Vai al contenuto

Ror Studies Series | Krisis e cambiamento in età tardoantica

Salustio: un senatore romano di fronte alla crisi del paganesimo nel IV secolo

Giovanni Assorati

Università di Bologna

Scarica l’articolo in pdf

Il testo tradito col titolo di Περὶ θεῶν καὶ κόσμου1 è, come noto, un trattato cosmologico di stampo neoplatonico scritto da un Σαλούστιος. Il testo è trasmesso da pochi manoscritti, il più antico dei quali è databile al XIII secolo, ma non sembrano esserci dubbi sulla datazione dell’opera all’età tardoantica. In particolare, lo scritto è databile attorno alla metà del IV secolo d.C. ed è associato alle iniziative dell’imperatore Giuliano volte a riformare e rilanciare la religio statale di Roma, in quel frangente trascurata anche dal potere imperiale sin dall’ascesa al potere di Costantino.2

Questo breve trattato si può definire, con R. Di Giuseppe, «una storia della potenza che si trasforma in ordine» e «un’apologia filosofica della religione antica»,3 e sul suo contenuto si può assumere come punto di arrivo degli studi la sintesi espressa da G. Reale in una scheda del 2004: il trattato è «una specie di manifesto della fede politeistica o un catechismo degli articoli essenziali di essa», e «costituisce uno sforzo piuttosto cospicuo di purificare le credenze pagane in modo da renderle competitive nei confronti della religione cristiana», così che, anche se «la maggior parte delle idee esposte nel breve trattato non sono originali», si può notare lo «sforzo di competere con la concezione cristiana», per esempio relativamente alla Πρόνοια divina. Sempre seguendo Reale, si presenta «molto fine l’interpretazione dell’origine del male»: esso non esiste di per sé, ma «diviene male per le azioni degli uomini, anzi di alcuni uomini», e, ricongiungendovi la dottrina nella metempsicosi, afferma che «l’ateismo sarebbe allora spiegabile solo come una specie di castigo», in quanto affligge gli uomini che in una precedente vita hanno disprezzato gli dèi, così che, oltre ai demoni divini, «è anche l’anima stessa che “dà a se medesima il proprio castigo” [cfr. Sal. 19.1]».4

In effetti, il rapporto del testo con le posizioni giulianee è stretto, soprattutto in alcune linee di pensiero, che comunque legano Salustio ai principali esponenti del neoplatonismo tardoantico, soprattutto nella centralità e nella funzione del mito.5 La funzione esortativa di questo avvicina il trattato non solo a Giuliano ma anche a Porfirio;6 la non temporalità del mito è una ripresa non solo giulianea, ma di Plotino.7 Si nota in particolare l’appartenenza di Salustio a una tradizione che da Giamblico e Giuliano giunge a Proclo: essa emerge nell’avvicinamento del mito alla funzione delle personalità più significative della religione tradizionale,8 ma anche nella classificazione degli dèi e delle loro prerogative,9 nonché nel valore del sacrificio e della teurgia;10 appare importante il fatto che chi fa il male lo fa per ignoranza del bene;11 infine, si sottolinea il valore civile del sacrificio, come suo massimo significato, dal momento che gli dèi non necessitano di nulla, né si possono coinvolgere con le passioni umane: è questo il punto di maggiore aderenza politica tra Salustio e le iniziative giulianee.12

D’altro canto, non mancano significative distanze che suggeriscono l’autonomia della riflessione di Salustio.13 A partire dalla diversa considerazione della teurgia e del valore delle statue,14 si possono riscontrare segnali della partecipazione di Salustio al dibattito interno al neoplatonismo del IV secolo che si svolgeva all’interno della corte giulianea:15 così, se tra Salustio e Giuliano è vicina la concezione delle due anime in conflitto nell’uomo,16 si trovano differenze sulle caratteristiche e funzioni delle singole divinità,17 sulla metempsicosi,18 fino all’assenza nel trattato di entità divine malvage come i demoni giulianei;19 infine, è da segnalare la forte differenza sulla natura del male, la cui non essenza per Salustio è, come accennato, un punto quasi originale.20

Così, anche per queste distanze è ancora diffusa l’idea che il Περὶ θεῶν καὶ κόσμου sia un «piccolo catechismo pagano dallo stesso ambiente culturale in cui si diffondono gli scritti “catechetici” e protrettici dell’Apostata».21 Questa ricorrente ma inadatta definizione di “catechismo” è suggerita dal primo capitolo del trattato, che si rivolge a «quelli che intendono istruirsi sugli dèi» (τοὺς περὶ θεῶν ἀκούειν ἐθέλοντας) e che descrive le caratteristiche che deve avere un discepolo:22 pur non citando una motivazione per la redazione dell’opera, sembra chiaro che Salustio intende esporre in modo sistematico la sua visione della realtà e del modo di condurre la vita, e non è difficile ipotizzare una situazione di disagio, se non di crisi, alla base di questa scelta.23 Come accennato, l’opera nasce nel periodo centrale del IV secolo d.C. nell’ambito della cosiddetta reazione pagana al crescere del cristianesimo nella società e soprattutto negli ambienti imperiali dello stato romano,24 ma il trattato non cita mai questa situazione, anzi, non cita mai il cristianesimo e i riferimenti impliciti rintracciati dalla critica non sono sempre convincenti seppur probabili.25 In effetti non è mai citato alcun avversario o elemento ostile, tranne quelli che ostacolano la conoscenza: Salustio procede nella sua esposizione in modo propositivo, illustrando ciò che serve per conoscere il mondo seguendo la via della ᾿Αρετή, unica strada in grado di far ricongiungere l’anima con gli dèi a chi è in grado di percorrerla.26

