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Ror Studies Series | Krisis e cambiamento in età tardoantica

«Chi non è contro di noi, è per noi»: un criterio di misura provocante. Note sull’esegesi di Mc 9,38-40 e Lc 9,49-50 nella patristica greca e latina

Alessandra Di Pilla

Università di Perugia

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Alessandra Di Pilla (Università di Perugia)

Un tratto affascinante della pedagogia di Gesù nei confronti dei discepoli è la messa in discussione dei loro criteri di misura. Ci soffermeremo in proposito sull’episodio del cosiddetto “esorcista estraneo” (Mc 9,38-40 e Lc 9,49-50), allo scopo di vagliare se e in che modo sia stato interpretato dagli autori cristiani di lingua greca e latina di epoca patristica. Ecco i testi evangelici nella traduzione italiana.1

 

Mc 9,38-40: Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.

Lc 9,49-50: Giovanni prese la parola dicendo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi”. Ma Gesù gli rispose: “Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi”.

1 Linee sull’interpretazione odierna

L’episodio si inserisce nella serie di insegnamenti che Gesù indirizza ai discepoli durante il viaggio attraverso la Galilea in direzione di Gerusalemme, dopo aver loro preannunziato per la seconda volta la sua passione. Il tema che unifica tali insegnamenti è quello della natura della discepolanza, della sequela di Cristo.2 Esso sembra stabilire un collegamento tra la disputa dei Dodici su chi sia il più grande (Mc 9,33-37), l’episodio dell’esorcista (Mc 9,38-40), la valorizzazione del semplice bicchiere d’acqua offerto a coloro che “sono di Cristo” (Mc 9,41); alcuni studiosi lo estendono anche agli ammonimenti a chi dà scandalo “ai piccoli che credono” (Mc 9,42-50). In questa sezione di Marco viene tematizzata anche la persistente incomprensione del destino di Gesù da parte dei Dodici.3 In Luca troviamo, in sequenza, uno svolgimento più breve: la disputa tra i Dodici (Lc 9,46-48) e l’episodio dell’esorcista (Lc 9,49-50).

In entrambi gli evangelisti le narrazioni sono precedute dal vano tentativo dei discepoli di liberare un giovane epilettico indemoniato.4 Il fallimento circa il mandato di compiere esorcismi fa dunque da sfondo alla pericope che qui ci interessa, nella quale entra in campo il sentimento di identità e di appartenenza dei discepoli nei confronti di Gesù. Essi, per bocca di Giovanni, lamentano il fatto che uno sconosciuto abbia agito senza essere un seguace o un membro del loro gruppo e, forse, senza aver cercato la loro mediazione nel rapporto con il Maestro.5

La risposta di Gesù è senz’altro inaspettata: i discepoli credono evidentemente di aver agito bene, a ragion veduta, perché sanno di essere i prediletti e i “mandati”. Gesù apre loro un’altra prospettiva, e riconduce alla radicalità una questione che appariva confusa: l’uso del suo nome contro i demoni non è una prerogativa esclusiva dei discepoli, poiché ci sono solo due posizioni, “contro di noi” e “per noi.” Dunque anche lo sconosciuto è in qualche modo un alleato. Per alcuni commentatori l’uso del nome di Gesù da parte dell’esorcista lo qualificherebbe come un credente, in quanto consapevole che il vero protagonista dell’azione salvifica è la potenza di Gesù.6

La reazione dei discepoli e la risposta di Gesù vengono messe in rapporto con l’episodio del libro dei Numeri in cui Giosuè vorrebbe che Mosè impedisse a Eldad e Medad di profetizzare, essendo rimasti nell’accampamento anziché recarsi con gli altri anziani nella tenda del convegno: «Ma Mosè gli disse: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!”» (Nm 11,26-29). Viene tuttavia anche notato che Eldad e Medad non erano degli estranei, ma facevano già parte degli anziani convocati da Mosè. La risposta di Gesù in ogni modo va oltre, esprime il rifiuto di restringere il dono del potere divino ai suoi soli seguaci.7

Tutti i commentatori collegano e paragonano le parole di Gesù «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40; Lc 9,50) con quelle riferite da Mt 12,30 (e da Lc 11,23): «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.»8 Entrambe le affermazioni escludono ogni compromesso, ma quella di Mt esprime esclusione e distanza, mentre quella di Marco inclusione e accoglienza. Anche se accomunate dal tema dell’esorcismo, le due formule appartengono a contesti molto diversi. In Mt Gesù risponde a quanti lo accusano di scacciare i demoni con il potere di Beelzebul: si tratta di un attacco radicale alla sua identità messianica.9 Con la parabola del regno diviso in se stesso e della casa liberata, Gesù distingue nettamente il regno di Satana dal regno di Dio, al quale egli appartiene e a cui dà testimonianza con l’opera sua. Gesù è “l’uomo più forte” in grado di liberare la casa dal precedente, pur “forte”, occupante. La differenza tra i due regni e poteri è totale, l’alternativa è netta, alla figura di Gesù non può essere ascritta alcuna ambiguità. Nell’affermazione che troviamo in Mc, invece, Gesù riconosce la buona fede di un “simpatizzante” che compie esorcismi nel suo nome.10

Andando alla ricerca delle interpretazioni patristiche di Mc 9,38-40 e Lc 9,49-50, anche noi ci siamo spesso imbattuti nelle altre parole di Gesù: è stato dunque necessario sondare anche la ‘fortuna’ di Mt 12,30 (= Lc 11,23).

Gli studiosi moderni considerano anche, sia pure con metro alquanto disuguale, la questione delle divergenze testuali che, nei passi di Marco e di Luca, riguardano l’uso dei pronomi personali. La presenza di questa problematica, e quindi anche le sue ricadute a livello esegetico, è minima nei Padri. Nel Marco greco,11 Giovanni parla a nome del gruppo dei discepoli: “volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva” (v. 38b), e Gesù accomuna se stesso ai discepoli: «chi non è contro di noi, è per noi» (v. 40).12 Nel Luca greco e nel Marco latino (Vulgata=Vetus) la risposta di Gesù è formulata invece in modo diverso: «chi non è contro di voi, è per voi».13 Altra particolarità: nel Luca greco, Giovanni esprime la sua motivazione con parole lievemente diverse rispetto a Marco: «perché non [ti] segue insieme con noi».14

Il “noi” di Mc 38-40 allude ai discepoli come a un gruppo chiuso: molti studiosi pensano che, nell’episodio dell’esorcista estraneo, sia in discussione un successivo problema della comunità, affrontato e risolto con un giudizio all’insegna della generosità e dell’apertura, che rifletterebbe esso stesso le esperienze della comunità.15 In ogni caso Marco ci illumina sugli equivoci della sequela: i discepoli non comprendono Gesù, litigano per il primo posto, si vantano dei loro privilegi. La valutazione che Gesù dà sull’attività dell’ignoto esorcista riguarda anch’essa la sequela. Gesù non condanna in alcun modo il gesto sensazionale compiuto nel suo nome, ma ne esprime una relativizzazione, poiché il vero valore di ogni gesto sta nel servizio: «chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41).

2 I primi tre secoli cristiani: Origene e Cipriano

Negli scrittori dei primi tre secoli cristiani, l’unico testo a comparire con una discreta frequenza è proprio Mt 12,30. Per Marco (o Luca) ci risulta un’unica citazione, nel Commento a Matteo di Origene.16 Si tratta quasi di un’allusione, finemente incastonata nell’esegesi di Mt 12,30. Origene sta commentando Mt 21,45: l’atteggiamento dei sommi sacerdoti e dei farisei che, «pur cercando di prendere Gesù, ebbero paura della folla, che lo considerava un profeta». Per Origene, si può desiderare di “prendere” Gesù in diversi modi: come la sposa del Cantico, che al termine della sua lunga ricerca abbraccia e tiene con sé l’amato, e per trattenerlo meglio dice «salirò sulla palma, terrò le sue altezze» (Ct 7,8); o come l’uomo spirituale, che non si ferma all’apparenza della carne ma sonda il mistero di Cristo alla luce della fede. La folla stima davvero Gesù, è dalla sua parte contro chi lo avversa, ma non ne “comprende” la grandezza; vede in lui il profeta, ma non il Figlio di Dio. Origene giunge quindi a parlare degli unici che comprendono Cristo: «coloro che pensano di Lui secondo verità». Chi invece ha di Cristo una opinione falsa non deve essere considerato “per” lui (pr αὐτοῦ): ecco, mediante l’uso di una sola preposizione, quello che sembra proprio un sottile richiamo a Marco (o a Luca). Si allude a quanti presumono di dare gloria al Figlio confondendolo con il Padre (i patripassiani). Infine, nominandoli distintamente a indicare un livello di sviamento dottrinale maggiore, Origene cita «coloro che vengono dalle eresie» (gli gnostici), i quali si illudono di pensare grandi cose e invece «dicono male del creatore»: anch’essi non sono “per” Cristo. Neppure sono “con lui” (μετ’αὐτοῦ), e perciò sono “contro di lui” (κατ’αὐτοῦ): compare a questo punto la citazione esplicita di Mt 12,30, che viene sviluppata anche nella sua seconda parte. Chi non pensa di Cristo secondo verità, anche se raccoglie, disperde. Origene nota che il Signore non dice appena “chi non raccoglie”, bensì “chi non raccoglie con me”: il senso del “raccogliere con lui” è suggerito dalla coscienza del mistero della Chiesa, dei suoi fattori costitutivi e del suo “ordine” interno, quali sono testimoniati da Paolo che, dopo aver preso la sua decisione riguardo al cristiano di Corinto colpevole di incesto, li descrive plasticamente a quella comunità: «essendo radunati voi e il mio spirito, con il potere del Signore Gesù» (1Cor 5,4).

Con Origene, forse per la prima volta, l’esegesi di Mt 12,30 si lega a quella di Mc 9,40 (o Lc 9,50), entrambe sviluppando il tema dell’appartenenza alla comunione ecclesiale e, di contro, il tema dell’errore e dell’eresia. Questo nesso tematico resterà costante negli autori successivi. Anche un terzo tema è presente, destinato parimenti ad ampia fortuna: la condanna degli pseudoprofeti e dei falsi discepoli che, privi della fede in Cristo, compiono prodigi “nel suo nome” e ai quali, nel giorno del giudizio, il Signore dirà “Non vi ho mai conosciuti”. Il tema poggia sull’esegesi di Mt 7,21-23, che per Origene è attestata nei frammenti conservati dalle Catenae.17 Nel corso della storia dell’esegesi Mt 7,21-23 comparirà spesso in collegamento a Mt 12,30 e ai passi di Marco e Luca che qui più direttamente ci interessano: non però, per quanto ci risulta, già in Origene.

In occidente, Cipriano cita spesso Mt 12,30, a sostegno della sua concezione della Ecclesia una e, in particolare, nell’ambito della controversia sull’efficacia e validità del battesimo impartito da eretici e scismatici. Va tuttavia osservato che egli non compensa mai l’utilizzo di Mt 12,30 mediante la citazione di Mc 9,40 o di Lc 9,50, testi che non troviamo nella sua opera.18

Mt 12,30 compare ad esempio nel De ecclesiae catholicae unitate, composto durante la persecuzione di Decio (251), nel clima acceso delle discussioni sulla riammissione dei lapsi che agitarono la chiesa di Cartagine sino a provocarne lo scisma. Nel capitolo 6, Cipriano elabora l’immagine della Chiesa come vincolo di comunione da preservare integro e fuori del quale non esiste salvezza. Come non poté salvarsi chi era fuori dell’arca di Noè, così non si salverà chi è fuori della Chiesa. Il testo di Matteo viene applicato a coloro che corrompono l’unità della Chiesa:19

Non si può corrompere la sposa di Cristo, poiché è intatta e pura (…) Chi, allontanatosi dalla Chiesa, si unisce a un’adultera, si separa dalle promesse della Chiesa, né perviene ai premi di Cristo chi abbandona la Chiesa di Cristo: è un estraneo, un profano, un nemico (…). Il Signore ci avverte, dicendo: Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. Chi spezza la pace e la concordia di Cristo agisce contro Cristo; chi raccoglie altrove fuori dalla Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo (…). Chi non conserva quest’unità non conserva la legge di Dio, non conserva la fede del Padre e del Figlio, non conserva la vita e la salvezza.

