Ror Studies Series | Ecologia integrale della relazione uomo-donna
I beni relazionali della coppia
Oana Gotia
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e famiglia
Introduzione
Come può oggi la relazione di coppia non essere solamente sopravvissuta dall’uomo e dalla donna, ma vissuta fino in fondo, attuando quella promessa di pienezza che il loro incontro apre? Quali sono i beni relazionali della coppia che aiutano a realizzarla?
Oggi la promessa di un amore reciproco che affronti il tempo per sempre è considerata non solo un concetto antiquato, ma anche un traguardo futile giacché ritenuto impossibile da raggiungere: partendo dalla provvisorietà dei sentimenti e dalla fragile coesione delle coppie odierne, nel migliore dei casi ciò che si promette è un impegno in una relazione “finché dura”. L’uomo post-moderno si percepisce incapace di offrire la propria promessa all’altro, poiché si tratta di un individuo continuamente bombardato da una cultura basata sull’idea di doversi adoperare freneticamente per essere indipendente dagli altri, poiché la dipendenza dagli altri è “un male” del quale sbarazzarsi.
È questo il trend che emerge anche dal recentissimo documentario di Erik Gandini La teoria svedese dell’amore (The Swedish Theory of love, settembre 2016) che descrive le conseguenze del manifesto intitolato La famiglia del futuro1 della sezione femminile del Partito social-democratico del 1972, nel quale veniva prefigurata la famiglia del futuro in un sistema socio-assistenziale perfettamente organizzato il cui fine è dare a ciascuno una vita totalmente autonoma. Ad esempio, nel documentario si descrive lo stile di vita degli anziani “indipendenti”, ma che muoiono da soli nelle loro case, senza che nessuno se ne renda conto per diversi giorni (perché i parenti e i vicini non si interessano e/o non ci sono). Si mostra anche la “soluzione” che le donne-single “indipendenti” trovano per realizzare il loro “progetto di maternità”: ricorrono alle banche di sperma che forniscono non solo la “materia” donata da maschi anonimi, ma anche il kit per l’inseminazione “domestica”; tutto questo, dopo essersi accertata che il profilo fisico online del donatore di sperma sia simile al proprio, per non dover spiegare più tardi al figlio (fisicamente diverso dalla madre) chi sia il padre.
È questo il modello dell’individuo “indipendente” post-moderno: una totale autonomia cercata fino al punto di isolarsi dagli altri e dai legami che possano impiegare il proprio tempo e le proprie energie. Il soggetto contemporaneo, nel suo isolamento, non è dunque nemmeno in grado di promettere, perché è paralizzato dall’analisi della fragilità e dall’incostanza delle proprie forze ed è abbandonato ad una solitudine troppo profonda per affrontare la paura dell’incertezza del futuro.
Di contro, Hannah Arendt afferma che è proprio da questa incertezza e da questa oscurità dell’avvenire che veniamo liberati nel nostro atto di promettere.2
12.1 L’origine della relazione
Qual è allora il soggetto capace di promessa? È colui che prima di poter promettere, ha ricevuto a sua volta una promessa, poiché nessuno può promettere partendo dal nulla.3 Ognuno di noi impara normalmente a pronunciare la propria promessa quando è stato accolto nel cuore di una famiglia, inserito dunque in una rete di vincoli di appartenenza reciproca dove non si soffoca, ma dove l’identità fiorisce a causa dell’essere figlio e fratello o sorella, dell’essere strutturalmente relazionale.4 In questa vera e primordiale accoglienza famigliare, la persona inizia ad afferrare ciò che l’individualismo non potrà mai cogliere: che il tempo non è una minaccia al fiorire della propria identità, ma è un ingrediente imprescindibile per crescere nell’amore, così come il legame con gli altri è, anch’esso, spazio fecondo per la propria libertà.
