Ror Studies Series | Krisis e cambiamento in età tardoantica
Crisi e krisis nell’apocalittica giudaica
Maria Vittoria Cerutti
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Premesse metodologiche
Oggetto del nostro intervento è il nesso crisi/krisis nell’apocalittica giudaica.
Il dibattere intorno all’ ‘apocalittica giudaica’ comporta una riflessione metodologica preliminare su che cosa intendere per ‘apocalittica’ (fr. apocalyptique, ingl. apocalypticism, ted. Apokalyptik), ossia, su quale sia la comprehensio e l’extensio di tale categoria. Essa è stata costruita in età moderna per comprendervi testi cristiani e giudaici che offrissero somiglianze di forma e di contenuto con l’Apocalisse neotestamentaria (in particolare: rivelazione per il tramite di visione autoptica, viaggio oltremondano del veggente, presenza di figure di interpretes angelici), e successivamente estesa a comprendere testi e nozioni che, espressisi fuori da giudaismo e cristianesimo, ossia – in particolare- nel mondo classico, nell’antico Egitto, in Mesopotamia e nel Vicino Oriente Antico, in Iran, offrissero forti analogie con quelli propri della apocalittica cristiana e giudaica. Progressivamente, la categoria di ‘apocalittica’ è stata estesa a comprendere formazioni e ideologie moderne e contemporanee, sia di natura religiosa sia di natura non religiosa. Nel contempo, si è manifestata la progressiva tendenza ad assumere, a cifra di ciò che è da intendere come ‘apocalittico’, singoli e specifici temi, in particolare quello di una prossima o imminente catastrofe cosmica, che nella antica apocalittica giudaica e cristiana, ma anche nelle apocalittiche proprie delle altre aree summenzionate, erano intimamente legati ad altri temi presenti in quegli stessi contesti apocalittici e comunque non ne esaurivano l’ethos, ma ne erano soltanto una componente, spesso neppure essenziale o talora addirittura assente.1
Per quanto concerne, nello specifico, l’apocalittica giudaica, con tale espressione si designa tradizionalmente una corrente di pensiero che offre temi diversi da quelli del cosiddetto ‘giudaismo di Gerusalemme’ e che nasce in Giuda nel corso del IV sec. a.C. con le parti più antiche del Primo Libro di Enoc (1Enoc).2 In conseguenza di ciò taluni studi preferiscono, in quanto meglio rilevabile dal punto di vista di una indagine storica, la dizione di ‘corrente – o tradizione – enochica’.3 La difficoltà a identificarne forme e soprattutto contenuti che ne costituiscano l’ ‘essenza’, e sulla base dei quali si possa addivenire ad una definizione di ‘apocalittica’, nasce dalla constatazione che quelle opere letterarie – espresse nell’ambito del giudaismo del Secondo Tempio – tradizionalmente definite ‘apocalissi’ o comunque – pur non offrendo tale titolatura – fatte comunemente rientrare nella categoria di apocalittica, in quanto tali da offrire somiglianze formali e contenutistiche con l’Apocalisse neotestamentaria, presentano talora contenuti profondamente diversi da quella e tra di loro.
La difficoltà a identificare contenuti di pensiero che, ritrovandosi in tutte le opere tradizionalmente identificate come apocalittiche, costituissero l’‘essenza’ di un pensiero apocalittico – quella essenza che studi diversi hanno diversamente additato –4 ha portato taluni a ritenere l’apocalittica come un mero genere letterario, ovvero come tale da distinguersi per la ‘forma’ ma non per specifici contenuti di pensiero.5 Altri, tuttavia, non accogliendo tale soluzione del problema, hanno piuttosto ritenuto che una soluzione della ‘difficoltà dell’apocalittica’, per usare il titolo di una fortunata opera di K. Koch,6 potesse essere trovata mediante una ricerca più attenta alla dimensione storica dell’apocalittica giudaica, ossia alle sue origini storiche e al suo sviluppo, nonché ai rapporti di continuità e discontinuità via via espressisi con le altre correnti del giudaismo e con le coeve culture non giudaiche.7
A una rinnovata attenzione alla problematica storica ha condotto in particolare la retrodatazione delle parti più antiche del Primo Libro di Enoc o Enoc Etiopico o Pentateuco Enochico (IEnoc), giuntoci integralmente solo in traduzione etiopica (e per ampie sezioni in greco, soprattutto attraverso Sincello e il Codex Panopolitanus),8 parti costituenti il cosiddetto Libro dei Vigilanti (LV ; capp. 6-36), tradizionalmente ascritto al II sec. a.C., e ora ricondotto per alcune sue sezioni (capp. 6-11) al IV, se non addirittura al V sec. a.C. Questo ha portato a impostare su nuove basi il problema dell’origine dell’apocalittica giudaica, che tradizionalmente si riteneva legata alla crisi maccabaica del II sec. a.C, scoppiata sotto il governo di Antioco IV Epifane (175 -164 a.C.).9
È stata così oggetto di revisione in sede di studi anche la altrettanto tradizionale identificazione della letteratura apocalittica giudaica come ‘letteratura di crisi’,10 vale a dire letteratura legata a specifiche contingenze storiche e politiche, vissute come ‘critiche’ da gruppi oppressi e/o marginali,11 ai quali il messaggio apocalittico, espresso con modalità formali peculiari, mira ad offrire consolazione, esortazione e assicurazione (sulla base dell’autorità derivante dalla visione autoptica – principale caratteristica formale del messaggio apocalittico e tale da porlo in competizione con forme di rivelazione diverse, ad esempio quella profetica12 –) di una soluzione, più o meno vicina, e comunque diversamente prospettata, della crisi stessa.
Tale revisione ha comportato che in taluni studi si continuasse a legare il sorgere del pensiero apocalittico a crisi storiche ma che queste fossero diversamente additate e, nello specifico, fossero identificate con le crisi del mondo giudaico nell’immediato post-esilio.13 E se le crisi del V-IV sec. a.C. diventano il luogo del sorgere del pensiero apocalittico, quelle del II sec. a.C. – l’età del Libro di Daniele – ne segnano uno snodo importante, mentre quelle del I sec. d.C., con gli eventi del 70 d.C., costituiscono lo sfondo storico delle ultime due grandi opere della apocalittica giudaica, ossia 2Baruc e 4Esdra.14
Contemporaneamente altri studi – particolarmente attenti ai contenuti dottrinali delle opere apocalittiche e non solo alle loro funzioni politiche o comunque ‘identitarie’ – apparivano piuttosto propensi a identificare l’apocalittica come un pensiero che non tanto si prenda in carico specifiche crisi storiche ma piuttosto interpreti le crisi storiche come il ‘precipitato’ di una più ampia e diffusa crisi del pensiero umano e specificamente religioso di fronte a problemi perenni, quali quello dell’unde malum, problema che, di fatto, appare locus privilegiato della prima apocalittica15 e fil rouge delle opere apocalittiche del Secondo Tempio.16 Nella linea di quella che potremmo chiamare una ‘destoricizzazione’ della crisi, nel senso che un testo apocalittico, pur se nato in una specifica situazione di crisi, vuol parlare a coloro che vivano le crisi che costellano l’umana esistenza, potremmo collocare prese di posizione come quella di J.J. Collins che afferma: «It seems safe to say that all the Jewish apocalypses reflect some sort of crisis, but that crisis is not necessarily political, and does not require persecution or conventicles. It may be no more specific than the general inequity of society and no more extraordinary than the inevitability of death […]».17
In altri studi, invece, si è ridimensionato la – o francamente rinunciato alla – categoria di ‘crisi’ – come chiave interpretativa, unica o quantomeno privilegiata, dell’apocalittica giudaica, prendendo le distanze dall’identificazione della apocalittica come di una ‘letteratura di crisi’, prodotta da, e rivolta a, gruppi in crisi,18 per proporre chiavi interpretative diverse se non, talora, opposte, come quella che vorrebbe almeno parte dell’apocalittica giudaica legata a gruppi elitari, diversamente identificati, e alle dinamiche di controllo da questi esercitate.19
Dalla ‘crisi’ alla krisis
Il titolo della presente parte, si osservi, ripropone, ma in maniera rovesciata, quello che è il nesso linguistico tra krisis e crisi, e per il quale dal significato originario di krisis, in quanto ‘distinzione’ e ‘giudizio’, si è progressivamente sviluppato il significato moderno del termine che intende la crisi come sconvolgimento e rottura di un ordine costituito.20 Qui, invece, si intende illuminare una sorta di percorso opposto. La letteratura apocalittica giudaica che, di fatto, pur con le variazioni sopra esposte, si pone come – ed è in tal modo identificata negli studi moderni – una letteratura di crisi, nel senso attuale del termine, pone a tema quale uno dei suoi loci privilegiati il legame tra crisi, nel senso appunto attuale, e krisis nel senso originario, ossia ‘giudizio’ ‘separazione’ ‘distinzione’: ciò che in termini moderni è ‘crisi’ appare all’autore del testo apocalittico, e ai fruitori del medesimo, come conseguenza di un giudizio divino o comunque appella ad esso, ed è tale da sollecitare un giudizio umano, secondo modalità e intensità che variano nel corso delle diverse opere e dei diversi periodi storici in cui si dipana il pensiero apocalittico giudaico.
