzi, è la relazione coniugale a dare un senso nuovo o a mettere in crisi l’insieme delle loro cure, preoccupazioni e dei loro interessi. Di conseguenza, anche la loro riflessività relazionale è alimentata o inibita dalle qualità della relazione coniugale in cui l’uomo e la donna interagiscono: ognuno di loro tiene conto dell’altro, delle sue intenzioni, delle sue azioni e, soprattutto, della stessa relazione che si è stabilita con lui o lei.

Ne deriva che questo tipo di relazione originaria della differenza uomo-donna sia impossibile quando si esclude il legame coniugale, come accade spesso nelle coppie di fatto, o quando si scambia il dono per un puro contratto di prestazioni, come nei matrimoni a tempo determinato o in base al piacere o all’utilità che l’unione riporta, o quando manca la necessaria differenza sessuale per ricevere l’altro come moglie o marito, come nelle relazioni omosessuali e lesbiche, perché verrebbe meno l’eccedenza della coppia, cioè il terzo.45 Ciò significa che fra i beni della sponsalità e della generatività c’è un legame inscindibile.

Infatti, nell’energeia della sponsalità si osserva già la trascendenza della relazione nei confronti degli sposi incarnata nella persona del figlio, la quale, però, contiene anche la massima immanenza degli sposi, trasformati così in padre o madre, che costituiscono nuovi elementi delle loro identità personali. In questo senso, la filiazione, più ancora della coniugalità, è il paradigma dell’immanenza/trascendenza propria della relazione. Infatti, il figlio/la figlia si riconosce come tale mediante la relazione con i suoi genitori, i quali, nonostante la loro trascendenza personale, si trovano in lui come stessa origine della sua vita. L’immanenza dei genitori nel figlio indica una relazione necessaria a tutti e tre per le loro identità (nel caso del figlio anche per la sua origine), mentre la trascendenza delle persone designa l’eccedenza del dono nei confronti dei coniugi. Perciò nella generazione-filiazione-fraternità umana sono presenti contemporaneamente sia l’interesse (la relazione è necessaria per la crescita delle proprie identità) sia il dono (la relazione è gratuita, non necessaria) o, in altri termini, sono presenti la necessità e l’eccedenza. Ne deriva che il concetto di generatività, oltre ad essere molto complesso e articolato, sia intimamente legato alla differenza uomo-donna e alla loro relazione.46 Essere padre o madre non è dunque un diritto, bensì un dovere che nasce da un dono iniziale. Il dono tende a una reciprocità, che certamente è asimmetrica: il figlio onora i suoi genitori quando diventa un buon padre. Qui si osserva da una prospettiva dinamica-generativa la natura relazionale della sessualità umana.

Insomma, oltre ad essere origine fisica delle persone, la differenza uomo-donna è soprattutto origine delle identità delle persone e della qualità delle loro relazioni. Osserviamo così una certa circolarità: la differenza sessuale si sviluppa attraverso i buoni legami familiari, ed è questa stessa identità, quando giunge a un certo grado di maturità, ad essere sorgente di nuovi legami familiari.47 Proprio perciò, si può affermare che «della dimensione famigliare nessuno può fare a meno, né può barattarla con legami più provvisori e forse non si ricorderà mai abbastanza che tutti i rapporti verticali in famiglia sono inscindibili, il più fragile appare proprio quello di coppia, che paradossalmente è il garante della qualità intrinseca degli altri rapporti famigliari».48

2.6 Conclusione

Nella differenza sessuale scopriamo una dualità essenziale che non può essere ridotta all’unità: la persona umana esiste-con, come uomo o donna. Infatti, la donna si relaziona con l’altro, fisicamente a partire dal proprio corpo: essa esiste come un essere-in (maternità fisica e casa fisica) o simbolicamente (maternità spirituale e accoglienza dell’altro); l’uomo fisicamente a partire dall’esterno: esso esiste come un essere-da (paternità che separa il figlio dalla madre attirandolo a sé, e apprezza la femminilità della figlia) o simbolica (paternità spirituale o accettazione della realtà, anche quando si oppone al desiderio). La differenza essenziale fra uomini e donne fa, perciò, sempre riferimento a una relazione ternaria: figlio-figlia (genitori), fratello-sorella (gli stessi genitori), padre-madre (figli), zio-zia (nipoti), nonno-nonna (nipoti).