Certamente è significativo oggi il numero di famiglie dove tale promessa non è stata offerta ai figli in maniera serena e stabile da parte dei genitori per vari motivi. Tuttavia, MacIntyre affermava al riguardo che ogni persona che raggiunge l’età della maturità testimonia il fatto che qualcuno si è preso cura di lui, anche se non sono stati i genitori a farlo.5 Pertanto, anche all’interno delle famiglie dove, purtroppo, tale promessa non si offre, il bambino ha bisogno di vivere in prima persona un legame di appartenenza a una figura paterna e materna – quand’anche non fossero i genitori a svolgere tale ruolo –, per poter poi creare lui stesso nel futuro vincoli di appartenenza. Un altro aspetto importante, affinché il bambino e il giovane diventi capace di promessa, è essere aiutato a cominciare un processo di riconciliazione e guarigione delle ferite eventualmente subite nei legami di origine, prima di costruire una relazione sponsale. Infatti, non spetta alla relazione sponsale in sé adempiere a tale compito, poiché in tal caso si correrebbe il rischio di trasformare il matrimonio in un rifugio terapeutico, privando i due della maturità necessaria per costruire un rapporto quanto più possibile bilanciato.
Pertanto, si può evincere da queste considerazioni, quanto la promessa sponsale di cura e di fedeltà dei genitori tra di loro, insieme alla loro promessa di cura e di amore nei confronti dei figli, costituiscano il fondamento per la capacità di ognuno di noi di dire “sì” ad un’altra persona nel futuro – un “sì” che è dall’inizio filiale.6
In tal modo, la maniera in cui avviene la genesi delle relazioni originarie in noi – figliolanza, fratellanza, sponsalità, genitorialità – conforma fortemente anche il modo in cui esse si sviluppano negli anni. Per questa ragione, quando la famiglia si trova in crisi, è la visione del futuro di ogni persona che nasce ad essere ferita, perché è nel presente della famiglia che si forgia nel figlio il futuro delle sue relazioni interpersonali. Nel contempo, rafforzare la famiglia oggi significa edificare il futuro dell’amore umano.
Da queste prime considerazioni della genesi della relazione, si evince il fatto che le relazioni interpersonali, soprattutto quella di coppia, sono costitutivamente vulnerabili.
12.2 Quale vulnerabilità della relazione?
Martha Nussbaum, enumerando le fonti di vulnerabilità delle relazioni di amore-philia (tra le quali annovera anche quella di coppia), mostra che esse non sono omogenee: prima di tutto esiste una vulnerabilità ontologica propria agli esseri umani radicata nel loro essere corporei; si tratta della vulnerabilità fisica (come la malattia, l’invecchiamento e la morte), sperimentata doppiamente perché siamo esposti anche alla perdita della salute o della vita dell’altro.7 Esiste anche la vulnerabilità legata alla contingenza della vita, alla complessità della realtà che spesso sfugge al nostro controllo (eventi legati al benessere o meno dei figli o del coniuge, alla perdita del lavoro, ecc.) e che rischia sovente di indebolire il rapporto di coppia.8 Certamente, non si tratta di un legame che rimane completamente in balia della fortuna, ma la coppia si trova continuamente davanti alla sfida dei cambiamenti della vita.9
Per questa ragione, la sfida più grande è quella di imparare a costruire una relazione che eviti un altro tipo di vulnerabilità che invece la sovverta: quella morale. Si tratta di quella dispersione e frammentazione interna alla persona, di quella mancanza di unificazione interiore tra i principi attivi della razionalità e dell’affettività. Detto in positivo, esiste una qualità, un’eccellenza e dunque una verità del legame d’amore uomo-donna, come vedremo più avanti, che non possono andare perdute se non si vuole perdere anche la pienezza cercata nella relazione stessa. Sulla scia di Aristotele, la Nussbaum identifica la felicità/eudaimonia umana non già con un benessere emotivo,10 ma come frutto di un certo tipo di agire all’interno di una relazione che fa fiorire le due persone nella coppia, poiché non esiste una felicità “low-cost” che possa fare a meno dell’agire buono, sperando di raggiungere lo stesso l’eudaimonia. L’alternativa non è priva di costo, poiché sarà inevitabile cadere nella dissipazione e nella frantumazione morale che distruggerà proprio la mèta della vita tanto anelata. Pertanto, combattere la vulnerabilità morale dell’agire della coppia non dovrebbe essere un atteggiamento motivato dalla corrispondenza ad un moralismo sterile, ma dalla convinzione che ciò che è in gioco è la felicità stessa degli amanti.
