Ror Studies Series | Autorità e mediazione
Oltre i delitti di natura sessuale: autorità, asimmetria e dinamiche di abuso nella Chiesa Cattolica
Daniel Portillo Trevizo
Esperto regionale per le Americhe della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Direttore di CEPROME (America Latina)
Introduzione
Nella bellissima Enciclica Deus Caritas est, Papa Benedetto XVI ha definito la Chiesa una comunità d’amore. L’amore conferisce alla Chiesa la sua identità e, se venisse a mancare, sarebbe impossibile concepire una comunità in un processo permanente e dinamico di dono di sé e interrelazione. Di conseguenza, l’esperienza dell’amore implica un viaggio permanente che porta dalla realtà dell’io assorbito da se stesso alla sua liberazione nel donarsi (cfr. DC 19-39). L’amore non può essere rivolto solo a Dio, dimenticando il nostro prossimo, come ha sottolineato il Papa tedesco: «Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama» (DC 18). Di conseguenza, secondo la stessa logica, l’amore permea anche un’organizzazione come la Chiesa, dove per Gesù “regnare è servire”, in modo che la carità sia il presupposto per l’esercizio dell’autorità e per lo sviluppo della leadership all’interno dell’istituzione ecclesiale. Se l’autorità non è intesa come servizio e amore, si favoriscono funzioni governative, profili gerarchici e relazioni asimmetriche pervertite, sostituendo l’identità e la specificità stessa della sua missione nel mondo.
La Chiesa tradirebbe la sua vocazione nella storia se abbandonasse l’elemento fondamentale e identificativo dell’amore. Tale amore non ha una sola direzione; non si può dire che amo Dio se disprezzo mio fratello. Alcuni dei gesti più simbolici dell’amore, come il dono di sé e il servizio, sono stati sfigurati dalla violenza, traditi con la negligenza, l’aggressione e l’insabbiamento da parte di alcuni dei responsabili della comunità. L’abuso all’interno della Chiesa è di per sé un tradimento dell’identità e della missione che deriva dall’amore. In base a questi due aspetti, la Chiesa deve continuare ad approfondire la sua profonda esperienza ascoltando le realtà che si verificano dentro di sé e nella società, e anche riconoscendo con rammarico le sue negligenze, esaminando la sua vicinanza alle situazioni umane più tragiche e valutando se la sua attuale missione nel mondo sia passiva di fronte agli atti di ingiustizia verso la dignità umana.
Questa desolante prospettiva esige di riscoprire e mettere al primo posto la missione della Chiesa, poiché il suo fine ultimo non è altro che la sua diaconia nel mondo, intesa proprio come servizio alla cura, alla protezione e all’unità della famiglia umana, mostrandosi sensibile alla sua sofferenza. Senza dubbio, quando la Chiesa tradisce e corrompe la sua missione, si astrae, si chiude in se stessa e finisce per scegliere l’autoreferenzialità. Di conseguenza, la corruzione strutturale della Chiesa si tradurrà sempre in un “centralismo” patologico che senza dubbio provocherà un discorso ideologico autoreferenziale, un monologo ecclesiale e, in definitiva, una realtà contraria all’amore a quell’amore che, come accennato in precedenza, costituisce il fulcro dell’identità della Chiesa (cfr. CA 19-39). Un discorso ecclesiologico di tale tenore è incapace di testimoniare la protezione dei fedeli in un mondo sempre più bisognoso di una vera ed efficace globalizzazione della prevenzione. Quanto più alla Chiesa viene ricordata la sua missione nel mondo, tanto più non sarà eccessivamente preoccupata di se stessa. Come disse San Giovanni Paolo II ai vescovi dell’Oceania: «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale» (EO 19).
In particolare, la crisi degli abusi sessuali sui minori da parte dei chierici ha spinto la Chiesa a una seria riflessione istituzionale. Di conseguenza, gli scandali hanno smesso di essere visti solo come una responsabilità personale del colpevole e hanno quindi richiesto uno sguardo sistemico che espande lo spazio di responsabilità in modo più onesto. Proprio come nella Chiesa esiste una “comunione dei santi”, che è la partecipazione a una grazia che va a beneficio dell’intera comunità, così nella Chiesa esiste anche una “solidarietà nel peccato”. Ogni colpa commessa da un membro della Chiesa ha ripercussioni sul sistema e può essere un segno di un problema teologico di fondo a livello ecclesiale. Sarebbe insufficiente concentrare tutta l’attenzione sul colpevole o sull’autore materiale del reato, poiché si rende necessario considerare anche un’altra logica. Essa consiste nell’essere consapevoli che la responsabilità è anche dell’istituzione ecclesiale, di cui fanno parte l’aggressore e la vittima, e che in molti casi ha partecipato direttamente o indirettamente a tali abusi attraverso insabbiamenti, negligenze o omissione di soccorso (Portillo Trevizo 2020, 202-203).
