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Ror Studies Series | Ecologia integrale della relazione uomo-donna

La relazione uomo-donna tra fatiche e opportunità

Eleonora Maino

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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In questa mia riflessione cercherò di riprendere alcuni dei punti trattati dai relatori nei loro articolati saggi con i quali – in linea di massima e in linea teorica – concordo, per quanto poi nella realtà della vita quotidiana mi trovi continuamente a interrogarmi in merito a vicende che si allontanano, spesso anche molto, da quello che potrebbe essere – citando Donati1 – «un ideale, seppur veritativo, della relazione uomo-donna».

Per questo mi riferirò, per quanto possibile, anche a vicende di vita raccolte nell’ambito del mio lavoro come psicoterapeuta che si occupa nello specifico di relazioni e di persone in relazione nei loro contesti di vita, in primis quello familiare.

Il primo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda il corpo che incarna la differenza tra i sessi e la rende generativa. Nei loro saggi entrambi i relatori sottolineano la stretta connessione tra corpo, differenza sessuale, relazione e generatività. Malo sottolinea, ad esempio, che «nella specie umana la differenza sessuale non è legata solo alla vita della specie: la differenza sessuale è la matrice del nostro essere in relazione. Il sesso corporeo oltre ad essere specifico e individuale come negli animali (genetico, ormonale, cerebrale, gonadico) è anche relazionale e questo porta la sessualità corporea alla sua umanizzazione». D’altro canto, come scrive Iafrate, «la persona umana è corpo e, come ci insegna la biologia, già dall’embrione corpo sessuato. […] Prescindere dal corpo è impossibile […]. Il corpo rende visibile la differenza […], il riferimento ad “altro” fuori da sé, al senso del limite che inevitabilmente accompagna l’incontro con l’altro […]». Il corpo, grazie al suo limite, diventa «strumento capace di incontrare l’altro “diverso” da sé e di generare un terzo».

A mio avviso, questa auspicabile stretta connessione tra corpo, differenza sessuale, relazione e generatività, molte volte sembra perdersi sia a livello sociale, sia quando si entra in contatto con situazioni più specifiche proprie di alcune persone. Come “cum-prendere” dunque queste situazioni nell’ottica di una ecologia integrale della relazione uomo-donna?

Ad esempio, a livello sociale, spesso l’attenzione riguardo alla sessualità è posta sulla dimensione corporea mentre vengono trascurati gli aspetti relazionali e affettivi. Come scrive Piana, «l’atteggiamento nei confronti della sessualità è oggi contrassegnato da uno stato di profonda ambivalenza che si riflette inevitabilmente sui comportamenti quotidiani, ingenerando insicurezza e lacerazione interiore: la repressione del sesso, che ha dominato a lungo la cultura dell’Occidente e che è tuttora ben lungi dell’essere sconfessata, si scontra ai giorni nostri con l’affermarsi della tendenza a forme di liberalizzazione selvaggia, che hanno esiti non meno gravi. La percezione della sessualità appare così caratterizzata da uno stato di permanente oscillazione tra due poli opposti: quello della tabuizzazione, che alimenta frustrazioni e sensi di colpa e quello della mitizzazione dei suoi aspetti esteriori in primo luogo di quello fisico con il rischio della destituzione dei suoi più profondi significati umani»2.

Inoltre, se è vero, come suggerisce Malo, che «la differenza sessuale è la matrice del nostro essere in relazione», cosa dire di quelle situazioni in cui il corpo viene visto come asessuato?

Mi riferisco ad esempio alle situazioni in cui è presente una disabilità. Mi sono occupata per molti anni di ragazzi con una disabilità, operatori che lavorano con questi ultimi e genitori con figli disabili e spesso ho parlato con loro di tematiche inerenti il corpo, la sessualità, la relazione; spesso – in modo provocatorio e per fare emergere stereotipi e idee veicolate dall’ambiente sociale e culturale di appartenenza – chiedevo a genitori e operatori di dividere un foglio in tre colonne e di segnare in ciascuna di esse cosa fosse permesso e appropriato dal loro punto di vista in ambito sessuale da parte di un uomo, una donna e un disabile. Molto raramente ho trovato persone che obiettassero questa distinzione, poche volte ho trovato persone che mi dicessero che i disabili non sono una categoria a sé, ma pur nel loro corpo deformato o malato, sono uomini o donne. Spesso, invece, quando il corpo è malato, viene quasi automatico pensare al corpo come asessuato; così accade nel caso delle persone con una disabilità che sovente vengono pensate come non sessuate3, o come se la loro sessualità fosse irrilevante, non appartenente alla loro identità.

