Ror Studies Series | Ecologia integrale della relazione uomo-donna
Prefazione
La presentazione di un lavoro di ricerca transdisciplinare richiede qualche parola in merito alle condizioni che l’hanno reso possibile. E ciò per due ragioni: in primo luogo perché, sebbene sia ormai una moda parlare di studi interdisciplinari, non è frequente che lo siano veramente. Infatti le difficoltà nel raggiungimento dell’interdisciplinarietà dipendono non tanto dalla mancanza di capacità scientifica e organizzativa da parte dei ricercatori, quanto piuttosto dalla mancanza di un metodo adeguato. In secondo luogo, quando qui si parla di ricerca transdisciplinare non si sta semplicemente usando un sinonimo di interdisciplinare, ma si tratta piuttosto di qualcosa di diverso.
Infatti, con il termine ‘transdisciplinare’ non si vuole indicare l’ambito comune a diverse discipline (l’inter dell’interdisciplinarietà), che perciò può essere studiato con metodi e prospettive differenti, bensì si vuole indicare la realtà al di là della sua formalizzazione in diversi linguaggi e alla quale ogni disciplina è chiamata ad aprirsi per entrare in sinergia con le altre discipline. In tal modo, nonostante il fatto che ogni disciplina abbia un proprio linguaggio, dei propri principi e un proprio metodo e che, nelle condizioni culturali odierne, manchi un logos comune, è possibile osservare insieme e riconoscere la realtà su cui le diverse prospettive si basano.
L’esperienza di due anni di lavoro ci permette di affermare che questa realtà previa a qualsiasi tipo di formalizzazione è la relazione. D’altro canto, nel corso del lavoro che è stato portato avanti, si è anche comprovato che il ‘paradigma relazionale’ proposto da Donati, serve da interfaccia ontologico, epistemologico e metodologico meglio di altri paradigmi, permettendo un dialogo fruttifero fra le discipline, il che consente di illuminare aspetti essenziali della realtà spesso trascurati.
Oltre al metodo di lavoro basato sul ‘paradigma relazionale’, abbiamo anche accertato che l’expert meeting è una formula particolarmente adatta alla comunicazione e allo scambio fra ricercatori delle diverse discipline che usano questo paradigma. Infatti, rispetto al tradizionale congresso, l’expert meeting offre la possibilità di realizzare un vero dialogo dove i diversi partecipanti imparano realmente a confrontarsi sui loro rispettivi punti di vista e a riflettere insieme in profondità sul reale, piuttosto che sulle sue formalizzazioni.
Con il primo expert meeting abbiamo messo le basi di questo lavoro di ricerca, individuando una serie di elementi essenziali, come il problema della soggettività ereditato dalla modernità, la necessità di imparare ad usare una logica e una riflessività relazionale sia per evitare le opposizioni binarie sia per capire i beni relazionali, ecc. Inoltre, siamo riusciti anche ad avere una prima comprensione ontologica della relazione come energeia, cioè come atto, perché, in quanto ‘essere’, la relazione è atto, ma un atto che ha una forma sui generis, diversa dall’atto individuale, perché consiste di una realtà che va oltre l’apporto dell’individuo.
Questo secondo expert meeting ha cercato di fare un passo in avanti nella direzione della transdisciplinarietà, in quanto abbiamo applicato il paradigma relazionale allo studio della differenza uomo-donna. Al di là delle considerazioni teoriche generali, ogni relatore e ogni discussant ha preso in considerazione uno o più casi concreti, esempi, applicazioni o in generale elementi di ricerca che sono così diventati oggetto del comune sguardo delle diverse discipline. Quindi, assieme alle relazioni di carattere più generale, abbiamo affrontato temi concreti che riguardano la costituzione relazionale della persona umana, della famiglia e dell’educazione. Inoltre, se nel primo expert meeting, le discipline coinvolte erano solo tre (sociologia, filosofia e teologia), in questo secondo abbiamo fatto spazio ad altre discipline di carattere più pratico, come la psicologia, l’etica e la pedagogia.
I risultati del lavoro che il lettore ha nelle sue mani sono senz’altro parziali e a volte sono più riflessioni e domande che soluzioni vere e proprie. Ciò nonostante, pensiamo che essi offrano già delle indicazioni sia per una migliore comprensione della differenza uomo-donna in quanto relazione originaria, sia per affrontare una serie di fenomeni socio-culturali in cui si osserva la perdita di questa differenza e, quindi, la sostituzione di tale relazione con altri tipi di relazione.
A partire da questi risultati, il libro è strutturato in tre parti. Nella prima si studiano i fenomeni psicologici e antropologici della differenza uomo-donna che fanno parte del panorama culturale postmoderno. Nella seconda si analizza la differenza uomo-donna dal punto di vista dell’ontologia e sociologia relazionale. Nella terza parte si offrono delle soluzioni dal punto di vista morale, sociologico, e antropologico.
Il punto di partenza dell’expert meeting sono alcuni fenomeni relazionali della postmodernità. La psicologia sociale ne è da questo punto di vista un eccellente osservatorio. Partendo dagli ultimi studi in ambito della psicologia evolutiva, Iafrate mostra come i legami presenti già nella vita del neonato, soprattutto con la madre, lo rendono da subito persona con una storia emotiva e relazionale, la quale si sviluppa mediante le esperienze di appartenenza a gruppi specifici: famiglia, amici, gruppi di lavoro, ecc. Queste relazioni, però, sono oggi molto spesso origine di identità fratturate.