Nelle pagine che seguono vengono descritte tre dinamiche che pervertono le relazioni all’interno della comunità. In primo luogo, viene affrontato un elemento sistemico per avere una visione più globale degli errori ecclesiali che conducono a comportamenti abusivi. Poi, in una seconda sezione, si fa riferimento alle “zone grigie” per descrivere la posizione poco chiara del problema quando non viene classificato e definito. Infine, sotto il titolo di “sindrome di Fagin”, viene proposta la descrizione psicodinamica dell’esercizio sbagliato dell’autorità che alcuni leader ecclesiali potrebbero sviluppare contro il benessere e la dignità delle persone loro affidate.
1. Ecclesiopatie
La perpetrazione di tutti i tipi di abusi all’interno della Chiesa cattolica non è sorta da un giorno all’altro. Non è stata la pressione mediatica degli scandali a far esplodere tali azioni trasgressive. La commissione dedicata al contrasto degli abusi è stata senza dubbio una prova del disorientamento di cui la Chiesa ha sofferto – e soffre tuttora. Questo disorientamento ecclesiale, di conseguenza, ha lasciato fuori posto tutte le azioni pastorali, collocandole in un luogo estraneo e inadeguato. In questo stesso contesto Papa Francesco, in una lettera riservata all’episcopato cileno, ha sottolineato: «Ciò che possiamo osservare è che la Chiesa, chiamata a indicare Colui che è la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,6), è diventata essa stessa il centro dell’attenzione. Ha smesso di guardare e indicare il Signore per guardare e prendersi cura di se stessa. Ha concentrato l’attenzione su se stessa e ha perso la memoria della sua origine e della sua missione».1
Il disorientamento si manifesta in una svolta autoreferenziale ed ecclesiocentrica, già menzionata in precedenza, ed è esternato come un comportamento istituzionale che “patologizza” l’azione pastorale; potrebbe essere chiamato “ecclesiopatia” (Portillo Trevizo 2017, 66). Tale termine è da riferire a qualsiasi dinamica anomala che, all’interno dell’ambiente ecclesiale, favorisce una cultura dell’abuso e innesca possibili comportamenti relazionali e sessuali inappropriati. Sottolineo il termine ecclesiopatia, poiché evidenzia la responsabilità istituzionale di tutti noi che apparteniamo alla Chiesa (ministri ordinati, religiosi e laici consacrati dal battesimo). L’abuso non è commesso solo dall’aggressore sessuale, ma anche da un’istituzione quando è negligente, permissiva e silenziosa, e quindi tollera l’abuso.
Con l’uso del termine ecclesiopatia non intendo sostenere che la Chiesa sia malata, ma sottolineare che ci sono dinamiche nel nostro ambiente ecclesiale odierno che possono patologizzare la centralità del Vangelo. Di conseguenza, un atto sessuale diventa la conclusione di una serie di trasgressioni commesse in precedenza. Sarà difficile combattere i delitti di abuso sessuale se non iniziamo con l’instaurazione e la delimitazione di una cultura della cura, di sane relazioni verticali e orizzontali e di una cultura di supervisione all’interno della struttura della Chiesa.
Nella sua lettera ai fedeli irlandesi, Benedetto XVI aveva già diagnosticato un fallimento sistemico, usando cinque volte la parola “tradimento” della fiducia, dell’innocenza e della dignità rubata, degli obblighi e della missione. Il Papa ha detto ai vescovi in modo severo: «Non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori avete fallito, a volte in modo grave (…) si deve ammettere che furono commessi gravi errori di giudizio e che si sono verificate mancanze di governo. Tutto questo ha seriamente minato la vostra credibilità ed efficacia» (Benedetto XVI 2010, 11). Allo stesso modo, nella citata lettera ai vescovi cileni, Papa Francesco ha sottolineato questo fallimento del sistema ecclesiale che ha favorito gli abusi e gli insabbiamenti. Inoltre, il Santo Padre ha sollecitato la generazione di dinamiche ecclesiali in grado di promuovere la partecipazione e la missione condivisa di tutti i membri della comunità ecclesiale. Così, ha affermato:
La Chiesa […] è divenuta talmente autoreferenziale che le conseguenze di tutto questo processo hanno avuto un prezzo molto alto: il suo peccato è diventato il centro dell’attenzione. La dolorosa e vergognosa constatazione di abusi sessuali su minori, di abusi di potere e di coscienza da parte di ministri della Chiesa, così come il modo in cui queste situazioni sono state affrontate, rendono evidente questo “cambio di centro ecclesiale”. Lungi dal diminuire per far apparire i segni del Risorto, il peccato ecclesiale ha occupato l’intera scena, concentrando l’attenzione e gli sguardi altrui su di sé2.
Nel corso del Summit Internazionale sulla Protezione dei Minori, tenutosi a febbraio 2019 in Vaticano, il Cardinale Oswald Gracias ha chiarito che gli abusi sessuali hanno causato una crisi complessa perché non sono stati affrontati in modo aperto, efficace e responsabile. Nel suo intervento, l’Arcivescovo di Bombay ha detto:
Il punto è chiaro. Nessun vescovo può dire a sé stesso: “Questo problema di abuso nella Chiesa non mi riguarda, perché le cose sono diverse nella mia parte del mondo […]”. Ognuno di noi è responsabile per l’intera Chiesa. Condividiamo accountability (il dover rendere conto) e responsabilità. La nostra preoccupazione deve estendersi oltre la Chiesa locale per abbracciare tutte le chiese con le quali siamo in comunione (Gracias 2019).