Che Mt 12,30 ricoprisse un ruolo centrale nella polemica con gli scismatici, lo dimostra il fatto che nei testimonia scritturistici Ad Quirinum esso documenti il titolo che li riguarda (Scisma non faciendum, etiamsi in una fide et in eadem traditione permaneat qui recedit).20

Un’unica citazione di Mt 12,30 troviamo nelle epistole di Cipriano risalenti alla persecuzione di Decio e alle vicende dello scisma di Novato e Felicissimo. Compare in Epist. 43 (a. 250) e si unisce all’allusione a Ef 4,5:21

Pacem nunc offerunt qui ipsi non habent pacem, in ecclesiam lapsos reducere et revocare promittunt qui de ecclesia recesserunt. Deus unus est et Christus unus (cfr. Eph 4, 5) et una ecclesia et cathedra una super Petrum Domini voce fundata. Aliud altarem constitui aut sacerdotium novum fieri praeter unum altare et unum sacerdotium non potest. Quisquis alibi collegerit, spargit. Adulterum est, impium est, sacrilegum est quodcumque humano furore instituitur ut dispositio divina violetur.

Il numero di citazioni cresce nelle epistole del periodo della disputa sul battesimo impartito dagli eretici, in particolare dai seguaci di Novaziano (anni 255-256). Il primo documento in merito sembra essere l’epistola 69 di Cipriano in risposta a un tale Magno, che domanda se anche i seguaci di Novaziano, dopo aver ricevuto da lui il lavacrum profanum, qualora vengano alla Catholica debbano ricevere in essa il battesimo. Cipriano risponde che Novaziano non fa eccezione: anch’egli va annoverato tra gli avversari e gli anticristi, poiché si colloca extra ecclesiam e agisce contro la pace e l’amore di Cristo. Come tutti gli eretici e gli scismatici, egli non possiede alcun potere né alcun diritto. A riprova di questo, Cipriano adduce che il Signore, quando affermava che suoi avversari erano coloro «qui secum non essent», non indicava una particolare eresia, ma intendeva «omnes omnino qui secum non essent et secum non colligentes gregem suum spargerent»:22 il richiamo a Mt 12,30, dunque, ha qui la funzione di definire a livello generale l’identità e l’opera di eretici e scismatici.

Nell’Epist. 70 (a. 255) Cipriano e altri vescovi, interpellati mentre sono riuniti in sinodo, rispondono ai vescovi della Numidia circa lo stesso quesito: bisogna ribattezzare gli eretici e gli scismatici che vengono nella Catholica? La sinodo ribadisce la falsità e l’invalidità di ogni atto compiuto da eretici e scismatici, corroborando ancora una volta tale idea con le parole di Gesù (Mt 12,30) e di Paolo (Ef 4,4-5).23

La citazione matteana compre ancora nell’Epist. 75, in cui Firmiliano di Cesarea di Cappadocia scrive a Cipriano approvando la posizione sua e dei vescovi africani, e criticando invece aspramente quella di papa Stefano:24

La seconda nascita che si verifica con il battesimo genera figli di Dio. Ma se la sposa di Cristo è una soltanto, ed è la Chiesa cattolica, è essa soltanto che genera figli a Dio (…). L’assemblea degli eretici non è un tutt’uno con noi, perché neanche la sposa è un’adultera e una prostituta. Perciò non può neanche partorire figli a Dio (…). Perciò Cristo nostro Signore, rivelando che una sola è la sua sposa e dichiarando il sacro mistero della sua unità, dice: Chi non è con me è contro di me, chi non raccoglie con me disperde. Se dunque Cristo è con noi, gli eretici allora non sono con noi, e di sicuro sono contro Cristo: e se noi raccogliamo con Cristo, non raccolgono con noi gli eretici, e senza dubbio disperdono.

3 Il IV e il V secolo in oriente

Nei Moralia (Τὰ ἠθικά) di Basilio viene citato Mc 38-40, all’interno della regula 19, che consiglia di «non porre ostacoli a chi fa la volontà di Dio, quando si adegua al precetto sia in base al comandamento di Dio sia in base alla ragione.»25 Un punto a sé della medesima regula riguarda una particolare categoria fra coloro che compiono la volontà di Dio:26

A chi compie il comandamento di Dio non con sana disposizione d’animo, però in apparenza cercando l’esattezza dell’insegnamento del Signore, non si deve proibire di farlo, perché egli con la sua attività non fa danno a nessuno, anzi alcuni vengono da lui aiutati; lo si deve però esortare ad avere la mente degna della buona opera che sta facendo.

Si deve dunque distinguere l’apparenza dall’intenzione, valorizzando la prima e invitando a correggere la seconda. Tra le citazioni dal Nuovo Testamento che fondano l’autorità della regula 19, Basilio inserisce Mc 9,38-40 e lo abbina a un passo della lettera ai Filippesi, che contribuisce a approfondirne la comprensione. Anche l’esorcista che caccia i demoni nel nome del Signore, infatti, a suo modo “annuncia Cristo”, gli rende testimonianza. Scrive infatti Paolo (Fil 1,15-18): Vi è chi annuncia il Cristo anche per invidia e contesa, ma altri lo fa per volontà buona (…) Che importa? Purché in ogni modo, sia per pretesto, sia con verità, Cristo venga annunciato.

Giovanni Crisostomo, che in novanta omelie copre in modo continuo e sistematico tutta l’estensione del vangelo di Matteo, all’interno dell’omelia 41 collega Mt 12,30 a Lc 9,49-50:27

Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. Che cosa voglio? Condurre a Dio, insegnare la virtù, annunziare il regno. Che vogliono il diavolo e i demoni? Il contrario di questo: disperdere ciò che è mio. (…) Ma come, si potrebbe replicare, chi non è con me è contro di me? Per il fatto stesso di non raccogliere. Dice tutto ciò per mostrare la sua grande e indicibile inimicizia con il diavolo. Dimmi: se si dovesse combattere contro qualcuno, chi non volesse allearsi con te, non sarebbe per ciò stesso contro di te?

Evidentemente Crisostomo è consapevole di una possibile obiezione che può sorgere a partire da Lc 9,49-50, poiché così prosegue:28

Se in un altro passo dice: Chi non è contro di voi, è per voi, non c’è contraddizione, perché qui ha indicato chi era contro di loro, mentre nell’altro passo mostra chi è in parte con loro: Nel tuo nome, dice, scacciano i demoni.

Per Cirillo di Alessandria, possediamo grazie alle catene greche un importante frammento dei Commentarii in Lucam, relativo a Lc 9,49-50 e assegnato alla Homilia 55.29 Il testo, in porzione più ampia rispetto al greco, è conservato anche in una versione siriaca,30 per la quale disponiamo di una traduzione latina moderna.31 Forse anche gli apostoli, si chiede Cirillo, sono stati colpiti dal pungiglione dell’invidia. Non hanno infatti compreso che «non era quell’uomo a operare quelle meraviglie, ma la grazia che era in lui mediante la potenza di Cristo.» Li redarguisce vivacemente:32

Vuoi dunque ostacolare uno che si rende insigne in Cristo? Sì, dice, perché non segue con noi. Ma che importa se non è annoverato fra i santi apostoli, quando è coronato dalla grazia di Cristo? Molti e differenti sono i doni concessi da Cristo, come ci insegna Paolo. Che vuol dire dunque non cammina con noi?

Cirillo desidera spiegare il motivo dell’atteggiamento degli apostoli. Pieni di entusiasmo per aver cacciato i demoni e curato ogni sorta di malattie nel nome di Gesù, essi ritenevano che nessun altro fosse autorizzato a fregiarsi di quell’autorità: per questo si fecero avanti e interpellarono il Signore. Cirillo richiama il comportamento simile di Giosuè nei confronti di Eldad e Medad e il rimprovero di Mosè a Giosuè (Sei forse geloso?). L’ammonimento di Cristo agli apostoli è dunque chiaro: chi sconfigge Satana nel suo nome, non va ostacolato, perché non è contro di voi. Ed ecco il commento dell’omileta:33

Sono infatti “per noi” (ὑπὲρ ἡμῶν) che amiamo Cristo tutti coloro che vogliono agire a sua gloria, e sono coronati dalla sua grazia.

Nella versione siriaca il testo continua, con un’attualizzazione:34

Questa è una legge per le Chiese che continua fino ad oggi. Noi onoriamo soltanto coloro che sollevano mani sante e, senza frode né macchia, nel nome di Cristo scacciano gli spiriti immondi e guariscono dalle malattie. Sappiamo infatti che è Cristo che opera in loro.

Conclude l’omelia siriaca un accorato ammonimento a guardarsi invece dai falsi profeti, dai guaritori in cerca di lucro, dai maghi che nei loro incantesimi invocano Satana per mezzo del nome di Signore, cercandone l’aiuto in cambio di tale blasfemia: vanamente, poiché Satana non scaccia Satana (Mt 12,26).

Com’è noto, non conosciamo commentari completi al vangelo di Marco che siano giunti fino a noi. I Commentarii in Marcum attribuiti a Vittore di Antiochia, vissuto tra V e VI sec., sono in realtà una Catena in Marcum in due distinte recensioni, che raccoglie frammenti delle opere di Giovanni Crisostomo su Matteo, di Origene su Matteo e Giovanni, di Tito di Bostra e di Cirillo di Alessandria su Luca, di Basilio di Cesarea e di Gregorio di Nissa su Marco, nonché passi di Ambrogio e Agostino tradotti in greco.35

I versetti di Mc 9,38-40 sono citati e commentati nella Catena in Marcum (recensio II), all’interno del capitolo 27 (Περὶ τῶν διαλογιζομένων τίς μείζων) che riguarda più ampiamente Mc 9,33-50.36 Dopo la citazione di Mc 9,38-40, il catenista così introduce:37

Il figlio del tuono [sc. Giovanni] non era spinto a parlare così per gelosia, ma voleva che tutti quelli che si richiamavano al nome di Cristo anche lo seguissero, e che stessero con i suoi discepoli. Dirò in breve a chi si riferiscano queste parole.

Il testo che segue è composto per la prima parte (Cramer I, 365, 18/27) da un passo dell’omelia 24 su Matteo di Giovanni Crisostomo,38 dedicata di per sé a Mt 7,21 (Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli):39

Molti di coloro che non avevano creduto hanno ricevuto dei carismi: così era anche il tale che scacciava i demoni pur non stando con Lui. Così era anche Giuda: infatti anche lui, pur essendo malvagio, aveva ricevuto un carisma. Anche nell’Antico Testamento si potrebbe trovare questa situazione, che cioè la grazia operava spesso in alcuni del tutto indegni, al fine di compiere il bene nei confronti di altri. Non tutti infatti erano adatti a tutto: poiché c’erano alcuni di vita pura che non possedevano abbastanza fede, mentre ad altri accadeva il contrario, il Signore esorta gli uni mediante gli altri affinché dimostrino grande zelo e fede, e spinge gli altri a diventare migliori mediante quel suo ineffabile dono. Egli dunque donava la grazia con grande sovrabbondanza.

