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Ror Studies Series | La vita come relazione

Introduzione.
Il paradigma relazionale come interfaccia fra le scienze teologiche, filosofiche e sociali

Pierpaolo Donati, Antonio Malo, Giulio Maspero

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Nel pensiero scientifico contemporaneo è sempre più diffusa l’esigenza di poter accedere ad un punto di vista che consenta di orientare la ricerca, teorica e pratica, per far fronte ad un crescente smarrimento connesso alla frammentazione dei saperi, ovvero all’incessante specializzazione delle discipline, che comporta la perdita del senso umano della stessa ricerca scientifica e delle sue applicazioni operative.

Il profondo distacco fra il ‘mondo delle scienze’ e il ‘mondo della vita’ denunciato da Edmund Husserl nel 1937 non solo rimane attuale, ma si è accentuato. Fra ‘la scienza’ e ‘la vita vera’ aumenta una distanza che mette in crisi l’esistenza umana. Lo dimostrano i drammatici problemi che nascono da fenomeni come lo sfruttamento sregolato dell’ambiente naturale (pensiamo al global warming e alla manipolazione genetica guidata da scopi di profitto), la diffusione delle nuove tecnologie e la parallela emergenza di scenari post-umani e trans-umani che inquietano l’umanità intera.

Diventa urgente ripensare le scienze da un punto di vista che non pretende di unificarle riconducendole ad unum, ma che si propone di trovare la loro unità in una reciproca relazionalità entro la quale esse possano dialogare in modo fecondo, mantenendo e anzi promuovendo la loro specifica autonomia.

Il presente volume nasce da questa esigenza. Esso si propone di rispondere alle grandi sfide del nostro tempo presentando il progetto di un paradigma relazionale come interfaccia fra le scienze. Il termine ‘paradigma’ deve qui essere inteso non già come uno dei tanti modi di perseguire la conoscenza, o come riferimento ad una epistemologia di stampo kuhniano in contrasto oppositivo con il falsificazionismo popperiano, ma come una visione complessiva del ‘fare scienza’. Non si tratta di un paradigma specifico per questa o quella scienza (per esempio a fronte della tradizionale divisione fra scienze naturali e scienze umane), ma di una ‘interfaccia’ fra di esse: ossia un framework concettuale, che è allo stesso tempo ontologico, epistemologico e metodologico, capace di realizzare un dialogo fra le discipline che consenta di illuminare la realtà meglio di altri paradigmi.

Per cominciare questa avventura, il volume prende in considerazione le scienze teologiche, filosofiche e sociali. Perché questa scelta? La ragione di fondo sta nel fatto che i proponenti condividono la presupposizione generale secondo cui “all’inizio (della realtà, di ogni realtà) c’è la relazione”. Un tale assunto è certamente da sottoporre allo scrutinio scientifico, esplicativo e comprendente, e anche empirico per quanto riguarda le scienze umane e sociali. Ma implica di per sé un imprescindibile riferimento all’ambiente metafisico della ricerca scientifica.

Quando diciamo ambiente metafisico intendiamo riferirci a quell’oggetto della conoscenza che si colloca fra la sociologia e le altre discipline scientifiche elaborate storicamente dagli uomini: ossia, ci riferiamo al fatto che il senso ultimo della vita umana, e della ‘conoscenza scientifica’ che si interroga su di essa, non può non avere le sue radici o ragioni ultime in un discorso sulla matrice teologica della società.

Cosa è la società? In cosa consiste una famiglia? Qual è il fondamento più profondo della relazione sociale? Tali domande esulano dall’approccio della sola sociologia, abbracciando quello dell’antropologia e della teologia e, in ultima analisi, dell’ontologia. Il punto essenziale è che l’oggetto studiato – il fenomeno sociale visto dalle diverse discipline scientifiche – non può essere sezionato e diviso artificialmente, ma nella sua unità reale rinvia relazionalmente ai vari aspetti del suo essere.