Tuttavia, tentando di elaborare la giustificazione concettuale delle “ecclesiopatie”, è necessario insistere sul fatto che l’abuso evidenzia una serie di fattori interconnessi, tra cui: psicopatologia, scelte morali peccaminose, auto-dispensazione dagli obblighi di castità e celibato, ambienti sociali che permettono l’abuso e risposte istituzionali e pastorali spesso inadeguate o del tutto dannose, persino una mancanza di risposta (Gracias 2019).
Non ci può essere una prevenzione accurata senza una seria riflessione e un riconoscimento della colpa. Senza una coraggiosa testimonianza della verità e un serio impegno a fare ammenda, le parole sono vuote. Tatuata sui palmi della Chiesa è la sua vocazione universale ad imitare Gesù Cristo nell’amare e prendersi cura dei poveri, dei vulnerabili. Una Chiesa senza coerenza di vita e senza una teologia della cura e dell’amore per i poveri sarebbe una Chiesa senza cuore; e una Chiesa senza cuore sarebbe una Chiesa lontana dalla croce di Cristo. Con questa stessa idea, i vescovi del Sinodo del 1971 hanno affermato:
Ascoltando il grido di coloro che subiscono violenza e sono oppressi da sistemi e meccanismi ingiusti, e ascoltando anche le domande di un mondo la cui perversità contraddice il piano del Creatore, siamo unanimemente consapevoli della vocazione della Chiesa ad essere presente nel cuore del mondo predicando la buona novella ai poveri. La speranza e lo slancio che animano profondamente il mondo non sono estranei al dinamismo del Vangelo, che in virtù dello Spirito Santo libera gli uomini dal peccato personale e dalle sue conseguenze nella vita sociale […]. L’azione a favore della giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo ci vengono chiaramente presentate come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni situazione di oppressione3.
Pertanto, una Chiesa che non pone le circostanze di sofferenza o di abuso al centro delle sue priorità e riflessioni, sia in situazioni di abuso sessuale, di coscienza o di potere, sia in situazioni di silenzio o di impunità, non sarebbe una Chiesa fedele al suo Maestro. Infine, si potrebbe notare che le ecclesiopatie si collocano in una geografia non ancora ben definita nel campo del diritto canonico. Per questo motivo, potremmo chiamare quest’area non definita “zone grigie”.
2. Zone grigie e abusi di autorità
Il danno noto, causato dai delitti di abuso sessuale e di altro genere commessi da una parte della popolazione credente, rappresenta l’inizio di un’indagine che deve essere condotta, almeno teoricamente, sempre con un’aspirazione sincera e profonda, oltre che interdisciplinare e olistica. Attraverso questa ricerca, è diventato chiaro che l’abuso non è sempre di natura sessuale, o meglio, che le radici dell’abuso sessuale includono sempre un comportamento non sessuale che lo precede. Quindi, se la Chiesa inizia un’indagine seria sulla complessità di questi delitti, scoprirà che alla loro radice vi sono quei comportamenti abusivi che, senza sfociare nella sfera della sessualità, permettono e facilitano la commissione di delitti di natura sessuale. L’abuso di autorità è chiaramente tra questi.
Alla radice della cattiva condotta all’interno della Chiesa è possibile trovare un’ampia gamma di comportamenti nocivi. Affrontare la diversità dei fattori abusivi che culminano nella commissione di delitti a sfondo sessuale è una responsabilità istituzionale che deve ancora essere affrontata pienamente. Affrontare tutta questa dolorosa e indimenticabile realtà della Chiesa ci ha fatto immergere in livelli ancora più profondi, in comportamenti che in parte rimangono oggi non sanzionabili a livello canonico.
Il fenomeno dell’abuso non è solo una condotta di natura sessuale, ma alla sua radice può essere ricondotto a una tendenza abusiva, non necessariamente sempre associata all’esercizio della genitalità. Infatti, esso può anche manifestarsi in qualsiasi altro ambito delle relazioni interpersonali e pastorali. Chi si rende perpetratore di abuso inizia a tessere una rete – che deve proseguire nel tempo, anche se il comportamento sessuale non viene più messo in atto – con un atteggiamento seduttivo diretto e permanente. Le conseguenze più gravi dell’abuso non sono solo di natura sessuale, in quanto danneggiano la fiducia, la stabilità psicologica e relazionale.
La dinamica genitale dell’abuso richiede un precedente esercizio di seduzione che anestetizza la vittima. Chi abusa inizia a trascorrere molto tempo con la vittima, diventa il suo migliore amico, la ascolta e le dà consigli, la difende quando accade qualcosa di spiacevole. La relazione continua a crescere, fino a quando si sviluppa una forte dipendenza e dominanza. Nella strategia dell’aggressore non è importante solo conquistare la fiducia dell’altra persona, ma anche il suo silenzio. Il fatto che la vittima non si aspetti la trasgressione sessuale dell’aggressore e non capisca al momento cosa sta accadendo, le impedisce di reagire, resistere o protestare immediatamente.