Veniamo dunque al nesso crisi/krisis nel senso qui illustrato.
Tradizionale negli studi sull’apocalittica giudaica è la valorizzazione del legame tra ‘crisi’ – nel senso che il termine è venuto assumendo ai giorni nostri e con il quale, come sopra segnalato, si è da più parti voluto identificare la cifra costitutiva della letteratura apocalittica giudaica (appunto ‘crisis literature’) – e krisis (κρίσις) nel suo senso originario, ovvero di ‘giudizio, separazione, distinzione’’. Altrettanto tradizionale è l’applicazione all’apocalittica giudaica del trinomio ‘crisi, giudizio, condanna o salvezza’: secondo tale trinomio, l’età presente è un’età di crisi, un’età che vede il progressivo incremento del male e con esso il trionfo dei malvagi e la persecuzione dei giusti. A questi ultimi – tale sarebbe la tipica funzione consolatoria della rivelazione apocalittica – è fatta promessa dell’imminente giudizio ad opera di Dio, che sanziona la condanna dei malvagi e al contempo la salvezza dei giusti, e che segna la cesura tra questo eone, irrimediabilmente corrotto e prossimo alla fine, e l’eone futuro, il secondo e ultimo eone. Sintesi come queste,21 pur cogliendo elementi di verità, appaiono semplificatrici e soprattutto debitrici di una visione ancora tesa a cogliere una supposta essenza dell’apocalittica giudaica piuttosto che non una storia della stessa.
Il nesso crisi/krisis, ‘giudizio’, merita di essere riconsiderato, con una maggiore attenzione allo sviluppo storico di un pensiero – quello apocalittico giudaico – che, esprimendosi in maniera privilegiata con specifici schemi formali, si dipana, come visto, dal V-IV sec. a.C. agli inizi del II sec. d.C. Un’indagine che sia attenta allo sviluppo storico di tale pensiero potrebbe mostrare non solo come il nesso in questione diversamente si offra e si articoli lungo la storia del pensiero apocalittico giudaico, ma già come la stessa nozione di krisis-giudizio, nell’apocalittica giudaica, offra profonde trasformazioni in relazione ai diversi livelli implicati dalla nozione di ‘giudizio’, ossia il livello del giudicante, il livello del giudicato, il livello del criterio (o dei criteri) in base al quale (o ai quali) si giudica e si è giudicati, nonché, da ultimo, il livello del tempo o del momento in cui si giudica e si è giudicati.
Ognuno ben vede come l’analisi adeguata di questi diversi livelli del giudizio lungo la storia del pensiero apocalittico giudaico sia impossibile in questo nostro intervento, il quale – stante la sua necessaria brevità – intende limitarsi ad accennare a quelli che appaiono – all’interno di una considerazione storica dell’apocalittica giudaica – gli snodi di maggiore rilevanza e problematicità in relazione al tema in questione, ossia al nesso tra crisi e krisis. Si è scelto, così, di gettare uno sguardo solamente sugli inizi e sulla fine del percorso storico dell’apocalittica giudaica, sul capo e sulla coda, per così dire, per verificare in essi la rilevanza e le modalità del darsi della nozione di krisis (‘giudizio’, ‘separazione’, ‘distinzione’) nel suo legame con quella di ‘crisi’, nel senso attuale del termine.22
1 La ‘prima’ apocalittica giudaica
Per quanto riguarda gli inizi, intendiamo riferirci agli strati più antichi di LV, i quali offrono – sullo sfondo del pensiero giudaico coevo – le due novità, costituite, la prima, dalla nozione dell’origine preterumana (e nello specifico angelica) del male (LV1, cc.6-11) e, la seconda, dalla nozione della sopravvivenza post-mortem di anime disincarnate (LV2, cc.12-36).
Entro queste coordinate, è la ‘visione’ offerta al veggente, Enoc, e spiegata da Raffaele, di ‘anime’,23 dette anche ‘spiriti dei figli degli uomini morti’,24 espressione lunga e contorta che mostra come non si sia ancora in possesso di un termine tecnico per indicarle,25 le quali, già giudicate e pertanto separate, stanno all’estremo occidente in valli diverse tra di loro, dove i buoni sono separati dai cattivi,26 “secondo un criterio non chiaro”, afferma Sacchi.27 All’estremità occidentale della terra, dove buoni e cattivi sono nettamente separati, dunque, i buoni sono al riparo dagli attacchi del male e da colà usciranno al tempo del Grande Giudizio, che ratificherà la condizione dei beati e dei dannati per tutta l’eternità.28 Opportunamente osserva Sacchi: “ Vi è […] uno sdoppiamento, ben marcato, del giudizio definitivo di Dio. Il giudizio definitivo di Dio colpisce ogni vivente già nella vita (magari al momento della morte) e si ripete in un secondo giudizio, detto Grande Giudizio, che avverrà alla fine del mondo, ma che ripeterà in ogni caso il primo”.29
Va segnalato come il tema cada in quella sezione di LV, e precisamente LV2b,30 che, contraddicendo il tema sviluppato nelle precedenti sezioni circa la esclusiva responsabilità angelica in un tempo già storico in ordine al manifestarsi del male sulla terra,31 proietta agli inizi assoluti, al quarto giorno della creazione, la colpa angelica commessa – secondo questa specifica versione – da angeli che guidarono i pianeti cui erano preposti fuori dalle orbite loro volute da Dio,32 introducendo nella creazione stessa con i loro influssi negativi l’elemento del disordine e lo spazio per la responsabilità umana in ordine al male morale. A proposito di tale spazio, si osservi – per contrasto – come in LV 16,1, si parli delle anime dei giganti (nati dall’illecita unione degli angeli caduti con le donne) morti, le quali sono immortali come le anime disincarnate umane ma, diversamente da queste, restano ingiudicate. Il giudizio ha luogo ove c’è spazio per la responsabilità, non ha luogo ove non c’è spazio per essa. Nel contesto in questione, infatti, i giganti sono presentati come esseri, in vita, al pari dei loro spiriti, dopo la morte, strutturalmente malvagi.33
Il giudizio separante e definitivo penetra in quel luogo, lo še’ol, di umbratile e indifferenziata sopravvivenza oltre la morte, ove stavano come larve, ’obot, gli uomini morti, ingiudicati, lontano dalla luce, dai viventi e da Dio stesso.34 E vi penetra, verisimilmente, come risposta a una ‘crisi’ del pensiero religioso ebraico quale quella che trovava voce nelle domande di Giobbe: «Il giudizio di Dio su queste anime – afferma Sacchi –35 assume un valore assoluto, che risponde ai problemi posti da Giobbe circa la giustizia di Dio. Il giudizio che Dio avrebbe portato sul mondo alla fine della storia secondo l’insegnamento profetico si anticipa su ciascun essere vivente al momento della sua morte».