Il testo così continua:40

Ecco perché il Salvatore dice anche non glielo impedite, perché è possibile che attraverso tali cose quell’uomo possa ottenere il dono addizionale della virtù. Nessuno infatti di quelli che compiono miracoli nel mio nome potrà subito parlare male di me. Il subito (ταχὺ) si riferisce a quelli che sono caduti nell’eresia, come Simone, Menandro e Cerinto: forse costoro non fecero segni nel suo nome, ma parve che li facessero, mediante qualche magia o inganno. Questi altri invece, se anche non ci seguono perché non operano secondo la fede, almeno non possono dire nulla contro di noi con facilità, a causa del modo in cui vanno orgogliosi delle meraviglie che compiono quando pronunziano il mio nome. E dire chi non è contro di voi è per voi (Mc 9,40) non si oppone al dire chi non è con me è contro di me (Mt 12,30; Lc 11,23). La seconda affermazione infatti è detta a proposito dei demoni quando infuriano per strappare tutti da Dio e disperdere ciò che da Lui è stato radunato. La prima invece è detta di quelli che credono in Lui ma non lo seguono, o perché la loro decisione è imperfetta o per la vanità del loro vivere, e che tuttavia comandano prodigi nel Suo nome sia per la fede di quanti li incontrano sia per essere essi stessi spinti alla vera fede. Infatti agli inizi dell’annuncio del Vangelo il Signore ha permesso che accadessero anche simili cose: affinché, come dice l’Apostolo, o con pretesto o con verità Cristo venga annunziato (Fil 1,18).

Il catenista inserisce nella stessa linea esegetica anche il successivo versetto (Mc 9,41): Poiché in verità vi dico: chiunque vi dà un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, non perderà la sua ricompensa, così commentando:41

Vi ordino – dice – di non ostacolare non soltanto quelli che invocando il mio nome compiono miracoli, ma neppure quelli che vi accolgono con il semplice porgervi un bicchiere d’acqua fresca (…). Affinché infatti nessuno possa addurre a pretesto la povertà, dice: ‘se anche darai un bicchiere d’acqua fresca, per il quale non si spende nulla, pure di questo sarai ricompensato’.42 Voglio infatti che tutti attraverso queste cose siano esortati a compiere anche cose più perfette.

4 Il IV e il V secolo nell’occidente latino

Ilario di Poitiers, nel suo commento In Matthaeum composto nel clima della controversia ariana, si sofferma anche sul contrasto tra Gesù e i farisei a proposito del potere di cacciare i demoni.43 I farisei, che non vogliono riconoscere che il potere di Gesù viene da Dio e non da Beelzebul, bestemmiano Dio in modo inespiabile. Ilario parla della funzione di Cristo quale mediatore: se i discepoli operano nel suo nome, e Cristo opera secondo lo Spirito di Dio, allora il Regno di Dio è giunto ed è ormai stato trasferito agli apostoli. La vittoria sul diavolo viene esaltata alludendo alla sua sottomissione da parte di Cristo in temptatione prima. Vinto, incatenato e privato dei suoi spolia, il diavolo non è più padrone della casa, cioè degli uomini: essa ora è libera e può ospitare il vincitore. Ilario sottolinea l’alternativa radicale tra Cristo e Satana, e quanto sia pericoloso avere di Cristo un’opinione errata:44

Longe autem a se esse ut aliquid ab eo (scil. a diabolo) mutuatus sit potestatis ostendit, quando qui secum non est, adversum se est et qui secum non congreget dispergat (Mt 12,30). Ex quo ingentis periculi res intelligitur male de eo opinari, cum quo non esse idipsum est quod contra esse, et non congregare dispergere sit.

Coloro che devono guardarsi da un’errata concezione di Cristo sono senz’altro i Giudei del testo, ostili a lui e alla chiesa nascente, ma anche gli ariani del tempo di Ilario.

Ambrogio di Milano ci ha lasciato un commento al vangelo di Luca, frutto della rielaborazione di sue omelie, in cui prevale un’esegesi allegorico-morale, condotta per mezzo di una minuta e instancabile ruminatio del testo della Scrittura. In una sezione del libro VII, Ambrogio approfondisce il tema della sequela.45 Gesù, in chi lo segue, guarda alla purezza dell’intenzione, non all’ossequio esteriore. La risposta che il Signore dà a Giovanni a proposito dell’ignoto esorcista è paragonata a quanto dice ad altri, poco prima o poco dopo: Gesù, ad esempio, respinge l’uomo che, lungo la strada, si offre di seguirlo ovunque vada (Lc 9,58). A una proposta così generosa risponde che Le volpi hanno tane, mentre il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Ambrogio ne deduce che quell’uomo, pur omaggiando Gesù, non era né simplex fidelis, non possedeva cioè la mens dei bambini, nella quale Cristo rispecchia se stesso:46

Quo loco Dominus simplicitatem sine adrogantia docet, caritatem sine invidia, devotionem sine iracundia esse debere: nam et pueri mens provectioris adfectu recipienda suadetur, quia, dum puer nihil sibi vindicat, formam virtutis exequitur.

Diverso è invece il caso dell’ignoto esorcista. Il relativo versetto di Luca non viene citato, ma l’episodio è ben riconoscibile pur nella concinnitas funzionale al discorso. Per Giovanni, l’uomo in questione non mostra né obbedienza né dedizione verso Gesù, e perciò dovrebbe essere privato del beneficium che gli è concesso. L’apostolo, che parla con l’irruenza dell’affetto, non viene rimproverato da Gesù, bensì ammaestrato, affinché impari a riconoscere la differenza tra i deboli e i forti, «dal momento che il Signore, sebbene dia la ricompensa ai forti, non allontana da sé i deboli.»47 Nella logica di Ambrogio, quindi, all’anonimo esorcista la porta è lasciata aperta: è un debole, ma il suo cuore può ancora ritrovare la rettitudine dell’intenzione, la purezza della semplicità.

Il motivo viene ampliato, seguendo un testo della Vetus in cui il comando del Signore indica una pluralità di destinatari (eos): Sinite eos et nolite prohibere; qui enim non est adversum vos pro vobis est. Entrano ora nel ragionamento anche le figure di Giuseppe di Arimatea e Nicodemo: erano discepoli di nascosto, perché avevano paura, ma al tempo opportuno non rifiutarono al Signore il loro officium.48 Il tema della sequela evoca poi l’affermazione, apparentemente contraria alla precedente, di Lc 11,23: Qui non est mecum adversum me est et qui mecum non colligit dispergit. Per Ambrogio non può esserci contraddizione, i due casi sono distinti perché diverse sono le intenzioni dei cuori. Il Signore, che conosce i cuori, all’uno (il debole, l’incerto, il pauroso) intende dire “Seguimi”, all’altro (l’arrogante privo di simplicitas) dice invece che «le volpi hanno le loro tane»: «Ille cogitur, iste removetur, ut scias quia devotus admittitur, indevotus excluditur.»49

Un’ulteriore declinazione del tema si trova in VII, 29. Ambrogio affronta un’altra sententiarum discordia: in Luca (9,49-50) il Signore proibisce che si ostacolino quanti riescono a comandare ai demoni nel suo nome; in Matteo (7,23) dice a costoro: «Non novi vos. Discedite a me omnes operarii iniquitatis». Neppure qui c’è contraddizione. Secondo Ambrogio, si parla dell’officium del clericus. La liberazione dal demonio è opera del “Nome eterno” e non dell’umana debolezza: la potenza di Cristo può certo manifestarsi anche per mezzo di un uomo poco santo, ma all’uomo di Chiesa è richiesta la pratica della virtù, una fides sincera e un’obbedienza leale. Coloro che ne sono privi saranno trattati con severità, non con l’indulgenza che viene usata a chi sbaglia per debolezza. Essi agiscono con l’inganno e la falsità: sono paragonati alle volpi, figura degli eretici.50

Mt 12,30 è chiosato anche da Gerolamo nel suo conciso Commento a Matteo, senza però essere collegato ad altri testi.51 Fedele qui all’interpretazione letterale, Gerolamo scoraggia per le parole del Signore («Qui non est mecum contra me est et qui non congregat mecum spargit») l’applicazione agli eretici e agli scismatici, che tuttavia reputa lecita, sia pure ex superfluo. A fargli da guida è il contesto del passo evangelico, che riguarda chiaramente l’impossibilità di paragonare o conciliare le opere di Cristo e quelle del diavolo.

Agli eretici Gerolamo riferisce invece esplicitamente il passo di Lc 9,49, nell’ambito del Commentarium ad Galatas.52 Paolo rimprovera i Galati perché, dopo aver ricevuto la fede, sono stati irretiti da falsi doctores che predicano la necessità della circoncisione. Non sono rimasti fedeli all’autentico Vangelo, eppure possiedono i doni spirituali e compiono prodigi. Ciò li accomuna a quelli che «Domino non sequentes, in nomine eius signa faciebant», come l’esorcista del quale Giovanni si lamenta con Gesù. Questa è la posizione che connota gli eretici: pensano di avere la vera fede in virtù dei signa, si ritengono autentici discepoli del Signore perché mangiano e bevono nel suo nome (compiono cioè il santo Sacrificio), si vantano di fare miracoli perché invocano il suo nome. Ma nel giorno del giudizio Egli dirà loro: Non vi conosco.

Cromazio, che fu grande amico di Rufino e estimatore dell’esegesi di Origene, divenne vescovo di Aquileia nel 387. Conosciamo di lui una serie organica di Tractatus su Matteo, uno dei quali, il numero 50, è dedicato a Mt, 12,29-32.53 Cromazio ama interpretare il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, per mostrare l’unità della rivelazione. Gesù scaccia i demoni in virtù dello Spirito di Dio: l’uomo fortis della parabola, legato e depredato dei suoi possedimenti da uno più forte di lui, è il diavolo, che con la potenza del peccato tiene prigionieri gli uomini. Il Signore parla quindi della battaglia tra sé e il diavolo. Il Figlio di Dio ha combattuto e trionfato accettando di brandire – quale arma predetta dai profeti contro il dragone – un corpo umano innalzato sulla croce e con le mani inchiodate, «mani addestrate alla guerra», come disse Davide parlando a suo nome.54 Cromazio ribadisce l’assoluta divergenza tra Cristo e il diavolo, sviluppando la contrapposizione tra dispegere e colligere (Mt 12,30):55

Diabolus enim inimicus humanae salutis. Diaboli est dispergere in perditionem, Christi colligere in salutem. Unde manifestum est non posse esse cum Domino qui contra Dominum est.

Il Signore sta rimproverando i farisei, ma parla anche degli eretici e degli scismatici:56

Radunando empie congreghe contro la Chiesa o piuttosto contro il Signore, costoro tentano di dividere e di violare il corpo incorrotto della Chiesa e l’unità della pace e della fede (…) Perciò ben a ragione nel presente passo il Signore, per mostrare che era diretto contro di lui tutto quello che fosse stato perpetrato contro l’unità della Chiesa, disse Chi non è con me, è contro di me. E chi non raccoglie con me, disperde.

Non ci risulta che Cromazio abbia collegato Mt 12,30 ai testi di Marco e Luca.

I nostri testi godono di una buona fortuna, dopo la stagione di Cipriano, nell’Africa percorsa dalla controversia donatista.