L’abuso trova la sua complessità non solo nella commissione di tali atti sessuali, ma anche in uno dei suoi capitoli più sinistri: l’abuso di autorità e la manipolazione. Non si tratta più solo di una persona che abusa sessualmente di un’altra, ma di un leader che perverte l’esercizio della sua autorità e compie atti violenti nei confronti di coloro che sono affidati alle sue cure. Per una vittima di abuso di autorità è molto frustrante far parte di un’istituzione in cui il leader stesso non è in grado di rispettare la sua dignità e di prendersi cura dei suoi diritti. La crisi degli abusi ha quindi messo in luce alcuni difetti strutturali nella configurazione della leadership della Chiesa. Ha anche evidenziato alcune dinamiche trasgressive all’interno della Chiesa, soprattutto nelle aree delle relazioni, della gestione delle informazioni, dell’autorità e del controllo diretto verso i fedeli.
Le cause di questo disastro a livello ecclesiale non hanno a che fare solo con le trasgressioni sessuali dei chierici, ma piuttosto con il comportamento abusivo che, senza essere immediatamente evidente, è stato normalizzato all’interno della Chiesa nel corso della storia. Fin dall’inizio della lotta contro gli abusi, l’istituzione ecclesiastica ha iniziato a combattere i delitti a sfondo sessuale senza sapere che questi ultimi erano causati da abusi di natura e connotazione non sessuale. Le conseguenze di tali errori strutturali nella configurazione della leadership ecclesiastica hanno creato non solo confusione, ma anche una progressiva disillusione, sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Ad esempio, le misure sempre più comuni di scuse dopo uno scandalo mediatico. Spesso, in questa strategia istituzionale, le vittime sono quelle dimenticate, per cui sono aberranti e prive di significato. Lo stesso vale per i comunicati stampa e le iniziative di pulizia dell’immagine che, alla fine, finiscono per aumentare la sfiducia della popolazione credente e la critica, con stupore e incredulità, dei non credenti.
Gli abusi non sessuali rappresentano tutta questa nebulosa di abusi parzialmente sistematizzati nella Chiesa. Sono le azioni che rimangono ambigue, che mostrano una carica aggressiva e violenta a livello istituzionale, ma che non sono ancora riuscite a provocare uno scandalo mediatico. È ovvio sottolineare che uno dei sintomi più rilevanti con cui la Chiesa contemporanea si è confrontata è senza dubbio il fenomeno degli abusi. Sebbene gli abusi commessi all’interno dell’istituzione cattolica non siano una novità, dopo oltre quattro decenni di esposizione mediatica, è un dato di fatto che lo sviluppo dell’analisi del tema ha assunto nuove e diverse sfumature.
Ci sarebbe molto da discutere nell’analizzare i diversi livelli di abuso e violenza nelle società rurali, industriali e tecnologiche nel corso dei secoli e nelle diverse aree geografiche del mondo. Non c’è dubbio che un certo grado di violenza sia sempre esistito all’interno della Chiesa. Tuttavia, il trattamento degli abusi non sessuali non ha ricevuto molta attenzione. Questo, a sua volta, li ha perpetuati nello spazio e nel tempo. Alla base di tutti i comportamenti sessuali delittuosi ci sono una serie di trasgressioni contro la dignità delle persone che qui chiamo “zone grigie”, caratterizzate come uno spazio privo di confini. A causa della loro natura confusa e quasi indefinita, sono difficili da controllare e spesso passano inosservate. Gli abusi non sessuali sono concepiti in questo spazio, ma fanno sì che gli abusi sessuali possano essere temporaneamente prolungati nelle vittime. I comportamenti non sessuali, come gli abusi di autorità, sono chiaroscuri, possono rimanere ambigui e non sono facilmente evidenziabili come un abuso in sé.
Le “zone grigie” possono essere intese anche come un insieme di principi, norme, modi di relazionarsi che non sono né bianchi né neri. Più confusione generano, più efficace sarà la loro strategia. Si preferisce citare il concetto al plurale, poiché l’estensione della sua portata non può essere facilmente identificata, delimitata o chiaramente definita. Le zone grigie della Chiesa sono il risultato ibrido del comportamento e delle relazioni umane. Questi abusi nascono dalla pericolosa premessa della “volontà di Dio”, dalla sua errata interpretazione e dall’incomprensione dell’autorità che si riscontra in alcuni ambienti ecclesiali.
Sembra un’area priva di problemi, ma è quella che ha fatto più danni all’istituzione cattolica finora. Sembra un veleno lento che danneggia l’integrità delle persone e si impossessa gradualmente di loro. In quel momento, le vittime non percepiscono il grave danno che provoca. Tutta questa confusione perversa potrebbe essere indescrivibile, le persone colpite percepiscono un certo disagio, che spesso viene spiritualizzato. Tuttavia, in un territorio così ambiguo, le persone non hanno diritti e la loro libertà viene progressivamente violata e sminuita.