Al complesso problema delle radici del tema del giudizio definitivo post-mortem non è possibile dedicare qui spazio, ma solo ricordare che alle ipotesi ampiamente condivise in una passata stagione di studi circa la derivazione iranica di larga parte dei temi del giudaismo apocalittico (e non solo apocalittico), sembra preferibile l’ipotesi di una evoluzione interna del pensiero giudaico, peraltro non monolitico ma variegato, sulla base anche di stimoli esterni (in particolare, da parte delle culture mesopotamica e iranica). Nello specifico, del tema in questione, segnaliamo qui le suggestioni offerte da coloro i quali, piuttosto che pensare all’introduzione di materiale estraneo, ritengono che alle radici di credenze che si fanno progressivamente strada nel corso dello sviluppo storico dell’ebraismo e poi del giudaismo sia da porre uno sviluppo interno del pensiero ebraico, a partire dalla visione originaria di una ‘vita non vita’ dopo la morte e con essa della cessazione di ogni rapporto, degli uomini tra di loro e degli uomini con Dio, il quale non è presente nell’abisso (sheol) dei morti. Tale pensiero, nel suo sviluppo storico – una volta presa coscienza della contraddizione tra il concetto di Jahvè come Dio della vita e dei vivi e l’affermazione che tale Dio incontri un limite alla sua potenza nello sheol – e, quindi, si potrebbe dire, ancora una volta di fronte ad una ‘crisi’ del pensiero stesso, vede la maturazione di una riflessione circa la forza della relazione con Dio e la capacità di tale forza a spingersi oltre la morte.36
Non è qui possibile neppure approfondire una questione squisitamente storico-religiosa e più specificamente storico-comparativa, che concerne la possibilità di comparare, al fine di evidenziare somiglianze e differenze e di porre la questione storica delle une come delle altre, l’emergere, nelle diverse culture del mondo antico mediterraneo e vicino-orientale, di condizioni relative al post-mortem differenziate a partire da concezioni originarie – profondamente analoghe nelle diverse culture in questione – relative a una esistenza oltremondana larvale e umbratile oltre che indifferenziata.37
Qui potremo solo osservare come, mentre la prima apocalittica giudaica con il LV viene a introdurre, come visto, un discrimine su base etica per quanto concerne la condizione umana dopo la morte, e nello specifico, sulla base di un giudizio divino che sancisce una distinzione e una separazione, di coloro che sono morti, sulla base di criteri etici, nel mondo greco il primo emergere – a partire da una concezione di oltretomba indifferenziato quale quella dell’Ade che tutti accoglie – di una concezione di post mortem differenziato, avviene sulla base di prospettive diverse. Si pensi al caso esemplare costituto dalla prospettiva eleusina che, secondo una fonte arcaica quale lo pseudo-omerico Inno a Demeter, il quale offre la narrazione mitica fondante le celebrazioni misteriche eleusine, discrimina nell’Ade coloro che in vita si sono fatti iniziare ai misteri eleusini stessi e coloro che, invece, scendono, da non iniziati, nell’Ade.38 Alla prospettiva misterica si sarebbe ben presto affiancata quella misteriosofica, la quale – anch’essa – avrebbe additato un oltretomba differenziato, ma ancora una volta sulla base di criteri diversi, e, nello specifico, sulla base di un discrimine tra puri e gli impuri, secondo una nozione di purezza, peraltro, dettata dalla antropologia dualistica propria della visione orfica.39
2 L’ ‘ultima’ apocalittica giudaica
Non è qui possibile seguire lo sviluppo storico del pensiero apocalittico giudaico. Tale evoluzione, che concerne fondamentalmente i temi dell’origine del male, nelle sue diverse espressioni, e della responsabilità umana, individuale e comunitaria, in ordine a esso, viene a concernere – contestualmente – anche la nozione di giudizio (krisis), nei diversi livelli, sopra ricordati, che tale nozione coinvolge (i livelli del giudice, del giudicato, dei criteri di giudizio e del luogo o tempo dello stesso).
Nelle sezioni più antiche di 1Enoc è Dio stesso che giudica e condanna gli angeli vigilanti e il loro capo,40 che sono venuti meno alla loro natura celeste per coniugarsi indebitamente con le donne e che altrettanto indebitamente hanno a quelle, e per il loro tramite agli uomini, svelato i segreti celesti, introducendo così nella natura il disordine e tra gli umani inganno, violenza e morte.41 Tale, come noto, è la prima soluzione dell’apocalittica giudaica al tema dell’unde malum, soluzione che, inizialmente appunto, carica la responsabilità di esso sulla sfera angelica, facendo degli uomini i referenti per così dire intransitivi dell’azione angelica e ignorando il tema della prima trasgressione dei protoplasti. Progressivamente prende corpo, invece, il tema della, parziale o esclusiva, responsabilità umana in ordine al male,42 e oggetto di giudizio definitivo appaiono, come visto sopra, le anime umane disincarnate. Lungo lo sviluppo storico del pensiero apocalittico, si accentua l’idea dl giudizio divino che pesa su singoli uomini o su singole categorie di uomini, diversamente identificate nelle diverse opere apocalittiche. Viene poi a realizzarsi una significativa divaricazione che segna l’ethos drammatico della apocalittica più tarda, ossia la progressiva distanza tra il giudizio divino sulla storia che appare irrimediabilmente perduta e il giudizio divino portato, invece, sui singoli che sono giudicati in base alla loro responsabilità. È nella seconda apocalittica43 che compare il determinismo storico (ossia relativo alla storia ma non al singolo) e la periodizzazione storica. Il giorno finale del giudizio si fa discrimine tra i due eoni, il presente e il futuro, teorizzati dalla tarda apocalittica giudaica.44
Al contempo, lungo lo sviluppo storico del pensiero apocalittico giudaico, il giudizio divino da ‘aperto’ si fa sempre più sbilanciato verso la condanna e considerato nella sua terribilità e inesorabilità; e così quella che sopra veniva definita ‘terza apocalittica’ sviluppa tra i suoi temi privilegiati quello della mediazione svolta da figure superumane, alle quali sono demandate funzioni che prima apparivano esclusive di Dio.45 In particolare, la funzione di giudice che condanna viene tolta a Dio e trasferita ad altri. I primi mediatori, tra il livello del divino e quello dell’umano, con funzioni giudicanti in fase escatologica sono gli angeli, i Vigilanti stessi, di cui si afferma, nell’Epistola di Enoc, della metà circa del I sec. a.C. – e siamo evidentemente in un momento di ripensamento delle prime affermazioni enochiche circa la responsabilità angelica in ordine alla introduzione del male nelle sue diverse forme nella vita umana – che mai peccarono.46
Particolarmente rilevante, tuttavia, nella storia dello sviluppo del pensiero apocalittico in ordine al ‘giudizio’ dall’alto, appare lo snodo costituito dall’emergere di una figura giudicante escatologica, che nel Libro delle Parabole (del 30 ca. a.C.) è identificata come Messia e chiamata Figlio dell’Uomo.47 A lui è demandato il giudizio di distruzione e di condanna.48 Mentre la misericordia è l’attributo fondamentale di Dio,49 la realizzazione violenta della sua giustizia spetta, appunto, al suo Messia.50 Nella letteratura critica, di tale personaggio, intronizzato e assurto al ruolo di giudice escatologico, si discute se sia lo stesso Enoc, così come dibattuta è l’unità compositiva dello scritto, soprattutto in riferimento ai capitoli che lo concludono, dove Enoc è esplicitamente identificato con il Figlio dell’Uomo.51
Quanto al criterio in base al quale si giudica, esso nelle opere più antiche, ossia LV1 e LV2, è quella che potremmo definire come ‘legge di natura’, e dunque, in questo senso e in tale contesto, divina, mentre diventa piuttosto, nella tarda apocalittica, la Legge data a Mosè,52 ove è la obbedienza o disobbedienza a tale Legge a decidere della sorte umana dopo la morte (nell’interpretazione apocalittica di tale ‘Legge’).