Ecco perché la sessualità umana, che nasce e dipende dallo sviluppo filogenetico e umanizzante dell’homo sapiens, si riferisce a due modi di esistenza: maschile e femminile, uguali in quanto umani, ma distinti fisicamente, psichicamente e spiritualmente in ciò che riguarda il loro modo di entrare in relazione con il mondo e, soprattutto, con l’altro/a. Ciò significa che la differenza uomo-donna non dipende solo dai processi di ominazione e umanizzazione della sessualità, ma anche dal modo in cui gli uomini e le donne si relazionano, si desiderano, si amano nelle diverse epoche e culture; infatti, se è vero che la differenza sessuale dipende da ciò che si è ricevuto in modo gratuito e inatteso, ad incominciare dal proprio corpo, dalla cura amorosa dei genitori o di quelli che fanno le loro veci, e dalla storia delle relazioni fra uomini e donne lungo la storia, essa dipende anche da quelle relazioni che ognuno ha con le persone dell’altro sesso, ossia dai doni che mutuamente si danno e si ricevono, specialmente il dono di sé come marito o moglie.49 Tutto ciò va al di là dei processi evolutivi e di una Storia molte volte tormentata delle relazioni fra uomini e donne, ma anche al di là della pura intenzionalità soggettiva, poiché ognuno è chiamato ad aprirsi alla gratuità e novità della relazione con l’altro sesso e ai beni relazionali cui può dare origine. In breve, uomo e donna si diferenziano fra di loro relazionandosi, invece di essere solo differenti.

1«La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione» (Papa Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015).

2Cfr. John A. Long et al., “Copulation in antiarchplacoderms and the origin of gnathostome internal fertilization”, Nature, 517 (8 January 2015): 196-199 doi:10.1038/nature13825.

3Come è noto, una tale identità sessuale fra gli animali ammette anche delle eccezioni. In genere il sesso fenotipico, ovvero ormonale, corrisponde a quello genotipico, ovvero genetico. Vi sono specie, però, in cui il sesso fenotipico non dipende da quello genotipico, ma dall’ambiente: ad esempio, nella Bonellia viridis, gli embrioni che si impiantano sull’organismo materno divengono maschi, quelli che si impiantano sul fondo marino divengono femmine. In altre specie, il sesso fenotipico varia con l’età, così l’individuo può comportarsi prima da femmina e poi da maschio. Anche nell’uomo un’alterazione del normale livello degli ormoni mascolinizzanti o femminilizzanti (per malattia, malformazione o somministrazione dall’esterno) può determinare caratteri sessuali fenotipici che differiscono dal sesso genotipico.

4Cfr. Stephen Shennan, James Steele, The Archaeology of Human Ancestry: Power, Sex and Tradition (London-New York: Routledge, 2005), 159.

5La nascita prematura del figlio – secondo Gehlen – esige delle cure perché questi possa svilupparsi. Nascita prematura, sviluppo della razionalità e cure da parte dei genitori costituiscono un sistema. In modo tale che può affermarsi che c’è una proporzionalità diretta fra questi tre membri: più grande è l’indeterminazione del neonato, più grande è la possibilità di sviluppo, a patto che esso sia in grado di entrare in rapporto con altri esseri razionali. Cfr. Arnold Gehlen, “La tecnica vista dall’antropologia”, in Prospettive antropologiche (Il Mulino, Bologna 1987), 127.

6Jérôme Rousseau, Rethinking Social Evolution: The Perspective from Middle-Range Societies (Montréal-London: McGill-Queen’s University Press 2007), 45.