I delitti di natura sessuale in quanto tali possono al massimo essere identificati e puniti. Al contrario, le zone grigie, ossia l’intero insieme di comportamenti dannosi che offendono l’integrità e la dignità delle persone, non sono nemmeno state disciplinate a livello canonico. Non essendo ancora state concettualizzate, non possono essere sanzionate. Concretamente, è sorprendente, ad esempio, che nel 2018 Papa Francesco, dopo tutte le indagini cilene, abbia equiparato i delitti sessuali all’abuso di coscienza e all’abuso di potere. Purtroppo, l’attesa riforma del Libro VI del Codice di Diritto Canonico non ha incluso l’abuso di coscienza tra i delitti che teoricamente dovrebbero essere perseguiti in base a questa nuova legislazione. Comprendiamo la difficoltà che può esistere nel delineare legalmente la tipologia delittuosa oggettiva di questi comportamenti non definiti, ma è un compito in sospeso che non dovrebbe essere abbandonato perché diventano un male non perseguito. Ciò porta alla perpetuazione di questa realtà, che attende di essere classificata e sanzionata.
Le azioni patologiche di individui con incarichi di autorità, commesse all’interno delle zone grigie, si trovano su una china scivolosa, generando asimmetria e inganno. Più confusione viene generata, più le zone grigie diventano efficaci. L’ambiguità è la perversione dell’autorità furtiva. Da un lato, sembra essere il più dogmatico e in linea con i desideri della Chiesa. Non si schiera apertamente né rappresenta una parte favorevole o contraria, preferendo apparentemente accontentare la maggior parte possibile della popolazione ecclesiastica. Questo tipo di personaggio rappresenta un’intera banda di seduttori nella Chiesa, quelli che sorridono a chi sta in alto e maltrattano chi sta in basso.
Papa Francesco, con il suo stile personale di comunicazione, ha fatto riferimento al comunicatore spagnolo Carlos Herrera, in un’intervista esclusiva: «Il diavolo gira dappertutto, ma io ho più paura dei diavoli educati». Ha poi messo in guardia da queste persone che «suonano il campanello, chiedono il permesso ed entrano in casa tua, che diventano amici». «Temo i diavoli educati. Sono i peggiori, e si viene molto ingannati», ha aggiunto il Pontefice4. Si potrebbe dire che l’ambiguità è la caratteristica dei diavoli educati. Quelli che commettono abusi di autorità nella Chiesa ma, a causa del loro comportamento ingannevole e ambiguo, è difficile, quasi impossibile, identificare che le loro azioni appaiono dannose o addirittura delittuose.
Non c’è un buon trattamento genuino e collettivo in questa popolazione, ma solo un atteggiamento selettivo di abbellimento dell’autorità, di esibizione di gesti elitari per abbagliare e stupire coloro che sono gerarchicamente in una posizione superiore. L’ambiguità è la targa del carrierismo, come sottolineato da Papa Francesco. Tale atteggiamento rappresenta l’ossessione di fare carriera, in uno stile di seduzione permanente, non per le proprie capacità o qualità, ma per il clientelismo e il nepotismo nella Chiesa. Nel corso del suo pontificato, in vari messaggi e omelie, il Pontefice ha sottolineato che la lebbra del carrierismo è un virus che affligge i membri di quasi tutti i dipartimenti della curia vaticana e del servizio diplomatico (Francesco, Discorso alla Comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica).
Così, l’ambiguità mantiene l’ansia permanente di ascendere, di essere il primo. Tale malattia diventa cronica e infetta molti contesti umani nella Chiesa. È anche la prova di una mentalità mondana caratterizzata da una scalata egoistica dei gradini del successo (cfr. EG 93-97). Tuttavia, anche se Francesco sottolinea questo male solo per la gerarchia, è essenziale evidenziarlo anche per tutti i battezzati. Purtroppo, la ricerca dei primi posti rappresenta anche una tentazione per i fedeli cattolici in generale e non solo per una parte selettiva di coloro che esercitano la leadership all’interno della Chiesa.
Infine, all’interno di questa torbida geografia di zone grigie, ci sono persone che, approfittando dell’assenza di codici di protezione all’interno di relazioni asimmetriche, svolgono funzioni di autorità danneggiando la dignità di altre persone non protette. Come dice un detto popolare: «Quando il fiume è agitato, i pescatori ne approfittano»; in altre parole, una volta che queste persone esercitano funzioni di autorità all’interno delle zone grigie, tendono ad approfittare del caos, della confusione e del disordine, e dalla realtà asimmetrica esercitano dinamiche abusive. Senza voler cadere in un determinismo psichico, desidero illustrare una sindrome che mostra come la “leadership ecclesiale” possa essere potenzialmente abusiva, dato che oltre alla commissione di abusi, è stata anche responsabile dell’insabbiamento, della negligenza o delle azioni abusive di coloro che esercitavano l’autorità.