Ma veniamo più da vicino, come sopra annunciato, all’‘ultima’ apocalittica giudaica.
Con tale espressione intendiamo riferirci alle tarde Apocalisse siriaca di Baruc (2Baruc) e a 4Esdra, che, scritte dopo la ‘crisi’ del 70 d.C., verisimilmente attorno al 100 d.C., e sulla cui cronologia relativa si discute, devono ormai confrontarsi con il giudaismo rabbinico e con il primo cristianesimo.53
Esse, pur nelle diversità che le caratterizzano, offrono – sempre in relazione all’oggetto della nostra indagine – delle importanti caratteristiche in comune. Stimolate dagli eventi critici del 70 d.C., esse si rivolgono a giudei, segnati da quella crisi, ricorrendo alla finzione letteraria di collocare la narrazione ai tempi della prima grande ‘crisi’ del VI sec. a.C., con la caduta di Gerusalemme e la deportazione delle élite ebraiche a Babilonia.
In tal modo, ‘schermando’ la crisi del 70 d.C. dietro alla ‘visione’ offerta al veggente, rispettivamente Baruc ed Esdra, della crisi del VI sec. a.C., mettono a tema, come ‘caso critico’, il drammatico riproporsi delle crisi, analoghe ma mai identiche a se stesse. Si è potuto parlare, in sede di studi, per 4Esdra, ma la cosa si adatta anche a 2Baruc, di una specifica concezione del tempo e della storia a spirale.54 Tempo e storia corrono (o forse meglio precipitano, giacché motus in fine velocior) verso una fine e un fine e dunque in questo senso sono orientati e non ciclici, ma questa corsa conosce una ripetizione di eventi critici i quali, peraltro, si ripropongono mai perfettamente identici a se stessi e tali da realizzare comunque una progressione. In questo senso si parla di una visione del tempo e della storia umani comunque orientata (e non ciclica), ma non lineare bensì ‘a spirale’.
Le due opere si interrogano sul perché della sofferenza dei giudei e della sudditanza di Gerusalemme a un potere straniero; una situazione, questa, che appare dissonante rispetto alla coscienza di essere popolo eletto dal Signore. La risposta, per un verso, motiva la presente sventura come castigo a seguito del giudizio divino per i peccati di Israele;55 per altro verso è, piuttosto, escatologica, ovvero animata dalla tensione verso i tempi finali, i quali – annunciati dai tipici segni che diventeranno nei secoli cifra dell’immaginario apocalittico – contemplano la caduta dell’impero romano, la venuta del Messia, la resurrezione e il finale giudizio delle nazioni per il tramite di una figura messianica celeste. E si badi come queste tarde opere espressive della ‘quarta apocalittica’,56 vengano a risolvere quella scissione che l’apocalittica intermedia, la cosiddetta ‘terza apocalittica’, come sopra visto, aveva teorizzato. Si trattava, nello specifico, della scissione tra Dio, in quanto misericordioso, e quel personaggio che in LP è denominato Figlio dell’Uomo, o Enoc stesso, nel medesimo LP. 57 In tal modo, tali opere vengono a unificare in Dio gli attributi del misericordioso e del giudice.
La crisi dunque, o, meglio, le crisi ripetute e lo stesso ripetersi delle stesse, rimandano a un giudizio (krisis) divino, in parte – come detto – già datosi e il cui frutto è la crisi presente, e in parte considerato come futuro anche se ormai imminente, giudizio sulla condotta umana libera e pertanto responsabile, giudizio dunque ‘aperto’ e purtuttavia percepito in particolare nel suo aspetto drammatico di castigo,58 di condanna dei peccatori, di quella massa dannata nella quale sembra ormai identificarsi l’umanità, secondo 4Esdra, laddove in 2Baruch è piuttosto messo a tema il finale giudizio di Dio su giusti e su peccatori.59
Di fatto, se variazioni e oscillazioni sul tema della responsabilità umana (assente, parziale o esclusiva) in ordine al sorgere del male etico, avevano caratterizzato lo sviluppo del pensiero apocalittico, come sopra visto,60anche queste due ultime opere apocalittiche esprimono una diuturna e inesausta ricerca delle soluzioni dell’unde malum. E se 2Baruc considera il predeterminismo legato esclusivamente alla storia e non all’individuo e ribadisce la piena libertà e responsabilità dell’uomo, giacché Adamo fu responsabile ‘per sé solo’,61 4Esdra considera l’uomo pressoché irrimediabilmente destinato al peccato e quindi alla dannazione, a seguito della presenza in lui, fin dall’origine, di un cor malignum,62 e tuttavia responsabilità e libertà sono riaffermate, ancora una volta sullo sfondo del grande tema del Giorno del giudizio.63
Ma il riproporsi delle ‘crisi’, non solo rimanda al giudizio divino, ma appella anche un giudizio umano, nel senso che conduce l’uomo a interpretare la sventura presente, a comprenderla all’interno di un piano divino unitario, che si snoda dalla creazione fino alla fine dei giorni. Il giudizio di Dio – quel Dio che come abbiamo sopra ricordato ora è al contempo misericordioso e giudice – come pure il giudizio che l’uomo è chiamato a formulare, il discernimento che deve esercitare per leggere la crisi presente, si danno – di fatto – all’interno di un sistema valoriale organico e unitario che trascende l’umano e non è posto dall’umano. Si collocano sullo sfondo di – e sono resi possibili da – una struttura coerente e unitaria che viene esplicitata, in 2Baruc, nei seguenti termini: «[…] una è la legge (data) dall’Unico; uno (è) il mondo e per quel che v’è in esso, per tutto, fine».64
Compito del veggente in 2Baruc e 4Esdra, ossia rispettivamente, nella finzione letteraria, compito di Baruc e di Esdra, è farsi portavoce e annunciatore dell’imminente giudizio divino non solo agli uomini del suo tempo ma anche, mediante la messa per iscritto del contenuto della rivelazione avuta dal veggente stesso, agli uomini dei tempi futuri, al fine di ammonirli a fare della ‘crisi’ occasione e motivo di pentimento, espiazione e conversione. E contemporaneamente al fine di spronarli ed esortarli (essendo l’esortazione o parenesi motivo centrale nei testi apocalittici) alla osservanza della Legge,65 una osservanza che discrimina e tale discrimine, dal veggente annunciato a seguito di visioni ricevute e interpretate da interpretes angelici o da Dio stesso, si farà drammaticamente evidente e irrevocabile alla fine di questo eone.
3 Dall’apocalittica antica all’ ‘apocalittica’ post-moderna
Se le due grandi opere apocalittiche, qui sopra evocate, 2Baruc e 4Esdra, in grazia delle loro potenti e drammatiche immagini relative al precipitare della storia e del tempo umani ormai compromessi verso la consumazione, maggiormente hanno contribuito alla delineazione dell’immaginario apocalittico moderno e post-moderno, ampiamente evocato negli attuali tempi di crisi, esse consentono comunque di valutare la distanza tra una apocalittica religiosa – quale esse esprimono – e una apocalittica non religiosa, moderna e post-moderna.