I beni relazionali della coppia saranno dunque il frutto di quelle loro co-azioni, per dirla con Blondel,11 che li uniscono in un amore che diventa nel tempo vero e forte. Quali sono le caratteristiche di questi “beni della relazione”?
12.3 La relazione uomo-donna ha una verità
12.3.1 L’amore inizia in un dono
L’origine della relazione di coppia illumina una profonda prima verità: ogni amore inizia non tanto con una decisione, quanto in un momento recettivo. Questo incontro epifanico, originario, tra l’uomo e la donna è carico di significato, perché rivela l’identità profonda dell’altro: egli non è mai un dovuto, ma una presenza sorprendente di dono non-calcolato che sconvolge la vita del soggetto. Ogni amore interpersonale ha costitutivamente al suo principio questa dinamica di arricchimento e di novità: la relazione sponsale, quella tra i genitori e i figli, i legami di fratellanza o di amicizia e anche l’amore per Dio. Per questa ragione, l’Aquinate pone prima come fondamento del trattato sull’amore-dilectio la sua elaborazione sull’amore-passio e sul movimento affettivo che genera (immutatio, co-aptatio, complacentia) per creare quella unio affectus originaria12 che darà l’imprinting all’intera relazione. Prima di diventare un amare dinamico, l’amore nasce in un dono.
Shakespeare esprime in maniera geniale la singolarità dell’amore che Romeo scopre in Giulietta. Romeo, prima di incontrare Giulietta, era piuttosto avvinto dal sentimento stesso di trovarsi infatuato della sua “fiamma” Rosalina e la fioritura quasi comica dei versi che compone per lei13 mostrano la superficialità di questa esperienza sentimentale. L’incontro con Giulietta, invece, mostra una radicale novità: Romeo si rende conto che prima di lei non aveva veramente saputo cosa fosse l’amore: «Did my heart love till now? Forswear it, sight! / For I ne’er saw true beauty till this night».14 Il vero amore sconvolge e apre gli occhi al soggetto, alla vera bellezza della promessa di una relazione che sta per sbocciare.
Ogni coppia ha bisogno di far memoria di questo momento rivelatore che sta al fondamento della loro relazione. L’avvenimento dirompente dell’amore nel quale l’altro si rivela come dono, sarà fonte di riflessione e di rinnovamento per gli sposi nei momenti-cardine o nei momenti di crisi, aiutandoli a tornare all’essenziale e alla matrice: all’inizio, c’è proprio il momento del mutamento (immutatio) vale a dire dello sconvolgimento di una visione di vita che ora inizia ad essere illuminata dal “noi” che si promette.
All’inizio della coppia non vi è affatto l’idea di un “mio” progetto di vita nel quale “tu devi entrare” come la “tessera di un mio puzzle” che mancava, senza sbilanciare in nessun modo la comodità letargica del soggetto post-moderno. L’amore-passio (che non è l’amour-passion romantico, ma l’amore colto in chiave tomista), l’amore che inizia nella recezione affettiva del dono, rivela che il cambiamento di ottica da quella dell’individuo self-sufficient a quella di coppia è un passo fondante, il quale, se sperimentato e accolto da entrambi, potrà essere la base per una relazione che porti frutto. Prima dell’agency della coppia, c’è la reciproca presenza affettiva15 che genera e ri-genera la relazione nuova da costruire, nella quale ciascuno scopre una sua nuova identità: essere un dono per l’altro.
