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Ror Studies Series | Autorità e mediazione

Esercizio legittimo e illegittimo del potere nella Chiesa: il problema dell’abuso di coscienza

Samuel Fernández

Centro CUIDA, Pontificia Università Cattolica del Cile (Santiago del Cile)

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L’abuso di coscienza, o abuso spirituale, è una forma specifica di abuso di potere. Questo articolo esplora quindi la distinzione tra l’esercizio legittimo e l’uso improprio del potere ecclesiale nei confronti della coscienza dei fedeli. Partendo dall’argomento dell’esercizio del potere, verrà esaminato come questo abbia influsso sulla coscienza dei credenti e, poi, sarà delimitato il confine tra uso legittimo e perverso del potere ecclesiale nei confronti della coscienza dei credenti. In conclusione, sarà proposta una valutazione della lotta all’abuso di coscienza nel segno della libertà e dell’obbedienza cristiane.

1. L’esercizio del potere nella Chiesa

La vita umana si sviluppa in una rete di influenze e relazioni reciproche. Una vita totalmente autonoma e libera da ogni influenza non è possibile né autenticamente umana. Anche la fede cristiana non è un fenomeno individuale ma una realtà ecclesiale: «Era volontà di Dio santificare e salvare gli esseri umani, non isolatamente (non singulatim), senza alcun legame tra loro, ma istituiti come un popolo (sed eos in populum constituere)» (Lumen gentium, 9). D’altronde, «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri, infatti, che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza (ad eumdem finem libere et ordinatim conspirantes, ad salutem perveniant)» (Lumen gentium, 18). Quindi, per il bene comune e come servizio alla libertà dei fedeli, la Chiesa è dotata di una struttura e quindi i suoi membri esercitano l’autorità in modo differenziato. Inoltre, la fede cristiana, che nasce dalla rivelazione storica, richiede un rapporto maestro-discepolo per la sua trasmissione. Così, il carattere strutturato del corpo ecclesiale e la trasmissione storica della fede implicano relazioni asimmetriche nella Chiesa pellegrina.

Come deve essere esercitato il potere nella Chiesa? Una risposta precisa, ma quasi tautologica, è che il potere ecclesiale deve essere esercitato in stretta coerenza con la natura della Chiesa. Pertanto, lo studio del potere nella Chiesa richiede non solo le scienze umane –che comunque offrono un significativo contributo– ma anche la prospettiva specifica della teologia, perché la vita della Chiesa non può essere compresa correttamente senza la luce della rivelazione cristiana (Retamal Fuentes 2004, 341-342)1.

L’esercizio del potere nella Chiesa e le asimmetrie di potere sono dunque conseguenze del carattere sociale ed ecclesiale della fede cristiana. Tuttavia, il potere – legittimo e necessario – può essere esercitato in modo improprio, dando così luogo ad abusi.

In termini generali, si parla di abuso quando il potere viene esercitato al di là dei suoi giusti limiti o quando non viene esercitato in conformità al suo scopo originario (cfr. Beal et al. 2000; De Paolis 2000, 33-34). Di fronte alla grave crisi degli abusi di coscienza, è urgente chiarire i confini tra il legittimo esercizio del potere nella Chiesa e l’abuso di coscienza.

Quali caratteristiche proprie della natura della Chiesa guidano il legittimo esercizio del potere? Come già detto, la Costituzione Lumen Gentium afferma che per nutrire il Popolo di Dio e farlo sempre progredire, Cristo ha istituito nella sua Chiesa diversi ministeri, ordinati al bene di tutto il Corpo (Lumen gentium, 18). Il potere nella Chiesa, quindi, ha un carattere ministeriale. Esiste per la salvezza dei fedeli: perché i credenti tendano liberamente alla salvezza. Infatti, in quanto «sacramento universale di salvezza» (Lumen gentium, 48; Gaudium et spes, 45; Ad gentes, 1), la Chiesa non predica se stessa, ma è la servizio del popolo di Dio, perché è chiamata a prolungare la mediazione salvifica di Cristo, unico Mediatore (1 Tim 2,5). Pertanto, affermare che nella Chiesa il potere è un servizio non è una concessione o una mera esortazione ascetica. Il carattere ministeriale è una nota costitutiva e inalienabile del potere ecclesiale, perché la sua finalità essenziale è il servizio ai fedeli, perché tendano liberamente alla salvezza. La Chiesa è associata all’unico Mediatore ed è chiamata ad essere totalmente al suo servizio. Così, il potere nella Chiesa non è mai assoluto, perché è sempre mediato e ministeriale.