7«Among chimpanzees and baboons this status system controlled the rather aggressive relations between adult males, sexual relations between male and female, and social relations between the old and the young. A family like relationship esists only between the mother and her young, and between siblings. Incest between mothers and growing sons was not permitted; there was no corresponding incest barrier between fathers and daughters, because the father role did not exist. Even hominid societies converted to the basis of social labor did not yet know a family structure» [Jürgen Habermas, Communication and the evolution of society (Cambridge 1995: Polity Press), 135].

8Da questo punto di vista sono interessanti i miti, come quello di Crono che mangia i suoi figli (Esiodo, Teogonia, 453-535) o di Edipo, fatto uccidere da Laio, suo padre, per paura che lo uccida (Sofocle, Edipo re, IV, 1110-1185). Essi ci parlano di un processo d’umanizzazione della sessualità nella Storia, i cui frutti non sono però acquisiti una volta per tutte, ma devono essere riacquistati da ogni generazione, il che a volte non accade. Attualmente, ad esempio, in alcuni paesi europei, come la Francia o la Spagna, l’umanizzazione della sessualità sembra trovarsi in piena dissoluzione a giudicare dalle leggi che depenalizzano l’incesto, che non è più reato; in altri paesi, come la Germania, c’è una pressione fortissima per depenalizzarlo, almeno fra fratelli e sorelle che sono consenzienti.

9Cfr. Helmuth Plessner, Die Stufen des Organischen und der Mensch (Frankfurt: Suhrkamp, 1981), 361-363.

10«È questa relazione che distingue l’umano quando chi agisce lo fa come tale. Prendersi cura non solo dell’altro come persona, ma anche delle cose e degli altri esseri viventi, è solo dell’Uomo, quando si comporta come tale» [Pierpaolo Donati, “Il problema della umanizzazione nell’era della globalizzazione tecnologica”, in Prendersi cura dell’uomo nella società tecnologica (Roma, Università Campus Bio-Medico: Edizioni Universitarie della Associazione RUI, 2000), 58].

11Per una visione d’insieme mi permetto di consigliare al lettore la lettura del mio saggio Io e gli altri. Dall’identità alla relazione, 2 ed. (Roma: EUSC, 2016), specialmente il primo capitolo.

12Il controllo despotico e la capacità di modificare la propria corporeità fanno parte di ciò che le femministe di genere considerano la dignità della persona. La considerazione di una soggettività sovrana – la stessa per tutti gli individui della specie – affonda le sue radici nel razionalismo cartesiano e viene sviluppata politicamente dai due grandi ideologi dell’individualismo: Hobbes e Locke. L’influsso di questa corrente razionalistica-liberale sui cosiddetti diritti riproduttivi è stata accuratamente analizzata da Vega [cfr. Ana María Vega Gutiérrez, “Los «Derechos Reproductivos» en la sociedad postmoderna: una defensa o una amenaza contra el derecho a la vida?”, in Derechos reproductivos y técnicas de reproducción asistida (Granada: Editorial Comares, 1998), 9].

13Judith Butler, Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity (New-York: Routledge 1990), 7.

14Elvira Burgos Díaz, Qué cuenta como una vida. La pregunta por la libertad en Judith Butler (Madrid: Antonio Machado Libros, 2008), 147.

15«This is a “girl”, however, who is compelled to “cite” the norm in order to qualify and remain a viable subject. Femininity is thus not the product of a choice, but the forcible citation of a norm, one whose complex historicity is indissociable from relations of discipline, regulation, punishment. Indeed, there is no “one” who takes on a gender norm. On the contrary, this citation of the gender norm is necessary in order to qualify as a “one”, to become viable as a “one”, where subject-formation is dependent on the prior operation of legitimating gender norms» [Butler, Bodies That Matter. On the Discursive Limits of “Sex” (New-York-London: Routledge, 1993, 232].