Il testo dipana pertanto gli atti e gli atteggiamenti essenziali a questo percorso di conoscenza: oltre al voler apprendere, un altro requisito essenziale di chi può percorrere tale percorso è «essere naturalmente buoni e dotati di senno» (τὴν φύσιν ἀγαθοὺς εἶναι καὶ ἔμφρονας), cioè esser già predisposti, e «non essere nutriti di folli credenze» (μὴ ἀνοήτοις συντρέφεσθαι δόξαις) che ne abbiano minato la possibilità di conoscenza.27 Questo perché per Salustio «comuni sono le nozioni» (κοιναὶ δέ εἰσιν ἔννοιαι) che non possono essere messe in discussione, ma che anzi saranno affermate da qualsiasi persona interrogata nel modo giusto, ed in particolare la nozione che «ogni dio è buono, impassibile, immutabile» (ὅτι πᾶς Θεὸς ἀγαθός, ὅτι ἀπαθής, ὅτι ἀμετάβλητος).28

Questo indispensabile assunto può trovare un’obiezione nella raffigurazione fin troppo umana che delle divinità restituisce il mito:29 Salustio, in linea con la tradizione neoplatonica, non solo lo difende, ma ne esalta la forma indicandolo come uno strumento realizzato apposta per rivelare la giusta conoscenza solo a chi è in grado di comprendere,30 nascondendosi agli stolti ma suggerendo alla ψυχὴ che la verità è aldilà del volto dato dalla stravaganza e immoralità dei racconti.31 Poi, a partire dal quinto capitolo,32 Salustio sviluppa la descrizione della struttura della realtà nel suo piano di esistenza più importante, quello spirituale: il Κόσμος è l’ordine dell’esistente stabilito dagli dèi a partire dall’azione del πρῶτος Θεός attraverso tutte le essenze intermedie per potenza,33 perché rimane sempre stabile il dato dell’immutabilità e impassibilità degli dèi.34 Il Κόσμος, invece, non appare immutabile anche se immortale e quindi divino in sé: esso è costantemente ricreato in modo causale dalla potenza divina attraverso Τύχη, la quale insieme con Εἱμαρμένη governa la realtà tutta, Κόσμος, secondo Πρόνοια, la previdenza divina che ha ordinato e continua a reggere tutta la struttura della realtà.35

Πρόνοια è l’esatto corrispettivo di Providentia, un termine religioso ben presto entrato nel lessico imperiale e costantemente associato all’imperatore e alla sua capacità di intervento a favore dei cittadini:36 non a caso si inserisce in questo discorso il più significativo punto di contatto con le idee giulianee, ovvero l’importanza della pubblicità del culto civico.37 Poiché ogni πόλις, civitas, come è Roma,38 ha, come ogni uomo e ogni ἔθνος, Destino39 e Fortuna, e poiché quest’ultima «dispone per il meglio i fatti disparati e gli eventi inaspettati» (῾Η τοίνυν τὰ διάφορα καὶ τὰ παρ’ ἐλπίδα γινόμενα πρὸς ἀγαθὸν τάττουσα), «perciò si conviene specialmente alle città onorare la dea con pubblico culto» (διὰ τοῦτο μάλιστα κοινῇ τὰς πόλεις τὴν Θεὸν προσήκει τιμᾶν).40 L’onore si rende attraverso l’imitazione e la somiglianza (μιμήσει καὶ ὁμοιότητι) del cosmo stesso: perciò, per esempio, templi, altari e statue imitano il cielo, la terra e gli esseri viventi, e ancora i sacrifici di animali richiamano la parte irrazionale della nostra anima.41 Inoltre le θυσίαι (i sacrifici), sono il mezzo più utile all’uomo per avvicinarsi all’᾿Αρετή e quindi al divino, ma non per un rapporto con esso, stante l’impassibilità degli dèi, bensì come insegnamento della via della conoscenza della virtù e, di conseguenza, come autopurificazione.42 L’obiettivo finale del trattato non è però ᾿Αρετή in se stessa e il capitolo ventuno lo esplicita: le ψυχαί che tramite la virtù sono riuscite a liberarsi dal peso del corporeo, possono infine congiungersi con gli dèi (Θεοῖς τε συνάπτονται), e con essi co-governare l’intero Cosmo (τὸν ὅλον Κόσμον συνδιοικοῦσιν), o, almeno, chi è riuscito a vivere κατ’ ᾿Αρετὴν ha condotto una vita priva di dolore e indipendente (ἄλυπος καὶ ἀδέσποτος βίος), arrivando ad essere εὐδαίμων, felice,43 a suggerire più che un recondito scetticismo, stridente con l’insieme del testo, il valore morale universale dell’insegnamento.

