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Ror Studies Series | La vita come relazione

Il paradigma relazionale e la dottrina sociale cattolica: misericordia, dono e relazionalità

Martin Schlag

Pontificia Università della Santa Croce

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In ciò che segue mi limito alla Dottrina sociale della Chiesa (DSC), come è stata formulata negli anni dal Magistero pontificio. Ovviamente, essa prende avvio dal pensiero sociale di tanti cattolici sia accademici che credenti impegnati a portare la luce e il calore del Vangelo alla realtà del mondo e della società, e quindi va oltre gli annunci magisteriali nei contenuti e nelle impostazioni. Il paradigma relazionale è entrato nella DSC attraverso l’analogia alla Santissima Trinità e tramite l’idea del dono.

L’analogia alla Santissima Trinità, relazionalità e DSC

Troviamo le radici nei Padri della Chiesa, particolarmente in san Gregorio di Nissa. Nel suo percorso intellettuale Gregorio Nisseno giunge all’analogia tra la Trinità e l’uomo, detta “analogia sociale della Trinità”1. Gregorio riconosce che “la trinità è l’archetipo della comunione personale, o, come amano dire i filosofi russi della religione, l’archetipo di ogni programma sociale. È qui, infatti, nell’archetipo della divina Trinità, che si mostra che l’uguaglianza e l’ordine sono reciprocamente conformi e formano una cosa sola”2. Ciò porta il Vescovo di Nissa a formulare il rifiuto della schiavitù. Gregorio esclude ogni subordinazionismo nella Trinità, e analogamente, in modo altrettanto deciso la schiavitù tra gli uomini, che si caratterizza come un’illegittima dissociazione della natura umana fra dominio e schiavitù: “Ma tu, dividendo l’umana natura con la schiavitù e la signoria, hai fatto sì che essa fosse insieme serva e padrona di se stessa”3.

Nonostante queste radici, l’influsso moderno che ha spinto la DSC a introdursi nel paradigma relazionale è stato a mio avviso la critica di Karl Barth che l’antropologia scolastica cattolica soffrisse di una concezione “sostanzontologistica”. Nella sua teologia dogmatica, il noto teologo protestante offre un’originale interpretazione del racconto della creazione della Genesi4. Per Karl Barth, l’archetipo presente in Dio in base al quale è stato creato l’uomo consiste nell’esistenza in Dio stesso di una pluralità e una reciprocità tra io e tu. Nell’uomo si ripete così, in un certo qual modo, la forma di vita divina; l’uomo è tanto poco solo quanto lo è Dio5. L’uomo “ripete nel suo essere di fronte a Dio e nel suo essere di fronte ai suoi simili l’essere di fronte che è in Dio stesso”6. Con queste parole Barth intende la distinzione intratrinitaria di io e tu presente in Dio stesso. L’uomo è creato da Dio in quanto tu che Egli interpella, ma anche come io responsabile davanti a Dio. E Dio crea l’uomo ponendolo entro il rapporto tra uomo e donna, nel quale l’uomo è tu di fronte agli altri uomini ed è io in questa responsabilità7. Barth chiama la relazione tra creatore e creatura analogia relationis8: come l’essenza di Dio include un io e un tu, così l’uomo è maschio e femmina. Egli li definisce nel modo seguente: “L’io invocante, nell’essenza di Dio, sta al tu divino che esso invoca come Dio sta all’uomo che Egli crea e come, nell’esistenza umana stessa, l’io sta al tu, l’uomo alla donna”9. La creazione a immagine di Dio, secondo Barth, non consiste in una “qualità”, in “un qualche cosa che l’uomo è o fa”, ma nel fatto che l’uomo esiste in quanto creatura di Dio10. Quest’interpretazione rompe con una visione esclusivamente statico-ontologica e si avvicina a una concezione relazionale dinamica della persona e della sua dignità e dall’altra non perde di vista il fondamento ontologico di tale relazione, che è l’individuo nel suo essere io11.

Una prima eco nel Magistero si trova nelle parole della Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et Spes (GS), n. 24:

“Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio «che da un solo uomo ha prodotto l’intero genere umano affinché popolasse tutta la terra» (At 17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. (…) Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché «tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola» (Gv 17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé.”

