Ror Studies Series | Autorità e mediazione
Introduzione
I. Vigorelli, J. Pujol e F. Insa
Questo libro nasce da un’iniziativa congiunta di tre enti della Pontificia Università della Santa Croce: il Gruppo di Ricerca di Ontologia Relazionale (ROR) della Facoltà di Teologia, la Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale e il Centro di Formazione Sacerdotale.
Quando abbiamo deciso di organizzare un Expert Meeting trans-disciplinare per studiare insieme il tema dell’autorità e della mediazione nella Chiesa, la crisi degli abusi era già al suo acme e la nostra preoccupazione era quella di cercare una prospettiva teologica che ci aiutasse a vivere nella fede un tale fenomeno e ci conducesse a chiederci quale sia il cammino di conversione, anche intellettuale, che in quanto docenti, giudici o responsabili di percorsi di formazione per seminaristi e laici, ci viene richiesta.
Ne è nata un’esperienza di grande intensità, intellettuale e di preghiera, che ci ha visti convocati da vari continenti per affrontare con competenza e apertura al confronto e al dialogo, le varie questioni che avevamo identificato come centrali, con il desiderio di sottoporci vicendevolmente le domande che tale situazione di scandalo suscitava in noi tutti, mettendo sotto pressione le convinzioni teologiche o antropologiche, pedagogiche o sociali, di cui siamo talvolta inconsapevoli depositari.
Abbiamo voluto riunirci nello spirito del Sinodo, «per ascoltare, insieme all’intero Popolo di Dio, ciò che lo Spirito Santo sta dicendo alla Chiesa» (Vademecum per il Sinodo sulla Sinodalità, 2021), senza falsi irenismi, sapendo che avremmo portato visioni e giudizi diversi al tavolo comune, differenze che provengono dalle diverse attenzioni e metodologie che le varie discipline mettono in atto rispetto ai propri oggetti di studio. La modalità dell’Expert Meeting invece, ci avrebbe dato l’opportunità di ritrovare l’eccedenza dell’oggetto che ciascuno di noi indaga a modo proprio, mentre avremmo provato ad esplorare insieme vie nuove di comprensione del fenomeno di male e di misericordia che ci apprestavamo a interrogare di nuovo; nessuno si sarebbe messo nella prospettiva di chi avrebbe dovuto trovare l’argomentazione migliore per “vincere” su chi la pensasse diversamente, bensì volevamo tutti condividere l’atteggiamento di chi vuole capire meglio e anche facilitare la visione di un punto di vista più vario, che da una disciplina differente o dall’esperienza di un altro continente, potesse illuminare o sottoporre a ulteriore scandaglio le posizioni prese da ciascuno nel proprio ambito di riferimento.
Dal lavoro di quei due giorni, occorsi il 17 e il 18 febbraio 2023, sono stati elaborati i testi che qui abbiamo raccolto.
La forma dell’Expert Meeting prevede una scrittura anteriore all’incontro ed una posteriore. In quella anteriore i temi sono suggeriti da chi progetta le sessioni, che in questo caso prevedevano due relatori e un primo respondent. Le sessioni furono complessivamente sei e i temi scelti erano: le caratteristiche delle relazioni asimmetriche nella società contemporanea e la loro posizione e funzionalità nella struttura gerarchica della Chiesa; la differenza tra delitto e peccato; la mediazione di Cristo e le mediazioni umane; le cultura della colpa e della vergogna; l’incontro con Dio nella coscienza; l’autorità di Dio e le rappresentazioni ebraico-cristiane del suo modo di comandare.
Nella composizione del testo che qui introduciamo abbiamo ridotto le questioni a tre grandi gruppi, mantenendo le differenze di approcci e di linguaggi nei titoli dei vari capitoli. Le tre sezioni sono quindi dedicate a: (I) autorità di Dio e mediazione umana, (II) delitto e peccato, (III) salute relazionale.
L’intento complessivo del volume non è quello di fornire risposte definitive, ma di aprire la riflessione teologica a domande ben centrate nella realtà della storia della salvezza e dei peccati umani e di offrire riflessioni radicate nella tradizione viva della Chiesa e non ingenue rispetto alle trasformazioni sociali che stiamo vivendo.