La domanda che si fa Iafrate è per quale motivo si producano queste fratture. Nella relazione individua tre note: in primo luogo, riguardo alle interazioni in atto, la relazione rimanda ad un legame precedente che costituisce il suo contesto significativo; in secondo luogo, un aspetto di questo contesto sono i tempi lunghi, ossia la storia personale e sociale che lega un uomo e una donna, due amici, i genitori e i figli, un educatore e un allievo; in terzo luogo, è il significato che la differenza ha riguardo all’altro, poiché essa può occasionare tanto incontri empatici quanto conflitti.
La differenza gioca un ruolo importante nella relazione perché, oltre ad essere un limite, è anche incarnata. Infatti, quando nella relazione con l’altro si tenta di prescindere dal corpo, i rischi che ne derivano sono enormi, come dimostrano i pazienti in cura per problemi di dipendenza da internet. Riferendosi a queste difficoltà, uno di essi spiegava: «Dove il corpo non c’è, dove non c’è il corpo che ti ferma, tu puoi andare avanti all’infinito a fare cose insensate».
Anche se il corpo è presente nella relazione, non lo è sempre nello stesso modo. Con le sue ricerche, Iafrate ha distinto il “corpo per sé” dal “corpo per l’altro”. La prospettiva individualistico-narcisistica del “corpo per sé”, lo presenta come realtà da cancellare, negare, superare oppure come corpo narcisisticamente e ossessivamente curato e al centro di attenzione. Il “corpo per l’altro”, invece, è inteso relazionalmente e, perciò, rende visibile il riferimento ad “altro” fuori dal sé, e al senso del limite che inevitabilmente accompagna l’incontro con l’altro.
Ma proprio in questo limite incarnato dell’altro si colloca la più grande potenzialità, la più straordinaria risorsa della persona: la generazione. Questa è da intendersi non solo dal punto di vista fisico del figlio, ma come generazione stessa della differenza uomo-donna in tutte le loro componenti umane, psichiche, spirituali e culturali, cioè come generazione della coppia e della genitorialità.
Due sono i pericoli che Iafrate scopre perché la coppia raggiunga la sua identità: o il fissarsi solo sulla differenza dell’altro, fino a considerarla estraneità, o il sottolineare solo la somiglianza, fino alla fusionalità, che annulla la diversità e non vede l’alterità del coniuge se non proiettando su di lui i propri bisogni e le proprie aspettative. La costruzione di una identità di coppia deve, dunque, passare dal confronto-conflitto di differenze, per approdare – nelle situazioni più “riuscite” – al riconoscimento reciproco dell’identità di ciascun membro.
Per quanto riguarda la genitorialità, le nuove generazioni hanno bisogno di una “cura responsabile”, ossia di aspetti di affetto/accudimento (aspetto affettivo) e, al tempo stesso, di norma/responsabilità (aspetto etico). A questo proposito, Iafrate spiega come l’esperienza clinica insegna che molti episodi di devianza o di dipendenza riscontrati negli adolescenti o nei giovani sono legati all’impossibilità sperimentata da questi di incontrarsi da bambini con dei divieti da parte dei genitori. Poiché il padre è sempre il limite del figlio in quanto è ciò che lo definisce, la relazione del figlio con il limite è filiale: il male, i difetti, gli errori e anche la stessa morte hanno un carattere di limite in cui è presente il padre. Per ogni essere umano c’è, dunque, bisogno di un paterno e di un materno o meglio proprio di “quel padre” e di “quella madre”. Ciò implica uno spostamento dell’attenzione dal piano materiale-fenomenologico (può succedere che un figlio si trovi a crescere senza un genitore) ad un piano simbolico-antropologico e soprattutto impone un capovolgimento della prospettiva dal punto di vista dei genitori a quello del figlio.
Ecco, dunque, perché la nostra società non è più generativa, perché essa non comunica ai suoi membri l’accettazione del limite. A parere di Iafrate, la tentazione onnipotente di un corpo senza limiti, compreso il limite della sua de-finizione sessuale, forse ci parla di questa paura inaffrontabile che è poi fondamentalmente una mancanza di speranza; in altre parole è come se l’uomo contemporaneo cercasse di superare il limite della morte fantasticando un’onnipotenza impossibile. Perciò, la vera sfida culturale di oggi sta nel recuperare la più intrinseca funzione della vita umana, ossia la sua generatività. Educare alla generatività è quindi un compito fondamentale non solo per il bene dei giovani, ma dell’intera società.
Nella discussione, Crespi considera che la distinzione stabilita da Iafrate sulla differenza maschile e femminile è oggi messa in discussione da più parti. D’altro canto, ritiene che non bisogna distinguere troppo fra differenza maschile e femminile quando si parla di questioni che hanno una rilevanza sociale. A questo scopo, ella prende in considerazione il tema della tutela della maternità, che è semanticamente e simbolicamente diverso dall’utilizzo del termine tutela della genitorialità. La legislazione attuale, insieme a quella passata e quella futura, possono in tale senso, politicamente, orientare verso un modo di pensare che ha delle ripercussioni anche sul modo di intendere la questione dal punto di vista solo femminile oppure da un punto di vista che riguarda entrambi i genitori. La domanda di fondo diventa allora: la conciliazione famiglia-lavoro è un tema che riguarda le donne e i bambini oppure i genitori?