Ror Studies Series | Autorità e mediazione
Potere e autorità, delitto e peccato
Jordi Bertomeu
Officiale del Dicastero per la Dottrina della Fede
Premessa: la nuova sistematizzazione del can. 1398 CIC
L’8 dicembre 2021 è stata promulgata un’ulteriore riforma del Codice di Diritto Canonico (d’ora in poi, CIC 2021). In particolare, sono stati modificati 63 canoni del Libro VI, sul diritto penale nella Chiesa.
Tra le modifiche, forse la più importante ma anche la meno considerata è stata quella di trasferire il can. 1395 §2 CIC 1983 dal titolo 5º al titolo 6º. La nuova sistematizzazione dei delitti a sfondo sessuale commessi dai chierici con minori significa che prima della riforma tali delitti erano considerati «delitti contro obblighi speciali»; invece, ora sono «delitti contro la vita, libertà e dignità dell’uomo».
Tali reati «contro il sesto comandamento del Decalogo con un minore o con una persona che ha abitualmente un uso imperfetto della ragione o con quella alla quale il diritto riconosce pari tutela» (can. 1398 §1, 1º CIC 2021) non sono semplici “delitti comuni” ma delicta reservata, prima al Sant’Uffizio, ex can. 247 §§1-2 CIC 1917, mediante la legge propria Istruzione Crimen sollicitationis del 1922, artt. 711 e 732 e, a seguito alla promulgazione col Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela delle Normae de gravioribus delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis, del 30 aprile 20013, riservati al Dicastero della Dottrina della Fede.
1. Il bene giuridico tutelato nei delitti a sfondo sessuale commessi dai chierici con minori
Il summenzionato cambiamento dal titolo 5º al titolo 6º del Libro VI fa riferimento al bene giuridico tutelato dal diritto penale canonico, diverso dal diritto statale: «la Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti» (can. 1311 CIC). Se i sistemi penali combattono la criminalità e ordinano la convivenza nei minimi necessari per ogni società, i beni giuridici tutelati dal diritto penale sono quegli interessi che meritano una speciale protezione in quanto minimo etico per il buon funzionamento dei rapporti sociali.
Nella modifica del 2021, emergerebbe in primis che la tutela della santità del sacramento dell’ordine e, sussidiariamente, dell’idoneità per il ministero pastorale pubblico in quanto “obblighi speciali” dei chierici (titolo 5º del CIC 1983), sarebbe secondaria rispetto alla protezione dello sviluppo integrale della persona minore, cioè, la sua vita, libertà e dignità (titolo 6º del CIC 2021).
Ciononostante, non si può non considerare quanto disposto nel can. 1344, 2º: «Ancorché la legge usi termini precettivi, il giudice, secondo coscienza e a sua prudente discrezione, può […] astenersi dall’infliggere la pena, o infliggere una pena più mite o fare uso di una penitenza, se il reo si sia emendato ed altresì sia stato riparato lo scandalo e il danno eventualmente provocato, oppure se lo stesso sia stato sufficientemente punito dall’autorità civile o si preveda che sarà punito». Cioè, il diritto penale canonico prevede espressamente la necessaria cooperazione con le autorità statali nella tutela di tali beni giuridici.
Cosa accade quando un comportamento delittuoso è sufficientemente punito dall’Autorità statale? La Chiesa desiste dal tipizzare penalmente tali condotte, nonostante la sua peccaminosità.
Tale soluzione mette in evidenza la differenza tra il “peccato”, concetto morale-religioso in quanto offesa a Dio e “delitto”, concetto politico-giuridico in quanto violazione dell’ordinamento di uno Stato.
Infatti, la potestà coattiva penale è sempre l’ultima ratio nella salvaguarda della disciplina nella comunità ecclesiale. Tale impostazione è contraria ad un’idea onnicomprensiva dell’attività coattiva. Inoltre, nella comunità ecclesiale, a causa dell’importanza del foro interno, esiste il potere di santificare proprio del confessore ed è anche prevista l’applicazione dei mezzi pastorali ed anche giuridici per assicurare i fini del can. 1341 CIC.
Pertanto, il rimandare la iudicatio o potere di risolvere le controversie alle legislazioni penali statali avviene nonostante la diversa visione antropologica fondante di esse. Nonostante la corrente filosofica che fonda il delitto nel consenso politico, l’antropologia cristiana afferma che i valori morali dovrebbero essere sempre a fondamento della bontà di una legislazione.