Il potere nella Chiesa è al servizio del Popolo di Dio, le cui caratteristiche fondamentali sono la dignità e la libertà dei figli di Dio (Lumen gentium, 9). L’esercizio del potere ecclesiale deve dunque mantenersi all’interno dei propri confini naturali, delimitati dalla dignità e dalla libertà dei fedeli, e deve rispettare il proprio scopo, cioè essere al servizio della volontà salvifica di Cristo.

D’altra parte, come hanno sottolineato Jordi Pujol e altri, è necessario riconoscere che nella Chiesa, oltre al potere giuridico, esiste un potere spirituale o pastorale2. Questo potere spirituale ha un grande impatto sulla vita dei fedeli ed è esercitato da coloro che, in un modo o nell’altro, hanno un sostegno ecclesiale, cioè non è esclusivo dei ministri ordinati, ma appartiene a «qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa» (Nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico 1 giugno 2021, can. 1398, §2)3. La questione critica non è se il detentore del potere sia un membro del clero o meno, ma se lui o lei, laico o ordinato, sia sostenuto dalla Chiesa come rappresentante di Dio. Quindi, se il problema gira sul sostegno ecclesiale dell’autorità, il clericalismo si presenta come un fattore molto rilevante della questione, ma non come il centro del problema degli abusi.

Nonostante la rilevanza del potere spirituale, la legislazione canonica che lo regola è molto limitata. Naturalmente, questi tipi di potere, giuridico e spirituale, non si escludono a vicenda. Un vescovo, un superiore o un’abbadessa, ad esempio, possono avere una grande autorità spirituale oltre che giuridica. Va precisato che, oltre alle strutture giuridiche, nella Chiesa esiste una cultura governata da leggi non scritte. Spesso, dunque, ciò che è lecito o illecito in una comunità particolare è indicato dalla sua cultura.

2. Il potere ecclesiale di influenzare le coscienze

Da una parte, non tutti gli abusi di potere in un contesto ecclesiale sono abusi di coscienza. Ci sono forme di abuso di potere che causano ingiustizia ma non danneggiano la coscienza dei credenti. Da un’altra parte, non tutti i tipi di potere ecclesiale hanno la capacità di influenzare una persona a livello della sua coscienza. La questione è complessa. Non basta distinguere tra foro esterno e interno, come se l’influsso della potestà giuridica ricadesse soltanto sul foro esterno e il potere spirituale, sul foro interno (cfr. Rodríguez-Luño 2007). Siccome la potestà di governo ha un sostegno ecclesiale e, quindi, spirituale, il suo ambito d’influenza non si limita al foro esterno.

Il potere che è in grado di influenzare la coscienza è di carattere relazionale: è efficace solo presso coloro che lo riconoscono e lo riconoscono come sacro. Il potere del maestro dipende dal riconoscimento del discepolo. Solo questo tipo di potere, riconosciuto come sacro e assoluto, è in grado di esercitare un ascendente a livello di coscienza della persona religiosa.

Nella Chiesa cattolica, questo riconoscimento è legato al sostegno ecclesiale. Il leader di una setta deve conquistarsi il potere attraverso le proprie caratteristiche personali. Nella cultura cattolica, il sostegno ecclesiale garantisce l’autorità. Per esempio, un parroco, anche se non ha particolari qualità carismatiche, ha l’autorità conferita dal proprio ufficio. Questo riconoscimento, quindi, deriva dalla fiducia che i fedeli ripongono in colui che la Chiesa presenta come un affidabile rappresentante di Dio. Questa approvazione implica quindi una responsabilità da parte della Chiesa.