12.3.2 L’amore genera il desiderio estatico e reciproco di comunione
Il desiderio nel cuore dell’uomo non è semplicemente caratterizzato da una astratta insaziabilità o causato da un vuoto generico e infinito. Il desiderio, come si è visto, nasce da una presenza d’amore ricevuto: l’amore precede il desiderio, direbbe san Tommaso.16 Il desiderio che nasce nell’esperienza rivelatrice dell’amore ha già una identità e contenuto preciso: cerca la comunione promessa nell’amore ricevuto. L’amore autentico dunque non è mai una esperienza stagnante, ma generativa: nasce così un nuovo movimento verso un bene comune nuovo che corrisponde profondamente ad entrambi (“bonum conveniens”)17 e dunque anche un desiderio (desiderium) comune per questo bene che è la comunione.
In tal modo, la pienezza umana (l’eudaimonia) cessa di essere una mèta astratta e vaga e diventa un traguardo connaturale per gli amanti, affascinandoli e attraendoli18 profondamente nelle azioni concrete che la costituiscono. L’amato “invade” benevolmente19 l’interiorità del soggetto, dinamizzandolo e generando un desiderio estatico (“extasis”)20 di raggiungere l’amato21 e di condividere la vita con lui.
Senza questa reciprocità22 di esperienza dell’innamoramento (da distinguere dalla infatuazione), non si può edificare la relazione di coppia, giacché un amore “a senso unico”, in realtà, non ha senso, non ha la forza di unire due destini – al contempo, distinti e uniti – verso la pienezza: non è ancora virtus unitiva. La relazione dunque si prefigge, per dirla con Donati, come una realtà “terza” tra Ego e Alter23 da costruire ed alimentare da entrambi nel tempo. Far memoria della reciprocità iniziale dell’esperienza ricettiva dell’amore sarà anche fonte di rinnovamento nella coppia negli anni e richiederà un nuovo approfondimento di tale co-esperienza affettiva.
12.3.3 L’amore genera la libertà, se “unisce nella differenza”
Un’altra caratteristica della relazione salutare di coppia, sia per Nussbaum che per Donati, è la custodia dell’alterità dell’altro.24 La relazione unisce i due agenti non solo conservando la rispettiva identità unica, ma sviluppandola a causa della relazione di coppia: l’amore ama la differenza e la singolarità dell’altro e si adopera per farla sbocciare. Pertanto, il paradosso è che proprio in virtù del legame sponsale che i due trovano lo spazio prediletto per essere e far fiorire l’identità ricca di ciascuno: «questo paradosso dell’amore si scioglie solo se si pensa che l’amore è una relazione che ha il potere di liberare attraverso il vincolo».25 Non esiste dunque alcun conflitto tra vincolo e libertà nell’amore autentico se ciò che si cerca è costruire insieme un legame nell’amarsi a vicenda per se stessi e per rafforzare la reciproca comunione promessa nell’innamoramento.
La relazione unisce veramente le persone (unio realis)26 se i due si uniscono nella loro differenza che assumono e affermano nelle azioni che sono chiamati a plasmare insieme. In che modo?
12.3.4 L’amare è una scelta
Questa sana densità della relazione, questo contenuto imprescindibile del reciproco volersi bene,27 è decisivo per evitare di trasformare la relazione in uno spazio chiuso dove non si respira più l’aria della libertà, ma dove la si soffoca alla ricerca auto-referenziale e frenetica del sentire. L’amore interpella chi lo ha incontrato nel profondo del suo essere e lo invita a scegliere (“dilectio”)28 di cercare un’unione sempre più grande con la fonte di questo incontro, che è l’altro.29
L’amore romantico30 ha perso la linfa dell’amore pieno eliminando la fonte della sua vitalità specifica costituita dal vincolo con la persona dell’amato nella sua alterità, trasformandolo in un legame fusionale in cui le identità inevitabilmente si perdono, per far posto alla mera ricerca di stimoli. Al giorno d’oggi, l’esempio più drammatico di questo impoverimento del concetto d’amore è il fenomeno del poliamore,31 in cui si pensa di “rinfrescare l’aria”32 respirata nella coppia “aprendola” ad un terzo elemento o più (senza poter spiegare, peraltro, perché la gelosia aumenta ad ogni relazione extra-coniugale). Così facendo, invece, la si seppellisce in profondità nel consumo illusoriamente gratificante di stimoli, che comporta un immenso svuotamento di significato personale diventando così spersonalizzante.