Le legislazioni statali possono essere in contrasto o comunque aliene ai principi che costituiscono il patrimonio morale e giuridico della tradizione della dottrina della Chiesa. In esse, per la radicale separazione tra diritto e morale e la conseguente valutazione immanentistica e soggettivista del disvalore del reato nei confronti dei beni giuridici degni di tutela e la meccanicità della sanzione, non qualsiasi contravvenzione comporta una violazione dell’ordine morale. Invece, nella comunità ecclesiale, non qualsiasi violazione dell’ordine morale comporta una contravvenzione: la Chiesa attribuisce il primato sia ai valori morali, per conferire significato etico alla sanzione, sia alla razionalità delle misure repressive.
Al riguardo, nonostante la diversa concezione antropologica fondante, perché la Chiesa non ha affidato la iudicatio dei delicta graviora contra mores, cioè, degli abusi sessuali commessi dai chierici con minori e loro equiparati, alle Autorità statali?
Il motivo che ha offerto il Supremo Legislatore fino all’8 dicembre 2021 è stato quello dell’enunciazione del suddetto titolo 5º: tali delitti non solo sono semplici peccati perché c’era da tutelare un bene giuridico che, presumibilmente, non sarebbe protetto dallo Stato, cioè, l’obbligo speciale dei chierici di «osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli; perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini» (can. 277 §1 CIC).
2. Problema esegetico della nuova sistematizzazione del can. 1398
Prima di considerare quale potrebbe essere il motivo dello spostamento della fattispecie del già can. 1395 §2 CIC 1983 al nuovo can. 1398 §1, 1 CIC 2021, dobbiamo rilevare qualche problema esegetico che provoca tale cambiamento.
Se tali comportamenti sono puniti in quanto lesivi della “libertà” del minore, compare il problema dei rapporti sessuali consenzienti tra adulti e adolescenti: in tante occasioni il minore non solo è stato complice ma ha anche avuto l’iniziativa nel rapporto con il chierico adulto. Da una parte, si deve considerare che tante leggi statali non penalizzano tali rapporti sopra i 14 anni di età. Inoltre, la legge canonica stabilisce che «l’uomo prima dei sedici anni compiuti, la donna prima dei quattordici pure compiuti, non possono celebrare un valido matrimonio» (can. 1083 §1 CIC). Al riguardo, l’impedimento di età è considerato dal Legislatore di diritto umano e, pertanto, superfluo se considerata la maturità biologica più che psicologica (cfr. Communicationes 9, 1977, 360).
Inoltre, se tali comportamenti sono lesivi della “vita”, emerge anche il problema della loro tipicizzazione come “peccati contro il sesto comandamento del Decalogo” e non contro il quinto comandamento. Al riguardo, il n. 2336 del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), del 1992, afferma che «la tradizione della Chiesa ha considerato il sesto comandamento come inglobante l’insieme della sessualità umana» e non solo l’adulterio. Seguendo il nuovo titolo 6º (“contro la vita”), forse la fattispecie dovrebbe essere quella di “peccati contro il 5º comandamento”, anche se tale adattamento costituirebbe una forzatura di quanto disposto nei nn. 2284-2287 CCC (fatti che suscitano scandalo) oppure dei nn. 2297-2298 CCC (minacce all’integrità fisica), dato che la fattispecie degli abusi commessi da chierici su minori non è stata prevista nel 1992: i nn. 2355-2356 hanno solo condannato la prostituzione di bambini e adolescenti («in questi due ultimi casi il peccato è al tempo stesso anche uno scandalo») e lo stupro commesso su minori e allievi da parenti o educatori.
Infine, dall’eventuale definizione di tali comportamenti come “delitti sessuali” oppure “aggressioni sessuali”, nel caso di violenza oppure intimidazione, sarebbe emerso con chiarezza che il Legislatore considera che il bene giuridico da essi tutelati non è la morale sociale (cioè, punire il peccato oppure l’immoralità dell’aggressore) ma la “dignità” del minore, cioè, la sua autodeterminazione sessuale oppure integrità personale. Ciononostante, l’attuale fattispecie canonica è onnicomprensiva e, in più, non tanto fragile come il concetto parallelo secolare, interpretato stricto sensu.
Un problema non marginale della summenzionata sistematizzazione è suscitato dalla considerazione del «fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa, se commette il delitto di cui al §1, o al can. 1395 §3» come soggetto potenzialmente imputabile, dato che la nuova fattispecie non comprende tutti i fedeli laici, ma soltanto quelli con “obblighi speciali” nella Chiesa.