La prima parte del volume è dedicata alla fondazione della mediazione umana nel rapporto con Dio.
Il capitolo di Carlos Jódar Estrella è un grande aiuto per intendere che è l’ineguagliabile potenza dell’autorità divina a dare il valore della mediazione umana, resa perfetta in Cristo, nella sua libertà e piena adesione all’Amore del Padre, e insieme sempre fragile perché vulnerabile al rischio immenso delle volontà umane. Ciò non toglie che Dio sceglie di ricorrere ai mediatori per amore della libertà umana, e nulla può limitare ontologicamente la sua volontà di offrire alla vita umana la salvezza. Jódar sottolinea infatti che la Sacra Scrittura narra ripetutamente la capacità di Dio d’integrare i misfatti dei mediatori, senza negarne la responsabilità personale, e questo è motivo di fiducia nella misericordia di Dio.
Le prospettive che si aprono per gli approfondimenti da parte delle varie discipline teologiche e umanistiche sono paradossali e sfidano direttamente il modo di intendere il senso cristiano della storia e le modalità concrete dell’economia salvifica. Il rapporto tra attività e passività nella risposta umana alle iniziative divine non è mai riducibile ad una regola e appare nella stessa Scrittura assai controverso.
Gill Goulding, dalla profondità della sua opera di collaborazione con la comunità episcopale per la cura degli abusati, approfondisce il portato teologico del dolore delle vittime, affinché non sia trascurato l’impatto che qualsiasi forma di abuso agisce direttamente sul Corpo di Cristo. La riflessione non parte da un’analisi di tipo morale o giuridica, ma esegetica e dottrinale, per divenire mistica e spirituale: solo la contemplazione e l’espiazione possono davvero far sì che la Chiesa non perda nelle vicende terrene i tratti del volto mite di Cristo, tumefatto e offeso, perdente e insieme glorioso.
Paul O’Callaghan e Ilaria Vigorelli proseguono nell’indagine del paradosso tra mediazione e libertà delle coscienze, sviluppando quali debbano essere le premesse antropologiche e spirituali della forma di una mediazione per il singolarissimo cammino personale, affinché sia rilevata la complessità del fenomeno dell’accompagnamento spirituale nel suo darsi, fenomeno relazionale umano nel quale può agire la grazia di Dio ma non esente da paradossi e vulnerabilità. O’Callaghan, proponendo un percorso storico del concetto di coscienza morale, mette in evidenza le difficoltà che trova l’uomo per riconoscere la volontà di Dio, e conclude che uno dei modi per scoprirla sono gli intermediari umani di cui Dio stesso può servirsi per comunicare alle persone i suoi disegni di salvezza; il mediatore deve tenere sempre presente che non può prendere il posto di Dio, ma deve indirizzare i fedeli verso di Lui rispettando la loro libertà. Vigorelli riflette invece sulle relazioni sane nelle mediazioni a nome della Chiesa, tramite tre concetti che permeano la mediazione e che sono di forte carica antropologica in sintonia con la grazia divina: sintonizzazione emozionale, cura del segreto e attenzione, affinché le relazioni rispettino il santuario della coscienza e promuovano la libertà interiore.
Jordi Pujol mette in luce come la Chiesa è un’organizzazione di alta affidabilità per milioni di persone dalla quale ci si aspetta verità; la comunicazione istituzionale è dunque una risorsa affinché la Chiesa si mostri quale è, una istituzione credibile. Occorre perciò che si rilegga l’identità della Chiesa per poterla narrare e al contempo si torni a narrarla per proteggerla dalle derive soggiacenti la ricerca di consenso o dalle falsificazioni mondane. Pujol articola l’esigenza della trasparenza e la responsabilità come elementi per riguadagnare fiducia. La severità con la quale la società e i social media giudicano ogni azione comunicativa non deve portare ad un atteggiamento difensivo, ma può essere invece considerato come l’offerta di nuove occasioni di riflessione e di giudizio sugli operati e sui procedimenti intra ecclesiali, dando così un più ampio respiro alla domanda teologica sulla verità del servizio che la Chiesa è inviata a dare al mondo.