16Butler, come Foucault, rifiuta che la soggettività preceda e fondi le sue relazioni con l’alterità (mondo e altri). La soggettività possiede le sue relazioni come proprietà disponibile (può separarsi da esse, perché non la costituiscono). La soggettività consiste nello scegliere chi si vuole essere mediante l’agire o il sentire (identità come arbitrio), non nella scoperta di chi si è, cioè dell’identità come compito.

17«Indeed, to “refer” naively or directly to such an extra-discursive object will always require the prior delimitation of the extra-discursive. And insofar as the extra-discursive is delimited, it is formed by the very discourse from which it seeks to free itself. This delimitation, which often is enacted as an untheorized presupposition in any act of description, marks a boundary that includes and excludes, that decides, as it were, what will and will not be the stuff of the object to which we then refer. This marking off will have some normative force and, indeed, some violence, for it can construct only through erasing; it can bound a thing only through enforcing a certain criterion, a principle of selectivity» (Butler, Bodies That Matter, 11).

18Sylviane Agacinski, Politique des sexes, précédé de Mise au point sur la mixité (Paris: Seuil, 200), 155.

19Ibidem, 120.

20Ibidem.

21Pensare la dualità sessuale, la logica del misto richiede di rimanere nella differenza. Né l’uomo né la donna sono tutto l’umano, non c’è un centro, nessuna deriva, né subordinazione. Prendendo in prestito una logica della differenza senza gerarchie, si rompe non solo con i modelli maschili, ma autorizza il femminile la cui consegna ha caratterizzato il femminismo troppo a lungo (cfr. Agacinski, Politique des sexes, 155).

22Platone, Simposio, 189a-193e.

23«Nella sua neutralità, il Dasein non è già qualcuno – non importa chi esso sia –, ma piuttosto l’originaria positività [ursprüngliche Positivität] e il potere dell’essenza [Mächtigkeit des Wesens]» [Martin Heidegger, Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz (Sommersemester 1928), (ed.) Klaus Held, (Frankfurt am Main: Verlag Vittorio Klostermann,1990), 136-37].

24«I am tempted to interpret this as follows: by kind of strange and quite necessary displacement, it is sexual division itself wich leads to negativity, and the effacement to which thought must subject it to allow an original positivity to become manifest» [Jacques Derrida, “Geschlecht: sexual difference, ontological difference”, Research in Phenomenology, 13-1 (1983): 72].

25Di qui che la differenza sessuale non appartenga né alla categoria ontologica del Da-sein né a quella biologica del genere o a quella antropologica di un gruppo di esseri viventi, bensì sia derivata da quella dell’analitica esistenziale del Mitsein (Heidegger, Sein und Zeit, § 26).

26Non sorprende perciò un’interpretazione del Neüter heideggeriano d’accordo con il femminismo queer. «What, then, is the meaning of this future sex “to come?” The neutralization of the Dasein’s ontic sexual powers in favor a pre-dual, more originary sexuality enables us to re-inscribe sexual difference from its metaphysical determination that limits it to the two sexes as determined by physis or by the physical body to its source in the primordial potency of Dasein in dispersion and insofar as it has a body (embodiment). This liberation from the limits of metaphysical determination (at least for Heidegger the way Derrida sees it) is a gesture that opens up sexual difference towards the possibility of multiple sexualities and a future sex(es) to come» (Michael Roland Flor Hernandez, “The Silence of the Sexless Dasein: Jacques Derrida and the Sex «To Come»”, Filocracia, 1-1 (2014): 98-114; 110].

27Gn, 2, 23.