3. Un cambio epocale
Nella mancata interpretazione autentica circa i motivi per considerare i delitti a sfondo sessuale con minori ed equiparati come “contro la vita, la dignità e la libertà dell’uomo”, si devono cercare i motivi nei profondi cambiamenti storici subiti dalla società occidentale negli ultimi due secoli ma, in particolare, negli ultimi decenni.
In modo molto sintetico, si dovrebbe rilevare che il cristianesimo ha sempre proposto che l’uomo è una creatura a immagine di Dio, razionale, libera e responsabile. La società e la famiglia devono tradurre la verità della persona umana (la base materiale o genotipo) in orientamenti culturali (fenotipo). Il diritto che organizza tale società è, di conseguenza, un ordinamento della ragione diretto al bene comune. Infine, il desiderio personale dev’essere incanalato all’ottimizzazione sociale (sacrificio a beneficio dell’altro come fondamento della felicità o perfezionamento personale).
La proposta cristiana, invece, non è più accettata dalla nuova società emersa nella modernità, segnata dalla ribellione alla condizione creaturale: ogni uomo e donna è un’identità ideologica non limitata dalla realtà biologica; è anche concepito come un essere che auto-organizza il desiderio senza nessun limite nella realtà o ragione, fino al possesso dell’oggetto desiderato. La società e la famiglia sono istituzioni considerate repressorie ed il diritto, legittimato unicamente nella maggioranza politica, è solo accettato per evitare la disintegrazione sociale nella soddisfazione dei desideri degli individui. Il bene, pertanto, è un semplice riferimento soggettivo e lo stato-mercato assume il ruolo di regolare i beni ed i valori morali. In tale contesto culturale, il nuovo paradigma assoluto è la libertà come realizzazione personale: la massima espressione di essa è la libertà sessuale, non vincolata più alla maturazione personale, all’amore ed al pudore (l’amore è la brama di soddisfare la felicità immediata).
L’uomo moderno (e postmoderno) ha un’identità frammentata, unidimensionale, priva di capacità critica a causa delle ideologie pseudo-religiose senza fondamento scientifico (cfr. “ambientalismo” oppure ecologismo radicale neomalthusiano catastrofista e “gender trans-umanesimo” oppure sperimentazione del sesso polimorfo come costruzione dell’essere umano libero). L’irrazionalità di tali proposte converge in contraddizioni irrazionali e stimmatizzanti, ingiuste e manipolatrici: p.e., anche se la condizione eterosessuale è l’unica che consente la capacità riproduttiva della specie, è considerata da tale ideologia come instabile e mutabile, mentre la condizione omosessuale sarebbe un stadio definitivo dell’essere umano; sebbene la condizione maschile è segnata dalla biologia, per la presunta violenza ad essa inerente (multisecolare violenza etero-patriarcale repressiva delle donne), il maschile sarebbe una categoria negativa che può solo cambiare positivamente se acquisisce un’altra condizione sessuale.
La concezione ideologica dell’essere umano che offre l’ateismo, il materialismo ed il gender trans-umanesimo è stata anche rafforzata negli ultimi 70 anni dalle rivoluzioni tecniche, sanitarie e sessuali operate nell’Occidente sviluppato. In un profondo salto qualitativo e quantitativo come mai prima sperimentato dalla specie umana, quest’ultima gode di una longevità (almeno di 30 anni di vita in più) e di una libertà di comunicazione (internet), di movimenti (mezzi low cost) e di tempi (elettrodomestici e nuove tecnologie applicate all’agricoltura ed industria) che la portano a rifiutare il suo ruolo generatore e, di conseguenza, a voler prolungare ad ogni costo, restando nell’immaturità psicologica, la giovinezza fisica. Il 10 novembre 2015, nell’Incontro con i Rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, il Papa Francesco ha affermato che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca».
L’attuale uomo svincolato ed anche alienato è un essere relativista, egoista ed individualista ma, soprattutto, edonista, che rifiuta ogni responsabilità ed obbligo perché la libertà svincolata è il suo grande paradigma vitale.
4. Gli abusi sessuali di minori nella legislazione canonica fino alle Normae del 2001
Sebbene pare che nell’antica Grecia la pederastia fosse lecita in quanto iniziazione dell’adolescente aristocratico alla vita adulta tramite il sesso con il tutore, e nell’antica Roma, abusando dei bambini schiavi come affermazione di potere, il cristianesimo è stato un fattore di vera umanizzazione.