Così, lo studio della sociologia ha portato a riconoscere, a partire dal dato stesso fenomenologico, l’importanza fondamentale della “matrice teologica della società”, nella ricerca di una risposta alle profonde domande sopra menzionate. Con tale espressione intendiamo quel complesso simbolico che indica dove una cultura – ovvero una società – colloca ‘Dio’, nel senso di indicare dove si trovano e quali siano le realtà ultime dell’esistenza. Ogni matrice teologica decide quale tipo di cultura sia prevalente in una società e insieme decide del tipo di ontologia sociale a cui le varie scienze – che operano in quella società – fanno riferimento. È al livello della matrice teologica che si colloca il primo e più fondamentale spartiacque tra i modi di concepire la realtà. Oggi, la divisione netta passa fra realismo (critico, non ingenuo, né tanto meno positivista) e costruttivismo (nelle sue varie forme, più o meno radicali). La loro distanza è segnata, appunto, dal modo di intendere la relazione. Per il realismo, la relazione è una realtà concreta che ha una sua struttura ordinativa, certo soggetta a possibili cambiamenti, ma in modo tale che i cambiamenti hanno precise conseguenze in termini di effetti causali; la relazione emerge nell’esistenza, dunque contiene una certa contingenza, ma ha una sua propria necessità. Per il costruttivismo, invece, la relazione è una realtà ‘virtuale’ fatta di pura contingenza, non risponde ad una necessità e non ha una precisa causalità; la relazione emerge processualmente, rimanendo sempre aperta a qualunque possibilità, ossia ‘può essere sempre altrimenti’.

Questa lettura dei dati fenomenologici può essere posta in relazione con la dimensione propriamente filosofica, in quanto richiama un’ontologia relazionale di marco realista, secondo un realismo critico, analitico e relazionale. Essa viene messa alla prova in ciò che spiega e consente di comprendere rispetto ad altre ontologie, che seguono altri paradigmi. Il valore di tale prospettiva può essere apprezzata appieno dal versante antropologico: siamo, infatti, convinti che solo questo tipo di ontologia porti ad una concezione umanistica della società. Questa, a partire da una concezione della persona umana come essere-in-relazione, intrinsecamente relazionale, illumina fenomeni sociali quali la famiglia, l’educazione, il lavoro, in quanto realtà propriamente umane.

Dal canto suo, la filosofia ha ovviamente la propria autonomia, come riflessione sulla realtà e sapere umano alla ricerca dei principi razionali ultimi, che perciò sono condivisi da tutte le scienze. E così pure le scienze sociali hanno la loro autonomia, teorica e metodologica, accentuata dal fatto che esse presuppongono una verifica empirica.

E tuttavia queste discipline, se vogliono dialogare fra loro, debbono trovare un’interfaccia che le connetta in modo significativo. L’interfaccia deve essere ‘luogo abitato da entrambe‘, quindi segnata da libertà, da correlatività e da un’autentica reciprocità. Non può essere, quindi, a senso unico, né da una parte né dall’altra.

Se volessimo raffigurare ciò a cui pensiamo parlando di paradigma relazionale, potremmo schematizzarlo come segue (figura 1).


Il paradigma relazionale come interfaccia fra le discipline
Figura 1: Il paradigma relazionale come interfaccia fra le discipline


Lo schema suggerisce il seguente modo di intendere le relazioni fra le diverse discipline.

  1. L’ontologia, che fa da referente delle varie discipline, è relazionale in quanto può avvalersi degli interscambi con una matrice teologica della società, che deve essere essa stessa relazionale, se l’ontologia deve essere tale da sostenere la relazionalità fra i diversi saperi attraverso i loro interscambi, comunicazioni, dialoghi che passano attraverso il confronto fra i loro modi di conoscere una stessa realtà (cioè le diverse epistemologie). Solo una matrice relazionale può permettere questo complesso di interscambi.
  2. Ogni disciplina ha una sua epistemologia, e tuttavia le epistemologie non sono separate e incompatibili, perché esse comunicano rifacendosi alla ontologia relazionale, dove la relazionalità sorge dalla realtà stessa studiata. Così, più in generale, per studiare medicina devo poter ricorrere alla biologia, alla chimica e alla fisica, perché l’oggetto stesso rinvia a tutte queste dimensioni. In modo analogo lo studio della chimica rinvia alla fisica e alla biologia, a partire da una serie di connessioni che sono state riconosciute anche grazie alla medicina stessa. E così via.
  3. Ovviamente ogni disciplina ha le proprie metodologie di indagine, le quali conseguono e interagiscono con la relativa epistemologia; tuttavia, proprio in virtù della relazionalità che collega il tutto attraverso l’ontologia relazionale, anche le diverse metodologie possono comunicare fra di loro.