Di contro, nella relazione di amore autentico, non si cancella il volto della persona amata, perché è fortemente radicata nell’affermazione di ciò che più è profondo, unico e intimo all’altro,33 essendo ciò che ha fatto scaturire l’amore-dono. Esiste un equilibrio delicato, fragile, ma prezioso da mantenere tra il riconoscimento dell’affinità (co-aptatio) che nasce tra i due rendendo l’altro un alter ipse34 e l’adoperarsi per la promozione dell’altro in quanto altro:35 non si tratta di una contraddizione, ma di una tensione salutare dell’amore che ci protegge dalle tendenze di uniformizzazione delle differenze in un tentativo sempre presente di controllo.
Questa alterità promossa nell’amore è cercata connaturalmente, non moralisticamente, perché il momento affettivo dell’amore-passio ha destato quel desiderio di pienezza comune dinamica. Così, nascono le virtù relazionali, impregnando un agire amoroso da costruire nel seno della contingenza: ciò che si cerca hic et nunc è scoprire e creare quelle azioni – e solo determinati tipi di atti convengono alla pienezza – che ci permettono di amare insieme e nella verità.
12.3.5 La gioia creativa, frutto dell’amare nella verità
L’amore ha dunque una verità esigente,36 ma è l’unica che porterà frutto in abbondanza nonché quella gioia profonda (“gaudium”)37 che riempie il cuore umano. Tutti i pseudo-piaceri che scaturiscono da un agire in cui questa verità non è custodita, inebriano per un istante il cuore, ma lo lasciano ancora più vuoto di prima.
Da questa verità esigente nasce anche la vera creatività nell’amore, perché la contingenza della vita richiede la messa in gioco della nostra intelligenza per amare nel quotidiano in maniera nuova ed eccellente.38 Anche se la vita di ogni giorno può sembrare banale dal di fuori, dall’interno della coppia il quotidiano è una sfida: costruire gradualmente una dimora forte dell’amore.
La fedeltà del quotidiano è dunque diversa da una semplice costanza, come ci ricorda Gabriel Marcel. Mentre la costanza implica un’immutabilità e una perseveranza nel proposito stabilito – ed è un atteggiamento che rimane piuttosto nel registro della coerenza con se stessi e dunque della contrattualità auto-referenziale –, la fedeltà comporta un aspetto decisamente interpersonale, perché si è fedeli ad una persona e questo, pertanto, implica una presenza.39 Di conseguenza, la fedeltà non consiste solo nell’attivare un “antivirus” contro le relazioni extra-coniugali, ma implica la creatività nel quotidiano frutto della collaborazione delle virtù relazionali che unificano l’affettività e la razionalità all’interno dei due, generando così una connaturalità nuova: in questo modo si impara ad essere presenti uno all’altro nelle scelte d’amore, a donare non solo qualcosa, ma se stessi, nelle azioni rivolte all’altro, forgiando così la comunione.
12.4 La sovrabbondanza della relazione
La creatività della coppia si manifesta palesemente, prima di tutto nella sua capacità di essere simbolica, di trascendere il significato concreto dell’agire e di fare spazio ad una fecondità nascosta dell’azione specifica, eccedendola, ma al contempo non offrendosi senza di essa, pena la ricaduta nell’idealismo. Lo spazio di appartenenza esclusiva all’altro nell’intimità è dunque nutrito dalle azioni quotidiane, ma si configura in una comunione più grande del significato delle azioni stesse. La fecondità dell’amore di coppia è tangibilmente concretizzata anche nel dono dei figli, affidati alla coppia per imparare ad amare nella libertà e nella cura del focolare familiare. Nessuna istituzione potrà sostituire questa micro-comunità originaria dove i figli sono amati nella loro particolarità ed interezza grazie alla capacità dell’amore genitoriale di conoscere l’unicità della persona,40 dove dunque si accoglie la persona del figlio non tanto per le sue prestazioni accademiche o per le sue doti naturali,41 ma per se stesso nel seno di un amore incondizionato.