La pederastia non solo diventa peccato dal mandato di Gesù (Lc 18,16), ma anche i primi testi normativi della disciplina penitenziale-penale la trattano come grave reato: sia nella Didaché II,2 («il cristiano non commetterà atti pederasti»), sia nelle Novellae 77 e 141 di Giustiniano sullo stuprum masculorum, sia nel Concilio di Elvira del 305 al 309, can. 71, dov’è affermato che lo stuprator puerorum non riceverà la comunione nemmeno in pericolo di morte.
Ciononostante, i testi legislativi moderni hanno fatto molta fatica a considerare tale atteggiamento come delitto punibile: da una parte, a causa della concezione dualistica tra il corporeo e lo spirituale; inoltre, la sottovalutazione della violenza e la manipolazione psicologica; infine, gli elevati standard probatori e la priorità data alla difesa corporativa delle istituzioni.
Infatti, come abbiamo prima visto, i primi accenni a questo comportamento ecclesiale meritevole di una dura punizione compaiono nel can. 2359 §2 CIC 1917: «si delictum admiserint contra sextum decalogi praeceptum cum minoribus infra aetatem sexdecim annorum, vel […] sodomiam […] suspendatur, infames declarentur, quolibet officio, beneficio, dignitate, munere, si quod habeant, priventur, et in casibus gravioribus deponantur». Tali casi furono riservati al Sant’Uffizio per legge propria (cfr. cann. 247 §2 e 1555 CIC 1917), la quale trattava prevalentemente i casi di sollecitazione in confessione, se il soggetto passivo del delitto è un minore maschio di qualsiasi età, in quanto crimem pessimum, oppure se è una minore impubere (cfr. nn. 71 e 73 dell’Ist. Crimen sollicitationis).
Il nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 non ha quasi modificato la stesura della fattispecie (tranne il riferimento ai peccati di sodomia) e la presunta prassi giudiziaria e le pene ecclesiastiche in merito: di fatto, a seguito dell’Ist. Integrae servandae, a causa dei silenzi ed ambiguità circa l’esistenza di delitti riservati alla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, nuova denominazione del Sant’Uffizio, gli Ordinari che avevano un caso del genere smisero di inoltrarlo a tale Dicastero ed anche di trattarlo giuridicamente, fenomeno accentuato a seguito della pubblicazione del summenzionato Codice.
Pertanto, almeno fino al 1983, la tradizione canonica e teologica considerava tali reati come lesione della sacralità dei Sacramenti, in particolare quello della Penitenza; inoltre, la sopravalutazione del pericolo dello scandalo e la difesa corporativa del clero non permettevano di considerare un altro bene giuridico da tutelare che non fosse l’obbligo speciale del celibato dei chierici.
Ciononostante, le decadi successive alla chiusura del Concilio Vaticano II sono testimoni, sia della summenzionata rivoluzione culturale nel mondo occidentale del dopoguerra, in particolare, in quello che Benedetto XVI ha definito come dissoluzione del concetto cristiano della morale in una società relativista, a seguito del cambiamento di paradigma sessuale avviato dal maggio del ’68 (Benedetto XVI 2011, 8-9), sia dell’anti-giuridicismo proprio di una Chiesa convinta che «non dovesse essere una ‘Chiesa del diritto’, ma una ‘Chiesa dell’amore’ che non dovesse punire» (Benedetto XVI 2010, 47).
La Chiesa postconciliare è stata testimone di un tacito assopimento rispetto all’applicazione di leggi penali ecclesiali mai abrogate.
5. Un cambio di paradigma sociale negli anni ’90 circa gli abusi su minori e la reazione ecclesiale
Dagli anni ’70 in poi, le società occidentali assistono ad un esplodere della cosiddetta “libertà sessuale”. Quest’ultima diventa categoria basilare di una civiltà edonista e relativista e così si manifesta anche nel fenomeno della pederastia. Così, nel 1977, appare l’appello pubblico lanciato su Le Monde da Guy Hocquenghem e sottoscritto da 69 intellettuali francesi (tra i quali, Jean-Paul Sartre, Roland Barthes, Simone de Beauvoir, Jack Lang, Louis Aragon e André Glucksmann) circa l’illegittimità della pena per rapporti sessuali con giovani consenzienti.