Una citazione diretta di Lc 9,49-50 compare nel De schimate Donatistarum di Ottato di Milevi, composto negli anni 364-367. I Donatisti, seguendo l’antica prassi africana, non consideravano valido il sacramento impartito dalla Catholica, e dunque ribattezzavano i cattolici che passavano nelle loro file. Ottato difende invece la dottrina romana accolta anche dai cattolici africani nel concilio di Arles (314) e anticipa l’argomento che sarà ampiamente svolto da Agostino: l’efficacia del sacramento non dipende dalla persona del ministro, ma dall’azione di Dio. Nel libro V della sua opera, Ottato instituisce una similitudine tra le res divinae e le artes humanae, paragonando colui che amministra il battesimo all’operarius che tinge la lana. La lana, imbevuta di colore purpureo, muta colore e nome: così l’uomo che riceve il battesimo si trasforma e diviene fidelis. Ma il tintore non compie la trasformazione in virtù del solo tocco delle mani, bensì grazie al colorante di cui viene a disporre, che è prezioso e giunge da paesi lontani. Allo stesso modo, chi conferisce il battesimo a un altro non può dare nulla da sé solo, senza l’opera della Trinità. Proprio in questo Ottato identifica il motivo del contendere:57 «il Salvatore ha comandato nel nome di chi (in quo) le genti debbano essere battezzate, ma non ha posto alcuna riserva su colui per mezzo del quale (per quem) ciò vada fatto. Non ha detto agli apostoli: ‘Fatelo voi, gli altri invece non lo facciano!’ Chiunque ha battezzato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, ha compiuto l’opera degli apostoli». A favore di tale argomento, Ottato cita proprio il dialogo tra i discepoli e Gesù sull’esorcista estraneo:58

Denique lectum est in evangelio Iohanne dicente: Magister, vidimus quendam in nomine tuo expellentem daemonia et prohibuimus eum quia non sequitur nobiscum. Sic Christus ait: Nolite prohibere, qui enim non est contra vos, pro vobis est. Nam et ipsis sic mandatum est ut opus esset illorum sanctificatio Trinitatis, nec in nomine suo tingerent, sed in nomine Patris et Filii et spiritus sancti. Ergo nomen est quod sanctificat, non opus.

Se dunque per i Donatisti battesimo e Chiesa sono due realtà strettamente legate e indissociabili, e il battesimo è proprietà esclusiva della Chiesa, per Ottato invece anche un ministro che si trova fuori nell’unità amministra un sacramento valido, che non bisogna reiterare.

La dottrina cattolica dei sacramenti elaborata da Ottato contiene già l’essenziale della teologia agostiniana in materia. Anche in Agostino l’interpretazione della figura dell’esorcista estraneo trova il suo principale contesto nella controversia battesimale, dotandosi di nuove sfumature e di più approfonditi risvolti. Agostino però ha affrontato esplicitamente i testi evangelici che qui ci interessano anche da un altro punto di vista, quello della loro concordia e armonizzazione, esaminandoli nel De consensu evangelistarum. L’opera gli fu sollecitata da alcuni fratres, desiderosi sia di crescere nella scienza delle Scritture sia di saper rispondere alle non poche obiezioni in circolazione (di provenienza certamente manichea, ma anche pagana) che minavano la credibilità dei testi sacri. Agostino, ex manicheo e ora pastore, è consapevole della forza persuasiva che quegli argomenti potevano esercitare sui fedeli: le contraddizioni tra i vangeli sono trattate spesso anche nei sermoni.59 Nel quarto libro dell’opera, Agostino prende in esame i passi propri di Marco, quelli cioè che non trovano riscontro in Matteo, e li collaziona con le narrazioni di Luca e Giovanni. Giunto a Mc 9,37-39, ne constata l’equivalenza con Lc 9,49-50. La difficoltà sorge nel conciliare ciò che Gesù afferma in entrambi i punti (qui enim non est adversum vos pro vobis est) con quanto dice invece in Lc 11,23=Mt 12,30 (Qui mecum non est, adversus me est, et qui mecum non colligit, spargit). Le due affermazioni, inoltre, vanno considerate non soltanto nell’insieme, ma anche nel dettaglio della divergenza adversum vos/adversum me. Quest’ultima sembra suggerire che una persona unita ai discepoli non lo sia anche a Cristo, cosa impossibile poiché Cristo è unito ai discepoli come il capo alle membra.60 Sembra anche suggerire che il contrasto con i suoi discepoli non sia anche contrasto con lui: ciò però smentirebbe tutti i luoghi in cui Cristo identifica chiaramente i discepoli con se stesso.61 Per Agostino le parole del Signore non sono in contraddizione, ma indicano che egli intendeva comunicare un preciso concetto: non si è con lui per quel tanto che si è in contrasto con lui e, viceversa, non si è in contrasto con lui per quel tanto che si è con lui.62 La situazione dell’uomo che operava prodigi in nome di Cristo senza appartenere alla comunità dei discepoli era dunque questa: per il fatto che operava prodigi nel nome di Cristo, egli era del numero dei seguaci di Cristo e non un loro avversario; per il fatto invece che non apparteneva al loro gruppo, non era uno di loro ma un loro avversario. I discepoli vengono rimproverati perché gli avevano impedito ciò per cui egli era in comunione con loro: scacciare i demoni servendosi del nome del loro Maestro e Signore. Avrebbero invece dovuto impedirgli di trovarsi al di fuori del loro numero, inculcandogli in tal modo l’unità della Chiesa. Agostino vede nell’indicazione di Gesù ai discepoli il modo in cui la Chiesa cattolica agisce nei confronti degli eretici: non li rimprovera di avere in comune i sacramenti («in his enim nobiscum sunt et adversus nos non sunt»), ma perché sono divisi e separati o sostengono dottrine che si oppongono alla pace e alla verità («in hoc enim adversus nos sunt, quia in hoc nobiscum non sunt et nobiscum non colligunt et ideo spargunt»).63

Proseguendo nell’esame del cap. 9 di Marco, Agostino nota che soltanto in questo evangelista la lode nei confronti di chi darà un bicchiere d’acqua ai discepoli “perché sono di Cristo” (Mc 9,41) e la serie di ammonimenti di Gesù sullo scandalo (Mc 9,42-50), entrambe presenti anche in Matteo e Luca, risultano precedute dall’episodio dell’esorcista estraneo che ha irritato Giovanni. A suo giudizio, non siamo di fronte a una contraddizione, ma al particolare modo marciano di tessere il testo. In Marco l’intervento di Giovanni è lo spunto per quanto Gesù dice in séguito. Lo sconosciuto esorcista che opera nel nome di Cristo e colui che si mostra caritatevole con i cristiani solo a motivo del loro nome non si trovano nella stessa posizione degli eretici, separati e ostili, ma sono esempi di un atteggiamento positivo («chi non è contro di voi, è per voi») ispirato da Dio, da valorizzare ai fini della loro salvezza:64

Così Marco diede a vedere che nemmeno quel tale (scil. l’esorcista) era così separato dalla comunità apostolica da aggredirla come farebbe un eretico. Era come uno di quegli uomini che non hanno il coraggio di ricevere i sacramenti di Cristo, e tuttavia sono così favorevoli al nome cristiano da accogliere i cristiani persino in casa e dimostrare loro benevolenza per null’altra ragione se non perché sono cristiani. Di costoro il Signore dice che non perderanno la loro ricompensa: non perché, in virtù di tale benevolenza, devono ritenersi sicuri e tranquilli anche se non vengono lavati dal battesimo di Cristo e non sono incorporati alla Sua unità; ma perché sono già così guidati dalla misericordia di Dio che anche la raggiungeranno, partendo poi sicuri da questo mondo.

Agostino insiste nel distinguere i ‘potenziali’ cristiani dagli eretici:65

Costoro, anche prima di essere associati al novero dei cristiani, sono più utili che non quegli altri, i quali, pur già chiamandosi cristiani e partecipando ai sacramenti cristiani, diffondono dottrine tali che chi si lascia persuadere lo trascinano con sé nella pena eterna. Chiamandoli con i nomi delle membra del corpo, come mano o occhio, il Signore ordina che chi dà scandalo sia strappato dal corpo, cioè dalla comunione con l’unità.

L’episodio dell’esorcista fa parte – insiste Agostino – delle prove sicure che il Vangelo offre a proposito del comportamento che la Chiesa deve adottare verso gli scismatici o gli eretici. Così nelle prime battute del De baptismo contra Donatistas:66

Dimostrerò quanto sia stato saggio, e veramente secondo Dio, stabilire che, in ogni scismatico o eretico, la medicina della Chiesa curasse la parte che lo teneva separato, mentre la parte sana, una volta riconosciuta, l’approvasse, anziché ferirla con dei rimproveri (…) Cosa ci resta da capire, se non che quel tale da una parte andava confermato nella venerazione di un nome così grande, poiché non era contro la Chiesa ma per la Chiesa, e dall’altra andava condannato per la separazione, nella quale, se raccoglieva, disperdeva? Cosicché, se per caso egli fosse venuto alla Chiesa, non vi avrebbe ricevuto ciò che [già] aveva, ma sarebbe stato corretto in ciò che lo teneva lontano?

Nell’ultimo libro del De baptismo, Agostino ripercorre e controbatte gli atti del concilio di Cartagine del 256, che sotto la guida di Cipriano aveva sostenuto il ribattesimo. Ci soffermiamo in particolare sull’intervento di Pusillus, vescovo di Lamasba: «Io credo che il battesimo salutare non si trovi se non nella Chiesa cattolica. Tutto ciò che è fuori della Cattolica, è una finzione (simulatio est)». Agostino è d’accordo sulla prima affermazione, ma pone un distinguo riguardo alla seconda, stabilendo un parallelo tra il “fuori” di Pusillus e il “fuori” dell’esorcista del vangelo che, pur non seguendo la comunità apostolica, operava con successo in virtù del nome di Cristo. Il personaggio evangelico è assimilato allo scismatico, al separato, che battezzando nel nome di Cristo amministra tuttavia un sacramento che è valido e non simulatum, sebbene non sia fruttuoso ai fini della salvezza come quello impartito dalla Catholica:67

Hoc quidem verum est, quod Baptisma salutare nonnisi in Ecclesia catholica est. (…) Simulatio est autem quidquid extra Catholicam fuerit, sed in quantum non est catholicum. Potest autem aliquid catholicum esse extra Catholicam, sicut potuit nomen Christi esse extra congregationem Christi, in quo nomine pellebat daemonia ille qui cum discipulis non sequebatur.

Il parallelo è ancora più esplicito nella risposta di Agostino a Petiliano, capo e maestro della comunità donatista della Numidia. Petiliano accusa i cattolici di perseguitare i Donatisti, mentre Gesù avrebbe invitato i discepoli a tollerare e rispettare le sètte, in un passo del Vangelo che Agostino tuttavia reputa falso. Petiliano adduce infatti, sembra, una deformazione dell’episodio dell’esorcista “estraneo”:68

Petilianus dixit: Iesum Christum neminem persecutum; et cum aliquae sectae apostolis eidem suggerentibus displicerent, dicunt illi apostoli: ‘Multi in nomine tuo manus imponunt, et nobiscum non sunt’. Dixit Iesus: ‘Dimittite illos; si contra vos non sunt, pro vobis sunt’.

L’episodio autentico che compare nel vangelo, pur simile, non va in ogni caso nella direzione che vorrebbe Petiliano: insegna qualcosa di molto più importante e centrale, cioè che il battesimo impartito dagli scismatici possiede un valore, ma anche un limite:69

Come allora, fuori della comunione dei discepoli, la santità del nome di Cristo era molto efficace, così ora, fuori della comunione della Chiesa, è efficace la santità del sacramento del battesimo. La consacrazione del battesimo infatti si fa nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo: e chi è tanto folle da dire che, anche fuori della comunione della Chiesa, il nome del Figlio è efficace, mentre il nome del Padre e quello dello Spirito santo non lo è? Oppure che esso può guarire un uomo, ma non consacrare il battesimo? È certo tuttavia che fuori della comunione della Chiesa, del vincolo santissimo dell’unità e del sovreminente dono della carità, né chi viene liberato dal demonio né chi viene battezzato ottiene la vita eterna; così come non la ottengono quelli che, per la comunione dei sacramenti, sembrano dentro, ma per la loro cattiva condotta sono considerati fuori.