La seconda parte si apre sul dibattito giuridico ed ecclesiologico, per inquadrare direttamente il rapporto tra legge canonica, legge di Dio e legge della coscienza. I diversi autori si propongono di indicare alcune cause “istituzionali” degli abusi e di mostrare che lo slogan “tolleranza zero” dev’essere capito da tutta la comunità credente come “impunità zero”, in modo da garantire il risarcimento per le vittime, senza smettere di considerare anche i colpevoli come parte del gregge per il quale il Buon Pastore ha dato la vita.
Jordi Bertomeu, Ángel Rodríguez Luño, Davide Cito e Samuel Fernández si confrontano sul difficile inquadramento della differenza tra delitto e peccato, sulla giustizia resa più o meno possibile dalle procedure per la condanna dei delitti e sull’orrendo quanto complesso fenomeno dell’abuso di potere, spirituale e di coscienza, nonché sessuale, e dei risarcimenti dovuti alle vittime.
Bertomeu rimarca che se il potere comporta la possibilità di alterare lo status delle persone, questa asimmetria relazionale è in grado di generare vulnerabilità. Ricorda poi che «Cristo, l’Onnipotente, ha mostrato il suo vero potere nella vulnerabilità della croce, insegnando che il governo del Superiore è sempre un servizio per amore». In questo senso, considera necessario che la Chiesa s’interroghi profondamente sui potenziali modi di esercizio irrispettosi e abusivi del potere.
Rodriguez Luño sottolinea d’altro canto che nella società civile quasi tutte le relazioni si possono definire asimmetriche, nel matrimonio, nella famiglia, nel lavoro; e pure nelle istituzioni, nelle università, nella politica, nell’esercito e via dicendo. Per il teologo il problema da affrontare risiede nelle “perversioni” delle asimmetrie, che possono essere dovute a motivi di personalità, interni ai soggetti in relazione, ma anche favoriti dai contesti istituzionali.
Cito approfondisce questa prospettiva esplorando quali siano le possibilità giuridiche per punire le pratiche abusive “sotterranee”, ma conclude che l’esperienza maturata riguardo agli abusi di minori ha dimostrato che la via giuridica non è l’unica né la principale, perché realmente decisivo è puntare verso una “cultura” di rapporti sani, di autorità e di guida spirituale, che si indirizzino ad accrescere e potenziare veramente la libertà delle persone.
Fernández considera che l’abuso di coscienza o spirituale è una forma specifica di abuso di potere, e propone una distinzione tra l’esercizio legittimo e l’uso improprio del potere ecclesiale nei confronti della coscienza dei fedeli, in base al rispetto della loro libertà e dignità. Dopo aver delineato i tratti definitori dell’abuso di coscienza, offre delle precise indicazioni operative e propone strumenti di prevenzione e di gestione di tale specifica forma di abuso, inclusa un’azione legislativa più chiara da parte della Chiesa.
Daniel Portillo, Cecilia Costa, Peter Beer e Angela Rinaldi individuano difficoltà culturali e sociali che riguardano il soggetto, l’esercizio della libertà, l’accelerazione storica e l’impatto tecnologico assunti acriticamente, come pure le resistenze interne che richiedono un rinnovamento della cultura istituzionale ecclesiale. Vengono proposte vie di analisi e di prevenzione che introducano dei cambiamenti importanti sotto il profilo delle dinamiche relazionali. L’impatto di tali cambiamenti sarà rafforzato attraverso pratiche, reti e consuetudini sociali che potranno diffondersi grazie all’approfondimento teologico e ad opportuni programmi di formazione. L’auspicio è che si possano imboccare vie riparative dei mali relazionali causati dalla troppo diffusa e inadeguata inconsapevolezza del potere esercitato nelle dinamiche asimmetriche, o dalla cosciente depravazione nutrita da derive autoritarie o da circoli viziosi e incastramenti non opportunamente visti, curati e sanati.
Portillo sottolinea che la crisi degli abusi sessuali ha portato a guardare al di là delle responsabilità personali e a scoprire delle “ecclesiopatie” che tradendo l’identità della Chiesa coinvolgono in qualche modo tutta la comunità. Tra queste spiccano il centralismo, l’autoreferenzialità, il carrierismo, l’atteggiamento difensivo, l’ignoranza degli abusi non fisici, che sono alla base di quelli sessuali, la negligenza di fronte ai casi accertati e un sistema legale che si è dimostrato insufficiente. Tutto ciò richiede un rinnovamento teologico dell’ecclesiologia, che sappia mettere il servizio e l’amore alla base dell’esercizio dell’autorità.