Ciononostante, i movimenti femministi in Francia iniziano a lamentare il carattere abusivo di tali rapporti compiuti da disinvolti maschi dell’élite culturale e politica, a danno soprattutto di bambine e ragazzine. Come rilevato da qualche autore, «nell’eclissi del movimento a sostegno della liceità della pederastia giocò un ruolo importante l’apparizione nel 1988 del romanzo La porte di fond di Christiane Rochefort» (Benigno e Lavenia 2021, 73). In seguito, è cresciuta la comune consapevolezza sui “diritti dell’infanzia”, come proposto nel 1989 dall’art. 34 della Convenzione dell’ONU in merito: gli Stati si sono impegnati nel proteggerli «contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale».
Tale cambiamento non rivendica più il bene giuridico pubblico della modestia, l’onestà e la moralità sociale, come nell’Ottocento e gran parte del Novecento (oppure nella Chiesa, in quanto “delitti contrari al non commettere atti impuri”). Così, fino al 1996, il Codice Rocco in vigore dal 1930 in Italia considerava la violenza sessuale come un reato contro la morale ed il buon costume.
In una società secolarizzata che rivendica come categoria fondante e assoluta, come prima accennato, una libertà svincolata per soddisfare ogni desiderio individuale e con l’unico limite della libertà dell’altro, il bene da tutelare è il benessere personale del minore e la sua libertà ed indennità sessuale, in quanto considerato più vulnerabile nei confronti degli adulti. Negli ultimi vent’anni si sarebbe fatta strada la concezione della pederastia come crimine per il quale non c’è scusa né, di fatto, redenzione.
La Chiesa non è estranea a tali cambiamenti epocali. Sebbene prima del Concilio Vaticano II ci siano stati centinaia di casi di corruptio minorum presso il Sant’Uffizio, tale tendenza non poteva se non crescere con la libertà sessuale degli anni ’60, ’70 e ’80. Ciononostante, dato che tali casi sono sempre stati trasgressioni di una minoranza, la rinuncia ad una gestione giuridica di tali delitti riservati presso il nuovo Dicastero romano, la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), non poteva che provocare una profonda crisi disciplinare nella Chiesa.
I primi ad avvertire i sintomi sono stati i Vescovi nord-americani. Nel 1985, poco dopo l’approvazione del Codice di Diritto Canonico del 1983, Scott Gastal ha denunciato per aggressione sessuale il Rev. Gauthe, di Abbeville, Lousiana, il quale, alla fine, avrebbe violentato 37 minori. In seguito, nel 1992, Frank Fitzpatrick, insieme ad altri 150 denuncianti, non solo hanno accusato il Rev. James Porter, dispensato nel 1974, di abusi di minori, ma hanno anche chiesto un compenso economico giudiziale alla diocesi: in tale occasione, è stata invocata la legislazione allora vigente di Massachusetts, che fissava un limite di 20.000 dollari nelle cause nei confronti di istituzioni caritatevoli. In quei anni, il Cardinale J. Ratzinger, nuovo Prefetto della CDF, ha cominciato a ricevere amare lamentele di diversi Prelati degli Stati Uniti di America sull’eccessivo garantismo del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983.
Nel 1994, durante il pontificato di S. Giovanni Paolo II, è stato concesso un Indulto per i Vescovi degli Stati Uniti di America, esteso nel 1996 all’Irlanda. Si trattava così di risolvere, anche se in modo tecnicamente sbagliato (non si può non ovviare che l’Ist. Crimen sollicitationis era ancora in vigore e, invece, la suddetta Istruzione esigeva l’avviare processi giudiziali penali secondo il nuovo CIC 1983 e riservava gli appelli alla Rota Romana ed i ricorsi amministrativi alla Congregazione per il Clero), gli effetti di 30 anni di inattività giudiziale da parte dell’Organo competente per tutelare la disciplina della Chiesa nei casi più gravi.
I due Indulti sono stati un primo tentativo fallito di risolvere l’incubo latente della crisi degli abusi nella Chiesa, in crescita esponenziale, come manifestato in seguito all’esplosione del “Caso Spotlight” in Boston, il 6 gennaio 2002.
Otto mesi prima di Spotlight, il 25 aprile 2001, con il Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela (SST) sono state pubblicate le Normae circa i delitti contra fidem ed i delicta graviora sia contro i sacramenti sia contro i costumi. Le successive “facoltà speciali” concesse dal Papa al Prefetto della CDF per mezzo di Rescripta ex audientia SS.mi e l’altra legislazione complementare (riforma di SST nel 2010, Regolamento per il Collegio per l’esame dei ricorsi nel 2015, Come una madre amorevole nel 2016, Vos estis lux mundi nel 2019; Vademecum nel 2020; riforma del Codice di Diritto Canonico nel 2021 e successiva riforma del Vademecum nel 2022) hanno consentito di fornire la Chiesa di una legislazione agevole ma rispettosa dei diritti di tutti i fedeli, per far fronte ad una marea di sporcizia, dolore, ingiustizia e vergogna.