Notiamo nelle parole del Concilio Vaticano II ancora una certa riserva: non accettano pienamente l’analogia relationis fra Trinità e vita sociale, come era stata proposta invece nelle bozze del testo conciliare. Vale la pena mettere in paragone la versione anteriore dello Schema di GS che recitava così:

Immo, doctrina catholica, prospectus praebens fidelium rationi impervios, docet Deum, qui unus quidem est, in tribus subsistere Personis, quarum unaquaeque ita ad alias vivit ut ea ipsa relatione consituatur. Excogitare licet personas humanas, cum ad imaginem Dei unius et trini creatae sint et ad Eius similitudinem reformatae, aliquam imitationem Eius in se praebere12.

Palesemente la bozza del testo sarebbe stata molto più chiara in senso relazionale. Invece 148 Padri conciliari bocciarono il testo come “obscurus”, quattro come “non verus”, due come “inintelligibilis”, uno come “temerarius”, etc. Alla fine l’aula conciliare votò per il testo attuale. Ciononostante, lo sviluppo in senso relazionale avvenne nel Magistero di Giovanni Paolo II, nell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI e poi pienamente nell’enciclica Laudato Si’ di Francesco. Ambedue queste encicliche possono essere chiamate le encicliche del paradigma relazionale. Papa Benedetto XVI vede nel rapporto fra le Persone divine “un’illuminazione decisiva” per “l’inclusione relazionale” di tutti nello sviluppo. Vale la pena citare le linee corrispondenti:

“La Trinità è assoluta unità, in quanto le tre divine Persone sono relazionalità pura. La trasparenza reciproca tra le Persone divine è piena e il legame dell’una con l’altra totale, perché costituiscono un’assoluta unità e unicità. (…) le relazioni tra gli uomini lungo la storia non hanno che da trarre vantaggio dal riferimento a questo divino Modello. In particolare, alla luce del mistero rivelato della Trinità si comprende che la vera apertura non significa dispersione centrifuga, ma compenetrazione profonda. (…) La rivelazione cristiana sull’unità del genere umano presuppone un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale”13.

Nel suo Magistero Papa Francesco frequentemente ripete l’idea che “tutto è in relazione”14. Mette un forte accento sulle relazioni fra le persone umane, con Dio e tutta la creazione15, che culmina nella lettura trinitaria del mondo:

“Le Persone divine sono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente. Questo non solo ci invita ad ammirare i molteplici legami che esistono tra le creature, ma ci porta anche a scoprire una chiave della nostra propria realizzazione. Infatti la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione. Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità”16.

Penso che sia importante interpretare queste parole correttamente e che ci possa aiutare la luce della teologia medievale per svolgere bene il compito. Non dobbiamo, infatti, cadere nell’estremo di un “relazionontologismo” che vedrebbe nella relazione l’unico essenziale, cosa che non troverebbe fondamento nel testo delle encicliche. Parlando in modo metafisico, la relazione è una categoria, oppure un universale (unum versus alia). È noto il dibattito accanito del Medioevo sugli universali fra le tre posizioni del realismo estremo (universale est ante res), del realismo moderato (universale est in rebus) e del nominalismo (universale est post res).

Applicato alla DSC un realismo estremo nella comprensione della relazione soffocherebbe la libertà individuale perché ipostatizzerebbe la società. Il nominalismo invece non è in grado di fondare la DSC perché nel nominalismo esistono soltanto singularia e le relazioni sono solo predicamenta. Quindi non si riesce a pensare il sociale. Resta dunque il realismo moderato per affrontare l’enigma della relazione come qualcosa di reale.

La mia proposta al riguardo è di riscoprire la teologia di Riccardo di San Vittore che ha ridefinito la persona come incommunicabilis existentia. È un termine che esprime sia la relazione di origine (ek-sistere) che il desiderio profondo di comunicazione che si imbatte nel mistero della solitudine che tentiamo di superare nell’amore, in versione riccardiana con la cum-dilectio: l’amore perfetto non è solo fra due, ma comporta il desiderio che l’altro venga amato anche da un terzo che rompe la dualità. Il terzo non chiude ma apre la relazione. Essa è come la luce in cui vediamo senza vederla in sé stessa.

Rimanendo nella terminologia medievale, penso che la relazione sociale non si possa descrivere né come res né come signum (le due categorie agostiniane) ma che vada capita come “significato”. Con questo, vorrei dire che la relazione sociale è una comprensione spontanea, connaturale, dell’altro come causa finale, cioè come bello e amabile.