Questa fecondità di natura spirituale dell’agire sponsale apre anche all’orizzonte della trascendenza, della Presenza che vivifica il cuore umano, senza alienarlo da se stesso. Diversa è, invece, la prospettiva della Nussbaum su questo punto: nella sua critica al concetto di amore trascendente di Platone, essa spesso afferma di seguire la scia aristotelica e non quella platonica, per evitare di perdere la specificità e finitezza dell’amore umano e per evitare di trasformarla in quella di un essere che non è più umano, ma del divino non-bisognoso (a needless god).42 Questo timore emerge anche nell’idea che spesso alberga nelle menti di tante persone, portate a pensare che la grazia divina blocchi o paralizzi la spontaneità della vita coniugale nel suo aspetto emotivo e sessuale.
Ritengo, invece, che la prospettiva cristiana della grazia nell’amore umano superi questa ottica antagonistica, proprio perché l’Incarnazione rivela una logica diversa: il Dio che ha preso su di sé la carne umana, il Vero Uomo, è lo stesso che ha creato l’uomo e la donna, instillando nel loro cuore un desiderio di amore pieno, senza che nemmeno il peccato possa cancellare questo anelito profondo. L’Incarnazione non può negare la creazione, ma la custodisce gelosamente e la porta a compimento. Così, l’amore umano non si perde, ma diventa più umano quando irrigato dall’amore di Dio, perché non si può salvare da solo.43 È per questa ragione che la carità coniugale non sacrifica le virtù umane,44 ma ha bisogno della loro mediazione per permeare le azioni umane concrete, le azioni comunionali degli sposi.
In questo modo, non è solo il mondo interpersonale della famiglia che viene trasfigurato dall’amore vivificato dalla grazia, ma è la società stessa che ne riceve la sua linfa vivificante.
Emerge con forza che la relazione sponsale inizia in un dono ed è essa stessa un dono sempre fecondo.
12.5 Conclusione
I beni relazionali della coppia si costruiscono con la fantasia dell’amore che scaturisce dal dono del loro incontro, generando così un legame nel quale entrambi respirano la libertà di appartenere l’uno all’altro. Si rivelano come il frutto di un agire fragile e dinamico: sono scelte quotidiane di volersi bene, in maniera sempre nuova e attenta, intelligente e affettuosa, personale e feconda. I beni relazionali sono azioni che si radicano nelle virtù relazionali, le virtù dell’amore.
Così sostenuti e alimentati, i beni relazionali emergono in maniera creativa e veritiera dinamizzando i due amanti e facendoli tendere e agire verso un orizzonte di pienezza promessa, ma che spetta a loro edificare: quella realtà sommamente attraente che li affascina nelle scelte singolari e mai banali, se vissute così, ogni giorno, sono la comunione feconda d’amore.
1Manifesto intitolato The family of the future (Familjen i framtiden) presentato dalla sezione femminile del Partito Social-democratico svedese (Sveriges Socialdemokratiska Kvinnoförbund, allora guidato dal primo ministro Olof Palme) al Convegno del Partito del 1972.
2Hannah Arendt, “Unpredictability and the power of promise”, in Id., The human condition (Chicago: The University of Chicago Press, 1958): 244: «The unpredictability which the act of making promises at least partially dispels is of a twofold nature: it arises simultaneously out of the “darkness of the human heart”, that is, the basic unreliability of men who never can guarantee today who they will be tomorrow, and out of the impossibility of foretelling the consequences of an act within a community of equals where everybody has the same capacity to act».
3José Granados García, La teologia del tempo (Bologna: EDB, 2014): 183.
4Martha Nussbaum, The Fragility of Goodness (Cambridge: Cambridge University Press, 19861): 344-345.
5Alasdair MacIntyre, Dependent rational animals (Chicago: Open Court, 2001): 138.
6Granados, La teologia del tempo, 183.
7Nussbaum, The Fragility of goodness, 360-361.
8Ivi, 343-344.