3. Sindrome di Fagin
In precedenza, è stato sottolineato che l’attuale crisi in cui si trova la Chiesa ha rivelato anche fatti che, essendo di natura sistemica e non ancora ben definiti, sono più gravi. Non sto suggerendo di sminuire il flagello degli abusi sessuali commessi contro le vittime e che hanno lasciato una ferita profonda nei loro corpi, ma piuttosto sto cercando di sottolineare che le ferite rimangono aperte quando questi comportamenti, in parte istituzionali, rimangono attivi nella pratica pastorale.
Le trasgressioni da parte del leader della comunità sono più dannose quando diventano istituzionalizzate. Quando l’istituzione ecclesiale è permissiva nei confronti di qualsiasi manifestazione di abuso, la vittima deve lottare non solo contro il suo aggressore, ma anche contro gli abusi tollerati dall’istituzione stessa. In questo senso, la disciplina del diritto canonico nella Chiesa è una grande protezione per tutti, affinché l’istituzione non si trasformi in un aggressore ancora più crudele. Come Ratzinger ha avvertito i cattolici in Irlanda, il fallimento nell’applicazione della legge e gli errori nel governo causano danni irreparabili. Quando il leader della comunità diventa il soggetto attivo dell’abuso, si può dire che la battaglia della vittima e, in effetti, delle prossime vittime è praticamente persa. In questo caso, non si tratta di “errori di governo e di applicazione della legge”, ma di abuso di autorità a scopo di manipolazione. Colui che perverte l’esercizio dell’autorità offre al subordinato una falsa protezione, all’interno di una presunta aura di sicurezza e fiducia. Il leader perverso seduce un subordinato non solo con l’obiettivo di stabilire con lui una “relazione pseudo-amorosa”, ma anche con l’ambizione di avere tutto il corpo, tutta la persona, e non si accontenta di possedere solo una parte di lui. Da un lato, il presunto amore e l’attenzione privilegiata, quindi, iniziano a mescolarsi con una struttura mentale delirante, manipolatrice e persino persecutoria. Dall’altro lato, la svalutazione e l’annullamento della persona prescelta consente all’abusante di sentire l’autorità di usarla e persino di aggredirla.
Nell’affascinante opera letteraria dello scrittore britannico Charles Dickens, intitolata Oliver Twist, il piccolo orfano – protagonista del romanzo – viene portato in una casa di lavoro per indigenti. In seguito, grazie ad un inganno, entra a far parte di una banda di ladri organizzata nei bassifondi della città di Londra, il cui capo è un vecchio ebreo chiamato Fagin. Fagin è un uomo anziano e ambizioso che mira solo al proprio profitto senza scrupoli e che gestisce una banda di ladri.
L’anziano è un leader malvagio che addestra i suoi sudditi a guadagnarsi da vivere come borseggiatori, svolgendo una serie di attività criminali, in cambio di un misero vitto e alloggio. In superficie, la narrazione presenta un personaggio amabile, ma man mano che la lettura procede, l’illustre autore smaschera le azioni illecite del vecchio ebreo. Fagin è un uomo avaro; inoltre, è un avaro dichiarato che, nonostante la ricchezza acquisita, fa ben poco per migliorare la vita miserabile delle persone che recluta. Il famoso romanziere vittoriano ritrae questo leader perverso come una persona a cui non importa cosa succede agli altri, anche se muoiono per i suoi crimini. In particolare, in alcune righe dell’opera di questo autore, viene evidenziato il maltrattamento dei sudditi da parte dell’anziano ebreo quando si oppongono a unirsi alla banda di rapinatori.
Fagin, in Oliver Twist, non è solo l’uomo anziano che esercita in modo perverso l’autorità su un gruppo di soggetti. Il romanzo, poi ricreato nel film, diventa anche un paradigma del modo in cui l’esercizio perverso del potere provoca un atto depravato di abuso, estorsione, subordinazione, manipolazione e tortura. Evidentemente, si tratta di una logica schiavista, oggettivante e quindi perversa.
L’opera ricrea perfettamente tre fattori importanti da prendere in considerazione: un fattore sistemico, un fattore circostanziale e un fattore psicopatologico. In particolare, con il fattore sistemico, l’opera di Dickens ricrea il sistema strutturale giudiziario corrotto dell’Inghilterra vittoriana, che non riesce a sostenere i diritti e la dignità delle persone vulnerabili. Il fattore circostanziale è costituito dai fatti che possono testimoniare le condizioni sfortunate che mostrano la fragilità di questi diritti e la loro integrità; questi sono, tra gli altri: l’essere orfani, la marginalità, la delinquenza, l’impotenza, l’abbandono e la solitudine a cui sono sottoposti i subalterni, che li portano ad entrare in questo mondo sinistro come un’apparente, buona e unica opzione per la sopravvivenza. Infine, il fattore psicopatologico, che l’abusante maschera attraverso la sua apparente leadership e la sua presunta preoccupazione per i vulnerabili, ma che si evidenzia anche nella sua ambizione, odio, manipolazione e violenza.