La dimostrazione di Salustio non è pertanto solo filosofica, ma contiene aspetti politici fondamentali in linea con l’ideologia romana imperiale: oltre alla sottolineatura del valore dei sacrifici, viene affermata la corrispondenza tra le forme di governo e l’anima, entrambe tripartite e con aspetti positivi e negativi,44 rispetto alle quali risalta come migliore la Βασιλεία con la scelta del migliore come reggente, ovvero la formula che ha retto l’impero nel suo momento di massimo splendore, il II secolo d.C.45 Come accennato, la Providentia è integrata nell’ideologia imperiale nel solco della πρόνοια stoica secondo la corrispondenza attestata da Cicerone:46 non passa molto tempo quando all’indomani della morte di Augusto, Tiberio istituisce un culto alla Providentia Augusta, intesa come favore dato alla res publica dalle scelte del princeps in quanto ispirate dalla divinità,47 da cui in seguito compare come aspetto del governo imperiale in quanto garante della prosperità dell’impero in accordo con gli dèi,48 fino ai provindentissimi sovrani della tetrarchia.49 L’inserimento di Salustio in questa tradizione è evidente non solo per l’esaltazione di un valore caro alla tetrarchia, ma anche per il richiamo ad aspetti legati alla providentia presenti nel pensiero romano: il carattere stoico di πρόνοια si trova in Cicerone e Marco Aurelio,50 il quale la associa alla potenza e all’immortalità divina51 da cui deriva la buona organizzazione del mondo,52 mentre la sua importanza nella religio civica è ancora accennata da Cicerone,53 e la questione del benessere dei malvagi e dell’assenza ontologica del male sembra riprendere il problema del rapporto tra disgrazie dei buoni e providentia posto da Seneca.54 Provvidenza non può però non richiamare anche il crescente cristianesimo, che Salustio non poteva non aver di fronte, pur non citandolo mai: anche il Dio cristiano governa e dirige le sorti degli uomini e degli stati attraverso Provvidenza, e per questo l’impero sin da Augusto può essere considerato come una sua manifestazione, ma essa non nega la libertà umana, ed anzi la contempla fino ad accompagnare la sorte di ognuno;55 questa differenza è significativa perché si lega alla novità antropologica del cristianesimo, la quale costituisce la differenza più profonda dal pensiero non solo salustiano: come sviluppato proprio in quel periodo dai Padri Cappadoci, il cristianesimo esalta la corporeità umana nella relazione con Dio instaurata dall’esperienza umana di Cristo, elevando l’uomo a sola immagine del divino e oggetto di una particolare φιλανθρωπία – termine che si può tradurre con misericordia –, che egli deve poi virtuosamente rendere agli altri essere umani, soprattutto se in difficoltà.56 Sebbene Salustio non sembri conoscere tali riflessioni o altre di pensatori cristiani, l’insistenza non sempre coerente sulla necessaria bontà del divino nonostante la sua impassibilità57 può riflettere una difficoltosa reazione a questa fondamentale novità del cristianesimo.

Rispetto alla riflessione antropologica, gli accenti civili sembrano il segno principale della finalità anche politica dell’opera: la visione radicale ed unitaria che emerge dal trattato acquista maggiore concretezza se inserita nel contesto storico, e la tradizionale identificazione dell’autore acquista ancora più forza e ampiezza, in quanto permette di collegare il Περὶ θεῶν καὶ κόσμου, oltre che con Giuliano, anche con la cultura politeista senatoriale d’Occidente della seconda metà del IV secolo d.C.58 A partire dal nome tradito dai manoscritti, l’autore del trattato è da tempo identificato con Saturninius Secundus Salutius,59 come chiamato da Ammiano Marcellino,60 stretto collaboratore di Giuliano sin da circa la metà degli anni ’50 del IV secolo in Gallia, poi protagonista di una carriera culminata con la prefettura del pretorio d’Oriente tenuta tra il 361 e il 365 d.C.

Nell’insieme della documentazione che lo riguarda, sono soprattutto due gli elementi che danno sostanza di vita vissuta alle indicazioni del trattato e, nel contempo, illustrano gli aspetti di crisi e contrapposizione che nel Περὶ θεῶν καὶ κόσμου non sono mai espressi. Nella breve parabola del suo acme politico, al massimo una dozzina d’anni, Salustio si trova a vivere l’ascesa e la morte di Giuliano,61 il critico momento di Gioviano e i difficili primi anni della dinastia Valentiniana, sempre come riconosciuto amico e collaboratore dell’Apostata: eppure dalle testimonianze antiche emerge soprattutto la stima che si seppe conquistare anche dai cristiani per la rettitudine e l’imparzialità nei giudizi,62 o per la lealtà allo stato, dimostrata col rifiuto della porpora nel 363 d.C. perché troppo anziano e malato per un simile incarico.63 Le ultime notizie che lo riguardano datano al 367 d.C.: considerato forse a ragione troppo vecchio per l’incarico di prefetto, viene congedato da Valente con l’onore dell’erezione di una statua dorata nel foro di Traiano.64 L’unico dato successivo riguarda il suo studio della ἱστορία, secondo la testimonianza di Eunapio.65

Gli anni del ritiro sono quelli della crescita delle principali personalità del potente gruppo senatoriale occidentale ‘pagano’, con le quali non è testimoniato un rapporto sebbene sia stato possibile: proprio il 367 d.C. è l’anno della praefectura Urbis di Vettius Agorius Pratextatus,66 la personalità che probabilmente più si avvicina al Salustio della prefettura e del trattato. In particolare anche per Praetextatus si trovano nelle fonti le lodi alla sua onestà e imperturbabilità, nonché il suo lealismo allo stato, elementi che culminano con la concessione imperiale all’erezione di una statua in suo onore dopo la sua morte.67 Praetextatus è noto poi per essere tra i senatori romani una delle personalità più attive nella religione politeista, non solo statale,68 indice di un forte sincretismo, ma anche del suo indirizzo religioso, in linea con le posizioni salustiane. Infatti, l’epigrafe che riporta tutta la carriera del pius senatore è corredata anche da un componimento che indica come tutte le operazioni religiose69 siano aspetti del culto e della ricerca del divum numen multiplex, la multiforme divinità che infine è una sola:70 il poema infatti stabilisce una gerarchia tra i vari sacerdozi rivestiti da Praetextatus, con come base lo studio e l’attività politica, necessarie per avviarsi a raggiungere l’obiettivo, non dissimile da quello salustiano, della virtutis apicem,71 peraltro raggiunto, stando allo storico Zosimo che lo definisce «uomo dotato di ogni virtù» (ἀνὴρ ἐ πάσαις διαπρέπων ταῖς ἀρεταῖς).72