Agli inizi del V secolo è databile l’Opus imperfectum in Matthaeum, di ignoto autore ariano, il più ampio commento a questo vangelo in lingua latina che ci sia giunto dall’antichità. Di carattere prevalentemente allegorico e di sapore origeniano, l’opera predilige temi di carattere fortemente esistenziale: l’uomo diviso nella lotta fra il bene e il male, fra il diavolo che ne ha asservito la carne e Dio che con la sua grazia ne soccorre l’anima.70 In questa ottica si colloca, ci sembra, anche l’esegesi di Mt 12,30, piena di contrapposizioni a esprimere l’assoluta incompatibilità tra Cristo e il diavolo, che ricorda in alcuni spunti Basilio, Crisostomo, Girolamo, e che però non contiene agganci con l’episodio di Marco/Luca:71

Qui non est mecum, adversum me est. Diaboli voluntas quae est? Rerum malarum. Mea autem quae est? Rerum bonarum. Vide ergo, quia cum non sim cum diabolo, adversus diabulum sum. Sicut enim bonum non est cum malo, sed semper adversum malum: sic non sunt secum, sed adversus se, quibus et voluntas contraria est, et opus. Ille praedicat fornicationem, ego castitatem. Et ideo repellit ille castos et congregat lascivos, ego autem repello lascivos et congrego castos; ille docet discordiam, ego pacem; ille seditionarios congregat et turbatos, ego autem unanimes et mansuetos. Vide ergo quia non congrego cum illo, sed dispergo.

Al clima spirituale del monachesimo del deserto trapiantato in terra provenzale ci conduce la Conlatio 15 di Giovanni Cassiano. Pronunciata dall’abate Nestore, tratta “De charismatibus divinis”.72

Una prima parte della Conlatio73 distingue in tre tipologie i carismi spirituali, i doni cioè concessi dal Signore di operare guarigioni, esorcismi o prodigi. In primo luogo, essi sono un dono che accompagna e completa la santità degli eletti e dei giusti, come nel caso degli apostoli e di molti santi, che per l’intervento del Signore poterono compiere quanto era stato loro comandato: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). In secondo luogo, sono elargiti anche a uomini peccatori e indegni, in virtù della fede di chi a loro si rivolge, a edificazione della Chiesa. A costoro il Signore si riferisce, parlando del giudizio: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome, cacciato i demoni nel tuo nome, compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dirò loro: Non vi ho mai conosciuto. Allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7,22-23). Se invece in chi chiede guarigioni o prodigi manca la fede, il Signore non permette che vengano compiuti, né li opera Egli stesso. In terzo luogo, i miracoli possono derivare anche dall’azione fraudolenta dei demoni, che operano attraverso uomini irretiti dal peccato e privi di ogni santità. Di tali uomini simulatori è detto: «Sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24,24). La triplice distinzione ha lo scopo di insegnare ai monaci che la perfezione e la beatitudine non consistono nell’operare meraviglie, ma nella purezza e nell’amore: nei santi bisogna ammirare la carità, che è più grande di ogni carisma. Al retto atteggiamento nei confronti dei prodigi è dedicato il cap. 6 («Quod meritum uniuscuiusque non ex signis debeat aestimari»).74 I santi hanno compiuto miracoli non per loro merito, ma per la misericordia del Signore. Ne erano consapevoli e pertanto non se ne compiacevano né volevano essere esaltati, ritenendo che il vero metro di giudizio dovesse essere la pratica delle virtù. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, coloro che scacciano i demoni e compiono signa nel nome del Signore sono «uomini di mente corrotta e reprobi riguardo alla fede, di cui si è già parlato»: si allude evidentemente alla seconda categoria di coloro che ricevono i carismi. Secondo Cassiano, gli apostoli si riferivano a questo tipo di uomini quando dissero al Signore: Abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo proibito, perché non segue insieme a noi (Lc 9,49). La risposta di Gesù è considerata da un doppio punto di vista:75

Licet eisdem ad praesens responderit: Nolite prohibere, qui enim non est adversus vos, pro vobis est (Lc 9,50), tamen eis in fine dicentibus: Domine, Domine, nonne in tuo nomine prophetavimus et in tuo nomine daemonia eiecimus, et in tuo nomine virtutes multas fecimus? responsurum se esse testatur: quia numquam novi vos, discedite a me, operarii iniquitatis (Mt 7,22).

Nell’oggi del prodigium, sembra intendere Cassiano, in primo piano non c’è la mens dell’esorcista, ma il fatto che, a conforto della fede di quanti si erano rivolti a lui, il Signore gli abbia concesso il potere di agire. Nel momento finale del giudizio, invece, verranno alla luce la corruptio mentis, l’assenza di fede, il non aver riconosciuto Gesù come il Cristo, e a nulla gioverà aver compiuto miracoli nel suo nome. Il Signore mette in guardia anche gli apostoli e i santi dall’inorgoglirsi per la gloria signorum: «Non vi rallegrate perché i demoni vi obbediscono, ma perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).76 Questo monito è forse anche un’altra celebrazione della gratuità dell’opera di Dio: gratuiti i carismi, che però passano; gratuita l’elezione, che invece rimane per sempre.

L’allusione all’esorcista di Lc 9,49 torna ancora nel capitolo successivo («Quod charismatum virtus non in mirabilibus, sed in humilitate consistat»).77 Cristo ha insegnato con chiarezza ai discepoli la via dell’umiltà, «dono tutto proprio e magnifico del Salvatore:»78

Venite inquit et discite a me, non utique ut daemonas caelesti potestate pellatis, non ut leprosos emundetis, non ut caecos inluminetis, non ut mortuos suscitetis (…), ubi solius divinitatis est gloria: vos autem, inquit, hoc discite a me quia mitis sum et humilis corde (Mt 11,29).

Opererà davvero i miracoli stessi del Signore chi lo seguirà «non con la sublimità dei prodigi, ma con la virtù della pazienza e dell’umiltà». Chi invece agisce diversamente, porta in sé i tratti dell’evangelico esorcista “estraneo”:79

Qui vero inmundis spiritibus imperare, aut languentibus sanitatum dona conferre, aut aliquod signum mirabile populis gestit ostendere, quamvis in ostentationibus suis Christi invocet nomen, tamen alienus a Christo est, quia humilitatis magistrum superba mente non sequitur.

5 Propaggini esegetiche: Anastasio Sinaita e Beda

Per l’oriente, il nostro percorso si conclude con la figura di Anastasio Sinaita, monaco ed egumeno del monastero di Santa Caterina († 700 ca.). Nelle Quaestiones et responsiones (‘Erwtapokrseic), dedicate a temi esegetici, dogmatici e morali, si esamina anche il senso delle parole del Signore in Mt 7,22-23 («Molti mi diranno in quel giorno: Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti»).80 La risposta mira, come già in Giovanni Cassiano, a collocare nella giusta prospettiva il valore dei signa, che possono avvenire anche attraverso una persona indegna, priva di fede o lontana dalla retta fede (un eretico), provocati talvolta dalla fede di chi li domanda a prescindere dai meriti chi li compie. Essi accadono sempre per una «divina intenzione» e spesso hanno lo scopo di mettere alla prova la fede: ci si può infatti scandalizzare a causa di chi li compie, tanto da cadere nel dubbio, o al contrario inorgoglirsi per il fatto di compierli, «rallegrandosi perché i demoni ci obbediscono». Prima di chiamare in causa l’esorcista del Vangelo rielaborando la citazione di Mc 38-40/Lc 49-50, Anastasio nomina gli esempi vetero-testamentari di Balaam e della negromante di Endor «che evocò Saul dalla terra».81 L’ammonimento si conclude richiamando la situazione più paradossale:82

 

Giovanni, il più grande tra i nati da donna, non ha compiuto nessun prodigio, mentre Giuda, che stava insieme agli apostoli, ne fece in abbondanza. Perciò non impressionarti se vedrai uno indegno o lontano dalla retta fede compiere un segno.

Per l’occidente, consideriamo da ultima l’esegesi di Beda il Venerabile. Nell’ampia produzione del monaco e magister anglosassone troviamo sia un commento In Marcum sia uno In Lucam (a. 716 ca.). Destinati all’educazione dei monaci, in particolare dei rudes, i commenti di Beda adattano e semplificano le opere esegetiche della tradizione, avendo a cuore soprattutto il senso cristologico e ecclesiale della Scrittura. Nel caso del vangelo di Luca, le fonti principali sembrano Ambrogio e Agostino. Per Lc 9,49-50 Beda riprende da essi – quasi alla lettera – tre concetti: con la sua risposta sull’esorcista, il Signore insegna a Giovanni che, nei confronti di un altro, non bisogna mortificare il buono che possiede in comune con noi, ma piuttosto esortarlo ad acquistare quanto ancora non possiede; Cristo può essere annunziato e glorificato anche tramite i signa compiuti da quanti agiscono non sincere: di per sé tuttavia i signa non giovano alla salvezza e costoro, nel giorno del giudizio, dovranno udire il Signore che dice Non vi ho mai conosciuti; la situazione narrata nel vangelo si applica agli eretici e ai mali catholici, che vanno deprecati in ciò per cui sono adversum nos e non per i sacramenta, che sono communia.83 Identico commento Beda applica a Mc 9,38-40.84

6 Conclusioni

Nell’esegesi patristica Mc 9,38-40 e Lc 9,49-50 sono spesso collegati a Mt 12,30 e Mt 7,22.

Nei primi tre secoli, le attestazioni della pericope dell’esorcista “estraneo” sono molto rare. Più frequente è l’esegesi delle contrapposizoni “con me/contro di me” – “raccogliere/disperdere” presenti in Mt 12,30. In questione è l’autentica comprensione della persona di Cristo, di cui l’eresia riduce in diversi modi l’eccezionale portata. La comprensione di Cristo “secondo verità” avviene dall’interno del rapporto e del legame con la chiesa (Origene). Nella prima riflessione africana sul valore del battesimo (Cipriano), è “contro Cristo” chi si separa dall’unità della Catholica; anche se rimangono nella stessa fede e nella stessa tradizione, gli scismatici non generano veri figli a Dio.

Nei secoli successivi, i testi di Marco e Luca compaiono più spesso. Ci si preoccupa di comprendere sia il nesso sia le differenze rispetto a Mt 12,30, nella fiducia che parole e atteggiamenti del Signore non possano comportare contraddizione. Il catalizzatore dell’interesse è la risposta di Gesù a Giovanni. È chiarito il fatto che essa viene proferita in un contesto molto diverso da quello in cui Gesù, davanti ai farisei, proclama con nettezza la sua radicale alterità rispetto a Satana (Mt 12,30). Qui Gesù parla con i Dodici, li redarguisce e li disorienta nelle loro aspettative. Ai Padri tuttavia non sfugge, nel discorso del Signore, una qual certa delicatezza. Gesù è delicato con Giovanni, che viene ammaestrato e non rimproverato perché la sua irruenza deriva dall’affetto (Ambrogio), ma soprattutto è delicato con lo sconosciuto che ha cacciato i demoni nel suo nome. Raccomanda di non respingerlo. Perché egli merita questa attenzione? Chi è quest’uomo? O meglio: chi è agli occhi di Gesù? Colui che i Dodici reputano un usurpatore, è immesso dalle parole di Gesù in una corrente di simpatia. Il potere del nome del Signore è il vero “attore” del prodigio che si è compiuto. Oltre agli apostoli, che hanno ricevuto espressamente il mandato di scacciare i demoni, lo Spirito di Cristo può investire anche altri, operare anche attraverso altri. Comprendere chi siano questi altri, che il Signore con le sue parole indubbiamente valorizza, occupa larga parte del tentativo esegetico dei Padri.

Gesù valorizza l’esorcista “estraneo” in un modo particolare: dice che è allo stesso tempo “per noi” e “contro di noi”. Gli esegeti sviluppano dunque una convinzione: quelli come l’esorcista sono con noi “in parte” (Crisostomo); «hanno qualcosa in comune con noi», e in questo vanno valorizzati e accolti, e «qualcosa che li separa da noi», e in questo vanno istruiti e corretti (Agostino).