28Ricoeur adotta questi termini idem e ipse per riferirsi a due concetti d’identità: quella sostanziale o idem e quella narrativa o ipse [cfr. Paul Ricoeur, Soi-même comme un autre (Paris: Editions du Seuil, 1990), in particolare il capitolo 5]. Come egli stesso spiega in un’intervista, «questa identità sostanziale può essere anche realizzata sotto forma di un’identità strutturale. Per esempio il nostro codice genetico resta lo stesso, dalla nascita alla morte, come una specie di firma biologica. Abbiamo qui un esempio di “identità idem”: identità di struttura, di funzione, di risultato. L’identità “ipse” invece non implica l’immutabilità e anzi, al contrario, si pone nonostante il cambiamento, nonostante la variabilità dei sentimenti, delle inclinazioni, dei desideri, ecc. Faccio subito l’esempio più notevole dell’identità “ipse”; l’identità di me stesso quando mantengo una promessa. La promessa è sotto questo riguardo l’esempio più notevole, perché non abbiamo a che fare, nel caso del soggetto che promette, con una identità sostanziale; al contrario mantengo la mia promessa nonostante i miei cambiamenti di umore. Questa è un’identità che potremmo chiamare di mantenimento, più che di sussistenza. Io sono e mi conservo lo stesso, nonostante non sia più identico, nonostante sia cambiato nel tempo» (Ricoeur, “Descrivere, raccontare, prescrivere”, Paris, 20 dicembre 1991”, http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=308, data della consultazione: 14 dicembre 2015).

29«The hyperbolic conformity to the command can reveal the hyperbolic status of the norm itself indeed, can become the cultural sign by which that cultural imperative might become legible. Insofar as heterosexual gender norms produce inapproximable ideals, heterosexuality can be said to operate through the regulated production of hyperbolic versions of “man” and “woman”. These are for the most part compulsory performances, ones which none of us choose, but which each of us is forced to negotiate. I write “forced to negotiate” because the compulsory character of these norms does not always make them efficacious. Such norms are continually haunted by their own inefficacy; hence, the anxiously repeated effort to install and augment their jurisdiction» (Butler, Bodies That Matter, 237).

30I risultati delle ricerche scientifiche non sembrano confermare le tesi di quanti, omosessuali o meno, sostengono l’origine genetica dell’omosessualità. Gli studi più recenti, realizzati dopo la mappatura del genoma umano, non hanno scoperto il cosiddetto gene dell’omosessualità. Piuttosto, hanno individuato che nel 20% dei gemelli dizigoti e nel 50% di quelli monozigoti alcune modifiche in certi geni possono essere in relazione con una propensione ad avere un orientamento omosessuale. In uno studio sull’omosessualità maschile, Michael Bailey della Northwestern University, Illinois, sostiene di aver trovato alcuni geni del cromosoma X che possono influire sull’orientamento sessuale, essi pero non sono completamente determinativi, per cui si deve tener conto di altri fattori, come l’ambiente, le esperienze avute e i cambiamenti nella personalità [cfr. Michael Bayley, Richard Pillard, “A genetic study of male sexual orientation”, Archives of General Psychiatry, 48 (1991): 1089-96]. Negli studi posteriori di Bailey le percentuali si sono abbassate ancora di più [cfr. Bayley, Michael Dunne, Nicolas Martin, “Genetic and environmental influences on sexual orientation and its correlates in an Australian twin sample”, Journal of Personality and Social Psychology, 78-3 (2000): 524-36; “The Silence of the Sexless Dasein: Jacques Derrida and the Sex «To Come»”, Filocracia, 1-1 (2014): 98-114; 110].

31Certamente, come si è visto, la relazione materna fa riferimento anche al padre e, di conseguenza, non è mai puramente materna.

32Mariolina Ceriotti Migliarese, Erotica e materna. Viaggio nell’universo femminile (Milano: Ares, 2015), 46.

33Cfr. Helen Deutsch, La psicologia della donna, II (Torino: Bollati Boringhieri, 1991), 23.

34«La figura materna rientra in quello che ho chiamato “simbolico non metaforico”: per fare una madre ci vuole una donna in carne e ossa e una gestazione, fisicamente non diversa da quella degli altri mammiferi, e ci vuole un ordine simbolico che valorizza la relazione materna con le sue caratteristiche» [Luisa Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto (Milano: Editrice La Scuola, 2016), 62].