E ancora, che dire, nell’ottica di una ecologia integrale della relazione uomo-donna, di quelle situazioni dove si è ben lontani dall’umanizzare la sessualità attraverso la cura dell’altro e dove non c’è spazio e pensiero per la generatività? Ho in mente ad esempio situazioni di alcune persone, spesso adolescenti e giovani, affamate di relazioni, di bene, di desiderio, di amore che pur di mantenere la speranza di “essere di qualcuno” agiscono la sessualità come prezzo da pagare per mantenere l’illusione di una vicinanza affettiva. È il caso ad esempio di Paola, una ragazza di 18 anni che si concede all’altro, non donandosi in una relazione autentica di crescita, di cura di sé, dell’altro e del legame, ma come prezzo da pagare per non restare sola nonostante le conseguenze, tra le quali un’interruzione di gravidanza o l’assunzione della pillola del giorno dopo.

Ha ragione, a mio avviso, Malo quando scrive che la sessualità è una «struttura antropologica molto complessa che per svilupparsi dipende non solo dal sesso genetico, ormonale, cerebrale e gonadico, ma soprattutto dalle relazioni con le altre persone, in modo particolare con altri uomini e con altre donne»; la realtà ci porta continuamente prova di questo, sebbene, sovente, non nella direzione ipotizzata.

Il secondo punto toccato dai relatori su cui vorrei soffermarmi riguarda la relazione come luogo d’incontro delle differenze e di apertura al terzo.

Come ben scrive Iafrate «Relazione presuppone differenza […]. Se non c’è differenza non ci può essere relazione […]. L’altro è ciò che mi de-finisce, e quindi, al tempo stesso, è il mio limite…». In quest’ottica la coppia si presenta come «luogo per eccellenza dell’incontro tra le differenze fondative dell’umano, quelle tra generi, generazioni e stirpi». La vita poi ci interroga e ci riserva sorprese in merito a questa funzionale dialettica tra generi, generazioni e stirpi, come nel caso di Maria, una giovane donna di 38 anni, mamma di un bambino di 4 anni. Maria da 24 anni ha una relazione di coppia, da prima come fidanzata e poi come moglie, con Edoardo. I due, conosciutisi giovanissimi, sono cresciuti insieme, hanno sperimentato nella loro relazione le reciproche differenze nel corpo, nella sessualità e nel modo di porsi come uomo e come donna, si sono sostenuti, hanno imparato l’uno dall’altra e sono diventati famiglia aprendo il loro legame al terzo. L’incontro con una donna, Marta, dalla quale Maria si è trovata a sentirsi attratta emotivamente, romanticamente e sessualmente ha cambiato le loro vite. Maria ha trovato in Marta un “altro” uguale a sé, in cui rispecchiarsi, con cui condividere un analogo modo di sentire, da cui sentirsi appagata come non si era mai sentita. Maria vive ora un profondo stato di lacerazione interiore, non sa più chi è, non sa più se definirsi a partire da un altro diverso da sé o da un’altra uguale a sé, non sa più se proseguire nella sua vita di moglie e mamma, sino ad ora portata avanti con fatica, ma anche con soddisfazione, o se dare seguito a questo nuovo coinvolgimento. Come “comprendere” questa situazione? Come gestire le differenze? Come definire il proprio essere donna a partire dagli altri?

Una rondine non fa primavera, è vero, si aggiunga allora a questa vicenda di vita, un sondaggio effettuato nel 2015 da YouGov, un’importante società britannica di rilevazioni statistiche, secondo cui sempre più giovani rivendicano un’identità sessuale “fluida”. I dati di questo sondaggio, configurabile come uno dei più grandi sul tema negli ultimi anni, sono stati tratti da 1632 partecipanti. Questi ultimi dovevano posizionarsi sulla scala Kinsey che descrive la sessualità umana come un continuum tra due estremi: “esclusivamente eterosessuale” (al grado 0) e “esclusivamente omosessuale” (al grado 6). Considerati nel loro complesso, i dati hanno evidenziato che il 4% dei partecipanti si definiva “esclusivamente omosessuale”, il 72% riteneva di essere “esclusivamente eterosessuale” e il 19% si poneva in uno stadio intermedio che Kinsey definiva come bisessualità.

Considerando tuttavia l’età dei partecipanti, il dato che più di tutti richiama l’idea di una “sessualità liquida”, è quello che riguarda la fascia d’età dei giovani tra i 18 e i 24 anni: in questo gruppo infatti, solo il 46% dei soggetti si definiva “esclusivamente eterosessuale” e il 6% “esclusivamente omosessuale”; viceversa, il 43% dei partecipanti si collocava in uno stadio intermedio tra i due poli e una piccola percentuale non sapeva definirsi.