Un altro personaggio che si può accostare è Virius Nichomacus Flavianus,73 il principale sostenitore dell’usurpatore Eugenio fino alla tragica fine nella battaglia del Frigidus del 394 d.C., che in certo modo può rappresentare il culmine dell’ideale affermato da Salustio e Praetextatus – e con quest’ultimo, non a caso, è protagonista nei Saturnalia di Macrobio. Infatti, considerando il lealismo che ha contraddistinto l’attività di Flavianus per gran parte del regno di Teodosio, assieme alle plausibili manifestazioni religiose collegate alla battaglia decisiva, è possibile vedere in un atto così estremo e personale la difesa necessaria di qualcosa di sentito come fondamentale: la difesa di quegli elementi che agli occhi di un senatore “pagano” del IV secolo corrispondevano alla salvaguardia di Roma dal disastro che sarebbe stato provocato dalla rottura della pax deorum a favore di un dio tollerato, dal 311 d.C., ma sempre ostile agli dei dell’Urbs e quindi alla sua religio, elementi più vitali della stessa stabilità dell’impero, e anche della propria vita.74

Sebbene non siano documentati stretti rapporti tra Salustio e le principali personalità contemporanee “pagane” del senato di Roma, la vicinanza culturale e politica nel solco del neoplatonismo è evidente, e la permanenza del Περὶ θεῶν καὶ κόσμου si può forse collegare alla fortuna che Giuliano ebbe nei circoli politeisti senatoriali e all’opera di salvaguardia e trasmissione dei testi antichi operata in questi ambienti.75 Infatti, in conclusione penso si possa avvicinare la speranza finale di Salustio a quella di Macrobio quando questi riprende il ciceroniano somnium Scipionis, speranza espressa quando i disastri degli inizi del V secolo sembravano dar ragione al gesto di Flavianus:76 «le anime di coloro che hanno fatto del bene alla comunità, dopo la morte del corpo, ritornano in cielo e lì godranno di felicità eterna» (animas bene de re publica meritorum post corpora caelo reddi et illic frui beatitatis perpetuitate nos doceat).77 Una beatitudine perpetua possibile per la conoscenza della via delle virtù: ancora l’᾿Αρετή come via ad una felicità data dalla conoscenza del divino e della sua opera, il Κόσμος, una possibilità concessa non solo a chi segue virtus, ma anche a chi è, per condizione sociale e attività politica, in grado di dimostrare di poter συνδιοικεῖν, reggere insieme, con gli dèi lo stesso mondo grazie alla sua opera come reggitore dello stato.78 Una speranza elitaria e possibile solo a personalità di alta condizione sociale e intellettuale: una posizione aristocratica, rotta più che allargata dal solo Giuliano,79 che forse è il limite maggiore rispetto alla proposta cristiana di lì a poco surclassante80 assieme alla mancanza di rapporto col divino che invece il cristianesimo promette.81 In ogni caso, un tentativo di risposta costruttiva, valorizzatrice della tradizione, alle sollecitazioni che porteranno alla fine della religio che ha sorretto fino a quei momenti Roma.82

1Le principali edizioni e commenti su questo testo (abbr. Sal.) che sono stato in grado di consultare, e a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti bibliografici, sono: G. Rochefort (ed.), Saloustios. De dieux et du monde, Les Belles Lettres, Paris 1960; C. Mutti (a cura di), Sallustio. Sugli dèi e il mondo, Edizioni Ar, Padova 1993, 2. ed.; G. Dagnino (a cura di), Con gli occhi dell’anima. Intreccio di scrittura fra Giuliano detto l’Apostata e Saturnino Secondo Salustio, Ecig, Genova 1996; V. Vacanti (a cura di), Gli dèi e il mondo, Il Leone Verde, Torino 1998; R. Di Giuseppe (a cura di), Salustio. Sugli dèi e il mondo, Adelphi, Milano 2000; E. Schiavo-Lena, Un testo sugli dèi e sul mondo del paganesimo tardoantico: il Trattato di Salustio. Osservazioni e confronti, Kimerik, Patti 2013, che a 28 riassume la situazione bibliografica ancora attuale.

2Sulla datazione: Rochefort, Saloustios, xxii-xxv lo pone all’anno 362 d.C. seguito da Mutti, Sallustio, 13 e Vacanti, Gli dèi e il mondo, 11 che corregge la datazione agli inizi del 363 d.C., ma Di Giuseppe, Salustio, 51-54 deduce che è più probabile che l’opera sia stata composta dopo la morte di Giuliano, ma prima della fine del secolo, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 48-49 la pone subito dopo la morte di Giuliano e scritta su impulso dello stesso Apostata. Sulla religio statale e la sua crisi tra III e IV sec. d.C. J. Scheid, La religione a Roma (tr. M.N. Pierini), Laterza, Roma – Bari 1983, 151-152 e, con sguardo allargato, M.V. Cerutti, La crisi del mondo religioso tardoantico, in S. Piussi (a cura di), Cromazio di Aquileia 388-408. Al crocevia di genti e religioni, Silvana, Cinisello Balsamo 2008, 176-178, Di Giuseppe, Salustio, 19-20 e Schiavo-Lena, Un testo sugli, 31-33 dalla prospettiva di Giuliano e Salustio.

3Di Giuseppe, Salustio, 32 e 34 rispettivamente a cui accostare Schiavo-Lena, Un testo sugli, 49 per cui l’opera intende «esporre organicamente la concezione del pagano colto di IV secolo, intriso di filosofia neoplatonica».

4G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol. 8: Plotino e il Neoplatonismo pagano, Bompiani, Milano 2004, 278-280: afferma di basarsi soprattutto sulle edizioni e commenti di Rochefort, Saloustios, e di Di Giuseppe, Salustio.

5Cfr. M.C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, Vita & Pensiero, Milano 2011, 107-120 e P. Célérier, L’ombre de l’empereur Julien, Presses universitaires de Paris Nanterre, Nanterre 2013, 89-97, entrambi a partire dalle posizioni giulianee. Sull’affinità tra Giuliano e Salustio: Di Giuseppe, Salustio, 45-51.

6De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 112, 133 nota 175. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 58, e riferimenti anche in Mutti, Sallustio, 23 nota 13 su Sal. 3.4.