Il rapporto di fiducia del discepolo con il potere sacro del maestro implica apertura e quindi vulnerabilità. L’apertura all’altro è una condizione necessaria per la sequela di Cristo, che ha carattere ecclesiale; tuttavia, chi apre la propria coscienza all’altro è esposto al rischio di essere ferito. È qui necessario un chiarimento. La vulnerabilità non è un difetto, bensì una caratteristica dell’essere umano e una condizione necessaria per la sequela di Gesù (cfr. Montero Orphanopoulos 2022, 134-137). L’invulnerabilità non è un ideale umano. Una persona «invulnerabile», che non si lascia «influenzare» da nessuno, non è adatta a seguire Gesù. Infatti, Ignazio di Loyola elogia «los que más se querrán afectar» (Ignacio de Loyola, EE n° 97) . Pertanto, anche gli spiriti più forti e generosi sono esposti all’abuso di coscienza4. Una persona chiusa in sé stessa, che non si fida degli altri, difficilmente sarà vittima di un abuso spirituale, ma neanche sarà capace di sviluppare la sua vocazione umana e cristiana. In questo senso, ritengo che l’espressione «adulti vulnerabili» sia equivoca, perché suppone gli adulti «normali» non siano vulnerabili. Sembra meglio parlare di «vulnerabilità speciale» per distinguerla dalla «vulnerabilità radicale» che è una condizione di ogni essere umano aperto all’amore.

Qual è il rapporto tra l’autorità ecclesiale e la coscienza del credente? La mediazione ecclesiale è chiamata a rappresentare la voce di Dio e la coscienza è chiamata a riconoscerla e a seguirla. Tuttavia, a causa del peccato originale, sia la coscienza del credente che la mediazione ecclesiale danno luogo ad ambiguità. La vocazione della coscienza consiste nell’essere aperta alla voce di Dio, trasmessa anche attraverso la mediazione dell’autorità ecclesiale, e la sua tentazione è quella di chiudersi in sé stessa. D’altra parte, la vocazione dell’autorità ecclesiale è quella di rappresentare la voce di Dio, mentre la sua tentazione è quella di identificarsi con essa (cfr. Aldana Valenzuela 2020, 387-390). Sia l’assolutizzazione della coscienza che l’assolutizzazione della mediazione ecclesiale contraddicono la vita cristiana.

3. Confini tra il legittimo esercizio del potere nella Chiesa e l’abuso spirituale

Questa sezione intende studiare l’esercizio del potere nella Chiesa non in termini generali, ma sottolineando alcuni limiti che ci permettono di distinguere tra il suo esercizio legittimo e illegittimo, sempre in riferimento all’abuso di coscienza.

L’esercizio del potere nella Chiesa deve essere coerente con la natura della Chiesa. Vale a dire, con la sua funzione mediatrice e con il suo carattere ministeriale, al servizio della volontà salvifica di Cristo e a favore dei fedeli che hanno dignità e libertà (Lumen gentium, 9; 18). Alcuni di questi punti sono regolati dal diritto canonico o da leggi particolari, soprattutto quelle riguardanti la potestà di governo e l’obbedienza canonica. Tuttavia, la legislazione canonica che regola altre situazioni, in particolare l’esercizio della potestà pastorale o spirituale, è molto scarsa.

a. La Chiesa esercita il potere in virtù della sua funzione mediatrice. Quindi, è necessario affermare sia il valore sia i limiti delle mediazioni ecclesiali. La mediazione ecclesiale è derivata e, a differenza dell’unica mediazione di Cristo, non si identifica con Dio e l’essere umano. Così, la mediazione ecclesiale è chiamata a rappresentare la voce di Dio, non a sostituirla. È necessario qualificare frasi come «il superiore prende il posto di Dio» o «chi obbedisce non sbaglia» (cfr. de Lassus 2020, 96). Un superiore o un direttore spirituale che chiede un’obbedienza incondizionata a sé stesso oltrepassa i limiti e lo scopo dell’autorità ricevuta. Tuttavia, un’obbedienza incondizionata a Dio rimane un ideale cristiano, perché Dio ne è degno. L’obbedienza di Gesù, fino alla morte, fu un’obbedienza a Dio. Quando il superiore soppianta Dio, illegittimamente prende il su posto e s’identifica con Dio. In questi contesti abusivi, «contraddire il superiore significa contraddire Dio» (cfr. de Lassus 2020, 116).