Il risultato più sorprendente, che richiama l’idea di una “sessualità liquida”, è quello che riguarda la fascia d’età dei giovani tra i 18 e i 24 anni: in questo gruppo infatti, solo il 46% dei soggetti si definiva “completamente eterosessuale” e il 6% “completamente omosessuale”; viceversa, il 43% dei partecipanti si collocava in uno stadio intermedio tra i due poli e una piccola percentuale non sapeva definirsi.

Cifre più attenuate, ma simili, sono state registrate anche nei soggetti tra i 26 e i 39 anni. Secondo YouGov «questi numeri non indicano una bisessualità attiva e messa in atto nella vita reale», quanto piuttosto «un approccio più aperto alla sessualità» tra i giovani. Infatti la percentuale di persone con un’identità “fluida” aumenta con il diminuire dell’età: è solo il 7% tra gli over 60, il 16% tra i 40 e i 59 anni, il 29% nella fascia 25-39 e, appunto, il 43% in quella 18-24.

Oltre a questi risultati, un altro elemento degno di nota emerso da questo sondaggio è che le persone di tutte le generazioni sembravano accettare l’idea che l’orientamento sessuale esistesse lungo un continuum piuttosto che configurarsi come una scelta binaria: nel complesso sosteneva questa idea il 60% degli eterosessuali, mentre il 28% degli eterosessuali e il 73% degli omosessuali riteneva che la scelta fosse binaria: o si è eterosessuali o non lo si è.

Tali dati, a parere mio, pur rientrando nella categoria più vicina al sentire comune che al dato scientifico in senso stretto, ci interrogano su quello che è il tema della relazione uomo-donna in una prospettiva relazionale, sulla capacità di definirsi a partire dalle relazioni con gli altri e, come hanno ben sottolineato i due relatori, sul fatto che esista un modo differente – maschile o femminile – di essere in relazione e di dar origine ai beni relazionali.

E arriviamo al terzo punto che vorrei sottolineare: come considerare differenze e somiglianze tra uomo e donna in un modello relazionale pienamente umanizzante? È innegabile che esistano delle differenze nel modo di porsi all’interno delle relazioni da parte di uomini e donne. Come scrive Iafrate «La letteratura mostra come uomini e donne differiscano nella concezione di sé, nel modo di sviluppare la propria moralità e nella modalità di concepire i rapporti umani». Le donne cercano l’intimità, l’uomo spesso la rifugge; le donne si giudicano in base alla loro capacità di prendersi cura delle cose e delle persone; l’uomo si definisce in base a criteri quali la ricerca di autonomia, la separatezza, la riuscita individuale. Non è semplice tenere insieme queste differenze e armonizzarle; non a caso, come sostengono alcuni autori4 il conflitto è la major arena5 per indagare la relazione coniugale: è infatti nel conflitto che emergono con più evidenza le percezioni dei coniugi, il tipo di comunicazione coniugale e i pattern relazionali di coppia. Credo pertanto sia importante porre l’accento sulle differenze tra uomo e donna, ma penso sia altrettanto importante porre l’attenzione su alcune “uguaglianze” che, a mio avviso, vanno poste come pilastri della relazione e sostengono il processo di armonizzazione delle differenze.

Tali uguaglianze sono da ricondurre (1) all’uguale attribuzione d’importanza a sé e all’altro, principio che si trova alla base della regola d’oro «ama il prossimo tuo come te stesso» e fonda la parità e la reciprocità nella relazione; (2) al fatto che siamo tutti fallibili, feribili da chi amiamo e passibili di ferire a nostra volta chi amiamo6. Come sottolinea L’Abate nella sua Teoria della Competenza Relazionale, in assenza di una reciproca attribuzione di importanza, in assenza del riconoscimento della propria fallibilità e del proprio limite, è difficile trovare la possibilità di negoziare all’interno delle relazioni, garantire presenza, vicinanza, sentirsi amati e amare, perdonare gli errori, condividere i dolori, potersi fidare dell’altro e accettare che, grazie all’altro diverso da noi, possiamo realizzare ciò che vogliamo essere.

Infine l’ultimo punto che vorrei trattare riguarda il riferirsi da parte di entrambi i relatori alle relazioni di coniugalità e genitorialità. In particolare Malo scrive «l’unione della peculiarità della differenza uomo/donna dà luogo a una serie di beni relazionali originari, il più importante è la famiglia; quest’ultima fa scoprire così due beni relazionali originari: la sponsalità e l’apertura al figlio». Un po’ provocatoriamente, analizzando l’odierno panorama sociale, mi viene da chiedere: nel concreto, quale famiglia?