L’abusatore di autorità, come Fagin, non vuole il benessere o la crescita integrale delle persone, ma il suo interesse personale è soddisfare la sua ambizione smisurata e i suoi desideri perversi. Allo stesso modo, odia e svaluta consapevolmente il mondo che riconosce la dignità delle persone; non vuole riconoscersi come parte di esso. Al contrario, preferisce mantenere un attaccamento idealizzato al momento magico di un’apparente carità verso i suoi subordinati, che per questi ultimi si traduce in una sensazione di debito impagabile di fronte alle sue ambizioni sfrenate.
Fagin incarna la cosmologia di un trasgressore dell’autorità che cerca di eseguire la dannazione perpetua, pervertendo l’autorità verso coloro che lui stesso ha ingannato. Nel suo mondo non c’è libertà, ma condanna; non c’è mediazione umana, ma asservimento a interessi meschini. Gli abitanti del mondo di Fagin hanno la cittadinanza a vita. Anche se ad un certo punto le persone sono cresciute o non hanno più una particolare dipendenza dal loro abusatore autoritario, sono vittime tiranneggiate del loro egoismo; almeno questo è il modo in cui l’autore dell’opera teatrale lo ritrae con l’omicidio di Nancy.
In breve, non solo il perverso crea l’ambiente delinquenziale e trasgressivo in cui si imbattono i subalterni, ma, in particolare, esercita la funzione di protezione e sicurezza apparente, anche se in realtà lo fa solo per il proprio beneficio. La visione del mondo di Fagin stabilisce che gli abitanti del suo mondo sono esclusivamente persone fragili e vulnerabili al suo servizio, criminali e borseggiatori. Inoltre, costruisce costantemente un grande muro, attraverso la minaccia, intorno alle varie aspirazioni di questi subordinati, per impedire l’ingresso di inclinazioni e pretese oneste, dove sono possibili libertà, volontà, desiderio e crescita.
Conclusione
Due elementi hanno reso evidente il tradimento dell’identità della Chiesa e la conseguente crisi di fiducia in essa: gli abusi di autorità e la mancanza di leadership pastorale, insieme ai delitti di natura sessuale commessi da coloro che avrebbero dovuto garantire la sicurezza delle persone. Questi elementi hanno provocato, da un lato, una disillusione cronica in quelli di noi che fanno parte della Chiesa, per non vedere il senso pratico della giustizia definito nell’ambiente ecclesiale e, dall’altro, la perdita di fiducia nell’istituzione stessa, in quanto siamo testimoni dei gravi errori commessi per salvaguardare interessi meschini.
Una Chiesa che non pone al centro delle sue priorità e delle sue riflessioni le situazioni di sofferenza o di abuso – sia che si tratti di abusi sessuali, di coscienza, di autorità, di potere o di silenzio e di impunità – non sarebbe una Chiesa coerente con i suoi principi, in particolare per quanto riguarda la sua stessa leadership.
Nella sua opera Introduzione al Cristianesimo, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, prendendo come riferimento il filosofo Sören Kierkegaard, tracciò un’analogia con la “parabola del clown” scritta dal filosofo danese:
In un piccolo villaggio in Danimarca, un circo fu allestito e venne divorato dalle fiamme, e l’incendio minacciava di estendersi al villaggio vicino. L’incendio si stava diffondendo rapidamente e il clown – già vestito da clown per il suo imminente spettacolo – corse in quella veste per avvertire gli abitanti del villaggio e chiedere il loro aiuto. Gli abitanti del villaggio, che attendevano con impazienza l’esibizione del circo, scoppiarono a ridere per la perfetta performance di terrore che sicuramente veniva utilizzata come trovata pubblicitaria per attirare gli spettatori. Più il clown terrorizzato spiegava cosa stava accadendo, più le risate aumentavano. Vestito da clown com’era, non poteva essere altro che un gesto creativo per riempire le tribune solitarie del vecchio circo elementare. L’annuncio fu inutile, la comunicazione non ebbe alcun effetto. Il clown pianse mentre tutti ridevano. Il circo bruciò e il villaggio fu distrutto. Le lacrime di un clown si ritorsero contro (Ratzinger 2016, 33).
I campanelli d’allarme lanciati nella Chiesa dagli abusi mettono in discussione le rispettive dinamiche nell’esercizio dell’autorità e il loro specifico impegno etico nell’ambito della leadership comunitaria. I bagliori dei media possono far sì che i volti riflettano l’angoscia. Tuttavia, le azioni ecclesiali possono, in quel momento, avere un costume da clown, cioè le azioni conseguenti possono provocare una risata, anche se sono motivate dall’angoscia degli scandali. Questo è anche ciò che Papa Francesco ha detto ai vescovi americani:
«La credibilità della Chiesa è stata fortemente messa in discussione e indebolita da questi peccati e crimini, ma soprattutto dal desiderio di nasconderli e occultarli, che ha generato un maggiore senso di insicurezza, sfiducia e mancanza di protezione tra i fedeli. L’atteggiamento di occultamento, come sappiamo, lungi dall’aiutare a risolvere i conflitti, ha permesso di perpetuarli e di ferire più profondamente la rete di relazioni che oggi siamo chiamati a sanare e ricostruire» (Francesco, Lettera ai vescovi americani in occasione dei loro esercizi spirituali presso il Seminario Mundelein).