7De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 113-115, 134 nota 185 su Sal. 4.9 da Iul., Alla Madre degli dèi 8.171c-d, entrambi da Plot. 3.5.9.24-29.

8De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 110, 132 nota 160 e altri riferimenti anche in Mutti, Sallustio, 24 note 20 e 22 su Sal. 4.6, e a nota 21 cenno alla reazione cristiana a questa funzione.

9De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 147, 259 note 74 e 75, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 65-77 con analisi della differenza con la concezione precedente degli dèi, e riferimenti anche in Mutti, Sallustio, 28-29 note 48, 49, 50 e 53 su Sal. 6.1-3. Cfr. I. Ramelli, Saggio introduttivo, in M. Neri (a cura di), Macrobio. Commento al sogno di Scipione, Bompiani, Milano 2007, 21-22 sulle facoltà collegate in Macrobio.

10Dove il richiamo più forte è direttamente a Giamblico: De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 227, 234, 304 nota 648, 307 note 702 e 704, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 59-63, e riferimenti anche in Mutti, Sallustio, 42 nota 111 su Sal. 15.2 e 16.2. Un altro esempio è la sottolineatura della telestica: De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 244, 311 nota 759 e riferimenti anche in Mutti, Sallustio, 24 nota 19 su Sal. 4.3.

11Schiavo-Lena, Un testo sugli, 42 su Sal. 12.5.

12De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 235, 308 nota 710 su Sal. 16.1-2 in confronto con Iul., ep. 89b; confronto simile in De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 250, 313 nota 788 su Sal. 15.1, dove il testo afferma che il divino è ἀνενδεές, senza bisogni, e che i sacrifici sono necessari agli uomini, e altri riferimenti sul valore dei sacrifici presso i neoplatonici in Mutti, Sallustio, 41 nota 106. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 89 avvicina anche la considerazione sulle pratiche divinatorie.

13Esemplificativi Schiavo-Lena, Un testo sugli, 79 a proposito della demonologia, e Célérier, L’ombre de l’empereur, 98-104 sul culto a Helios, con la conclusione che il silenzio di Salustio su questo culto possa rappresentare un’indiretta critica alle posizioni giulianee più forti.

14De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 244-245, 311 nota 762 su Sal. 15.2 e 251 sulla distanza tra Giuliano e la concezione alla base della teurgia, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 63 sul significato per Salustio sulla scorta di Giamblico.

15De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 28-31, Célérier, L’ombre de l’empereur, 89 nota 1 sulla presenza di Salustio nelle riflessioni su Helios da parte di Giuliano. Un esempio di dibattito di argomento politico-filosofico esposto in R. Chiaradonna, La lettera a Temistio di Giuliano Imperatore e il dibattito filosofico nel IV secolo, in A. Marcone (a cura di), L’imperatore Giuliano. Realtà storica e interpretazione, Le Monnier università, Firenze – Mondadori education, Milano 2015, 149-171.

16De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 209-210, 293 note 513 e 514 e Mutti, Sallustio, 37 nota 95 su Sal. 8.2 e 10.1.

17De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 147, 259 note 74 e 75 su Sal. 6.1-3.

18De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 207-208, 292 nota 503 su Sal. 8.2 e 20.1; sulla centralità di questo argomento in Salustio, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 101-117.

19De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 194, 286 note 428 e 429 su Sal. 12, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 77-79 a partire dalle diverse fugaci citazioni (Sal. 12.3, 13.4, 14.2 e 19.1).

20De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 27-28, 58 nota 54 su Sal. 12.1, ma cfr. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 85-86 sui richiami plotiniani.

21De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 201-202, 290 nota 472 su Sal. 1.1 dal parallelo con Iul., or. 11.157d. La definizione è ripresa anche come sintesi dell’opera da Célérier, L’ombre de l’empereur, 89.

22Sal. 1.1 su cui Di Giuseppe, Salustio (da cui la traduzione), 33-34 e 51-52 dove afferma che «non è un catechismo pagano, ma un’introduzione alla filosofia neo-platonica»; più possibilista sul “catechismo” Schiavo-Lena, Un testo sugli, 48-49 con a nota 52 alcune altre posizioni del dibattito.

23Di Giuseppe, Salustio, 11-13, 29, e Schiavo-Lena, Un testo sugli, 53-54.

24Sintesi sulla crescente cristianizzazione degli imperatori durante il IV sec. e le reazioni in A. Baldini, L’impero romano e la sua fine, Il Mulino, Bologna 2008, 65-69, 97-99.

25Di Giuseppe, Salustio, 33 sulla modalità di contrapposizione. Sui punti letti come risposta: Mutti, Sallustio, 23 nota 12 suggerisce che gli ἀνοήτοις di Sal. 3.4 possano essere i cristiani, sulla base di un confronto con Iul., ep. 424 AB; ancora Mutti, Sallustio, 45 nota 121, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 18, Di Giuseppe, Salustio, 35 implicitamente e Célérier, L’ombre de l’empereur, 103-104, suggeriscono che i cristiani siano i destinatari delle affermazioni di Sal. 18.3 sulle conseguenze dell’ateismo, ma il riferimento appare in realtà più largo e generico; per Schiavo-Lena, Un testo sugli, 54 il «cenno più significativo» è a Sal. 18.1 che invita a non temere la diffusione dell’ateismo sulla terra, ma sembra anche qui un riferimento troppo sfumato.

26Sal. 21.1 e 4.7 su cui Di Giuseppe, Salustio, 34-35: «il libretto ha uno scopo iniziatico. La sua trattazione non è un’esposizione dottrinaria, ma un cammino».

27Sal. 1.1 (tr. Dagnino, Con gli occhi dell’anima).

28Sal. 1.2 su cui Schiavo-Lena, Un testo sugli, 55-56: tutte le traduzioni consultate concordano nei testi indicati, tranne Vacanti, Gli dèi e il mondo, che traduce imperturbabile invece che impassibile.