Soltanto in Gerolamo abbiamo trovato un’interpretazione a senso unico e negativo: l’esorcista si trova tra coloro che «Domino non sequentes, in nomine eius signa faciebant» e per questo è figura dell’eretico. Agli eretici, che pensano di essere nel giusto in virtù dei signa che è loro concesso di compiere nel nome del Signore, sono assimilati i Galati che, pur avendo ricevuto lo Spirito e i suoi carismi, hanno tradìto la vera fede.

Dai testi dei Padri emergono dei tipi umani, che nella maggior parte dei casi sono categorie di cristiani, di persone già all’interno della chiesa. Il Signore può concedere il dono di compiere un fatto eccezionale a una persona che solo in apparenza lo onora, ma nell’animo non ha verso di lui «la giusta disposizione»: è il caso di monaci (Basilio) che fanno la volontà di Dio con correttezza esteriore ma con l’animo «non sano», e che quindi è bene esortare affinché accordino l’intenzione all’atto; senza tuttavia scandalizzarsi di loro, perché l’unica cosa importante è che Cristo venga comunque annunciato.

Il dono può essere concesso a cristiani che vogliono agire per la gloria di Cristo e sono «coronati dalla sua grazia»: è la grazia di Cristo a operare i prodigi ed egli la concede a chi vuole tra i suoi seguaci, perché non tutti sono stati costituiti come apostoli (Cirillo). C’è però un discrimine: è testimone autorevole della potenza di Cristo nei signa solo colui «che solleva mani sante e agisce senza inganno».

L’esorcista è identificato anche con uno che non era seguace di Gesù, nel senso di uno che non aveva fede: tuttavia Gesù riconosce in lui una positività, poiché afferma che un uomo così «non può subito dire male di me» (Catena in Mc). Esistono infatti anche uomini che compiono signa con la frode: sono gli eretici, che “dicono male” di Cristo. Tra i destinatari dei carismi ci sono alcuni dalla vita pura, ma dalla fede imperfetta e incerta: a costoro il dono viene concesso perché crescano nella fede. Altri invece sono credenti, ma conducono una vita dissipata e impura: con il suo intervento, il Signore vorrebbe spronarli a vivere secondo il dono ricevuto.

L’identità dell’esorcista “estraneo” è indagata con particolare sottigliezza da Ambrogio, che riformula nel suo linguaggio affettivo vari aspetti che abbiamo già menzionato. Al centro, l’idea di sequela. Per Giovanni, l’uomo in questione non ha mostrato alcun obsequium: ma per Gesù conta la mens, non l’ossequio esteriore. Giovanni deve imparare a riconoscere che, tra chi è attratto da Gesù, ci sono sia i deboli sia i forti, «dal momento che il Signore, sebbene dia la ricompensa ai forti, non allontana da sé i deboli.» L’anonimo esorcista si trova fra i deboli, gli incerti, i paurosi: non è affatto maldisposto, ma anzi devotus, già attaccato a Cristo. L’atteggiamento indulgente che Gesù manifesta nei suoi confronti equivale a dirgli con forza ‘Seguimi!’ Il Signore vede in lui un cuore ancora simplex da conquistare fino in fondo.

L’esorcista è visto anche come un peccatore (corrupta mente) e un indegno (un reprobus dalla poca fede), a cui il carisma viene elargito in virtù della fede di chi a lui si rivolge (Cassiano), a edificazione della Chiesa. Costui non viene scacciato dal Signore, ma deve fare un cammino. Il carisma ricevuto, che fa del bene agli altri, offre a lui l’occasione di cambiare. Altrimenti, nell’ultimo giorno, il signum compiuto non avrà alcun valore e gli verrà detto: Non ti ho mai conosciuto.

Un’ulteriore sfumatura sul tema della sequela e dell’appartenenza troviamo in Agostino, che accosta l’esorcista che opera ai margini a quanti accolgono i cristiani anche solo con un bicchiere d’acqua, perché affascinati dalla loro diversità (soltanto perché “sono di Cristo”): sono uomini «che non hanno il coraggio di ricevere i sacramenti di Cristo», ma nei suoi confronti sono pieni di una simpatia che li fa già aderire a lui. Queste persone «sono già guidate dalla misericordia di Dio», ma ancora profondamente incompiute: manca loro di essere lavate nel battesimo di Cristo e incorporate in lui.

Un punto a favore e una incompiutezza connotano l’esempio dell’ignoto esorcista anche da un’altra prospettiva, quella più specifica del valore del sacramento secondo Agostino. Il nome del Signore, il suo Spirito, agiscono realmente anche attraverso chi non si trova in comunione con la Chiesa: il battesimo impartito da eretici e scismatici è valido, ma non efficace né salvifico.

Il contributo più interessante del lavorìo esegetico dei Padri che abbiamo cercato di documentare sta, a nostro parere, nel loro desiderio di capire la diversità di sguardo del Signore. Colui che per gli apostoli è un “estraneo”, per Cristo è uno che porta in sé qualcosa da valorizzare: un’ultima semplicità di cuore in virtù della quale è già stato colpito e attratto dal Signore, e che potrebbe anche fiorire in un rapporto di sequela più profondo.

1La Sacra Bibbia. Nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, [Roma] 2008.

2Cfr. ad es. Rudolf Schnackenburg, Mk 9, 33-50, in Josef Schmid, Anton Vögtle (Hrsg.), Synoptische Studien, Festschrift Alfred Wikenhauser, Zink, München 1953, 184-206; Harry Fleddermann, The Discipleship Discourse. Mark 9: 33-50. «Catholic Biblical Quarterly» 43 (1981) 57-75; Urban C. von Wahlde, Mark 9, 33-50. Discipleship: the Authority that serves. «Biblische Zeitschrift» 29 (1985) 49-67; John R. Donahue, Daniel J. Harrington, The Gospel of Mark, The Liturgical Press, Collegeville MN 2002, ed. it. Il Vangelo di Marco, Elledici, Torino 2006, 251-260.

3Cfr. ad es. Jean Delorme, Jésus enseigne ses disciples. Mc 9, 38-48. «Assemblées du Seigneur» 57 (1971) 53-62; Camille Focant, L’incompréhension des disciples dans le deuxième évangile, «Revue Biblique» 82 (2) (1975) 161-185.

4Cfr. Mc 9,14-29; Lc 9,37-43.

5Cfr. ad es. Richard T. France, The Gospel of Mark: a Commentary on the Greek Text, Eerdmans, Grand Rapids, MI/Cambridge, The Paternoster Press, Carlisle 2002, 378, che nelle parole di Giovanni scorge, seppure non esplicitata, anche una rivendicazione di esclusività riguardo al legame con Gesù e quindi al preciso mandato di cacciare i demoni.

6Cfr. William L. Lane, The Gospel of Mark, Eerdmans, Grand Rapids MI 1974, 341-346.

7Cfr. Adela Yarbro Collins, Harold W. Attridge, Mark. A Commentary on the Gospel of Mark, Fortress Press, Minneapolis MN 2007, 446-449.

8Nel greco, Mt 12,30 = Lc 11,23 (Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece et Latine, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 28th revised edition 2014): ὁ μὴ ὢν μετ’ ἐμοῦ κατ’ ἐμοῦ ἐστιν, καὶ ὁ μὴ συνάγων μετ’ ἐμοῦ σκορπίζει. Piccole differenze nel latino. Mt 12,30 Vetus: Qui enim non est mecum, contra me est; et qui mecum non colligit, dispergit. Vulgata: Qui non est mecum contra me est et qui non congregat mecum spargit. Lc 11,23 Vetus = Vulgata: Qui non est mecum adversum me est, et qui non colligit mecum dispergit.

9Cfr. Santi Grasso, Luca. Traduzione e commento, Borla, Roma 1999, 335-339.

10Cfr. France, The Gospel of Mark, 375-376.

11Mc 9,38-40: ῎Εφη αὐτῷ ὁ ᾿Ιωάννης· διδάσκαλε, εἴδομέν τινα ἐν τῷ ὀνόματί σου ἐκβάλλοντα δαιμόνια καὶ ἐκωλύομεν αὐτόν, ὅτι οὐκ ἠκολούθει ἡμῖν. 39. ὁ δὲ ᾿Ιησοῦς εἶπεν· μὴ κωλύετε αὐτόν. οὐδεὶς γάρ ἐστιν ὃς ποιήσει δύναμιν ἐπὶ τῷ ὀνόματί μου καὶ δυνήσεται ταχὺ κακολογῆσαί με· 40. ὃς γὰρ οὐκ ἔστιν καθ’ ἡμῶν, ὑπὲρ ἡμῶν ἐστιν.

12Il testo di Mc 9,38b non è stato tramandato in modo concorde. Sono infatti attestate altre due lezioni, ritenute in genere di origine secondaria, tentativi di rendere il testo più scorrevole (cfr. ad es. Donahue, Harrington, The Gospel of Mark, 286.

13Lc 9,49-50: ᾿Αποκριθεὶς δὲ ᾿Ιωάννης εἶπεν· ἐπιστάτα, εἴδομέν τινα ἐν τῷ ὀνόματί σου ἐκβάλλοντα δαιμόνια καὶ ἐκωλύομεν αὐτόν ὅτι οὐκ ἀκολουθεῖ μεθ’ ἡμῶν. 50. εἶπεν δὲ πρὸς αὐτὸν ὁ ᾿Ιησοῦς· μὴ κωλύετε· ὃς γὰρ οὐκ ἔστιν καθ’ ὑμῶν, ὑπὲρ ὑμῶν ἐστιν. Mc 9,39 (Vetus=Vulgata): qui enim non est adversum vos pro vobis est.

14Lc 9,49: ἐκωλύομεν αὐτόν ὅτι οὐκ ἀκολουθεῖ μεθ’ ἡμῶν.

15Joachim Gnilka (Das Evangelium nach Markus, Benziger, Zürich 1979, ed. it. Marco, Cittadella, Assisi 1987, 510-514) suggerisce che la comunità in questione abbia già fatto l’esperienza di essere osteggiata, e che quindi valuti con attenzione quanti mostrino interesse o apprezzamento per il nome di Gesù. Le parole possibiliste di Gesù, che invitano a considerare simpatizzanti coloro che non si dimostrano ostili, sono state avvicinate a detti di tenore simile circolanti in ambiente rabbinico, ma anche a un’affermazione che Cicerone attribuisce a Cesare (Cic. Pro Q. Ligario, 11, 33: Te enim dicere audiebamus nos omnes aduersarios putare, nisi qui nobiscum essent; te omnes, qui contra te non essent, tuos).

16Origenes, Commentarii in evangelium Matthaei 17, 14 (ed. Erich Klostermann, in: Origenes Matthäuserklärung I: Die Griechisch erhaltenen Tomoi. CGS 40, Hinrichs, Leipzig 1935, 50). Sul passo, cfr. le osservazioni di Maria Ignazia Danieli, in: Origene. Commento al Vangelo di Matteo/3. Note a cura di M.I. Danieli, traduzione di Rosario Scognamiglio, Città Nuova, Roma 2001, 172-181.

17Origenes, Katenenfragm. 150 in Matth. 7, 21.22: Οὐδεὶς δύναται εἰπεῖν κύριε κύριε, εἰ μὴ ἐν πνεύματι ἁγίῳ. ἀλλὰ τό τοιούτον ἐν ἔργοις ἐστίν, οὐ μὴν ἐν λόγοις, ὥς τινες ὑπολαμβάνουσι. τινὲς προεφήτευσαν ἐν τῷ ὀνόματι τοῦ Χριστοῦ ὄντες ἀνάξιοι, Βαλαὰμ καὶ Σαοὺλ καὶ Καϊάφας, καὶ δαιμόνια ἐξέβαλον ᾿Ιούδας καὶ οἱ υἱοὶ Σκευᾶ (ed. Erich Klostermann, in: Origenes Matthäuserklärung III: Fragmente und Indices, Erste Hälfte. CGS 41.1, Hinrichs, Leipzig 1941, 75). Cfr. anche Origenes, Katenenfragm. 149 in Matth. 7, 21-23 (CGS 41.1, 74).