6. Il problema del salto di paradigma sociale e l’allarme sociale sulla pederastia ecclesiale
Nonostante tale reazione ecclesiale nell’ambito legislativo, preventivo e comunicativo, lo scandalo della pederastia nella Chiesa non solo non diminuisce ma sembra crescere. La morale cattolica, incentrata sul concetto di peccato, fa fatica a dialogare con l’odierna sensibilità dell’opinione pubblica.
Quest’ultima spesso denuncia la presunta consapevolezza ecclesiale circa il carattere privato e solo peccaminoso di comportamenti sottratti al controllo dello Stato e, di conseguenza, in una “cultura del segreto”, l’insabbiamento delle accuse di abusi sessuali compiuti dai chierici. Anzi, la tendenza è stata quella di arrivare persino a considerare la pederastia come connaturata alla condizione clericale e non solo propria di qualche criminale oppure malato mentale: il celibato in una società ipersessualizzata sarebbe l’origine di condotte perverse perché lesive della libertà dei vulnerabili. Qualcuno asserisce l’esistenza di una “realtà sistemica”, cioè, intimamente unita all’identità di una Chiesa che nevrotizza i loro ministri con l’imposizione dell’obbligo del celibato (cfr. S. Žižek).
Spiegazioni del genere sono in contrasto con la realtà delle statistiche, che riportano dati inconfutabili circa la stragrande maggioranza di casi di abusi sessuali di minori commessi in famiglia o in altri contesti sociali. Ciononostante, le suddette affermazioni sono ampiamente accolte nelle nostre società occidentali post-religiose le quali, dall’esperienza collettiva e l’affermazione di nuovi diritti, tendono a individuare quei gruppi di persone pericolose perché perseveranti in comportamenti che mettono a rischio la correttezza dell’ordine sociale democratico (political correctness). È così come la pederastia commessa dai preti, cioè, quelli che si presentano come moralizzatori della società, nonostante la sua quasi irrilevanza statistica (0,2 % del totale dei casi nella società spagnola: cfr. Fundación ANAR), è diventata un “crimine assoluto” (Benigno e Lavenia 2021) e motivo di allarme sociale.
Al riguardo, si dovrebbe cominciar a puntare sull’operato negli ultimi 30 anni del movimento femminista e di quei gruppi in difesa delle minoranze oppresse ed emarginate: molto critici della famiglia “patriarcale” e delle istituzioni “tradizionali”, legano la spiegazione sull’abuso sociale alla violenza, in particolare quella di genere. Queste piattaforme rivendicative della società civile, presumibilmente indipendenti ma fortemente controllate dal potere tramite il finanziamento sovvenzionato, hanno rivendicato e diffuso concetti come l’empowerment o conquista del controllo sulle proprie scelte (cfr. Women’s Shelter, eretti dagli anni ’60 negli Stati Uniti) oppure i survivors first o qualifica dei minori, vittime di abusi da parte del clero come “sopravvissuti” (cfr. Survivors Network of those Abused by Priests o SNAP, dal 1989).
Tali concetti, insieme alle lookback windows o tecniche psicologiche basate sulla “memoria recuperata”, hanno anche configurato una tendenza sempre in crescita ad equiparare il pedofilo all’assassino seriale, considerandolo autore di una sorta di “olocausto” (cfr. il cosiddetto “genocidio canadese” tra il 1870 e 1996 degli indiani nativi delle first nations ed il “genocidio irlandese”, denunciato dal “rapporto Ryan”, sull’operato di ecclesiastici in scuole industriali, orfanotrofi, riformatori e case di rieducazione): nel film di François Ozon, Grazie a Dio, dedicato al caso Preynat, è stato denunciato il ritardo della Chiesa nel prendere atto del cambiamento di sensibilità nella società civile nell’offrire solo il pentimento del reo come soluzione e non la punizione; una delle vittime afferma che «dobbiamo lasciare il segno proprio come i sopravvissuti di Auschwitz».
Conclusione: verso rapporti ecclesiali asimmetrici sani e sicuri
L’analisi qui proposta porta alla luce un’evoluzione nella sensibilità sociale nelle ultime decadi, non sempre accolta tempestivamente dalla Chiesa né compresa anche nei suoi limiti.