Nel contesto cattolico, non soltanto un individuo, ma anche una comunità può avere la pretesa d’identificarsi con la voce di Dio. Esistono sì individui abusivi, ma esistono anche sistemi abusivi nella Chiesa. Ci sono istituzioni, comunità, statuti e culture cattoliche che facilitano gli abusi. Identificare la voce dei rappresentanti ecclesiali con quella di Dio è un abuso. Ad esempio, in una comunità religiosa che professa un’idea rigida di obbedienza, anche se la superiora non è mossa da egoismo, può danneggiare gravemente le suore con la sua autorità spirituale. In questo caso, dietro l’abuso di coscienza non c’è un individuo abusivo, ma una cultura o un sistema abusivo.

Questa distanza tra la voce del superiore e la voce di Dio implica la distinzione tra alcune decisioni necessarie per la gestione della Chiesa e quelle che implicano la volontà di Dio. L’autorità ecclesiastica competente non può garantire che i propri comandi imperativi, che nella sua sfera di competenza sono vincolanti, si identifichino con la volontà di Dio. Il vescovo competente ha il potere di trasferire un presbitero diocesano da una parrocchia a un’altra, anche se al sacerdote non piace questo trasferimento, ed egli deve obbedire; tuttavia, il vescovo non può affermare che questo cambio di parrocchia coincida con la volontà di Dio. Il carattere divino e umano della Chiesa ha conseguenze per il governo. È necessario evitare un certo “monofisismo” delle decisioni dell’autorità ecclesiastica, come se tutto ciò che ne deriva fosse esclusivamente divino. Ancora una volta, l’inconfuse et indivise di Calcedonia si offre come paradigma luminoso (Concilio di Calcedonia, Definizione della fede, 302). Inoltre, per evitare una visione manichea, è necessario riconoscere che affermare il carattere «umano» di alcune decisioni ecclesiastiche non significa che esse non abbiano valore.

b. L’esercizio del potere deve essere ecclesiale e cattolico. In altre parole, nessuno nella Chiesa può presentarsi come unico punto di riferimento della volontà di Dio. La tendenza del leader a isolare la vittima, non solo dalla famiglia e dagli amici, ma persino dal resto della Chiesa, è purtroppo frequente nelle testimonianze di abusi di coscienza. Si richiede piena trasparenza con il leader e totale opacità con tutti gli «esterni». Una direzione spirituale o una congregazione che favorisce la sfiducia nel resto della Chiesa non esercita la propria autorità in modo cattolico. Da qui il carattere abusivo della tendenza alla segretezza e al divieto di comunicazione orizzontale. Allo stesso modo, una visione manichea, in bianco e nero, che diffida radicalmente della società umana non è cattolica nel senso originario del termine, ma palesa tendenze settarie.

c. L’esercizio del potere ecclesiastico è ministeriale. Ciò significa che, nella Chiesa, il potere è un servizio e che la sua finalità essenziale è aiutare i cristiani perché tendano liberamente alla salvezza, cioè è al servizio alla volontà salvifica di Cristo. In questo senso, il potere nella Chiesa non è mai assoluto, perché è sempre al servizio della salvezza.

D’altra parte, essere al servizio della volontà salvifica di Cristo esclude l’arbitrarietà e l’irrazionalità nell’esercizio del potere. La Provvidenza divina è imperscrutabile, ma non è né arbitraria né irrazionale. I primi cristiani riconobbero nella provvidenza (πρόνοια), tanto cara alla filosofia, tratti dell’economia del Dio di Gesù. Esercitare il potere in maniera arbitraria e comandare cose assurde contraddicono il carattere razionale e salvifico della volontà di Cristo, dimentica che il Figlio è Logos e Sapienza e, allo stesso tempo, deforma il volto del Padre. Secondo le testimonianze delle vittime, le persone e le culture abusanti sprezzano la ragione e il pensiero critico, ma li associano all’orgoglio e all’autosufficienza. La ragione deve sempre fare da contrappeso al potere.

d. Il potere ecclesiale deve rispettare la dignità e la libertà dei figli di Dio. La autorità ecclesiale è al servizio della salvezza dei fedeli, perché loro possano liberamente tendere alla comunione con Dio (Lumen gentium, 18). L’abuso di coscienza però danneggia la libertà in modo specifico. Ci sono forme di abuso di potere che ostacolano la libertà di azione, ma l’abuso di coscienza danneggia o elimina la libertà di giudizio (Aldana Valenzuela 2020, 394-395)5. In questo aspetto, l’abuso di coscienza rassomiglia il controllo mentale, come lo descrive Hassan:

Quando ero sotto controllo mentale, non capivo bene di cosa si trattasse. Credevo che il controllo mentale comportasse la tortura in uno scantinato buio da qualche parte, con una lampadina che mi brillava in faccia. Naturalmente, questo non mi è mai successo mentre ero nella setta Moon. Ogni volta che la gente mi urlava contro e mi chiamava «robot a cui è stato fatto il lavaggio del cervello», la prendevo come una persecuzione. Mi faceva sentire più impegnato nel gruppo (Hassan 1990, 53).

La vittima di abuso di coscienza non è consapevole di essere catturata dall’abusante. Un sopravvivente racconta: «Quando ero dominato dall’abusante, non ero consapevole della mia situazione». In queste circostanze, il credente non può più giudicare da solo, e non può essere solo con Dio nella propria coscienza (Gaudium et spes, 16).

4. Verso una definizione di abuso di coscienza

Definire l’abuso di coscienza presenta complesse difficoltà metodologiche. Da una parte, non c’è accordo tra gli studiosi se «abuso di coscienza», «abuso spirituale» e «abuso di potere spirituale» siano sinonimi o, invece, diversi nomi per fenomeni dissimili. D’altra parte, la diversità di condizioni istituzionali nelle differenti chiese cristiane impedisce che i risultati delle ricerche fatte in una chiesa possano essere applicati meccanicamente ad un’altra.

Negli ultimi decenni sono stati pubblicati diversi lavori su questo argomento, che propongono una definizione di questo tipo di abuso6. Non sempre si tratta di lavori accademici. In ogni caso, queste pubblicazioni offrono degli elementi comuni che consentono di delineare una definizione operativa di abuso di coscienza nella Chiesa Cattolica7.

La caratteristica più frequente che appare in questi studi è l’abuso del potere spirituale. Questo tipo di abuso, quindi, ruota attorno all’abuso di potere spirituale. Si differenzia da altri tipi di abuso perché la vittima viene soggiogata con un’autorità che si suppone provenga da Dio. Gli abusi nei Giochi Olimpici o a Hollywood non usano la volontà di Dio come strumento di pressione. Un regista o un alienatore può dire: «Se non mi obbedisci, non svilupperai le tue doti al massimo. Lasciati guidare da me! Non ascoltare gli altri!». Invece, la vittima di un direttore spirituale abusante pensa: «Se non obbedisco ciecamente, non sarò fedele a Dio». La principale paura della vittima non è quella di essere rimproverata dal superiore, ma quella di essere infedele a Dio. La colpa diventa uno strumento di controllo. L’abusante impone la supposta volontà di Dio in modo tale da impedire alla vittima di essere sola con Dio e ascoltare la sua voce nella coscienza. La richiesta dell’abusante è: «Diffida completamente di te stesso e fidati completamente di me, perché solo io ti faccio conoscere la volontà di Dio». Questa maniera di usare la volontà di Dio è un modo di «pronunciare invano il nome del Signore» e contradice la dignità e la libertà dei figli di Dio (Es 20,7). In questi casi, «l’abusante agisce in nome di un principio assoluto, che la persona abusata riconosce come assoluto» (Berceville 2019). In breve, si tratta di un tipo specifico di abuso perché, in esso, «Dio viene usato come una leva per fare pressione sulle coscienze delle persone al fine di soggiogarle» (De Dinechin e Léger 2019, 19).

La seconda caratteristica menzionata dalla maggior parte delle definizioni è il danno che l’abuso spirituale provoca alle vittime. Questo danno colpisce la dimensione religiosa della persona, in particolare la sua libertà interiore, attraverso il controllo, la coercizione e la sottomissione. Prevenire l’abuso, quindi, significa difendere la libertà interiore dei credenti, senza la quale non può esistere un’autentica vita cristiana. D’altra parte, deforma l’esperienza religiosa, perché la vittima sembra sperimentare che «Dio è dietro o in accordo con il comportamento dannoso» (Oakley, Humphrey 2019, 58). L’abuso in virtù di un’autorità divina soggioga le persone dall’interno e danneggia la loro dimensione spirituale. L’uso distorto di un potere che si suppone basato su Dio provoca danni molto profondi. D’altra parte, questo tipo di abuso stravolge elementi genuini della spiritualità cristiana come obbedienza, umiltà, il dono di sé, il perdono e il silenzio, tra altri.