9Ivi, 345.
10Ivi, 369: «But since the goal of the Aristotelian is not so much happiness in the sense of contentment as it is fullness of life and richness of value, it is no solution to omit a value for happiness’s sake, to reduce your demands on the world in order to get more pleasing answers from the world. The Aristotelian will simply take on the world and see what can be done with it».
11Maurice Blondel, L’action. Essai d’une critique de la vie et d’une science de la pratique (Paris: Presses Universitaires de France-Quadrige, 1893): 244: «Et quand je veux avoir à faire avec d’autres moi-même, est-ce que la coaction ne disparaît point pour faire place à l’originalité indépendante d’une raison et d’une liberté? Etranges conditions à concilier: je veux que mon partenaire soit aussi distinct de moi que je suis de lui; et je veux que son autonomie suive ma loi. Il me faut avec lui une union pleine, sûre et parfaite, sans que l’unité, sans que la dualité soient sacrifiées l’une à l’autre».
12Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 26-28.
13William Shakespeare, Romeo and Juliet, I, 1: «She is too fair, too wise, wisely too fair, to merit bliss by making me despair. She hath forsworn to love, and in that vow, Do I live dead that live to tell it now».
14Ivi, I.5.52-53.
15Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.28, a.2, sc: «amor facit amatum esse in amante, et e converso»; ad.1: «amatum continetur in amante, inquantum est impressum in affectu eius per quandam complacentiam».
16Ivi, I-II, q.25, a.2, co: «[…] amor praecedit desiderium, et desiderium praecedit delectationem».
17Ivi, I-II, q.32, a.1, co: «ad delectationem duo requiruntur: scilicet consecutio boni convenientis, et cognitio, huiusmodi adeptionis. Utrumque autem horum in quadam operatione consistit: nam actualis cognitio operatio quaedam est; similiter bonum conveniens adipiscimur aliqua operatione. Ipsa etiam operatio propria est quodam bonum conveniens. Unde oportet quod omnis delectatio aliquam operationem consequatur».
18James McEvoy, “Amitié, attirance et amour chez S. Thomas d’Aquin”, Revue philosophique de Louvain 91 (1993): 383-408.
19José Ortega y Gasset, Estudios sobre el amor (Barcelona: EDAF, 1994): 34-35.
20Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.28, a.3, co: «aliquis extasim pati, quando appetitus alicuius in alterum fertur, exiens quammodo extra seipsum». Al riguardo, si veda Peter A. Kwasniewski, “Extasis and union with the Beloved”, The Thomist 61 (1997): 587-603.
21Antonio Malo, Antropologia dell’affettività (Roma: Armando Editore, 1999): 153.
22Nussbaum, The Fragility of Goodness, 354: «Not every case in which a person likes or even intensely loves something or someone is, Aristotle insists, a genuine case of philia. […] We find in this passage two requirements for philia. The first is mutuality: philia is a relation, not a one-way street; its benefits are inseparable from sharing and the return of benefit and affection. The second is independence: the object of philia must be seen as a being with a separate good, not as simply a possession or extension of the philos; and the real philos will wish the other well for the sake of that separate good. […] Philoi, by contrast, should be separate and independent; they ought to be, and to see one another as, separate centers of choice and action».
23Pierpaolo Donati, “L’amore come cura dei beni relazionali”, in Juan José Perez-Soba, Marija Magdic (a cura di), L’amore, principio di vita sociale. “Caritas aedificat” (1Cor 8,1) (Siena: Cantagalli, 2011): 139-185, 152.
24Nussbaum, The Fragility of Goodness, 355.
25Donati, “L’amore come cura dei beni relazionali”, 153.
26Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.28, a.1, ad.1: «Quaedam vero unio est effectus amoris. Et haec est unio realis, quam amans quaerit de re amata».
27Ivi, I-II, q.26, a.4, co; Aristotele, Rethorica, l.2, c.4, 1380 b 35-36.
28Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.26, a.3, co: «Addit enim dilectio supra amorem, electionem praecedentem, ut ipsum nomen sonat. Unde dilectio non est in concupiscibili, sed in voluntate tantum, et est in sola rationali natura».