18Cfr. Maurice Bévenot (ed. trans.), Cyprian, ‘De lapsis’ and ‘De ecclesiae catholicae unitate’, Clarendon, Oxford 1971: 67, n. 2.

19Cyprianus, De ecclesiae catholicae unitate 6 (ed. Maurice Bévenot, CChSL 3, Brepols, Turnhout 1972, 27, 5/18): Adulterari non potest sponsa Christi, incorrupta est et pudica (…) Quisque ab ecclesia segregatus adulterae iungitur, a promissis ecclesiae separatur, nec perveniet ad Christi praemia qui relinquit ecclesiam Christi: alienus est, profanus est, hostis est (…) Monet Dominus et dicit: ‘Qui non est mecum adversus me est, et qui non mecum colligit spargit’ Qui pacem Christi et concordiam rumpit, adversus Christum facit; qui alibi praeter ecclesiam colligit, Christi ecclesiam spargit (…) Hanc unitatem qui non tenet, non tenet Dei legem, non tenet Patris et Filii fidem, vitam non tenet et salutem. Trad. it. di Attilio Carpin in: Cipriano di Cartagine, L’unità della Chiesa, Edizioni San Clemente, Roma; Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006, SCh ed. it. 1, 187-191.

20Cfr. Cyprianus, Ad Quirinum 86 (ed. Robert Weber, CChSL 3, Brepols, Turnhout 1972, 61).

21Cyprianus, Epist. 43, 5 (ed. Gerardus F. Diercks, CChSL 3B.2, Brepols, Turnhout 1993, 57, 22/28).

22Cfr. Cyprianus, Epist. 69, 1, 1-2 (ed. Gerardus F. Diercks, CChSL 3B.3, Brepols, Turnhout 1996, 88, 3/6).

23Cfr. Cyprianus, Epist. 70, 3, 1 (CChSL 3B.3, 56).

24Cyprianus, Epist. 75, 14. Testo latino in CChSL 3B.3, 89, 16/24. Trad it. di Maria Vincelli, in: Cipriano vescovo di Cartagine, Lettere/Epistulae 51-81. A cura di Maria Vincelli e Giovanna Taponecco, Città Nuova, Roma 2007, 305-307.

25Basilius Caes., Moralia 19, 1 (PG 31, 733A): ῞Οτι οὐ δεῖ ἐμποδίζειν τῷ ποιοῦντι θέλημα Θεοῦ, εἴτε κατ’ ἐντολὴν Θεοῦ, εἴτε κατὰ λόγον ἀκολουθοῦντα τῇ ἐντολῇ. Trad. it. di Maria Benedetta Artioli, in: Basilio di Cesarea, Regole morali. A cura di Umberto Neri, Città Nuova, Roma 1996, 115.

26Basilius Caes. Moralia 19, 2 (PG 31, 736A): ῞Οτι τὸν ποιοῦντα ἐντολὴν Θεοῦ μὴ ἐκ διαθέσεως ὑγιοῦς, κατά γε μὴν τὸ φαινόμενον σώζοντα τὴν ἀκρίβειαν τῆς τοῦ Κυρίου διδασκαλίας, κωλύειν μὲν οὐ χρὴ διὰ τὸ ὅσον ἐπὶ τῷ πράγματι μηδένα βλάπτεσθαι, ἐνίοτε δὲ καὶ ὠφελεῖσθαί τινας ἐξ αὐτοῦ· παραινεῖν δὲ αὐτῷ ἀξίαν τοῦ κατορθώματος ἔχειν τὴν διάνοιαν. Trad. it. di Artioli, in: Basilio di Cesarea, Regole morali, 117.

27Iohannes Chrysostomus, In Matthaeum hom. 41, 3 (PG 57, 448, 26-46): mo, kat mo sti& ka m sungwn met mo, skorpzei. Τί γὰρ ἐγὼ βούλομαι; φησί. Τῷ Θεῷ προσάγειν, ἀρετὴν διδάσκειν, βασιλείαν καταγγέλλειν. Τί δὲ ὁ διάβολος καὶ οἱ δαίμονες; Τἀναντία τούτοις (…) σκορπίζειν αὐτῷ ἐπιθυμία τὰ ἐμά. (…) Καὶ πῶς, φησὶν, m n met mo, kat mo stin· Αὐτῷ τούτῳ τῷ μὴ συνάγειν. (…) Ταῦτα δὲ πάντα λέγει, ἵνα δείξῃ πολλὴν αὐτοῦ πρὸς τὸν διάβολον τὴν ἔχθραν καὶ ἄφατον οὖσαν. Εἰπὲ γάρ μοι, εἰ δέοι τινὶ πολεμῆσαι, ὁ μὴ βουλόμενός σοι συμμαχῆσαι, αὐτῷ τούτῳ οὐκ ἔστι κατὰ σοῦ; Trad. it. di Sergio Zincone, in: Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo/2. Introduzione, traduzione e note a cura di S. Zincone, Città Nuova, Roma 2003, 235-236.

28In Matthaeum hom. 41, 3 (PG 57, 448, 46-53): Εἰ δὲ ἀλλαχοῦ φησιν, pr mn stin, οὐκ ἔστιν ἐναντίον τούτῳ. ᾿Ενταῦθα γὰρ ἔδειξε κατ’ αὐτῶν ὄντα, ἐκεῖ δὲ δείκνυσιν ἐν μέρει μετ’ αὐτῶν ὄντα· >En gr t nmat sou, φησὶν, kbllousi t daimnia. Trad. it. di Zincone.

29Cfr. Joseph Reuss, Lukas-Kommentare aus der griechischen Kirche. Aus Katenenhandschrifte gesammelt und herausgegeben, Akademie Verlag, Berlin 1984 (TU 130), 100-101 (fragm. 91); il frammento è già edito da Joseph Sickenberger, Fragmente der Homilien des Cyrill von Alexandrien zum Lukasevangelium, Leipzig, Hinrichs 1909 (TU 34.1), 90-91.

30S. Cyrilli Alexandrini Commentarii in Lucam. Pars prior (ed. Jean-Baptiste Chabot, e Typographeo Reipublicae, Parisiis; Harrassowitz, Lipsiae, 1912 (CSCO Scriptores Syri 27): 198-204.

31S. Cyrilli Alexandrini Commentarii in Lucam. Pars prior. Interpretatus est Raymond M. Tonneau, Imprimerie orientaliste L. Durbecq, Louvain 1953 (CSCO Scriptores Syri 70), 135-138.

32Cyrillus Alex., Homilia 55 in Lc 9,49-50 (Fragm. 91 ed. Reuss, Lukas-Kommentare aus der griechischen Kirche, 100, 4/10): πῶς οὖν ἄρα κωλύεις τὸν ἐν Χριστῷ διαπρέποντα; “Ναί, φησίν· οὐ γὰρ ἀκολουθεῖ μεθ’ ἡμῶν.” τί γάρ, εἰ μὴ γέγονεν ἐναρίθμιος τοῖς ἁγίοις ἀποστόλοις ὁ τῇ παρὰ Χριστοῦ χάριτι στεφανούμενος· πλεῖσται τῶν παρὰ Χριστοῦ χαρισμάτων εἰσὶν αἱ διαφοραί. καὶ τοῦτο διδάξει λέγων ὁ μακάριος Παῦλος (…) τί οὖν ἐστι τὸ Οὐ περιπατεῖ μεθ’ ἡμῶν.” La trad. it. è nostra.

33Fragm. 91 ed. Reuss (101, 29/30): ὑπὲρ ἡμῶν [Sickenberger ὑμῶν] γάρ εἰσι τῶν ἀγαπώντων τὸν Χριστόν, ὅτι τὰ εἰς δόξαν αὐτοῦ πληροῦν ἐθέλουσι τῇ παρ’ αὐτοῦ χάριτι στεφανούμενοι.

34Nostra traduzione sulla base della versione di Tonneau (CSCO Scriptores Syri, 137-138).

35Cfr. Maria Antonietta Barbàra, “Catene esegetiche greche. Libri del Nuovo Testamento. Vangeli”, in: Angelo Di Berardino (a cura di), Patrologia, vol. 5, Marietti, Genova-Milano 2000, 646-650.

36Catena in Marcum (recensio II), in: John Antony Cramer (ed.), Catenae Graecorum patrum in Novum Testamentum, vol. 1, e Typographeo Academico, Oxonii 1849, 365-366. Cfr. anche William R.S. Lamb (ed. trans.), The Catena in Marcum. A Byzantine Anthology of Early Commentary on Mark, Brill, Leiden-Boston 2012, 343-344. La traduzione italiana è nostra.

37Catena in Marcum (recensio II) ed. Cramer, 365, 14/18: Οὐ ζηλοτυπίᾳ τινὶ ὑπαγόμενος ὁ τῆς βροντῆς υἱὸς τοῦτο τῷ Σωτῆρί φησιν, ἀλλὰ πάντας τοὺς ἐπικαλουμένους τὸ ὄνομα τοῦ Χριστοῦ καὶ ἀκολουθεῖν αὐτῷ βουλόμενος, καὶ ἓν εἶναι μετὰ τῶν αὐτοῦ μαθητῶν. ὁποῖος δὲ ἦν περὶ ο῾ῦ ταῦτά φησι, συντόμως ἐρῶ.

38Iohannes Chrys., In Matthaeum hom. 24, 1-2 (PG 57, 322, 21-32). Per tale indicazione cfr. Lamb, The Catena in Marcum, 343.

39Trad. it. di Sergio Zincone, in: Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo/1, Città Nuova, Roma 2003, 446-447.

40Catena in Marcum (recensio II) ed. Cramer, 365, 28/32-366, 1/16: ὅθεν καί φησιν ὁ Σωτὴρ, m kwlete atn, εἰκὸς γὰρ αὐτὸν διὰ τούτων, καὶ εἰς ἐπίδοσιν ἀρετῆς ἀφικέσθαι. οὐδεὶς γὰρ τῶν ἐπὶ τῷ ὀνόματί μου ἐπιτελούντων δυνάμεις, dunsetai taq kakologsa me. τὸ δὲ taq πρόσκειται διὰ τοὺς εἰς αἵρεσιν ἐκπεσόντας, ο῾ῖος ἦν Σίμων, καὶ Μένανδρος, καὶ Κήρινθος· τάχα δὲ οὐδὲ ἐκεῖνοι ἐν τῷ ὀνόματι αὐτοῦ τὰ σημεῖα ἐποίουν, ἀλλὰ μαγγανείαις τισὶ καὶ ἀπάταις ἐδόκουν ποιεῖν. ο῾ῦτοι δὲ εἰ καὶ μὴ ἀκολουθοῦσιν ἡμῖν, διὰ τὸ μὴ ἕπεσθαι τῇ πίστει τὰ ἔργα, ἀλλάγε εἰπεῖν τι κατ’ ἡμῶν οὐ δυνήσονται ῥᾳδίως, διὰ τὸ σεμνύνεσθαι αὐτοὺς ἐπὶ ταῖς δυνάμεσιν ἐφ’ α῾ῖς ἐπιτελοῦσι, τὸ ἐμὸν ὄνομα προισχόμενοι. τὸ δὲ, c gr ok sti kaj mn, pr mn stin, οὐκ ἔστιν ἐναντίον τῷ m n met mo kat mo sti. τοῦτο γὰρ περὶ δαιμόνων εἴρηται τῶν ἀφέλκειν ἅπαντας ἀπὸ τοῦ Θεοῦ σπουδαζόντων, καὶ τὴν συναγωγὴν αὐτοῦ σκορπίζειν· ἐκεῖνο δὲ περὶ τῶν πιστευόντων μὲν εἰς αὐτὸν, μὴ ἀκολουθούντων δὲ αὐτῷ διὰ προαίρεσιν ἐλλιπῆ, ἣ διὰ χαυνότητα βίου, τῷ δὲ ὀνόματι αὐτοῦ ἐπιτελούντων δυνάμεις, διὰ τὴν τῶν προσίοντων πίστιν καὶ διὰ τὸ καὶ αὐτοὺς εἰς τελείαν ἐναχθῆναι πίστιν. ἀρχὴν γὰρ ἔχοντος τοῦ κηρύγματος, συνεχώρει ὁ Θεὸς καὶ τοιαῦτα γίνεσθαι· ἵνα, ὥς φησιν ὁ ᾿Απόστολος, ete profsei ete lhje, katagglletai Qristc. La traduzione è nostra.