Quest’ultima si offre come una di quelle ‘credenze in vacanza’, per dirla con G. Filoramo,66 che sono sganciate e snaturate rispetto alla loro tradizionale e originaria matrice religiosa. Nello specifico, si offre come un ‘meccanismo di fuga’ dalla responsabilità nella storia, il quale incoraggia, con il suo proliferare di annunci e visioni di una nuova era più o meno imminente, i propri adepti a mettere da parte valori e speranze legate a questa vita e a confidare in un intervento soprannaturale o in un meccanico evolvere della storia, in sostanza ad attendere semplicemente il grande rinnovamento della storia senza preoccuparsi delle esigenze e degli aspetti morali della vita.67
L’apocalittica religiosa, invece, in situazioni di crisi che possono essere – e di fatto furono nei secoli del cammino storico dell’apocalittica giudaica – diverse, vale a dire o crisi politiche con fenomeni di persecuzione, come quelle che fanno da sfondo ad apocalissi del II sec. a.C. quali il Libro di Daniele, o crisi culturali e del pensiero religioso, come quelle che paiono fare da sfondo alla prima apocalittica enochica, ossia 1Enoc e ancor più precisamente LV, oppure – ancora – crisi epocali quelli quella della distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C., come in 2Baruc e 4Esdra, appare tale – l’apocalittica religiosa – da poter offrire uno scenario significativo, un ‘copione drammatico’, come lo definisce ancora Filoramo, “all’interno del quale poter riflettere e decidere”, ossia giudicare e operare conseguentemente.68
Di fatto, il tema del giudizio – che così incidente appare nel pensiero apocalittico giudaico, come sopra visto – ne ha determinato il diverso se non opposto accoglimento in età contemporanea. Merita pertanto, da ultimo, uno sguardo su quelle interpretazioni moderne dell’apocalittica religiosa antica e nello specifico giudaica, le quali ne denunciano la cifra precipua del tema del giudizio e alla luce di questo fatto ne segnalano la incompatibilità con una visione moderna, ma forse meglio post-moderna, della realtà. Bastino qui poche suggestioni.
Se Amos Wilder69 ritiene l’apocalittica contemporanea incapace di affrontare la crisi ultima, diversamente dall’antica apocalittica religiosa capace di offrire una risposta salvifica, tale posizione è giudicata ora – ad esempio, da Lorenzo Di Tommaso –70 del tutto infondata: anche se lo studioso condivide il giudizio di superficialità formulato da Wilder sulla moderna apocalittica, per lui la visione apocalittica antica – e nello specifico quella biblica – sarebbe una ‘unhealthy worldview’, nemica di una matura visione del destino umano, come pure di ogni ordine sociale fondato su ‘humanistic ideals’, ostile alla vita sulla terra, soprattutto alla luce della natura e dei bisogni della società contemporanea.
L’egittologo Jan Assmann, dal canto suo, cui si deve, come noto, la formalizzazione della cosiddetta ‘distinzione mosaica’, ossia della distinzione tra vero e falso in materia di religione, distinzione che sarebbe stata introdotta nel mondo delle religioni dal monoteismo e che sarebbe responsabile della violenza a questo vista come intrinseca, viene a riflettere sull’apocalittica giudaica in un suo scritto71 nel quale mette a tema un altro ‘principio polarizzante’, ossia la distinzione tra amico e nemico come formalizzata da Carl Schmitt per definire il suo concetto di politico. Tale distinzione si paleserebbe all’interno dei ‘casi critici’, ossia di quelle situazioni che rivelano qualcosa che nella vita quotidiana è stato dimenticato o è rimasto nascosto. A tal riguardo Assmann evoca l’apocalittica giudaica, in relazione alla quale, tuttavia, rimane sulle posizioni tradizionali – superate, come visto, da studi come quelli di Sacchi cui sopra s’è fatto riferimento – per le quali l’inizio dell’apocalittica coinciderebbe con l’età del Libro di Daniele e della rivolta maccabaica, ossia nel secondo sec. a.C. Il caso critico, svelato nel Libro di Daniele, consisterebbe nella fine della storia e nel giudizio divino considerati come imminenti. La semantica dell’apocalittica – osserva Assmann – si basa sulla nozione del giudizio di Dio sul mondo e sulla distinzione tra salvati e dannati, tra osservanti della Legge e non, tra amici e nemici di Dio. Nell’apocalittica raggiunge il suo grado più intenso – conclude l’Autore – quanto nella ‘religione totale’ appare come costitutivo, ove per ‘religione totale’ Assmann intende una religione che avanza una pretesa egemonica nei riguardi della cultura e dell’uomo e fonda questa pretesa con il rinvio al caso critico, ossia mediante il principio rivelazione. Per Assmann, l’espressione ‘religione totale’ non indica una determinata religione ma un grado di intensità della religione, che le diverse religioni possono assumere, e tuttavia, di fatto, viene a coincidere con le religioni rivelate o monoteismi. Prima dell’avvento del monoteismo non sarebbe esistita, per Assmann, una religione totale. Le religioni pagane, che avevano il loro centro nel culto, spesso violento e cruento, non distinguevano – insiste Assmann – gli uomini tra amici e nemici mediante criteri di ortodossia, l’ortodossia della Legge e l’ortodossia delle fede, rispettivamente per ebrei e cristiani.
Una visione, questa di Assmann, ove si esprime quella idiosincrasia di larga parte della post-modernità verso la nozione di krisis, ossia di giudizio che discrimina e distingue, quella nozione che costituiva, nelle forme diverse cui s’è accennato, il leit motiv di quella letteratura tradizionalmente definita ‘di crisi’ che fu l’ apocalittica giudaica.
1Impossibile offrire una sia pur minima bibliografia sul fenomeno apocalittico nel mondo delle religioni come pure nel solo mondo giudaico, al quale qui ci riferiamo. Rimandiamo il lettore a opere quali: The Encyclopedia of Apocalypticism, I-III, ed. by B. McGinn, J.J. Collins, S.J. Stein, Continuum, New York-London 1998-2000; D. Hellholm ed., Apocalypticism in the Mediterranean World and the Near East. Proceedings of the International Colloquium on Apocalypticism, Uppsala, August, 12-17, 1979, Tübingen 1983, 1989. Ampia panoramica di studi in L. Di Tommaso, Apocalypses and Apocalypticism in Antiquity, I, in Currents in Biblical Research, vol. 5.2, London 2007, 235-286; II, in Currents in Biblical Research, vol. 5.3, London 2007, 367-432.
2Cfr. B. Marconcini e collaboratori, Profeti e apocalittici (Logos. Corso di Studi Biblici 3), Elle Di Ci, Torino 2007 (sec. ed.; prima ed. 1995).
3In tal senso si è espresso in particolare P. Sacchi in una ampia seriedi studi confluiti in Idem, L’apocalittica giudaica e la sua storia, Paideia, Brescia 1990. Sulla prima letteratura enochica e sull’amplissima bibliografia al riguardo, si veda – tra gli interventi più recenti – J.J. Collins, G. Boccaccini eds., The Early Enoch Literature (Supplements to the Journal for the Study of Judaism 121), Brill, Leiden 2007.
4Si veda, ad esempio, la proposta di Marconcini, Profeti e apocalittici, 209, che tenta “una provvisoria descrizione dell’essenza dell’apocalittica come l’espressione in simboli della viva attesa, suscitata nel tardo giudaismo, dalle ‘rivelazioni’ attribuite a uomini del passato, di un’imminente irruzione del regno di Dio nella storia liberata dalle potenze del male” (il corsivo è nostro).
5In tal direzione si mossero in particolare J. Carmignac, Qu’est ce que l’apocalyptique? Son emploi à Qumran, “Revue de Qumran” 10, (1979), 3-33, e J.J. Collins, Introduction: Towards the Morphology of a Genre, in Idem ed., Apocalypse: The Morphology of a Genre (Semeia 14), Scholars Press, Missoula (Mont.) 1979, 1-20. Per il primo (ivi, 20) l’apocalittica è un «genre littéraire qui présente, a travers des symboles typiques, des révélations soit sur Dieu, soit sur les anges et les démons, soit sur leurs partisans, soit sur les instruments de leur action». Analogamente, per Collins (ivi, 9): «Apocalypse is a genre of revelatory literature with a narrative framework, in which a revelation is mediated by an otherworldly being to a human recipient, disclosing a trascendent reality which is both temporal, insofar as it envisages eschatological salvation, and spatial, insofar as it involves another supernatural world».