Costa centra la sua riflessione dal punto di vista sociologico. Segnala che ogni società esiste solo come cristallizzazione delle variegate interazioni e interdipendenze tra gli individui che la compongono. La Chiesa, insita nel mondo, non è immune ai cambiamenti della società civile, tra i quali l’orizzontalismo, il desiderio dell’autodeterminazione, il soggettivismo, l’individualismo, il multiculturalismo, il fascino della tecnica, la secolarizzazione, ecc. Sostiene che, sebbene la costituzione gerarchica della Chiesa implichi un esercizio dell’autorità non democratico, richiede anche uno stile partecipativo, attento ai cambi sociali e al sensus fidelium.
Beer e Rinaldi considerano nuovamente il carattere asimmetrico delle relazioni, ma aggiungono che ci vuole quindi un uso “morale” della relazione, in cui la parte più forte riconosca il dovere di proteggere la più debole, di valorizzarla, di rispettare la sua autonomia e la sua dignità, e di ridurre in quanto possibile le differenze all’interno di quella relazione. Un uso “immorale” o abusivo, invece, sarebbe quello in cui la parte più forte tenta di trarre un qualche vantaggio a spese di quella più debole. Propongono delle misure per un sano esercizio dell’autorità nella Chiesa, che includono l’accountability, la corresponsabilità, la trasparenza, il superamento del clericalismo, la coerenza tra messaggio e azione, e un’adeguata formazione per la crescita della maturità umana di coloro che dovranno ricoprire cariche istituzionali nelle strutture ecclesiali.
La terza parte è quella più propositiva nella quale, dalla teologia sistematica e spirituale, dalla psicoterapia e dalla antropologia, Giulio Maspero, Cesare Cornaggia e Federica Peroni, Marta Rodríguez e Francisco Insa cercano vie e propongono esempi narrativi per rilanciare la salute relazionale e la formazione sacerdotale, secondo le leggi della maturazione umana e la gratuità dell’azione corroborante della grazia divina. La forza esplicativa dei miti antichi, la letteratura contemporanea, la narrazione di alcuni casi clinici accuratamente scelti e la presentazione di buone pratiche già in atto divengono il terreno comune per incentivare la riflessione trans-disciplinare e il dialogo tra gli esperti.
Maspero sceglie di confrontarsi con le varie versioni del mito di Narciso, e lo reinterpreta o lo “cura”, alla luce delle Ricerche di Ontologia Relazionale. Ne emerge l’invito a rimettere al centro della formazione dei futuri sacerdoti una profonda conoscenza biblica e teologica, ben fondata nel dogma trinitario, affinché la vita di fede possa fiorire in un contesto sociale profondamente solcato da violenza e da leggi di necessità.
Cornaggia e Peroni propongono una lettura terapeutica del senso di colpa e delle “idolatrie” da esso generate. Lo stimolo è ad osservare da vicino le dipendenze relazionali e a farne oggetto di particolare cura da parte degli educatori ad ogni livello, famigliare ed ecclesiale. Per superare gli incastramenti psichici è necessario che anche le istituzioni ecclesiali e i cammini di discernimento vocazionale non patiscano la sofferenza di un governo la cui leadership sia ignara di tali dinamiche o, ancor peggio, ne sia connivente.
È la cura sviluppata da Rodríguez nel suo capitolo, ricco di risonanze antropologiche e pedagogiche, vagliate da esperienza pluriennale nell’ambito della formazione sacerdotale. Se è vero che la persona si riconosce e si sviluppa nella relazione donale e in tal modo giunge a pienezza, scoprirsi guardati con amore è fonte di crescita umana e spirituale, mentre il contrario rende la persona ferita, piena di senso di indegnità, colpa e vergogna. Date queste premesse antropologiche, la filosofa propone alcune modalità concrete per coltivare la salute relazionale e la cultura dell’incontro, mostrandone il valore specialmente per la maturazione della vita celibataria.