Già nel 2004 L’Abate7 pubblicava un articolo dal titolo “La lenta scomparsa della famiglia: chi prenderà il suo posto?”. In questo articolo l’autore, sosteneva che la famiglia tradizionale formata da due genitori e due figli o fosse già scomparsa, come negli Stati Uniti, o stesse scomparendo inesorabilmente, non solo in Italia, ma anche in altri paesi europei. Infatti riportando i dati del 2002 tratti dall’Anagrafe Statunitense l’autore notava che: solo il 25% dei domicili americani apparteneva a famiglie intatte; il resto dei domicili includeva una buona percentuale di single o divorziati; coppie dello stesso sesso; famiglie con nonni che allevano i propri nipotini senza genitori; famiglie con un unico genitore; famiglie ricomposte. L’Abate concludeva che, a suo avviso, il sistema famiglia sarebbe stato sempre più rimpiazzato da relazioni intime, definite come vicine, impegnate, prolungate; laddove per “vicinanza” intendeva lo stare insieme non solo fisicamente, finanziariamente, praticamente, ma soprattutto emotivamente; per “impegnato” intendeva che i membri fossero d’accordo nel voler mantenere e sostenere la relazione affrontando insieme la buona e la cattiva sorte e per “prolungato” intendeva il continuare della relazione fino all’impossibilità di sostenerla, per qualunque ragione, compreso il sopraggiungere della morte.

Il trend non sembra essere cambiato dal 2004: il dato del 2010 è che negli Stati Uniti solo il 48,4% dei bambini al di sotto dei 18 anni vive in famiglie nucleari8. In Italia se nel 2000 le coppie con figli (includendo coppie sposate e conviventi) erano il 45%, nel 2014 sono passate al 34%; viceversa se nel 2000 le persone sole erano il 23%, nel 2014 sono diventate il 30% (dati ISTAT).

Ha ragione Malo quando sostiene, citando Binetti, che “della dimensione familiare nessuno può fare a meno, né può barattarla con legami più provvisori e forse non si ricorderà mai abbastanza che tutti i rapporti verticali in famiglia sono inscindibili; il più fragile appare proprio quello di coppia, che paradossalmente è il garante della qualità intrinseca degli altri rapporti familiari”. In proposito, i dati ci dicono che negli ultimi 20 anni il numero dei matrimoni è continuamente in calo, mentre le separazioni sono aumentate di oltre il 70% e i divorzi sono quasi raddoppiati. Non c’è dubbio che la famiglia rivesta una straordinaria importanza per gli individui e che sia il luogo di maggior apprendimento, sviluppo e definizione di sé stessi in relazione agli altri; purtroppo, a mio avviso, investiamo – nel senso più ampio del termine – troppo poco a favore della famiglia e delle relazioni al suo interno. Su questa linea concludo con quanto Rogers9 scriveva già nel 1974: «A me pare che viviamo in un’epoca importante e incerta e l’istituzione del matrimonio è sicuramente in uno stato incerto. Se dal 20 al 75% dei veicoli Ford o General Motors si guastassero completamente nel primo periodo della loro vita di automobili, si prenderebbero misure drastiche. Non abbiamo sistemi così bene organizzati per il trattamento delle nostre istituzioni sociali, sicché la gente brancola, più o meno alla cieca, alla ricerca di alternative al matrimonio (che ha successo certamente in meno del 50% dei casi)».

1Pierpaolo Donati, “La relazione umanizzante uomo-donna secondo il paradigma relazionale”, in questo volume.

2Giannino Piana, “Etica, handicap e sessualità”, in Fabio Veglia (a cura di), Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza (Milano: Franco Angeli, 2003): 152-156 e nello specifico 153.

3Giancarlo Posati, “Tra esperienza e progetto: diritto alla sessualità come diritto alla qualità della vita”, in Veglia (a cura di), Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza, 44-54.

4Linda K. Acitelli, Elizabeth Douvan, Joseph Veroff, “Perceptions of conflict in the first year of marriage: How important are similarity and understanding”, Journal of Social and Personal Relationship, 10 (1) (1993): 5-19.

5Eugenia Scabini, Vittorio Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2000).

6Luciano L’Abate, Mario Cusinato, Eleonora Maino, Walter Colesso, Claudia Scilletta, Relational Comptence Theory. Research and Mental Health Applications (New York: Springer, 2010).

7Luciano L’Abate “La lenta scomparsa della famiglia: chi prenderà il suo posto?”, Saggi: Child Development and Disabilities, 30 (2004): 23-35.

8Debra L. Blackwell, Family Structure and Children’s Health in the United States: Findings From the National Health Interview Survey, 2001-2007 (Washington: National Center for Health Statistics, Vital and Health Statistics, 10 (246) 2010).

9Carl R. Rogers, Partners. Il matrimonio e le sue alternative (Roma: Astrolabio Ubaldini, 1974): 15.