6K. Koch, Difficoltà dell’apocalittica, tr.it. Paideia, Brescia 1977 (ed. or. Ratlos vor der Apokalyptik, Gütersloh 1970).
7Sacchi, L’apocalittica giudaica; Idem, Tra giudaismo e cristianesimo. Riflessioni sul giudaismo antico e medio (Antico e Nuovo Testamento 7), Morcelliana, Brescia 2010. Riserve, al riguardo di una soluzione ‘storica’, sono espresse da E. Norelli, Apocalittica: come pensarne lo sviluppo? in Apocalittica e origini cristiane. Atti del V Congresso di Studi neotestamentari (Seiano 15-18 settembre 1993), EDB, Ricerche Storico-Bibliche 7, 1995, 163-200.
8Si veda l’edizione di M. Black, Apocalypsis Henochi Graece, Brill, Leiden 1970.
9La retrodatazione di LV, ora riconosciuto come il primo testo apocalittico e non più studiato come una delle opere apocalittiche del II secolo a.C., è stata resa possibile dal rinvenimento intorno al 1952 a Qumran di frammenti aramaici di 1Enoc (pubblicati da J.T.Milik, The Books of Enoch. Aramaic Fragments of Qumran Cave 4, Clarendon Press, Oxford 1976). Essa pone sotto nuova luce la nascita del pensiero apocalittico, o, come preferisce chiamarlo Sacchi, della tradizione enochica, dal nome del rivelatore sotto cui sono posti i primi testi apocalittici, legandola a specifiche situazioni storiche e ponendo in termini nuovi non solo il problema della sua origine ma anche quello dei rapporti con le altre correnti del giudaismo e con i mondi culturali non giudaici. Nello specifico, Sacchi vede la corrente enochica radicata in quella particolare ideologia che egli denomina ‘ideologia della Promessa’, sviluppatasi al sud di Israele, e distinta dalla ‘ideologia del Patto’ sviluppatasi a nord. La tradizione enochica nascerebbe in Giuda nel corso del IV se non addirittura del V sec. a.C. e si opporrebbe al giudaismo samaritano, ma soprattutto al giudaismo di Gerusalemme, il giudaismo sadocita, elaborando temi profondamente diversi da quelli di quest’ultimo. «Se – afferma Sacchi, L’apocalittica giudaica, 128-129 – si volessero definire le origini dell’apocalittica sul piano storico, credo che si potrebbe dire che si tratti di un movimento culturale, sviluppatosi sulle correnti di pensiero meridionali di Israele, quando queste, in seguito all’esilio babilonese, restarono isolate in patria». Tale tradizione non ignorerebbe lo stimolo offerto da influssi esterni lungo tutta la sua storia. Sacchi (tra gli ultimi interventi, Tra giudaismo e cristianesimo) rifiuta così di pensare a origini esterne e nello specifico iraniche, e appare più propenso a ipotizzare legami con il pensiero egizio (non approfondendo, tuttavia, la questione).
10Per un’ampia e documentata rassegna degli studi che parlano della apocalittica come di una ‘crisis literature’ o delle apocalissi come ‘underground texts of crisis’ ovvero, secondo diversa ma collegata definizione, come ‘conventicle literature’, si veda Di Tommaso, Apocalypses and Apocalypticism, I.
11Studi recenti (L. Arcari, L’apocalittica giudaica e proto-cristiana tra ‘crisi della presenza’ e ‘crisi percepita’. Dal testo apocalittico alla pratica visionaria, Studi e Materiali di Storia delle Religioni 76, 2010, 480-533; idem, Corpo rituale/corpo visionario. Soggiorni nell’aldi là e autorità competitive nel mondo antico, in V. Bochicchio (ed.), Dal corpo al simbolo. Ermeneutiche della corporeità (Cultura, Scienza e Società – Sezione di studi filosofici diretta da Raffaele Bruno), Presentazione di F. Lomonaco, Introduzione di E. Mazzarella, Franco Angeli, Milano 2011, 17-42) valorizzano in modo particolare la funzione di marcatore identitario della produzione apocalittica.
12Tra gli ultimi interventi Arcari L’apocalittica giudaica e proto-cristiana; Idem, Corpo rituale/corpo visionario.
13Tra gli altri, Sacchi , Tra giudaismo e cristianesimo.
14Cfr. infra.
15Sacchi, L’apocalittica giudaica; Idem, Formazione e linee portanti dell’apocalittica giudaica precristiana, in Aa.Vv., Apocalittica e origini cristiane. Atti del V Congresso di Studi neotestamentari (Seiano 15-18 settembre 1993), Ricerche Storico-Bibliche 7, 1995, 19-36: l’apocalittica o, meglio – secondo la definizione che propone –, la tradizione enochica, nasce sulla base di una cogente esigenza di indagare e risolvere il problema dell’unde malum, la cui origine – in grazia delle specifiche coordinate apocalittiche che dilatano gli spazi e i tempi – viene collocata in livelli sovraumani e in momenti preumani. Di fatto, Sacchi – come sopra detto – addita la necessità di rinunciare ad identificare – per quanto concerne l’apocalittica giudaica – in termini statici (ed univoci) una essenza della apocalittica, in favore della identificazione – piuttosto – in termini dinamici (ed analogici) di una storia della apocalittica. Ossia, storia di un pensiero che, privilegiando peculiari modalità espressive, nasce interrogandosi fondamentalmente sull’unde malum e a questa domanda, che lo segnerà per tutta la sua storia fino alle due più grandi e ultime apocalissi degli anni 70 d.C., darà una altrettanto peculiare risposta (l’origine preterumana del male), che a sua volta sarà oggetto ben presto un ripensamento e di una correzione, prima parziale e poi totale, fino ad arrivare al rovesciamento – nelle stesse sezioni seriori di 1Enoc – di quella stessa risposta iniziale (l’origine, appunto, preterumana del male) e alla individuazione dell’origine del male in una radicalità umana (il tema del cor malignum in 4Esdra; cfr. infra) che chiama drammaticamente in causa lo stesso creatore. Ma all’accusa esplicita del Dio creatore come responsabile del male non giungerà, come noto, l’apocalittica giudaica ma la sua – solo per alcuni versi – figlia, ossia l’apocalittica gnostica (tema quest’ultimo per il quale rinviamo a M.V. Cerutti (cur)., Apocalittica e gnosticismo. Atti del Colloquio Internazionale, Roma 18-19 giugno 1993, GEI, Roma 1995; G. Sfameni Gasparro, Temi apocalittici nello gnosticismo, in R. Uglione (cur.), Atti delle III Giornate patristiche Torinesi: “Millennium”: l’attesa della fine nei primi secoli cristiani, Torino, 23-24 ottobre 2000, Torino 2002, 101-141.
16Secondo la periodizzazione proposta da Sacchi, L’apocalittica giudaica; Idem, L’attesa come essenza dell’apocalittica? «Rivista Biblica» 45, 1997, 71-78), si possono distinguere: una prima apocalittica (LV, ossia i cc. 1-36 di 1Enoc, del V-IV sec. a. C., a sua volta divisibile, dopo una introduzione [cc.1-5] in LV1 (cc.6-11) che deriva da un Libro di Noè perduto (VI-V sec. a.C.) e che a sua volta è divisibile in LV1a, cc.6-8, che risalirebbero al V sec. a.C., e LV1b, cc. 9-11, che apparterrebbero all’antico IV a.C., e LV2 [cc.12-36] che rappresenta uno sviluppo di LV1; Libro dei Giganti [LG], contemporaneo al LV ma sostituito nel corso del I sec. d.C. dal Libro delle Parabole [LP, cc. 37-71] del 30 ca. a. C.; Libro dell’Astronomia [LA, cc.72-82] del III sec. a. C); una seconda apocalittica (Libro dei Sogni [LS, cc.83-90] ascrivibile al 160 ca. a.C.); una terza apocalittica (Epistola di Enoc [EE, cc.91-105], della metà del I sec. a.C; a questa fase appartiene anche il già citato LP). Infine una quarta apocalittica (Apocalisse siriaca di Baruch, IV Esdra [fine I sec. – inizi II sec.d.C.]), la quale si confrontò con l’ideologia farisaica (che si affermò definitivamente in Israele attorno agli anni della distruzione del Tempio e con la quale si riaffermò la centralità della Legge) e con quella cristiana. Al I sec. d.C. appartengono altre opere ‘apocalittiche’ tra le quali, ad esempio, 2Enoc o Enoc slavo, Apocalisse di Abramo.