35Come indica Donati, la difficoltà di accettare questo paradosso (l’istituzionalizzazione dell’amore aumenta la libertà della coppia per darsi) porta molti ad affermare che «la relazione di convivenza, […], può essere tale e quale al matrimonio, anzi, per alcuni, anche migliore, perché più libera e sentita soggettivamente come più autentica» [“La complessità del cammino che porta la coppia alla ‘relazione del noi’ come «amore per sempre»”, Anthropotes, 32-1 (2016), 16].

36«Infatti, la relazione non viene all’esistenza come atto creativo (volontà, intenzione, affermazione) di dipendenza, ma viene all’esistenza come offerta di un dono (il quale, certo, implica asimmetria e dipendenza, ma è innanzitutto un dono). È il dono che crea la relazione perché è il dono, non l’atto di potenza che è operatore di sociabilità e socievolezza; la relazione si instaura e continua nella misura in cui il dono è accettato e diventa un reciproco eccedersi dei soggetti» [Donati, La matrice teologica della società (Soveria Mannelli: Rubbettino 2010), 38].

37Seguendo il pensiero di Donati, ritengo che questo paradigma si trovi in un nuovo tipo di riflessività, che egli chiama riflessività relazionale e anche riflessività sociale: «Tale quadro (esposto nel secondo capitolo) permette di compiere le tre operazioni anzidette. Inoltre permette di introdurre una nuova nozione, quella di riflessività relazionale, che non significa – come qualcuno la intende – solo una particolare empatia e attenzione all’altro termine della relazione (nei rapporti interpersonali, specie quelli di cura, come genitore-figlio, insegnante-alunno, medico-paziente), ma consiste nel fatto che i soggetti si orientano alla realtà che emerge dalle loro interazioni prendendo in considerazione come tale realtà (in virtù dei suoi propri) è capace di ricadere sui soggetti stessi (agenti/attori) dal momento che essa eccede i loro poteri personali e aggregati. Indica dunque la riflessività che i soggetti riferiscono alla relazione sociale come tale per il fatto che essa “ritorna” su loro stessi influenzandone l’agire individuale e reciproco» (Donati, Sociologia della riflessività, 31). Come ho indicato in un’altra sede questo tipo di riflessività non solo ha un significato sociologico, ma anche antropologico, in quanto nonostante sia il soggetto (il marito o la moglie) ad avere l’intenzione di essere ricevuto come tale, quest’intenzione non si riferisce al soggetto, bensì alla relazione con l’altro. Perciò, si può parlare di una riflessività relazionale [Antonio Malo, “Soggettività, riflessività e paradigma relazionale”, in Donati, Malo, Maspero (a cura di), La vita come relazione. Un dialogo fra teologia, filosofia e scienze sociali (Roma: EDUSC, ROR-Studies Series, 2016), 153].

38«The activities involved range over a broad terrain which, in plain language, can extend from daydreaming, fantasising and internal vituperation; through rehearsing for some forthcoming encounter, reliving past events, planning for future eventualities, clarifying where one stands or what one understands, producing a running commentary on what is taking place, talking oneself through (or into) a practical activity; to more pointed actions such as issuing internal warnings and making promises to oneself, reaching concrete decisions or coming to a conclusion about a particular problem» [Margaret Archer, Making our Way through the World. Human Reflexivity and Social Mobility (Cambridge: Cambridge University Press, 2007), 2].

39« [. . .] en dénonçant une aliénation physique des mères, en restant aveugle à ce que l’enfantement pouvait révéler d’une expérience originale de l’altérité chez les femmes, Simone de Beauvoir témoigne de sa propre méconnaissance de la maternité, et même de son dégoût pour tout ce qui concerne cette expérience » (Agacinski, Politique des sexes, 94).

40Thérèse Hargot, Une jeunesse sexuellement libéréé (ou presque) (Paris: Albin Michel, 2016), 170; tr. it.: Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Giovanni Marcotullio, (Venezia: Sonzogno, 2017), 133-136.