Se volessimo rappresentare con un’immagine la proposta, coloro che stanno cercando di dialogare tra loro per conoscere insieme la realtà sociale sono sociologi, filosofi – in particolare antropologi – e teologi. Ciascuno di loro rappresenta come una colonna della facciata di un tempio greco: tutte queste colonne culminano e sono unite dall’architrave costituita dall’ontologia relazionale, che emerge dall’immanenza dello stesso oggetto studiato e si rivela come pensiero della relazione (nella realtà) che permette la relazione stessa (tra studiosi). Il tutto culmina nel timpano rappresentato dalla matrice teologica della società. Ogni colonna muove dal fenomeno, che nel caso della sociologia è l’osservazione anche empirica della società, per la filosofia è l’osservazione della dimensione antropologica in genere e dal punto di vista della teologia è la storia della salvezza. All’interno di ciascuno di questi ambiti emerge una concezione dell’identità relazionale, come avvenuto nella sociologia a partire dalla necessità di comprendere la realtà della famiglia e della relazione sociale in genere, nell’antropologia a partire dalla ricerca di quanto caratterizza la pienezza di essere dell’uomo, come indicato dal suo desiderio stesso, e nella teologia a partire dalla riflessione trinitaria, caratterizzata dalla necessità di sviluppare un principio di individuazione delle Persone divine che non fosse la sostanza, con la quale Ciascuna di esse perfettamente si identifica.

Dire che il paradigma relazionale, così inteso, è un’interfaccia non è esattamente lo stesso che affermare, come talora si fa, che tale paradigma sia ‘interdisciplinare’ o ‘transdisciplinare’. Si parla di interdisciplinare per intendere, in genere, ciò che è comune a varie discipline, o può essere messo in comune facendo sovrapporre in qualche misura i loro confini, mentre l’interfaccia è un paradigma a sé. Inoltre, se è vero che l’interfaccia consente ad ogni disciplina di andare oltre a sé stessa (cioè può essere letta come trans-disciplinarietà), essa è molto più di questo, perché è un sapere in sé stesso orientativo e ordinativo su come le varie discipline si possono relazionare fra di loro.

Nei saggi qui pubblicati il lettore troverà esposto il modo in cui le tre discipline indicate attualizzano questo paradigma e lo fanno operare da framework concettuale che consente di raggiungere conoscenze altrimenti non accessibili e anche applicazioni pratiche innovative. Nella parte I sono trattati i problemi ontologici ed epistemologici fondamentali, Nella parte II vengono indicate alcune piste innovative di ricerca. Nella parte III vengono presentate delle riflessioni applicative su alcune realtà umane come la famiglia e l’educazione.

Potenzialmente, il paradigma è applicabile a qualunque realtà umana e sociale. Nonostante il fatto che ogni disciplina abbia per forza di cose un proprio linguaggio, e che, nelle condizioni culturali odierne, manchi un logos comune, è possibile far sì che, osservando assieme una realtà specifica, diventi possibile riconoscere le relazioni tra le diverse prospettive mediante una triangolazione sull’oggetto stesso in studio. Questa triangolazione serve a identificare quel comune framework concettuale che rende sinergiche le diverse discipline quando parlano di una realtà concreta. Infatti, proprio perché al principio c’è la relazione, attraverso la relazione stessa insita nella realtà studiata e, per questo, vissuta dagli studiosi nella condivisione reciproca e fiduciosa dei propri risultati, si può ricostruire un linguaggio comune che permetta il dialogo. La verifica dell’efficacia dell’approccio proposto sarà, dunque, a posteriori. Infatti, la riflessione scientifica nei diversi ambiti ha la sua validità solo nel suo esprimere una relazione alla realtà. La premessa di un tale lavoro di carattere intellettuale (condizione necessaria anche se non sufficiente) è che ciascuna disciplina riconosca in partenza che il suo sguardo non è in grado di dire tutta la realtà, ma che ne coglie solo un aspetto di verità, senza poterlo tuttavia esaurire.