Una terza caratteristica, presente solo in alcune definizioni, riguarda l’intenzionalità dell’aggressore. Questa caratteristica si verifica negli individui abusivi, ma non necessariamente nei sistemi abusivi.

Una quarta caratteristica che quasi non si trova nelle definizioni è quella della dimensione istituzionale dell’abuso. Nel contesto cattolico, il sostegno istituzionale è necessario per avere autorità spirituale. A causa di questo sostegno ecclesiale, l’esercizio dell’autorità spirituale nella Chiesa non è mai una questione privata tra due individui, ma ha sempre una dimensione ecclesiastica. Inoltre, poiché l’abuso di coscienza è definito dal danno che si genera nelle vittime, può essere causato anche da sistemi abusivi, anche quando non c’è un individuo abusivo. In questo caso, c’è una responsabilità ecclesiastica nella misura in cui la Chiesa sostiene questi sistemi. Una vittima di abusi ha dichiarato: «Sono entrata in quella comunità perché era cattolica, riconosciuta dalla Chiesa, con statuti canonici firmati dai vescovi. Quando abbiamo fatto i nostri voti, è stato in presenza del vescovo» (De Dinechin e Léger 2019, 171-172). Quindi, l’abuso dell’autorità spirituale in ambito cattolico implica sempre una responsabilità istituzionale; ne consegue che l’aspetto istituzionale e il concetto di rappresentante di Dio e della Chiesa devono essere integrati nella definizione di abuso spirituale in ambito cattolico.

Dopo queste riflessioni, si offre una definizione operativa di abuso di coscienza. Questa definizione potrebbe funzionare anche per altre confessioni cristiane, se si tiene conto dell’idea che le culture istituzionali differiscono da comunità a comunità:

L’abuso di coscienza nel contesto cattolico è l’abuso dell’autorità spirituale che controlla la vittima al punto che l’abusante, usando la volontà di Dio come strumento, ostacola o annulla la libertà interiore della vittima. Questo tipo di abuso è perpetrato da un individuo o da un sistema sostenuto dalla Chiesa come affidabile. Pertanto, ha sempre una dimensione ecclesiale. Questo tipo di abuso può danneggiare la persona a livello spirituale, psicologico e fisico.

Questa definizione implica un compito urgente: mentre l’abuso sessuale e l’abuso della potestà di governo sono descritti come delitti nel diritto canonico, la legislazione ecclesiastica non ha ancora definito il delitto di abuso spirituale o di coscienza.

4. Conclusione

Combattere gli abusi non significa lottare contro le relazioni asimmetriche, ma contro il loro uso perverso. Il problema non è il potere, né l’apertura della coscienza, né la radicalità evangelica, ma l’abuso. D’altronde, il problema non si risolve formando cristiani «invulnerabili» nemmeno seminando sfiducia verso l’autorità, ma eliminando l’abuso del potere sacro.

In un contesto abusivo, elementi fondamentali della spiritualità cristiana, come l’obbedienza, la radicalità evangelica, l’umiltà, il sacrificio e la sfiducia di sé, possono essere stravolti a vantaggio di un sistema di abuso8. Ancora una volta, bisogna lottare contro l’abuso, non contro la radicalità evangelica. Il potere riconosciuto come sacro coinvolge i livelli più profondi dell’essere umano; per questo, può operare meraviglie, quando è usato adeguatamente, ma può distruggere una persona, a livello spirituale, psicologico e anche fisico, quando è adoperato in maniera abusiva. Infatti, le testimonianze di abuso di coscienza mostrano che molti credenti hanno trovato schiavitù, dove dovevano incontrare libertà, e hanno trovato la morte, dove cercavano la Vita. L’abuso di coscienza, quindi, deve essere affrontato con tutti gli strumenti disponibili (cfr. Francesco, Lettera ai vescovi del Cile; Lettera al popolo di Dio in pellegrinaggio in Cile; Lettera al popolo di Dio; Incontro con i gesuiti d’Irlanda).