Nel dibattito tedesco attuale sull’interpretazione dell’Art. 1 della Legge fondamentale il campo si divide fra la Mitgift-, Verdients-, e la Anerkennungstheorie (dote, prestazione, riconoscenza). Nessuna teoria riesce a convincere del tutto. Una soluzione a mio avviso sarebbe la riscoperta della persona in quanto incommunicabilis existentia cumdilecta, come portatrice di significato.

L’idea di dono, relazionalità e DSC

Nell’essere umano la relazionalità si sperimenta come dono e misericordia. Il dono, in tutta la sua ampiezza, sta al cuore della misericordia. Da decenni ormai, da quando è apparso il famoso saggio di Marcel Mauss, il fenomeno del dono è al centro dell’interesse delle scienze sociali. Nel Magistero pontificio è entrato tardi tramite l’enciclica Caritas in veritate e formulato come una sfida:

“La grande sfida che abbiamo davanti a noi, (…) è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica”17.

In pagine illuminanti, Pierpaolo Donati ha spiegato che il dono non è regalo, non significa dare cose gratis, ma è dono di senso, pre-dono e perdono18. In quanto tale, perciò, esso è un elemento importante per superare lo schema lib-lab e la concezione utilitarista della società19.

Penso che Mary Douglas abbia ragione quando afferma che l’idea del dono e il dibattito anti-utilitarista francese hanno una nuova attualità nella situazione contemporanea dopo il crollo dell’ideologia marxista20. La violenza terroristica a causa di esclusioni socio-politiche e religiose ne è un’ulteriore conferma.

Secondo Pierpaolo Donati la matrice della modernità è il protestantesimo. La matrice protestante ha sconfitto la matrice dell’umanesimo civile di indole cattolica. Adesso però sta morendo anche la matrice protestante21. Mi permetto di inserire allora una sfumatura: non è tanto il protestantesimo in quanto resourcement religioso all’inizio della modernità che ha creato la matrice della modernità, ma il nominalismo ockhamista che tramite Gabriel Biel ha avuto un influsso notevole sul giovane Martin Luther, con tutto ciò che comporta in termini di individualismo, di libertà indifferente slegata dalla natura, e di concezioni epistemologiche. Resta comunque la domanda che Donati si pone: che cosa viene dopo la scomparsa della matrice nominalista? Penso anch’io che la globalizzazione dopo-moderna avrà una matrice teologica, e spero che sarà cristiana e trinitaria, perché la Trinità stabilisce l’unità tramite la differenza e così fornisce un codice simbolico che rispetta la libertà e l’unità allo stesso tempo.

È per questa ragione che il paradigma relazionale può anche contribuire a formulare meglio i grandi pilastri della DSC che sono il principio della personalità (oppure della dignità umana), del bene comune, della solidarietà e della sussidiarietà22. In realtà, il bene comune più che un principio è l’essenza di una società. Il bene comune non è una cosa, neanche la somma di beni individuali utili per lo sviluppo degli individui, ma il bene relazionale di essere e vivere assieme. Solo con un agire congiunto, il bene comune può essere generato e rigenerato. Esso risiede nelle relazioni che collegano i soggetti. Tutto il resto è conseguenza di questa relazionalità, anche i principi della solidarietà sussidiaria23. La solidarietà come principio e come virtù non fa altro che esprimere la relazionalità delle persone umane in termini morali.

Tentativo di pensare i pilastri del sistema liberale in chiave di dono

Marcel Mauss, alla fine del suo saggio, ha spiegato gli incipienti sintomi del sistema lab in chiave di dono (assicurazione contro disimpiego, sicurezza sociale, etc.).

Io tenterò di applicarlo al sistema liberale perché il dono è elemento costitutivo anche dell’ordine sociale liberale, incentrato sulla giustizia. Sono consapevole del fatto che il paradigma relazionale supera il binomio lib-lab, ma reca luce anche sui sistemi realmente esistenti oggigiorno.

La stessa giustizia in realtà è dono di chi avrebbe la forza e la potenza fisica umana di sottomettere gli altri al proprio arbitrio. Vivere secondo giustizia è un atto di rinuncia libera, non costretta, da parte di chi potrebbe farne a meno. Il potente avrebbe la forza per imporre i suoi capricci, ma per un imperativo di coscienza fa il dono di sottomettersi a una norma che dà spazio al meno forte, e riconosce il suo diritto. Solo se siamo riconosciuti possiamo anche riconoscere: la giustizia simmetrica quindi ha bisogno di un’asimmetria iniziale, cioè di un dono. Lo stato moderno è simmetrico: a ogni diritto corrisponde un dovere, e viceversa. All’inizio però dev’esserci un’asimmetria: un dovere senza diritto, un dono.