Per la teologia questo si riconduce all’apofatismo, che dal sec. IV fino alla riflessione di Joseph Ratinzger in Introduzione al Cristianesimo afferma l’eccedenza dell’essere rispetto alle possibilità espressive dell’uomo: la ricerca speculativa non può mai com-prendere, ma può solo tagliare la strada a possibili scorciatoie della ragione che riducano il mistero a un’unica concreta formulazione, in modo tale che perfino il dogma ha valore solo di allusione, secondo la visione di Ratzinger stesso.

Per quanto riguarda la filosofia, essa esprime la consapevolezza del proprio limite quando arriva a comprendere che ‘sapere è sapere di non sapere’. La stessa cosa vale per le scienze sociali e umane, che, pur dando contributi imprescindibili sul piano delle conoscenze fattuali, sanno bene che, proprio quando propongono spiegazioni dei fenomeni, ciò che conoscono è solo il pro-fanum, ciò che sta davanti al fanum, cioè al luogo dove si celano le ‘cose sacre’ della vita, qual è la dignità della persona umana.

Tutte le scienze debbono riconoscere che la loro indagine sulla realtà non è mai completa, ma limitata e soggetta a teoremi di incompletezza che richiedono riferimenti ad un oltre, a una dimensione che rinvia al di là di loro stesse. Partire da questo framework può creare le condizioni di un dialogo profondo e creativo fra le diverse discipline al fine di illuminare la realtà della vita umana e sociale nella società attuale e in prospettiva in quella futura.

Nel dare alle stampe questo testo, gli autori si augurano che esso possa risultare utile per avviare un programma di ricerche che intende focalizzarsi sul ruolo che il paradigma relazionale potrebbe avere nel fomentare una società civile e politica capace di perseguire una ‘vita buona’ (eudemonia) e una ‘buona società’ (good society). Essi sono convinti che il paradigma scientifico che meglio si presta ad affrontare questa tematica è quello relazionale perché è quello maggiormente capace di valorizzare la ‘vita personale e sociale come relazione’. Con quest’ultima espressione si intende mettere l’accento sulle relazioni intersoggettive e organizzative come fonte, luogo, attivazione di sfere sociali (dalla famiglia alla scuola, dall’impresa alle fondazioni, dai mezzi di comunicazione a tutto il mondo delle associazioni civili impegnate in tutti i campi della vita quotidiana) che vivificano una società giusta e solidale. Nel cuore di queste relazioni gioca un ruolo essenziale la religione, la prima istituzione della società civile, in quanto fornisce il senso trascendente dell’agire e dell’essere-in-relazione e contemporaneamente offre la matrice culturale più appropriata per configurare le varie sfere sociali secondo un progetto di autentica crescita dell’uomo e della sua dimensione sociale.

Lo scopo ultimo è dunque quello di promuovere un programma di ricerche, teoriche ed empiriche, capace di dare origine anche ad applicazioni pratiche, a sostegno degli attori della società civile e politica che operano per il bene comune, per il bene di tutti e di ciascuno. Tale compito pare essenziale e imprescindibile nel contesto postmoderno, dove la difficoltà di trattare relazionalmente le differenze si traduce nella negazione radicale sul piano ontologico delle differenze stesse, in un processo che rischia di condannare l’uomo – e il ricercatore – a un vero e proprio autismo esistenziale e scientifico.