29José Noriega, “Affettività e integrazione”, Anthropotes 20 (2004): 163-176, 166.
30Kenneth S. Pope, “Defining and studying Romantic love”, in Id. (a cura di), On Love and Loving, Psychological perspectives on the Nature and Experience of Romantic Love (San Francisco-Washigton-London: Jossey-Bass Publishers, 1980): 1-26. Al riguardo, Perez-Soba, “L’epopea moderna dell’amore romantico,” in Giuseppe Angelini (a cura di), Maschio e femmina li creò (Milano: Glossa, 2008): 233-261.
31Si veda lo studio di uno dei primi ideologi di questo movimento: Jacques Attali, Amours. Histoires des relations entre les hommes et les femmes (Paris: Fayard, 2007).
32L’espressione appartiene alla prima coppia americana, Julia e Jim Janousek (Minneapolis), che parla del loro legame poliamoroso: si veda l’articolo di Kirsten Anderson, “‘Polyamory”: the next civil rights movement?”, https://www.lifesitenews.com/news/polyamory-the-next-civil-rights-movement (ultima visita 28.02.2017).
33Nussbaum, The Fragility of Goodness, 356: «The central and best case of love between persons is that of love based upon character and conception of the good. Here each partner loves the other for what that other most deeply is in him or herself (kath hauto), for those dispositions and those patterns of thought and feeling that are so intrinsic to his being himself that a change in them would raise questions of identity and persistence».
34Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q.28, a.1, ad.2: «quaedam vero unio est essentialiter ipse amor. Et haec est unio secundum coaptationem affectus. Quae quidem assimilatur unioni substantiali, inquantum amans se habet ad amatum, in amore quidem amicitiae, ut ad seipsum; in amore autem concupiscentiae, ut ad aliquid sui».
35Nussbaum, The Fragility of Goodness, 368.
36Perez-Soba, “Amor es nombre de la persona” (I.q.37, a.1). Estudio de la intepersonalidad en el amor en Santo Tomàs de Aquino (Roma: Lateran University Press, 2001): 68.
37Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q.31, a.3, co: «Sed nomen gaudii non habet locum nisi in delectatione quae consequitur rationem, unde gaudium non attribuimus brutis animalibus, sed solum nomen delectationis. Omne autem quod concupiscimus secundum naturam, possumus etiam cum delectatione rationis concupiscere, sed non et converso. Unde de omnibus de quibus est delectatio, potest etiam esse gaudium in habentibus rationem».
38Nussbaum, The Fragility of Goodness, 359.
39Gabriel Marcel, “La fidélité créatrice”, Revue internationale de Philosophie 5 (1939): 90-116, 96.
40Nussbaum, The Fragility of Goodness, 362.
41Franco Nembrini, Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare (Milano: Edizioni Ares, 2011): 58.
42Nussbaum, The Fragility of Goodness, 357.
43Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.62, a.1, co: «beatitudo proportionem humanae naturae excedit, principia naturalia hominis, ex quibus procedit ad bene agendum secundum suam proportionem, non sufficiunt ad ordinandum hominem in beatitudinem praedictam. Unde oportet quod superaddantur homini divinitus aliqua principia, per quae ita ordinetur ad beatitudinem supernaturalem, sicut per principia naturalia ordinatur ad finem connaturalem, non tamen absque adiutorio divino. Et huiusmodi principia virtutes dicuntur theologicae, tum quia habent Deum pro obiecto, inquantum per eas recte ordinamur in Deum; tum quia a solo Deo nobis infunduntur; tum quia sola divina revelatione, in sacra Scriptura, huiusmodi virtutes traduntur». Si veda anche Livio Melina, José Noriega, Juan J. Perez- Soba, Camminare nella luce dell’amore. I fondamenti della morale Cristiana (Siena: Cantagalli, 2008): 331-338.
44Anthony J. Falanga, Charity the form of the Virtues according to Saint Thomas (Washington: The Catholic University of America Press, 1948): 40.