I silenzi, le coperture, le complicità e le negligenze della Chiesa non solo fanno ridere per la fantasia di poterli nascondere, ma causano anche tristezza e disillusione nei confronti del nostro concetto di autorità. È importante non solo che la Chiesa riconosca e condanni con dolore e vergogna, oltre che con una punizione, le atrocità commesse da coloro la cui missione era quella di dare dignità e curare le persone all’interno di un’istituzione. È anche importante che vengano impegnate tutte le risorse necessarie per garantire che queste situazioni non solo non si ripetano, ma che non trovino spazio per essere insabbiate, e che la leadership pastorale possa avere maggiore forza nel contrastarle.
All’interno della Chiesa cattolica ci sono vittime e carnefici; insabbiamenti e scoperte; traumi e guarigioni. Nella Chiesa ci sono segni di peccato profondo, di delitto e di colpa, di malattie pericolose per la vita e di evidenti fallimenti umani e istituzionali e, allo stesso tempo, ci sono leader che riconoscono la colpa e lavorano per un cambiamento fondamentale. Mantenere ed evidenziare solo uno di questi due poli è pericoloso, malsano e non obiettivo. La missione della Chiesa, in materia di autorità, leadership e cura delle persone, deve affrontare, prendere in considerazione e condannare efficacemente le zone grigie. I delitti sessuali sono solo l’inizio, a livello istituzionale, di un doloroso percorso di conversione che dobbiamo percorrere, mettendo continuamente in discussione se il nostro modo di essere Chiesa sia effettivamente ecclesiale, collegiale e, naturalmente, sinodale e, in ultima istanza, partecipando all’indiscutibile esperienza di amore che abbiamo descritto all’inizio di queste pagine.
La prevenzione degli abusi nella Chiesa è ben oltre la mera osservanza di un codice di condotta, di un protocollo di prevenzione o di una linea d’azione che si concentra sul comportamento sessuale. La prevenzione degli abusi è incorporata nella più ampia cultura della Cura, che deve mettere in discussione la nostra leadership, il nostro modo di relazionarci gli uni con gli altri, di fare comunità e di vivere veramente la sinodalità. Definirci “credenti” significherebbe vedere che la nostra fede si traduce in: essere promotori della cura, dell’integrità e della sicurezza di coloro che fanno parte della comunità; mantenere la speranza di formare relazioni sane nella Chiesa e trovare leader che abbiano dignità, vigilanza e cura di ogni persona loro affidata; e, infine, mettere in atto una cultura della libertà e della ricerca della giustizia con linee guida chiare che non ri-vittimizzino, e con la dovuta supervisione affinché questi terribili delitti possano essere classificati, perseguiti e puniti.
Bibliografia
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—, Lettera ai cattolici d’Irlanda. 19 marzo 2010. https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/es/letters/2010/documents/hf_ben-xvi_let_20100319_church-ireland.html.
Francesco. Carta a los obispos de Chile. 15 aprile 2019. https://ceprome.com/wp-content/uploads/2019/04/15-Carta-del-Papa-Francisco-a-los-Obispos-de-Chile.pdf.
—, Lettera ai vescovi americani in occasione dei loro esercizi spirituali presso il Seminario Mundelein. 1 gennaio 2019. https://www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2019/documents/papa-francesco_20190101_lettera-vescovi-usa.html.
—, Discorso alla Pontificia Accademia Ecclesiastica. 6 giugno 2013. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/june/documents/papa-francesco_20130606_pontificia-accademia-ecclesiastica.html.
Gracias, Oswald. “Accountability (il dover rendere conto) in una Chiesa Collegiale e Sinodale.” 22 febbraio 2019. https://www.vatican.va/resources/resources_card-gracias-protezioneminori_20190222_it.html.
Portillo Trevizo, Daniel. La prevención del abuso sexual de menores ¿Una prioridad para la Iglesia?, in Ser Luz del Mundo. El Motu Proprio Vos estis lux mundi: Pautas para su estudio y aplicación. Madrid: PPC, 2020.
—, Psico-teologia del discernimento vocacional: una tentativa de prevención del abuso sexual de menores en la Iglesia Católica. Messico: Buena Prensa, 2017.
Sinodo dei vescovi. A justiça no mundo. Rescrito da audiência concedida pelo Santo Padre ao cardeal Secretario de Estado. 30 novembre 1971. https://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_19711130_giustizia_po.html.
1 Il testo non è stato pubblicato da alcun organo di stampa ufficiale. Si può consultare in lingua originale all’indirizzo di seguito: https://ceprome.com/wp-content/uploads/2019/04/15-Carta-del-Papa-Francisco-a-los-Obispos-de-Chile.pdf.
2 Disponibile su: https://ceprome.com/wp-content/uploads/2019/04/15-Carta-del-Papa-Francisco-a-los-Obispos-de-Chile.pdf.
3 Disponibile in portoghese su: https://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_19711130_giustizia_po.html.
4 Per ascoltare l’intervista completa in spagnolo: https://www.youtube.com/watch?v=KyUTTtMv2i0.