Tale fenomeno è particolarmente grave quando spinge a legiferare in modo forse impulsivo, come potrebbe emergere dall’analisi del cambiamento operato nella recente riforma del CIC 2021, sulla sistematizzazione dei delicta graviora contra mores.
Al riguardo, meriterebbe una riflessione canonica più approfondita non solo l’allargamento dell’imputabilità penale a nuovi soggetti attivi (chierici, come previsto del già can. 1395 §2 CIC, ma anche membri di Istituti Religiosi e Società di Vita Apostolica, ed anche qualche fedele laico), ma la punizione degli abusi subiti da fedeli ai quali il diritto riconosce “pari tutela” con i minori (per il momento, i “vulnerabili” dell’art. 1 §1, a, 2 VELM) e, soprattutto, il delitto ex can. 1395 §3 contro il sesto comandamento con abuso “dell’autorità” compiuto dai fedeli del can. 1398 §2 (fattispecie mancante di giurisprudenza, dato che il CIC prevede solo l’“abuso di potere”, esercitato principalmente dagli ordinati ex can. 129 e l’“abuso dell’ufficio e dell’incarico”, interpretato in senso tecnico ex can. 145). Resterebbe anche il problema del cosiddetto “abuso di coscienza”, non tipicizzato, ed il suo eventuale collegamento col “falso misticismo”, in quanto comportamento punibile ex art. 10 del Regolamento del DDF.
Altre riflessioni necessarie a mio parere sarebbero 1) l’individuazione del bene giuridico tutelato nei casi di abusi sessuali dove non sono coinvolti gli ordinati e, di conseguenza, il carattere sussidiario degli ordinamenti statali in tali casi (can. 1344, 2º CIC); 2) lo stesso problema sul bene giuridico tutelato emerge nei casi di dispensa dagli obblighi sacerdotali concessa durante il processo penale canonico, senza che la mancata decisione finale possa essere intesa come un vulnus alla presunta vittima: al riguardo, serve considerare anche il bene della comunità ecclesiale, privata così di un chierico presumibilmente inidoneo, e la possibilità sempre aperta per la vittima di rivendicare in foro civile la riparazione del male subito; 3) la contestata catalogazione nel mondo della psichiatria della “pedofilia” come parafilia oppure disturbo psicologico, in quanto eventuale semplice “tendenza sessuale”, condurrebbe ad una pacificazione nel dibattito circa la non punizione penale di tali casi e la dichiarazione in essi dell’impedimento di esercitare gli ordini ex can. 1044 §2, 2º CIC; 4) il conclamato moto “tolleranza zero”, in realtà, “impunità zero”, dovrebbe condurre in ogni chiesa particolare ed istituto religioso ad un approccio più rigoroso e serio sia della gestione giuridica di tali casi, sia della prevenzione efficace; 5) la mancata pubblicazione della giurisprudenza del DDF non dovrebbe essere un ostacolo per una riflessione dottrinale oggi più serena sui particolari più contestati, come la non arbitrarietà nel ricorrere prevalentemente alla procedura amministrativa, nell’applicare la pena della dimissione dallo stato clericale oppure nel derogare della prescrizione per alcuni casi; 6) infine, l’attuale tendenza ad allargare l’attività coattiva penale in nuove fattispecie dovrebbe far riflettere se la coazione penale è l’unico modo di far rispettare la disciplina ecclesiale, non solo per la sussidiarietà dell’ordinamento statale nei casi di concorrenza di beni giuridici da tutelare, ma per la necessità di ripristinare il potere di santificare proprio del confessore e di fare conoscere agli Ordinari tutti i mezzi amministrativi e pastorali che il diritto canonico gli offre.
Diversa, invece, è l’analisi delle cause della violenta esplosione della crisi degli abusi della Chiesa negli Stati Uniti a seguito della vicenda Spotlight. Quest’ultima pare sia dovuta non tanto alla diffusa immoralità sessuale a partire degli anni ’60, ma all’anti-giuridicismo postconciliare a causa di una sbagliata concezione del rapporto sempre complesso di diritto e morale, oppure delitto e peccato. Oggi è possibile affermare senza alcun dubbio che tale comprensione ha disattivato per tre decadi la capacità ecclesiale di avviare la necessaria attività coattiva, almeno nei casi più gravi.