I grandi pilastri della società liberale (dignità umana, libertà, uguaglianza) sono essenzialmente doni. La dignità umana non è basata su una qualità (intelligenza, auto-consapevolezza, vigore, ecc.) ma sulla relazionalità in cui ogni persona, dal primo momento del concepimento, esiste. Per il mero fatto di esistere, un essere umano possiede uno spazio sociale che gli è dovuto ed effettivamente donato dalla riconoscenza libera degli altri uomini. Anche quando il diritto è negato, la negazione avviene dopo la riconoscenza dell’esistenza di un nuovo essere umano: la negazione si rivolge contro “qualcuno”. Il primo dono della riconoscenza è irriflesso, come giudizio della ragione pratica. In ultima analisi, la dignità è la capacità dell’uomo e della donna di entrare in relazione con Dio che come creatore, redentore e santificatore è donazione di se stesso.

La dignità umana come diritto è più frutto e conseguenza dell’amore che non della giustizia. L’incondizionata accettazione dell’altro come fine e mai come solo mezzo, anche del criminale e del nemico, è un atteggiamento che va oltre il dovuto ed è una manifestazione di solidarietà o carità sociale. La carità sociale non ha altro contenuto che la giustizia sociale, ma nella realtà ferita dal peccato e dal male, alcuni membri della società non adempiono al proprio dovere verso il bene comune. Vuol dire che non si comportano secondo le richieste del bene comune e non adempiono ai doveri verso la comunità. Suppliscono altri la loro trascuratezza, motivati dalla carità per il bene comune. Difatti, la definizione della solidarietà come virtù è appunto amore per il bene comune.

Volgendo lo sguardo dalla politica alla sfera economica, vediamo anche lì l’importanza del dono sia nell’ambito che chiamiamo giustizia che in quello della gratuità. Il cardine dell’economia del libero mercato è la proprietà privata, senza la quale non esiste lo scambio: do a un altro un mio bene in cambio di un suo bene. Si presuppongono dunque diversi proprietari. La proprietà, come la dignità umana, è frutto di una riconoscenza: si stabiliscono e si rispettano limiti di libertà individuale e familiare, la cui dimensione materiale è la proprietà. Ma di nuovo, questi limiti non esistono nella natura del mondo immateriale, ma sono frutto di una rinuncia alla prepotenza dei forti, sono un dono. Anche se la proprietà, giuridicamente parlando, è un diritto, vista antropologicamente è un dono.

Anche lo scambio giusto contiene un dono. L’integrità di chi potendolo fare non sopraffà l’altro, ma accetta una misura oggettiva di valore, è una rinuncia donata. In generale, il dono permea tutti i rapporti economici o in altre parole tutto il mercato, formato da innumerevoli relazioni fra persone. Questi rapporti possono avere un carattere molto diverso: di sopruso, dominazione, aggressione, alienazione, ecc., oppure di amicizia, cooperazione, inclusione, ecc. Il carattere che avranno dipenderà dall’atteggiamento con cui gli operatori economici vi si approcciano. In altre parole dipende dal loro pre-dono: se vedono negli altri operatori economici persone con dignità e non pezzi tecnici di una macchina, daranno un senso umano al mercato. Dono quindi è anche pre-dono di senso umano.

La vita in un mondo concorrenziale è competitiva e dura. Se vogliamo che sia anche umana, deve esserci spazio per il dono e la gratuità. Anche nell’economia globale di mercato, che affermiamo come sistema più capace di includere i poveri e creare prosperità per tutti, ci sono ambiti in cui la generosità del dono e della misericordia sono imprescindibili. Sono in concreto tre: l’educazione, la sanità, e l’aiuto iniziale per uscire dalla “trappola della povertà”, quindi dalla miseria in cui l’essere umano non può pensare che alla sopravvivenza giorno per giorno.

In questi tre ambiti il dono umanamente richiesto è la donazione di mezzi materiali. Così tale dono manifesta il suo carattere di un “condizionale incondizionato” che diventa quasi un investimento. Senza di essi il sistema crollerebbe, quindi c’è un interesse proprio ben inteso di chi dona, ma allo stesso tempo la donazione in sé è disinteressata: l’aiuto per uscire dalla povertà crea libertà e quindi anche indipendenza dal donatore. Chi esce veramente dalla miseria può anche decidere di diventare un concorrente o di appoggiare economicamente i concorrenti del donatore.