Insa afferma che molte delle misure prese per la prevenzione degli abusi (trasparenza, punizione, ecc.) arrivano troppo tardi, quando il male è già stato commesso. Si propone allora di implementare un approccio preventivo, basato sulla formazione dell’affettività, sia dei soggetti chiamati ad esercitare ruoli di leadership e di accompagnamento spirituale, sia di quelli che si affidano alla guida di altri. Si spiegano alcuni tipi di personalità “a rischio” di diventare abusatori o abusati, e vengono proposti itinerari che aiutino i soggetti a conoscere se stessi, a regolare le proprie emozioni, a stabilire relazioni sane (soprattutto con i coetanei) e a crescere in libertà interiore, evitando di essere trascinati dal desiderio di dominare gli altri o di stabilire relazioni di dipendenza emotiva.
Dopo tutto questo percorso è lecito chiedersi se siamo giunti a punti di convergenza, a intenti comuni rinnovati, ad aperture di orizzonti di lecita speranza. La risposta è indubbiamente sì, e vogliamo proporla qui di seguito come una serie di affermazioni che insieme a tutti gli autori del presente volume mettiamo a disposizione del Sinodo che si svolgerà a Roma nelle due sessioni consecutive di ottobre 2023 e ottobre 2024:
1. C’è bisogno di rinnovare l’esercizio dell’autorità nella Chiesa facendo memoria di che cos’è la Chiesa. La risposta all’esercizio dell’autorità nella Chiesa non viene da fuori, ma dal fare memoria di sé: che cosa siamo in quanto Chiesa? È vitale ritrovare il senso della centralità dell’identità della Chiesa, Popolo di Dio, Corpo Mistico di Gesù Cristo, per il rinnovamento dell’esercizio dell’autorità e dunque di ogni mediazione.
2. Il paradigma di esercizio del potere che presenta Gesù Cristo è quello del servizio, non del dominio. Per servire bisogna mettersi in una disposizione di attenzione, che si manifesta nell’ascolto: in primo luogo nell’ascoltare Dio che interviene nella storia. Chi non ascolta verso l’alto è difficile che poi ascolti gli altri.
3. Nello studio dell’esercizio dell’autorità, delle mediazioni e delle relazioni nella Chiesa, sarebbe auspicabile che la teologia esercitasse un ruolo di guida, nel continuo dialogo con le altre discipline: filosofia, diritto, sociologia, psicologia, comunicazione, e via dicendo. Infatti, l’identità, anche della Chiesa, è relazionale: Essa è da Dio e per tutti.
4. Ci vuole una formazione specifica per coloro che dovranno esercitare le diverse modalità di mediazione nella Chiesa: accompagnamento spirituale, leadership di istituzioni, ecc. Oltre agli ambiti di formazione teorica e dottrinale, si deve promuovere in loro la messa in opera di una profonda e valevole conoscenza di sé e un deciso impegno a onorare la legittima autonomia di coloro che si affidano alla loro guida. La cultura intellettuale e dottrinale, fondamentali per l’annuncio cristiano, vanno accompagnate dalla cultura dell’ascolto e del servizio.
Per concludere, forse possiamo spendere un’ultima parola sulla questione della relazione: appare evidente che le relazioni umane sono proprio il punto di forza e il punto di debolezza nella mediazione. Attraverso la relazione passa la vita, ma anche la morte. Ciò non deve portare al rischio di considerare le relazioni in modo dialettico-oppositivo, perché esse provengono dall’ontologia di Dio, uno e trino: nella relazione la reciprocità coinvolge sempre tutti i poli ed essa è terza e al contempo costitutiva delle identità dei soggetti in relazione. Non accade mai che se una perde l’altra vinca.
Anche se l’apparenza porta a credere che vince il più forte, nella Chiesa perde anche chi apparentemente vince. Il servo, invece, vince sempre, se ha maturato la libertà di abbassarsi per andare incontro al debole e se dal debole è in grado di imparare la propria debolezza.
La qualità della relazione è proprio quanto il Salvatore è venuto a restaurare con il dono del Suo Spirito, che è relazione infinita e costituisce la Vita del Padre e del Figlio. Questo dà speranza per le relazioni umane, e riaccende il desiderio di provare a dare la vita per gli altri, nella consapevolezza di poterla ricevere nuova, e di nuovo.
Ilaria Vigorelli, Jordi Pujol e Francisco Insa