— È necessario ascoltare le vittime, formare meglio le coscienze, migliorare la formazione di chi esercita il potere nella Chiesa, promuovere una cultura della cura.

— È anche necessario legiferare, cioè, è urgente definire l’abuso di coscienza come un delitto canonico.

— D’altra parte, bisogna studiare accademicamente le cause personali e istituzionali che favoriscono l’abuso di coscienza, e dunque proporre le riforme personali e istituzionali corrispondenti. Secondo i dati, frammentari e parziali, la prevalenza dell’abuso di coscienza nella Chiesa è alta. Non si può sanare una malattia istituzionale con rimedi individuali.

Definire e poi dimostrare legalmente l’abuso di coscienza indubbiamente è un compito complesso, ma vite umane sono in gioco. Anche nel diritto matrimoniale ci sono impedimenti che a volte sono difficili da provare giuridicamente. D’altra parte, il sostegno della Chiesa a chi esercita il potere nel suo nome implica una responsabilità ecclesiale, soprattutto quando coloro che erano stati presentati come affidabili per la Chiesa si dimostra che non lo erano affatto.

Affrontare l’abuso di coscienza non significa indebolire la radicalità evangelica, bensì proteggerla. Non c’è autentica evangelizzazione, non c’è sequela di Cristo, non c’è generosità cristiana, non c’è donazione agli altri o abbandono a Dio dove non c’è libertà. «Tra gli altri, un argomento non debole a favore della religione cristiana è che essa dà sempre la libertà a ciascuno di essere cristiano» (de Vitoria, Fragmenta relectionum, XIII,2): con queste parole, Francisco de Vitoria, in un altro contesto, affermava che i credenti forzati non sono autentici credenti.

Uno degli ostacoli per far fronte all’abuso di coscienza è l’idea che libertà e obbedienza siano opposte tra loro. Certo, ci sono idee di libertà e obbedienza che sono inconciliabili. In questa prospettiva, difendere la libertà significherebbe distruggere l’obbedienza e viceversa. Tuttavia, l’idea cristiana di libertà non implica la dittatura della soggettività, né il concetto credente di obbedienza richiede la sottomissione cieca all’arbitrarietà. Su questo tema, la teologia trinitaria ha molto da dire: la libertà e l’obbedienza sono libertà e obbedienza filiali e hanno il loro modello nel Figlio di Dio, pienamente obbediente e pienamente libero. Per dirla con le parole del Priore della Grande Chartreuse, «l’obbedienza è una virtù dell’uomo libero», perché «per obbedire è necessario essere in grado di disobbedire» (de Lassus 2020, 186; 196-197). L’obbedienza filiale richiede libertà, così come la libertà filiale implica l’obbedienza. Entrambe, libertà e obbedienza, hanno bisogno l’una dell’altra per essere autenticamente cristiane. La libertà cristiana e il rispetto della coscienza si oppongono al potere dispotico, non all’esercizio genuino del potere ecclesiale.

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1 «El ordenamiento jurídico de la Iglesia en su origen y en su existencia, no puede ser explicado en términos puramente naturalistas o sociológicos, como podría suceder para cualquier otra comunidad humana que, por el solo hecho de expandirse y consolidarse, requiere una estructura jurídica interna. Por lo que toca a la Iglesia hay que remontarse a la voluntad de quien, como fundador de la Iglesia, ha querido imprimirle la esencial dimensión de un «deber-ser» salvífico. Las referencias a los ordenamientos jurídicos civiles u otras experiencias comunitarias, los datos obtenidos por la experiencia o por la historia no bastan para comprender cabalmente el verdadero núcleo de una realidad jurídica que solamente puede ser concebida adecuadamente a la luz de la Revelación».