In questi pochi paragrafi ho tentato di riflettere sull’origine del paradigma relazionale nella DSC e la sua importanza all’interno di essa. Penso che l’idea della relazionalità possa sviluppare ulteriormente la DSC in un contesto culturale e sociale segnato dall’utilitarismo. Allo stesso tempo reca luce sul mondo in cui viviamo traendone fuori gli aspetti che consideriamo i più cari umanamente parlando: la dimensione umana e caritatevole, senza la quale non ci sarebbe misericordia, nei rapporti politici ed economici, essenziali per lo sviluppo della vita sociale.

Bibliografia

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Idem, voce Dono in Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Dizionario di economia civile (Roma: Città nuova, 2009), 279-291.
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Francisco Gil Hellín (a cura di), Constitutionis pastoralis Gaudium et Spes Synopsis historica (Pamplona: EUNSA, 1985).
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Johann Jakob Stamm, “Die Imago-Lehre von Karl Barth und die alttestamentliche Wissenschaft”, in Scheffczyk (a cura di), Der Mensch als Bild Gottes (Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969).

1Cfr. Giulio Maspero, “La dimensione trinitaria della dignità dell’uomo. L’Ad Ablabium e l’analogia sociale di Gregorio di Nissa”, in Angel Rodriguez Luño, Enrique Colom (a cura di), Teologia ed etica politica (Città del Vaticano: LEV, 2004), 149-169. Una versione più breve si trova nei lemmi «Analogia sociale» (pp. 71ss.) e «Schiavitù» (pp. 495ss.), in Lucas Francisco Mateo-Seco, Giulio Maspero (a cura di), Gregorio di Nissa. Dizionario (Roma: Citta Nuova, 2007).

2Christoph Schönborn, Die Christus-Ikone (Schaffhausen: Novalis Verlag, 1984), 50.

3GNO V, a cura di Jacob McDonough SJ, Paul Alexander (Brill, Leiden 1986), 336,4-5. Tr. it., introduzione e note a cura di Sandro Leanza: Gregorio di Nissa, Omelie sull’Ecclesiaste (Roma: Città Nuova, 1990), 91.

4Karl Barth, Kirchliche Dogmatik III/1 (Die Lehre von der Schöpfung) (Zürich: Evangelischer Verlag AG Zollikon, 19472), 202ss.

5Ibid., pp. 205s., 208.

6Ibid., p. 208.

7Cfr. ibid., p. 222.

8Ibid., pp. 219s.

9Ibid., p. 220.

10Ibid., pp. 206s. Per una sintesi e una valutazione cfr. Johann Jakob Stamm, “Die Imago-Lehre von Karl Barth und die alttestamentliche Wissenschaft”, in Scheffczyk (a cura di), Der Mensch als Bild Gottes (Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969), 49ss.

11Qui non facciamo nostre tutte le riflessioni antropologiche di Barth. Come è noto, la sua posizione esegetica non è stata recepita fra gli esegeti.

12Si veda Francisco Gil Hellín (a cura di), Constitutionis pastoralis Gaudium et Spes Synopsis historica (Pamplona: EUNSA, 1985), 211-213.

13Benedetto XVI, Enciclica Caritas in veritate, 54s.

14Si veda Francesco, Enciclica Laudato Si’, nn. 92, 120, 137, 138, 142.

15Si veda ibid., nn. 66, 68, 70, 85f, 106, 120, 125, 137, 142, 208.

16Ibid., n. 240.

17Ibid., n. 36.

18Cfr. Pierpaolo Donati, voce Dono in Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Dizionario di economia civile (Roma: Città nuova, 2009), 279-291.

19Cfr. Pierpaolo Donati, Teoria relazionale della società: i concetti di base (Milano: Franco Angeli, 2009).

20Cfr. Mary Douglas, Introduction, in Marcel Mauss, The Gift. The Form and Reason for Exchange in Archaic Societies (London and New York: Routledge, 1990), xxi.

21Cfr. Pierpaolo Donati, La matrice teologica della società (Soveria Mannelli: Rubbettino, 2010).

22Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (a cura di), Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (Città del Vaticano: LEV, 2004), n. 160.

23Cfr. Pierpaolo Donati, “Discovering the Relational Character of the Common Good,” in Pierpaolo Donati, Margaret Archer (a cura di), Pursuing the Common Good: How Solidarity and Subsidiarity Can Work Together (Città del Vaticano: PASS, 2008), 659-683