17J.J. Collins, The Apocalyptic Technique: Setting and Function in the Book of Watchers, «The Catholic Biblical Quarterly» 44, 1982, 91-111, 110.
18In tale direzione si veda ad esempio E.J.C. Tigehelaar, Prophets of Old and the Day of the End: Zechariah, the Book of Watchers and Apocalyptic (OTS, 35), Brill, Leiden 1996, 264-265 (cit. da Di Tommaso Apocalypses and Apocalypticism, I, 252), che mette in luce i problemi metodologici posti dall’ipotesi interpretativa della ‘crisi’ come cifra dell’apocalittica; ad ogni modo, per un’ampia disamina della questione, si veda Di Tommaso Apocalypses and Apocalypticism, I e II.
19Così, P.R. Davies, Social World of Apocalyptic Writings, in R.E. Clements ed., The World of Ancient Israel: Sociological, Anthropological and Political Perspectives. Essays by Members of the Society for Old Testament Studies, Cambridge University Press, Cambridge, 1989, 251-71, che vede il milieu sociale in cui nascono opere apocalittiche come il Libro di Daniele e il Libro della Astronomia in un ambiente di scribi, ossia di una élite che tende a legittimare se stessa e a esercitare un controllo ideologico ricorrendo a conoscenze esoteriche, rivelazioni celesti e uso del mito. Anche L. Grabbe, Social Setting of Early Jewish Apocalypticism, JSP 4 (1989) 27-47, tende a vedere, almeno in taluni casi, un establishment scribale e sacerdotale dietro ad opere apocalittiche.
20Sul tema ora M. Morani, Il linguaggio della crisi fra mondo classico e cristianità dei primi secoli, in A.M. Mazzanti (cur.), Crisi e rinnovamento tra mondo classico e cristianesimo antico, Bononia University Press, Bologna 2015, 13-22.
21Cfr., ad es., B. McGinn, L’abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia del pensiero occidentale, Marietti, Genova 1990 (ed. or. New York 1985), 68.
22Precisiamo che, stante la varietà e diversità delle lingue (greco, latino, etiopico, siriaco, ed altre) nelle quali ci sono giunte le opere della apocalittica giudaica, originariamente redatte in ebraico o in aramaico, e tuttavia per larga parte andate perdute nella loro redazione originaria, come pure nella traduzione greca che talora, come nel caso di 4Esdra e 2Baruc, si pone tra l’originale, verisimilmente in ebraico, e le traduzioni pervenuteci (latino, siriaco), la nostra indagine si dovrà affidare in larga parte a traduzioni delle stesse in lingue occidentali moderne.
23LV 22,3-11. Si tratta di anime disincarnate che già compaiono in LV 9,3, in un passaggio redazionale ove sono presentate nell’atto di far giungere il loro grido a Dio, e dunque, osserva Sacchi, L’apocalittica giudaica,109, non sono più nello sheol ove non si parla più di Dio (cfr. Ps 115,17; Is 38,18). Ivi (LV 9,3) compare l’espressione ‘le anime degli uomini’ («Ed ora, dunque, o Santi del cielo, le anime degli uomini vi implorano dicendo ‘Portate il nostro caso innanzi all’Altissimo’»; tr L. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, con la collaborazione di F. Franco, L. Fusella, A. Loprieno, F. Pennacchietti, L. Rosso Ubigli, I, Utet, Torino 1981, 475) che indica le anime dei morti, espressione che del resto compare più avanti (LV 9,10: «Ed ora, ecco, le anime dei morti gridano ed implorano fino alla porta del cielo (…)» (tr. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, 476).
24LV 22,3-5.
25Così per Sacchi, L’apocalittica giudaica, 115.
26Gli uni e gli altri ivi attendono, propriamente, il giorno del loro giudizio, detto il tempo del Grande Giudizio, che ratificherà la condizione dei beati e dei dannati per tutta l’eternità, ma sono già in un certo senso giudicati, perché stanno in caverne (o, secondo diversa interpretazione, monti) diverse a secondo della loro bontà o meno. «‘Questi tre monti – spiega l’angelus interpres a Enoc – sono stati fatti per dividere gli spiriti dei morti. E in egual modo sono state separate le anime dei giusti. Questa è una sorgente d’acqua di luce. Nella stessa maniera è stato creato un luogo per i peccatori, allorché muoiono e vengono sepolti nella terra e, durante la loro vita, non c’è stato il giudizio contro di loro. E qui si tengono separate le loro anime, in questo grande tormento, fino al gran giorno del giudizio, della punizione e del tormento (fissato) per quelli che maledicono nell’eternità; (vi staranno fino al giorno) della punizione delle loro anime e, qui, Egli li legherà in eterno’» (1Enoc 22, 9-11; trad. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, 501-502).
27P. Sacchi, Il giudaismo del Secondo Tempio, in G. Filoramo (cur.), Ebraismo, Laterza, Roma-Bari 1999 (prima ed. 1995), 53-123, 83.
281Enoc 23-37.
29P. Sacchi, Riflessioni sull’essenza dell’apocalittica: peccato d’origine e libertà dell’uomo, «Henoch» 5 (1983) 31-61,39.
301Enoc 17-22.
31LV1(=1Enoc 6-11) e LV2a (=1Enoc 12-16). Vedasi in particolare 1Enoc 10,8 : «E tutta la terra si è corrotta per aver appreso le opere di Azazel ed ascrivi a lui tutto il peccato» (trad. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, 478).
321Enoc 18,12.15; 21,6.
331Enoc 16,1: «Al tempo della uccisione, della corruzione, della morte dei giganti, quando gli spiriti saranno usciti dai loro corpi, la loro carne porterà distruzione senza essere giudicata» (trad. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, 490). Siamo all’interno di un discorso fatto dal Signore ad Enoc e che Enoc sta riferendo agli angeli peccatori. Tali anime dei giganti identificano la nozione di esseri malvagi non creati da Dio (cfr. sul tema Sacchi, L’apocalittica giudaica, 275).
34Ps 89,49.
35Sacchi, Il giudaismo del Secondo Tempio, 83.
36J. Ratzinger-Benedetto XVI, Escatologia. Morte e vita eterna, Edizione rinnovata e ampliata a cura di S. Ubbiali (Teologia Saggi), Cittadella Editrice, Assisi 2008 (ed.or. Eschatologie – Tod und ewiges Leben, Friedrich Pustet, Regensburg – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007).
37«Le grandi civiltà e il pensiero da esse scaturito non sono strutture statiche, divise tra di loro da confini ben definiti. La grandezza di una civiltà si manifesta nella sua capacità di recepire, di arricchirsi o di mutare; essa dipende dal fatto di non essere incapsulata in se stessa, ma di possedere una dinamica di crescenza, per la quale è essenziale lo scambio reciproco del ricevere e del dare. Il che significa che riguardo al nostro problema (scil. la condizione dell’uomo dopo la morte) tutte le civiltà e filosofie hanno subito un processo di trasformazione i cui singoli stadi mostrano fra di loro una notevole somiglianza. In tutte le civiltà troviamo infatti all’inizio la sicurezza mitica del continuo rinnovarsi delle cose, la soddisfatta sazietà dell’al di qua, il desiderio di una lunga vita nella pienezza delle ricchezze e l’assillo di perpetuarsi nei figli e nei figli dei figli. E che non è soltanto la concezione del mondo arcaico dell’Antico Testamento, ma è la visione in tutto e per tutto identica dell’Antica Grecia – Achille preferisce infatti essere mendicante nell’al di qua piuttosto che il re delle ombre, la cui vita è non vita – ed è pure quella dei primi stadi della più spiritualistica di tutte le civiltà, quella indiana (…). Occorre tuttavia aggiungere: ciò nonostante, da nessuna parte la morte viene concepita come morte integrale nel senso più stretto. Ovunque viene supposto un qualche tipo di esistenza ulteriore; il puro nulla non è mai stato pensato. Questa esistenza ulteriore che pure non è vita, ma una strana mescolanza di essere e non- essere, sebbene venga da un lato invocata mediante i riti funebri, è insieme temuta: il defunto, e con lui il nulla, potrebbero irrompere nella zona della vita; per cui i riti funebri sono contemporaneamente riti di difesa che debbono relegare i defunti nel loro mondo» (Ratzinger, Escatologia. Morte e vita eterna, 83-84).