2 Prendendo in prestito la terminologia di Weber, l’autorità spirituale ha alcune caratteristiche del governo tradizionale e carismatico; questo tipo di autorità si basa su una tradizione legittimata dall’istituzione e sui meriti riconosciuti del leader. Weber (1995), 207: «Per “potere” si deve intendere — in conformità alla definizione data nel cap. I, § 16 — la possibilità per specifici comandi (o per qualsiasi comando) di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini, e non già qualsiasi possibilità di esercitare “potenza” e “influenza” su altri uomini. Inteso in questo senso, il potere (“autorità”) può fondarsi, nel caso singolo, sui più diversi motivi di disposizione a obbedire, cominciando dalla cieca abitudine fino a considerazioni puramente razionali rispetto allo scopo. Ad ogni autentico rapporto di potere inerisce un minimo di volontà di obbedire, cioè un interesse (interno o esterno) all’obbedienza».

3 «Sodalis instituti vitae consecratae vel societatis vitae apostolicae, et fidelis quilibet aliqua dignitate gaudens aut officio vel functione in Ecclesia fungens, si delictum committat de quo in § 1 vel in can. 1395, § 3, puniatur ad normam can. 1336, §§ 2-4, adiunctis quoque aliis poenis pro delicti gravitate».

4 Cfr. Lannegrace (2018), 36: «Il est habituel de penser qu’elles ont des personnalités plus fragiles que d’autres et qu’elles sont des proies toutes trouvées pour ce qu’on peut appeler des abuseurs ou des prédateurs. Ce n’est pas toujours vrai. On constate que des personnalités éminentes, non susceptibles d’être accusées de compromissions, de corruption, ou de faiblesse de caractère peuvent être abusées par des leaders déviants ou pervers». Oakley e Kinmond (2013), 18: «My research (Oakley, 2009) did not support claims of a specific personality type of either the abused individual or the abuser».

5 «Sembra possibile distinguere tra un abuso di potere e questo specifico abuso di autorità, con il quale non solo si subisce l’ingiustizia dell’autorità, ma anche la coscienza perde la sua libertà di giudicare».

6 Johnson e Van Vonderen (1991); Blue (1993); Linn, Linn, Linn (1994); Young-Eisendrath (2000); Ward (2011), 899-915; Oakley e Kinmond (2013); Diederich (2017), 249-259; Cashwella e Swindle (2018), 182-203; Oakley, Kinmond, Humphreys (2018), 144-154; Althaus (2018), 159-169; Lannegrace (2018), 35-57; De Dinechin e Léger (2019); Oakley, Humphrey (2019), 191-210; Murillo (2020), 414-440; Fernández (2021), 557-574; Fernández (2022), 427; Häuselmann e Insa (2023), 42-53.

7 Una delle definizioni più autorevoli è quella di Oakley, Humphreys: «Spiritual abuse is a form of emotional and psychological abuse. It is characterized by a systematic pattern of coercive and controlling behavior in a religious context. Spiritual abuse can have a deeply damaging impact on those who experience it. This abuse may include manipulation and exploitation, enforced accountability, censorship of decision making, requirements for secrecy and silence, coercion to conform, control through the use of sacred texts or teaching, require-ment of obedience to the abuser, the suggestion that the abuser has a ‘divine’ position, isolation as a means of punishment, and superiority and elitism», Oakley e Humphrey (2019), 31.

8 Cfr. D. de Lassus (2020), 21: «Le respect de l’autorité, sacralisée par le vœu, le désir de l’union entre tous, manifestée dans le testament pascal de Jésus, les expressions nuptiales de l’union à Dieu qu’on trouve chez de grands mystiques, l’humilité, le sacrifice, le renoncement, la conversion, la pauvreté: toutes ces dimensions de la vie religieuse peuvent être détournées de leur but et mises au service d’une maladie qui a quelque chose à voir avec le cancer». Inoltre, Chartier-Siben (2022): «Good, traditional notions of the Church (or virtues) are being changed or destroyed: – Obedience: in the name of obedience, one can enslave someone. – Humility, smallness, spiritual poverty: open the door and can cover all kinds of humiliations. – The gift of self: can go as far as making people accept psychic annihilation but above all will authorize sexual abuse: let yourself be guided, leave your fears behind, abandon yourself, retain nothing, give everything. – Forgiveness: when there is not yet recognition of the extent of the consequences of the abuse, or even when the abuser reverses the roles and the abused is asked to ask forgiveness from the abuser. – Silence: becomes censored speech (denial and imposed silence). This silence will make it possible to act with impunity».