29Sulle polemiche e l’atteggiamento critico dei cristiani, e non solo, verso la mitologia classica sintesi in S. Zincone, Mitologia, in A. Di Berardino (a cura di), Nuovo dizionario patristico di antichità cristiane, vol. 3: P-Z, Marietti, Genova – Milano 2008, 2. ed., 3312-3314.

30Sal. 3.3, cfr. De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 139-143 sulle posizioni giulianee e in Célérier, L’ombre de l’empereur, 93 i paralleli coi testi giulianei.

31Sal. 3.4; in Célérier, L’ombre de l’empereur, 94 i paralleli coi testi giulianei.

32Sal. 5.1 un vero e proprio sommario della seconda parte del trattato.

33Sal. 13, e a 13.5 la formula dell’essenza superiore e prima, cfr. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 59-60 a partire da Sal. 5.2 dove viene citata per la prima volta e 45 dove la “Causa Prima” è identificabile con Helios, culto centrale giulianeo.

34Cfr. Sal. 9.3 e 14.1 su cui Schiavo-Lena, Un testo sugli, 64-65.

35Sal. 9.1-4.

36Per esempio dell’esaltazione della providentiae Ti. Caesaris Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) XI, 4170 = Anneé Epigraphique (AE) 2000,499, alla prov(identia) di Traiano nel verso del denario Roman Imperial Coins (RIC) Traianus II, 358, al provindetissimo Valentiniano III in AE 2006,187: sull’argomento si rimanda infra.

37De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 230-238 sul dibattito sul valore del sacrificio nel IV sec., e 46-48 sulla necessaria concezione unitaria alla base della civitas romana per Giuliano.

38Scheid, La religione, 13-20 sulla religio di Roma e il rapporto con l’essere cittadino.

39Εἱμαρμένη a Sal. 9.4-5 su cui Schiavo-Lena, Un testo sugli, 95-97, il quale indica pure come si possa tradurre come nel testo (Mutti, Sallustio, Dagnino, Con gli occhi dell’anima, e Vacanti, Gli dèi e il mondo) oppure con Fatalità (Di Giuseppe, Salustio).

40Sal. 9.7 (tr. Di Giuseppe, Salustio) su cui Schiavo-Lena, Un testo sugli, 97-99, e cfr. F. Fatti, Il principe, la Tyche, i cristiani: Giuliano a Cesarea, in P. Brown, R. Lizzi Testa (a cura di), Pagans and Christians in the Roman Empire. The Breaking of a Dialogue (IV-VI century AD), LIT, Zürich – Berlin 2011, 121-129 sull’importanza della Τύχη per Giuliano anche nella pratica del rapporto con le élite cittadine.

41Sal. 15.2. e sui sacrifici di animali anche 16.2.

42Sal. 14.3 e 16 su cui Schiavo-Lena, Un testo sugli, 63-64.

43Sal. 21.1.

44Sal. 11.1e 8 sulla struttura e natura della ψυχή.

45Sal. 11.2, sul II sec. d.C. come età optima presso i posteri M. Maiuro, «Vedrà i templi aurei». L’età dell’oro dell’impero romano tra retorica e realia, in E. La Rocca, C. Parisi Presicce, A. Lo Monaco (a cura di), L’età dell’equilibrio 98-180 d.C. Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Musei Capitolini, Roma 2012, 27-33.

46Cic. nat. deor. 1.18, su cui G. Reale (a cura di), Lucio Anneo Seneca. Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, Bompiani, Milano 2000, 2-3, e ampia sintesi sulla πρόνοια nella filosofia antica fino a Salustio in Schiavo-Lena, Un testo sugli, 80-87.

47J.R. Fears, The Cult of Virtues and Roman Imperial Ideology, in W. Haase (a cura di), Religion. Heidentum: Römische Götterkulte, orientalische Kulte in der römische Welt, vol. 2 (ANRW 17.2), De Gruyter, Berlin – New York 1981, 827-948, 886 e 892.

48Fears, The Cult of Virtues, 902-903, 905 nota 372a punto 4, 907 a partire dalla monetazione.

49Così sono appellati Diocleziano in CIL VI, 40716 e Massimiano in AE 1964,198=AE 1993,1618.

50M.Aur. 2.3.1, cfr. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 82-83. Cfr. Ramelli, Saggio, 30 per cui elementi di matrice stoica, derivati da Cicerone, sono ben presenti in Macrobio.

51M.Aur. 2.11.2.

52M.Aur. 9.1.10, 12.14.1 su cui P. Hadot, La cittadella interiore. Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio (tr. A. Boti, M. Natali), Vita & Pensiero, Milano 1996, 147-154 dove la differenza dal pensiero stoico nel senso di un bisogno di maggiore rapporto personale col divino distanzia nettamente la riflessione dell’imperatore del II sec. da Salustio. Anche Sal. 9.5 dove si stigmatizza chi incolpa Πρόνοια per le ingiustizie e le malvagità umane si può forse avvicinare a M.Aur. 12.24.1 dove si avvisa di non incolpare Πρόνοια per ciò che di male avviene per propria leggerezza (cfr. Hadot, La cittadella, 173).

53Cic. nat. deor. 3.94.

54Sal. 9.8 e 12 rispetto al De providentia di Seneca, su cui Reale, Lucio Anneo Seneca, 2-5.

55Sulla provvidenza cristiana, ampia sintesi e posizioni a partire dal rapporto con la πρόνοια stoica ripresa da Cicerone in V. Loi, H.R. Drobner, Provvidenza, in Di Berardino, Nuovo dizionario, 4395-4399.

56Cfr. la dimostrazione sviluppata in G. Maspero, Il Dio “più grande” nel suo rapporto con l’uomo nella teologia Cappadoce, «PATH» 15 (1) (2016) 81-96 e G. Maspero, L’ontologia della misericordia dei Padri della Chiesa, «PATH» 15 (2) (2016) 317-332 da cui sono estratti questi semplificati elementi.