41Secondo Muraro, essa farebbe parte del simbolico materno poiché è una lingua endogena e relazionale, mentre quella della grammatica, apparterrebbe al simbolico paterno fatto da norme e storia (Muraro, L’anima del corpo, 80-82).

42Anthony Giddens, The Transformation of Intimacy (Stanford: Stanford University Press, 1992), 27.

43«To understand “women” as a permanent site of contest, or as a feminist site of agonistic struggle, is to presume that there can be no closure on the category and that, for politically significant reasons, there ought never to be. That the category can never be descriptive is the very condition of its political efficacy. In this sense, what is lamented as disunity and factionalization from the perspective informed by the descriptivist ideal is affirmed by the anti-descriptivist perspective as the open and democratizing potential of the category. Here the numerous refusals on the part of “women” to accept the descriptions offered in the name of “women” not only attest to the specific violences that a partial concept enforces, but to the constitutive impossibility of an impartial or comprehensive concept or category» (Butler, Bodies That Matter, 221).

44Come spiega Donati, la differenza fra la coppia e il matrimonio si trova nella loro stessa struttura, mentre la coppia è puramente aggregativa anche se può dare luogo alla famiglia, il matrimonio dà luogo a una relazione generativa, quella che io chiamo coniugalità (cfr. Donati, “La complessità del cammino che porta la coppia alla “relazione del noi” come «amore per sempre»”, 13-56).

45Contrariamente a quanto molti pensano, una società pluralista e liberale non può vivere di rapporti esclusivamente contrattuali. I contratti sono certo il segno di una conquistata autonomia e libertà; lo stesso si può dire delle leggi, la legittimità delle quali non scende più dall’alto, come avveniva nel passato, ma scaturisce dalla libera discussione e dall’accordo degli interessati. Tuttavia, non si può dimenticare che, affinché la discussione e gli accordi contrattuali possano aver luogo, c’è bisogno che la società sia pervasa da uno spirito particolare – fatto di fiducia, senso del bene comune, tolleranza, responsabilità – che non può essere prodotto per via contrattuale, ma soltanto attraverso quel lento processo di socializzazione che inizia proprio nella famiglia e poi continua nella scuola e in tutte le altre istituzioni e relazioni sociali (cfr. Donati (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana (Cinisello Balsamo: Edizioni San Paolo, 2003).

46Wojtyla, ad esempio, indica la relazione fra persona e famiglia: «è la famiglia – e deve esserlo – quel peculiare ordinamento di forze in cui ogni uomo è importante e necessario per il fatto che è e in virtù del chi è; [è] l’ordinamento il più intimamente “umano” edificato sul valore della persona e orientato sotto ogni aspetto verso questo valore» [Karol Wojtyla, Metafisica della persona, (Milano: Bompiani, 2003), 1464].

47La dissoluzione dei legami attraverso la cosiddetta famiglia allargata e, soprattutto, le “famiglie” omossesuali, monoparentali, ecc., influisce negativamente sull’identità personale. «Le persone diventano individui anonimi, lasciati da soli a definire se stessi invece di ricevere un ruolo e un posto nella vita» [Robert Sokolowski, “The Threat of Same-Sex Marriage. People Who Separate Sexuality from Procreation Live in Illusion”, America, June 7-14 (2004): 13-14].

48Paola Binetti, La famiglia fra tradizione e innovazione (Roma: Magi, 2009), 114.

49Nelle sue catechesi, Giovanni Paolo II sottolinea il carattere di scelta – e non semplicemente di potenza naturale necessaria – che ha la comunione coniugale. «Il corpo, che attraverso la propria mascolinità e femminilità, fin dall’inizio aiuta ambedue (“un aiuto che gli sia simile”) a ritrovarsi in comunione di persone, diviene, in modo particolare, l’elemento costitutivo della loro unione quando diventano marito e moglie. Ciò si attua, però, attraverso una reciproca scelta» [Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano (Roma: Città Nuova, 1985), 64].