41Catena in Marcum (recensio II) ed. Cramer, 366, 20/27: Οὐ μόνον γὰρ, φησι, τοὺς ἐπικαλουμένους τὸ ὄνομά μου καὶ δυνάμεις ποιοῦντας οὐκ ἐπιτρέπω κωλύειν, ἀλλὰ καὶ ἀποδεχομένους ὑμᾶς καὶ ποτήριον μόνον ψυχροῦ προσφέροντας ὑμῖν. κἀκεῖνο γὰρ διὰ πενίαν γίγνεται γνώμης· καὶ τοῦτο λέγω διὰ τοὺς ἔνδειαν ἴσως προφασιζομένους. ἵνα γὰρ μὴ πενίαν τις προβάληται φησι, κἂν ποτήριον ψυχροῦ δῷ ὕδατος, ἔνθα οὐδέν ἐστι δαπανῆσαι, καὶ τούτου κείσεται μισθός. προτρέψασθαι γὰρ πάντας βούλομαι διὰ τούτων καὶ τὰ τελειότερα ἐνεργεῖν. La traduzione è nostra.

42Anche questa considerazione (25/26) è improntata al Crisostomo (Hom. in Matth. 35, 2 = PG 57, 408, 40-42). Cfr. Lamb, The Catena in Marcum, 344.

43Hilarius Pictaviensis, [Commentarius] in Matthaeum 11-16 (ed. Jean Doignon, SCh 254, Les Edition du Cerf, Paris 1978, 277-282).

44[Commentarius] in Matthaeum 12, 16 (SCh 254, 282, 12/17).

45Ambrosius Mediolanensis, Expositio evangelii secundum Lucam 7, 22-43 (ed. Marc Adriaen, CChSL 14, Brepols, Turnhout 1957, 222-229).

46Expositio evangelii secundum Lucam 7, 23 (CChSL 14, 222, 248/251).

47Cfr. Expositio evangelii secundum Lucam 7, 25: Quod autem propensius studio caritatis Iohannes (…) excludendum putat a beneficio eum qui non utatur obsequio, recte non reprehenditur, sed docetur (…) ut noverit infirmorum esse firmorumque distantiam. Et ideo Dominus etsi fortiores remuneratur, tamen non excludit infirmos (CChSL 14, 223, 261/268).

48Expositio evangelii secundum Lucam 7, 26.

497, 26 (CChSL 14, 223, 275/277).

50Cfr. Expositio evangelii secundum Lucam 7, 30-31.

51Hieronymus, Commentariorum in Matheum liber II (Mt 12,30): Non putet quisquam hoc de hereticis dictum et scismaticis quamquam et ita ex superfluo possit intelligi, sed ex consequentibus textuque sermonis ad diabolum refertur eo quod non possint opera Salvatoris Beelzebub operibus comparari; ille cupit animas hominum tenere captivas, Dominus liberari, ille praedicat idola, hic unius Dei notitiam, ille trahit ad vitia, hic ad virtutes revocat. Quomodo ergo possunt inter se habere concordiam, quorum opera diversa sunt? (edd. David Hurst, Marcus Adriaen, CChSL 77, Brepols, Turnhout 1969, 94, 476/484).

52Hieronymus, Commentarium ad Galatas 3, 5 (PL 26, 351b-d): Qui ergo tribuit vobis spiritum, et operatur virtutes in vobis, ex operibus Legis, an ex auditu fidei? (…) Simul ostenditur Galatas, accepto post fidem sancto Spiritu, dona habuisse virtutum (…) quae ad Corinthios in donis spiritualibus enumerantur. Et tamen post tanta (…) a falsis doctoribus irretiti sunt. Observandum etiam, quod operari virtutes dicantur in his qui non tenent Evangelii veritatem: sicut in illis qui Dominum non sequentes in nomine eius signa faciebant, Ioanne vel maxime conquerente: Praeceptor, vidimus quemdam in nomine tuo eicientem daemonia, et prohibuimus eum quia non sequitur nobiscum. Hoc adversum haereticos, qui probationem fidei suae ex eo si signum aliquod fecerint, arbitrantur. Qui cum manducaverint et biberint in nomine Domini (habent quippe et ipsi altare sacrilegum), et signa multa, invocato Salvatore, fecisse se iactent, in die iudicii merebuntur audire: Non novi vos, discedite a me qui operamini iniquitatem.

53Chromatius Aquileiensis, Tractatus in Matthaeum 50 (edd. Raymond Étaix, Joseph Lemarié, CChSL 9A, Brepols, Turnhout 1974, 445-448).

54Cfr. Tractatus in Matthaeum 50, 1 (CChSL 9A, 445-446).

55CChSL 9A, 446, 59/62.

56Cfr. CChSL 9A, 446, 63/69. Trad. it. di Giulio Trettel, in G. Trettel (a cura di), Cromazio vescovo di Aquileia, Trattati sul Vangelo di Matteo che rimangono, Città Nuova, Roma; Società per la conservazione della Basilica di Aquileia, Gorizia 2005, 315. Nel medesimo senso anti-ereticale, Mt 12,30 è citato da Cromazio anche in Sermo XXXIII De Alleluia, 2 (CChSL 9A, 151, 57/58).

57Cfr. Optatus Milevitanus, De schismate Donatistarum 5, 7, 5 (ed. Mireille Labrousse, SCh 413, Les Éditions du Cerf, Paris 1996, 144).

58De schismate Donatistarum 5, 7, 6-7 (SCh 413, 144, 38/45).

59Cfr. Pío De Luis, Introduzione, in: Sant’Agostino, Il consenso degli evangelisti, Città Nuova, Roma 1996 (NBA X/1), in particolare xx-xxxiv.

60Augustinus, De cons. evang. 4, 5, 6 (ed. Francis Weihrich, CSEL 43, F. Tempsky, Wien 1904, 399, 10/13): Quasi vero possit cum illo non esse qui discipulis eius tamquam membris eius sociatur. Alioquin quomodo verum erit: Qui vos recipit, me recipit (Mt 10,40) et: Quando uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis (Mt 25,40)?

61Nam ubi erit illud: Qui vos spernit, me spernit (Lc 10,16), et: Quando uni ex minimis meis non fecistis, neque mihi fecistis (Mt 25,45), et: Saule, Saule, quid me persequeris? (Act 9, 4) cum discipulos eius persequeretur? (CSEL 43, 399, 13/18).

62Cfr. CSEL 43, 399, 18/21.

63Cfr. CSEL 43, 400, 6/15.

64Cfr. De cons. evang. 4, 6, 7 (CSEL 43, 401, 20 – 402, 10). La traduzione è nostra.

65CSEL 43, p. 402, 10/18. La traduzione è nostra.

66Cfr. Augustinus, De baptismo contra Donatistas 1, 7, 9 (ed. Michael Petschenig, CSEL 51, F. Tempsky, Wien; G. Freytag, Leipzig 1908, 154-155). Trad. it. di Antonio Lombardi, in: Sant’Agostino, Polemica con i Donatisti, Città Nuova, Roma 1998 (NBA XV/1), 283.

67De baptismo contra Donatistas 7, 39, 77 (CSEL 51, 362, 25 – 363, 8).

68Augustinus, Contra litteras Petiliani 2, 80, 177 (ed. Michael Petschenig, CSEL 52, F. Tempsky, Wien; G. Freytag, Leipzig 1909, 109, 18/24).

69Cfr. Contra litteras Petiliani 2, 80, 178 (CSEL 52, 110, 7/27). Trad. it. di Antonio Lombardi, in: Sant’Agostino, Polemica coi Donatisti, Città Nuova, Roma 1999 (NBA XV/2), 195.

70Cfr. Manlio Simonetti, Letteratura ariana, in Angelo Di Berardino (a cura di), Patrologia. Vol. 3, Marietti, Genova 1983, 93-95.

71Opus imperfectum in Matthaeum, Homilia 29 ex cap. XII: PG 56, 786, 54/66.

72Ioannis Cassianus, Conlatio 15 (ed. Michael Petschenig, CSEL 13, Apud C. Geroldi filium, Vindobonae 1886, 425-436).

73Conlatio 15, 1-2 (CSEL 13, 426-428).

7415, 6 (CSEL 13, 431-432).

7515, 6, 2-3 (CSEL 13, 432, 5/12).

76Cfr. 15, 6, 3 (CSEL 13, 432, 12/17).

77Collatio 15, 7 (CSEL 13, 432-434).

7815, 7, 1 (CSEL 13, 432, 21 – 433, 2).

7915, 7, 3 (CSEL 13, 433, 11/16).

80Cfr. Anastasius Sinaita, Quaestiones et responsiones 61, 1-3 (edd. Marcel Richard, Joseph A. Munitiz, CChSG 59, Brepols, Turnhout 2006, 112-113).

81Cfr. rispettivamente Nm 22-24 e 1Sam 28.

82CChSG 59, 113, 21/25: καὶ γοῦν ᾿Ιωάννης, ὁ μείζων πάντων τῶν ἐν γεννητοῖς γυναικῶν, οὐ φαίνεταί τι σημεῖον πεποιηκώς, ὁ δὲ ᾿Ιούδας, σὺν τοῖς ἀποστόλοις ὤν, πάντως πεποίηκεν. Διὸ μὴ μέγα τι νομίσῃς, ἐάν τινα ἀνάξιον ἢ κακόπιστον σημεῖον ποιοῦντα θεάσῃ. La traduzione italiana è nostra.

83Beda Venerabilis, In Lucae euangelium expositio III, 9, 49-50 (ed. David Hurst, CChSL 120, Brepols, Turnhout 1960, 210-211, 1745/1768): Iohannes praecipua devotione Dominum amans, ideoque redamari dignus, excludendum beneficio putavit eum qui non utatur obsequio. Sed docetur neminem a bono quod ex parte habet arcendum, sed ad hoc potius, quod nondum habet, esse provocandum. Et ait ad illum Iesus: Nolite prohibere (…) Hac doctus sententia dicit Apostolus: Sed sive occasione, sive veritate Christus adnuntietur, et in hoc gaudeo, sed et gaudebo (Phil. 1, 18). Sed licet ille gaudeat etiam de iis, qui Christum adnuntiant non sincere, et tales aliquando in nomine Christi signa facientes, ob aliorum salutem censeantur non esse prohibendi, non tamen ipsis per talia signa secura sua conscientia redditur quin potius in illa die cum dixerint: Domine, Domine (…) responsum accipient quia nunquam novi vos. Itaque in hereticis et malis catholicis non sacramenta communia, in quibus nobiscum sunt, et adversum nos sunt, sed divisionem paci veritatique contrariam, qua adversum nos non sunt, et Dominum non sequuntur nobiscum, detestari et prohibere debemus.

84Cfr. Beda Venerabilis, In Marci euangelium expositio III, 9, 38-40 (ed. David Hurst, CChSL 120, Brepols, Turnhout 1960, 552, 399/