57Schiavo-Lena, Un testo sugli, 80, 89-94, 117-120 sulle aporie per cui «il sistema salustiano risulta bloccato» in un “circolo vizioso” per cui «emerge un correre ai ripari ogniqualvolta si presentano delle crepe nello schema precostituito». Per esempio a 99-100 la non risposta a Sal. 9.8 sull’eventuale buona condizione dei κακοὶ, i cattivi, rispetto magari agli affanni degli ἀγαθοὶ, i buoni; a 113-114, 116 l’osservazione sulla non conciliabilità di eternità della trasmigrazione delle anime (Sal. 20.2) e l’ascesa delle anime agli dèi (Sal. 21.1) che implica l’impossibile esaurimento del Κόσμος, anche se Salustio risolve suggerendo l’elitarietà del premio rispetto alla massa delle anime; più generalmente, si può citare il fatto che gli dèi non possono provare passioni ma sono capaci di tutto. Anche Mutti, Sallustio, 38 nota 93 su Sal. 12.4 per cui se il male deriva dalla libertà, ma liberi sono solo gli dèi come si può agire male (o non-bene)?

58Di Giuseppe, Salustio, 54-63. Si intende il gruppo protagonista del c.d. pagan revival, oggetto di rilanciato interesse negli ultimi anni soprattutto in seguito alla pubblicazione quasi simultanea di Brown, Lizzi Testa, Pagans and Christians, e A. Cameron, The last Pagans of Rome, Oxford University Press, New York 2011, questo ripreso sistematicamente in R. Lizzi Testa (a cura di), The Strange Death of Pagan Rome. Reflections on a Historiographical Controversy, Brepols, Turnhout 2013, e più sfumatamente, ad esempio in J.J. O’Donnell, Pagans. The End of Traditional Religion and the Rise of Christianity, Harper Collins, New York 2015, e G. Assorati, I primi cristiani in Emilia-Romagna tra prosopografia e storia, Bradypus, Bologna 2014, 85-103, sempre con ulteriori rimandi bibliografici, solo per citare una delle principali linee percorse in ambito accademico: in tutti questi contributi Salustio non è citato se non in modo fugace e marginale senza contributi significativi al presente lavoro.

59Una scheda d’insieme ancora valida in A.H.M. Jones, J.R. Martindale, J. Morris (a cura di), The Prosopography of the Later Roman Empire (PLRE), vol. I: a.D. 260-395, Cambridge University press, Cambridge 1971, Secundus 3 (che però non cita il trattato in quanto, pur propendendo per un’altra identificazione, preferisce prudentemente citare l’autore del Περὶ θεῶν καὶ κόσμου a sé come PLRE, Salustius 1) con le fonti antiche che lo riguardano; sulla vicenda dell’identificazione sopr. Rochefort, Saloustios, x-xxi, G. Rinaldi, Sull’identificazione dell’autore del Per jen ka ksmou, «Koinonia» 2 (1978) 117-152 e J.-L. Desnier, Salutius-Salustius, «Revue des études anciennes» 85 (1983) 53-65, ripresi sinteticamente in Di Giuseppe, Salustio, 40-54 e Schiavo-Lena, Un testo sugli, 11-21; non si pone nemmeno il problema dell’identificazione Célérier, L’ombre de l’empereur, 89.

60Amm. 22.3.1.

61Di Giuseppe, Salustio, 46-49.

62Lib., or. 18.182 e tra i cristiani Greg.Naz., or. 4.91, Soc., HE 3.19, Soz., HE 5.10.20,

63Amm. 25.5.3, Zos. 3.36.1-2 che sposta l’episodio all’anno successivo e con l’aggiunta che rifiuta la porpora anche per il figlio, la cui mancanza di citazione in qualsiasi altra fonte fa pensare ad una esagerazione finalizzata all’esaltazione del personaggio.

64CIL VI, 1764. Schiavo-Lena, Un testo sugli, 21.

65Eun., VS 7.5.4.

66Ancora valida la sintesi delle fonti in PLRE, Praetextatus 1 e tra i contributi più recenti G. Polara, Iscrizioni e propaganda: il cippo tombale di Pretestato, in F.E. Consolino (a cura di), Letteratura e propaganda nell’Occidente latino da Augusto ai regni romano-barbarici, L’Erma di Bretschneider, Roma 2000, 107-126 e M. Kahlos, Vettius Agorius Praetextatus. A Senatorial Life in Between, Institutum Romanum Finlandiae, Helsinki – Rome 2002, e, per gli incarichi religiosi, scheda in J. Rüpke, A. Glock (a cura di), Fasti sacerdotum. Die Mitglieder der Priesterschaften und das sakrale Funktionspersonal römischer, griechischer, orientalischer und jüdisch-christlicher Kulte in der Stadt Rom von 300 v. Chr. bis 499 n. Chr., 3 voll., Steiner, Stuttgart 2005, n. 3468.

67Amm. 27.9.8-10, Symm., ep. 2.36, CIL VI, 2145, su cui Kahlos, Vettius, 151-159 e 128-133 sull’otium usato per approfondire studi letterari e filosofici, ancora come Salustio e come il ceto senatoriale in genere. Cfr. Kahlos, Vettius, 115-123, 160-16: la fedeltà allo stato e la capacità di giudizio aldilà delle posizioni ideologiche si possono notare nella gestione delle lotte tra le fazioni cristiane di Damaso e Ursino nel 366 d.C., condotta anche grazie a un buon rapporto col primo in nome della concordia e della stabilità sociale, e a cui potrebbe essere collegato in parte il giudizio negativo di diversi autori cristiani, che comunque poi si focalizza sulle inconciliabili differenze religiose. Cfr. De Vita, Giuliano imperatore filosofo, 148, 260-261 nota 86 con confronto e contatti tra il Praetextatus di Macrobio e Giuliano sulla teologia solare.