L’estensione, invece, del fenomeno della pederastia nella Chiesa in altri Paesi, non più quelli anglosassoni e centro-europei, pare sia dovuta ad un cambiamento di paradigma sull’esercizio del potere nella nostra società, sempre più democratica e consapevole dei propri diritti: così si spiega la scarsità di denunce in altre società di radice più autoritaria.
Nonostante la perplessità e lo scandalo provocati da impostazioni ideologiche già onnipresenti nella nostra civiltà (criticità nei confronti dell’istituzione ecclesiale perché considerata autoritaria oppure lesiva delle donne ed altre comunità prima emarginate; equiparazione del fenomeno ad un genocidio se non ad un nuovo olocausto, ecc.), i fedeli non sono più disposti a rinunciare all’esercizio maturo e responsabile della rivendicazione dei propri diritti (can. 221 §1 CIC).
Per una riflessione più approfondita sull’esercizio del potere nella Chiesa, lo stesso Papa Francesco ha sottolineato in un documento magisteriale basilare l’impatto dell’abuso di potere nei casi di pederastia clericale, mettendo sullo stesso piano comprensivo l’abuso di potere con quello di coscienza e sessuale (Francesco 2018).
Al di là della gestione dei casi di delicta graviora che progressivamente emergono, è necessario riuscire a convincere la società attuale che la Chiesa è finalmente consapevole della doverosa lotta contro i rapporti asimmetrici tossici, particolarmente quando emergono nel corpo ecclesiale. Si dovrebbe partire dalla vocazione di quest’ultimo di promuovere un esercizio del potere “cristiano” nei confronti di un esercizio “mondano”. Al riguardo, se il potere è la possibilità di alterare lo status delle persone tramite l’asimmetria relazionale, e, di conseguenza, maggiore è l’asimmetria, maggiore è la vulnerabilità di esse, Cristo, l’Onnipotente, ha mostrato il suo vero “potere” nella vulnerabilità della croce, insegnando che il governo del Superiore è sempre un servizio per amore. La Chiesa, sensibile ad ogni vulnerabilità, dovrà sempre discernere se non è contaminata dal “lievito di Erode e dei farisei” (Mc 8,15), cioè, dall’ideologia mondana sull’esercizio irrispettoso ed abusivo del potere.
La proposta di Francesco di una “cultura della prevenzione” nei confronti di una molto estesa “cultura dell’abuso” è un primo passo da una concezione reattiva ad un’altra più propositiva, senza dover ricorrere, però, ad un’idea onnicomprensiva dell’attività coattiva penale. La Chiesa, arricchita da una antropologia sulla distinzione senza separazione tra sfera morale e giuridica, è preoccupata non tanto dal quid iuris ma dal quid ius. Concludendo, ritengo che la Chiesa oggi è chiamata a diventare nella nostra società secolarizzata ed edonista una mediatrice affidabile e vera mater et magistra su rapporti sani e sicuri per tutti.
Bibliografia
Benedetto XVI. “La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali.” Corriere della Sera, 11 aprile 2019, https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_11/papa-ratzinger-chiesa-scandalo-abusi-sessuali-3847450a-5b9f-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml.
—, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2010.
Benigno, Francesco, Lavenia, Vincenzo. Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia. Bari-Roma: Laterza 2021.
Francesco. Lettera al Popolo di Dio. 20 agosto 2018. https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html.
1 Art. 71: «Nomine criminis pessimi heic intelligitur quodcumque obscoenum factum externum, graviter peccaminosum, quomodocumque a clerico patratum vel attentatum cum persona proprii sexus».
2 Art. 73: «Crimini pessimo, pro effectibus poenalibus, aequiparatur quodvis obscoenum factum externum, graviter peccaminosum, quomodocumque a clerico patratum vel attentatum cum impuberibus cuiusque sexus vel cum brutis animantibus (bestialitas)».
3 Circa la non abrogazione e, di conseguenza, piena vigenza, dell’Istruzione Crimen sollicitationis a seguito della promulgazione del CIC 1983, serve considerare quanto disposto nell’interpretazione autentica del Supremo Legislatore («pro hanc Epistulam, de mandato Summi Pontificis») nell’Epistula a Congregatione pro Doctrina Fidei missa ad totius Catholicae Ecclesiae Episcopos aliosque Ordinarios et Hierarcas interesse habentes: de delictis gravioribus eidem Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis, del 18 maggio 2991: «quia Instructio Crimen sollicitationis hucusque vigens, a Suprema Sacra Congregatione Sancti Officii edita die 16 mensis martii anno 1962, recognoscenda erat novis Codicibus canonicis promulgatis».