38Hym.Hom. In Cererem vv. 480-489.
39Nell’immensa bibliografia al riguardo segnaliamo U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza, Ateneo, Roma 1976.
401Enoc 10,6: «E, nel Grande giorno del giudizio, [Azazel] sia mandato al fuoco». 1Enoc 10,12, parla dell’‘eterno giudizio’ per gli angeli caduti.
411Enoc 6-11.
42Momento culminante della attribuzione all’uomo della piena responsabilità in ordine al male è all’interno di EE (ossia 1Enoc 91-105, della metà del I sec. a.C.) e precisamente 1Enoc 98,4-5, ove l’autore, verisimilmente in polemica con l’ambiente qumranico, afferma che il male non è entrato nella terra ma sono gli uomini che lo hanno creato da se stessi.
43Cfr. supra.
444Esdra 7,113: “il giorno del giudizio sarà la fine di quest’età e l’inizio di quella immortale futura”.
45Sul tema della mediazione in ambito apocalittico si veda ora L. Di Tommaso, Natura e necessità della comunicazione tra Cielo e Terra nella letteratura apocalittica, in Atti del XIX Convegno di Studi Vetero-Testamentari, Napoli 7-9 settembre 2015, Ricerche Storico-Bibliche 2017, 171-192.
46EE 91,15.
47LP 48,10. Sul tema, tra gli altri, S. Chialà, Libro delle parabole di Enoc. Testo e commento (Studi Biblici 117), Paideia, Brescia 1997; G. Boccaccini ed., Enoch and the Messiah Son of Man. Revisiting the Book of Parables, Grand Rapids, Michigan – Cambridge, U.K. 2007; L. Arcari, Visioni del Figlio dell’Uomo nel Libro delle Parabole e nell’ Apocalisse (Antico e Nuovo Testamento 19), Morcelliana, Brescia 2012.
48Del tutto estranea agli intenti di questo nostro rapido intervento è la problematica inerente alla presenza in ambito neotestamentario, e in particolare, tra altri luoghi, in Mc 2,1-12, della figura del Figlio dell’Uomo nella sua relazione con analoga figura come offerta da LP piuttosto che non come offerta nel Libro di Daniele.
49LP 50,4.
50Specifici problemi pone il riferimento, all’interno di LP (e specificamente in 1Enoc 50) agli ‘altri’, come terzo gruppo che, il Giorno del Giudizio, viene contemplato accanto a coloro che, i peccatori, sono condannati, mentre i giusti sono salvati. Si tratta di coloro che, peccatori, si pentono e che pertanto sono salvati dalla misericordia divina anche se non lo sarebbero dalla sua giustizia. Sul tema, ora, G. Boccaccini, The Evilness of Human Nature in 1 Enoch, Jubilees, Paul, and 4 Ezra: A Second Temple Jewish Debate, in M. Henze, G. Boccaccini, J. Zurawski (eds)., 4 Ezra and 2 Baruch: Reconstruction after the Fall, Brill, Leiden 2013, 63-79.
51LP 70-71.
524Esdra 127-129.
53Introduzione alle due opere e traduzione in P. Sacchi (cur)., Apocrifi dell’Antico Testamento, con la collaborazione di P. Bettiolo, G. Boccaccini, M. Enrietti, M. Lana, P. Marrassini, L. Rosso Ubigli, II, Utet, Torino 1981; M.E. Stone, M. Henze, 4Ezra and 2Baruch. Translations, Introductions, and Notes, Fortress Press, Minneapolis 20013. Tra la letteratura critica più recente, M. Henze, G. Boccaccini,. J.M. Zurawski (eds)., Fourth Ezra and Second Baruch. Reconstruction After the Fall (Supplements to the Journal for the Study of Judaism 164), Brill, Leiden-Boston 2013; K.M. Hogan, Theologies in Conflict in 4 Ezra. Wisdom Debate and Apocalyptic Solution, Brill, Leiden-Boston 2008.
54F. Dailey Flannery, Non linear-Time in Apocalyptic texts: the Spiral Model, in Society of Biblical Literature, Seminar Papers, Scholars Press, Boston 1999, 231-245.
55Ad es. 2Baruc 77,1-17; 78,1-87,1.
56Cfr. supra.
57LP 70-71.
58Ad es. 2Baruc 1,1-9,1.
59Ad es. 2Baruc 22,1-30,5; 48,26-52,8.
60Si ricorderà come tale responsabilità sia ben presto riconosciuta dagli autori delle sezioni recenziori di 1Enoc come pure delle altre opere apocalittiche, dopo che le sezioni più antiche di 1Enoc avevano piuttosto messo a tema la responsabilità angelica, nonché dei figli – i giganti – degli angeli indebitamente coniugatisi con le donne, in ordine al dilagare del male sulla terra. Di fatto, come sopra visto, l’EE – impegnata in una polemica con l’essenismo e con le sue soluzioni ‘deterministiche’ a detto problema – recupera il motivo della libertà e della responsabilità umane, affermando con decisione che «il peccato non fu mandato sulla terra, ma (sono) gli uomini (che) lo hanno creato da se stessi e quelli che lo hanno fatto sono (destinati) alla grande maledizione» (1Enoc 98,4; trad. Fusella in Apocrifi dell’Antico Testamento, 646).
612Baruc 54,19.
624Esdra 3,21.
634Esdra 7,104: “Ognuno nel giorno del Giudizio porterà il peso della propria ingiustizia e della propria giustizia”.
642Baruc 85,14.
65Ad es. 2Baruc 44,1-47,2.
66G. Filoramo, Millenarismo e New Age. Apocalisse e religiosità alternativa, Dedalo, Bari 1999.
67Tale prospettiva è stata evocata anche in ambito pastorale. Ricordiamo qui un passaggio dal discorso di Papa Francesco agli esponenti del mondo della cultura a Cagliari il 22 settembre 2013: «Di fronte alla crisi ci può essere la rassegnazione, il pessimismo verso ogni possibilità di efficace intervento. In un certo senso è un “chiamarsi fuori” dalla stessa dinamica dell’attuale tornante storico, denunciandone gli aspetti più negativi con una mentalità simile a quel movimento spirituale e teologico del II secolo […] che viene chiamato “apocalittico”. Questa concezione pessimistica della libertà umana e dei processi storici porta ad una sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà. La disillusione porta anche ad una sorta di fuga, a ricercare “isole” o “momenti di tregua”» (Fonte: w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/september/documents/papa-francesco_20130922_cultura-cagliari.html).
68Filoramo, Millenarismo e New Age,123.
69A. Wilder, The Rhetoric of Ancient and Modern Apocalyptic, Interpretation 25, 1971, 435-453,440.
70L. Di Tommaso, The Apocalyptic Other, in D.C. Harlow, K.M. Hogan, M. Goff, J.S. Kaminski eds., The ‘Other’ in Second Temple Judaism. Essays in Honor of J.J. Collins, Grand Rapids, Michigan-Cambridge U.K.2011, 221-246, 236.
71J. Assmann, Il Dio totale. Origine e natura della violenza religiosa, EDB, Bologna 2015.
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