68Rüpke, Glock, Fasti sacerdotum, n. 3468 afferma che «Vettius gehört zu den Hauptexponenten der nichtchristlichen religiösen Erneuerung am Ende des 4. Jhs.».

69Anche in campo politico ed urbanistico nel ripristinare il decoro e la centralità dei templi antichi, come da Amm. 27.9.10 su cui Kahlos, Vettius, 91-99.

70Kahlos, Vettius, 100-105 inserito nel complesso della tradizione neoplatonica.

71CIL VI, 1779, tradotto con note di commento in Kahlos, Vettius, 216-221 e ulteriori spunti a 141-150, e cfr. Ramelli, Saggio, 22-23 sui livelli delle virtù in Macrobio. Inoltre Di Giuseppe, Salustio, 60-61 sull’affinità riscontabile nella Porticus deorum Consentium restaurata per ordine di Praetextatus, sulla cui vicenda Kahlos, Vettius, 91-93.

72Zos. 4.3.3 (tr. F. Conca (a cura di), Zosimo. Storia Nuova, Rusconi, Milano 1977).

73Su Virius Nicomachus Flavianus scheda in PLRE, Flavianus 15 utile ormai quasi solo per le fonti, in quanto il dibattito e gli studi sono ormai numerosissimi: tra i lavori più recenti tenuti presente Cameron, The last Pagans, 627-690, G.A. Cecconi, Alan Cameron’s Virius Nicomachus Flavianus, in Lizzi Testa, The Strange Death, 151-164, peraltro sensibilmente opposti rispetto ai temi qui trattati.

74Cfr. Di Giuseppe, Salustio, 56-57, Baldini, L’impero romano, 68-69, Cecconi, Alan Cameron’s, 158-159, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 163, O’Donnell, Pagans, 15, 201-202, il più esplicito nel riportare le immagini di Ruf., HE 2.33, come le statue di Giove e Eracle poste a sovrintendere il campo di battaglia, plausibili anche perché, tra l’altro, richiami anche della tetrarchia.

75Di Giuseppe, Salustio, 59-61, Kahlos, Vettius, 128-133 sull’attività di Praetextatus e della sua cerchia, L. Cracco Ruggini, Correctors and the ‘classical’ texts, in Lizzi Testa (a cura di), The Strange Death, 109-121.

76Di Giuseppe, Salustio, 57-58, Schiavo-Lena, Un testo sugli, 165-167. Sulla presenza e la visione in parte idealizzata di Praetextatus in Macrobio Kahlos, Vettius, 180-192. Sul In somnium Scipionis Ramelli, Saggio: a 20 ne fa un pendant di Salustio quando afferma che «[Macrobio] usa il Sogno ciceroniano sostanzialmente come base per costituire una sorta di compendio latino di Neoplatonismo, il più noto durante il Medioevo».

77Macr. somn. 1.4.1 (tr. Ramelli, Saggio, 33), con ripresa del testo ciceroniano, citato poi a Macr. somn. 1.4.4: omnibus qui patriam conseruarint adiuuerintauxerint, certum esse in caelo definitum locum ubi beati aeuo sempiterno fruantur (tr. Ramelli, Saggio, 34: «per tutti coloro che hanno conservato, aiutato o accresciuto la patria c’è in cielo un luogo stabilito e sciuro dove godranno, felici, della vita eterna»), e ripresa e ampliamento in fine, a Macr. somn. 2.17.2-7 su cui Ramelli, Saggio, 77-78.

78Ramelli, Saggio, 33-34, 36-37, e cfr. 53 su Macr. somn. 1.14.2 e 6, con le affermazioni universus mundus dei templum vocatur e Deus qui prima causa est, e 67-69 sul corpo come strumento o prigione, che richiamano le concezioni salustiane; Schiavo-Lena, Un testo sugli, 117-118 sul carattere salustiano di questa “salvezza”, non tanto distante da quello di Praetextatus e della moglie Fabia Aconia Paulina stando a Kahlos, Vettius, 172-178. Sul neoplatonismo latino, “pagano” e cristiano, con cui saranno stati a contatto anche i protagonisti citati, Ramelli, Saggio, 80-128.

79Di Giuseppe, Salustio, 31-32 e Schiavo-Lena, Un testo sugli, 36-38, 40-41 con sottolineatura della conoscenza del cristianesimo alla base delle iniziative di Giuliano al contrario dei suoi correligionari, 45-47 con l’abbozzo della gerarchia avviata da Giuliano; sulla non piena adesione J. Hahn, Julian and his partisans: supporters or critics?, in Brown, Lizzi Testa, Pagans and Christians, 109-120 e relativamente al contesto salutsiano Schiavo-Lena, Un testo sugli, 41 sulle critiche al provvedimento verso gli insegnanti, da correlare con G. Agosti, Paideia greca e religione in inscrizioni dell’età di Giuliano, in Marcone, L’imperatore Giuliano, 230-236 sulla mancanza di riscontri di adesione al programma giulianeo nell’epigrafia religiosa del periodo, più attenta al prestigio della forma che alla profondità del contenuto, come pure al genere e al momento dell’erezione del monumento, da cui dipende la quantità e la qualità delle informazioni, come evidenziato da S. Orlandi, Gli ultimi sacerdoti pagani di Roma: analisi della documentazione epigrafica, in Brown, Lizzi Testa, Pagans and Christians, 425-466. Sulla differenza tra Giuliano e l’aristocrazia senatoria Kahlos, Vettius, 105-108 attorno alla figura di Praetextatus.

80Schiavo-Lena, Un testo sugli, 53, 115, 120.123.

81Schiavo-Lena, Un testo sugli, 69-70, 94-95.

82Cfr. Baldini, L’impero romano, 98-101.