Ror Studies Series | Storia e mistero
Daniélou teologo sistematico? Il concetto di akolouthía in Gregorio di Nissa e il suo uso nell’opera di Jean Daniélou
Sincero Mantelli
Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna
Alla domanda se Jean Daniélou fosse un teologo, Marie-Josèphe Rondeau rispondeva che la sua formazione lo escluderebbe dall’universo teologico in senso stretto – per la mancata appartenenza alla corrente tomista.1 In realtà, muovendo come il coetaneo svizzero Hans Urs von Balthasar dallo studio dei primi secoli cristiani e soprattutto dei Padri della Chiesa, il francese Daniélou aveva compreso per tempo che il rinnovamento della teologia poteva venire soltanto da una ripresa immediata del pensiero dei Padri, unitamente alla riscoperta della Scrittura e della liturgia.
Le condanne della Nouvelle théologie non colpirono Daniélou, se non già confuso con Yves Congar ed Henri de Lubac tra gli esponenti del movimento, certo ascritto all’universo degli storici e degli spirituali; ma il clima doveva rapidamente cambiare alle soglie del Concilio Vaticano II, quando papa Giovanni XXIII lo chiamò quale perito della commissione dottrinale. Anche se tale invito sembra mutare la posizione di Daniélou, ciò che più impedì di considerarlo un teologo fu l’assenza, nella sua produzione scientifica, di opere organiche – come quelle di de Lubac e von Balthasar. Daniélou amava giustapporre le riflessioni, accumularle in pubblicazioni successive nelle quali riprendeva motivi precedenti con piccole e grandi innovazioni, in un costante sforzo di manutenzione caratteristico dei grandi studiosi di estrazione storica e filologica. Non compose mai summae, anzitutto perché dedicò molto del suo tempo all’apostolato e perché, per sua stessa ammissione, non aveva una mens sistematica: “Je n’ai pas la puissance philosophique et l’esprit de synthèse qui me permettraient de faire une grande oeuvre théologique. Je connais ici mes limites”.2 Ma si può dire di lui che, pur non avendo scritto una formale storia della teologia, allo studio di questa egli ha dato innumerevoli preziosi contributi.
Sarebbe dunque ozioso riprendere il discorso dall’equazione della Rondeau fra tomismo e teologia o dalle sue conclusioni su Daniélou teologo non sistematico. Giova se mai porsi un quesito ulteriore: si può ritrovare, o ricostruire, una certa “sistematicità” – un filo rosso – nell’opera non sistematica di Daniélou? Di lui già la stessa Rondeau aveva sorprendentemente affermato: “Il réclamait le pluralisme théologique dans le respect réciproque. C’est-à-dire que, s’il demandait qu’on les laissât, lui et ses amis, tenter des systématisations théologiques non thomistes”.3 Per Daniélou la fede cristiana impone una certa sistematicità per essere pensata: tuttavia, egli rivendica l’esistenza di altre vie per giungere alla sintesi, non ritenendo il tomismo adatto al contesto contemporaneo.4
Un suggerimento importante alla nostra ricerca viene dal libretto del 1942 Le signe du Temple ou de la presence de Dieu, di cui de Lubac ebbe a dire che, in apparenza così originale, era in realtà totalmente tradizionale, perché non si accontenta semplicemente di riprendere temi patristici, ma fa suo il metodo dei Padri.5 Proprio di metodo parla Daniélou nelle prime pagine dell’opera: “Il Tempio, con l’Alleanza è una delle realtà essenziali della Bibbia, uno dei sensi secondo cui la decifriamo”. Nella patristica Daniélou ritrova categorie bibliche che permettono di costruire una teologia, di ravvisare una costruzione coerente del pensiero attraverso una lettura trasversale dei testi biblici letterariamente non connessi tra di loro, sottratti così a una totale quanto fatale disomogeneità.6 A ben guardare, la riflessione sul tempio non è l’analisi di un tópos letterario oppure il commento a passi scelti su base tematica, bensì una vera e propria sintesi teologica al lume di una categoria capace di mettere ordine e far emergere il senso della storia della salvezza dal principio alla consumazione finale: “[…] Questo mistero della storia continua sotto i nostri occhi. Ci dona la chiave di quella relazione drammatica che continuamente attira e respinge i tre mondi: pagano, giudaico e cristiano, che rappresentano le tre grandi epoche”.7
Frequentando assiduamente i Padri, Daniélou viene in contatto con opere di teologia sistematica. Accanto alla sapientia che si ritrova nella vita e nella riflessione della Chiesa antica, i Padri sono testimoni anche di un’attività riflessiva e critica (scientia): esistono numerosi esempi di questa tendenza (De principiis, trattati sull’Incarnazione, sulla Trinità e sullo Spirito Santo, opere antiereticali); e Daniélou ne studia i testi, indagando tra i primi l’influsso che la filosofia del basso impero, in primis il neoplatonismo, ebbe su quelle riflessioni insieme ai tentativi speculativi della Chiesa degli inizi. La Rondeau, tuttavia, dà un giudizio fuorviante su questo aspetto “vichiano” del lavoro intellettuale di Daniélou: “Mais ces études sont restées pour lui d’ordre historique. Elles ne lui ont pas été source d’inspiration”.8
Sembra dunque opportuno ritornare alla biografia intellettuale del futuro cardinale, per ricordare che allo scolasticato di Lyon-Fourvière (1936-1939), durante gli studi insieme a von Balthasar, egli scoprì l’opera e la teologia di Gregorio di Nissa imbattendosi nel concetto di akolouthía/consequentia (enchaînement), ossia di quella concatenazione che permette di interpretare un fenomeno o un testo analizzando quanto lo lega agli elementi che lo precedono e lo seguono. Lo studio di questa categoria, più teologica che filosofica, negli scritti del Nisseno getta una luce diversa sulla questione di Daniélou “teologo sistematico”, poiché l’uso che egli fa di questo concetto e la sua stessa tendenza a organizzare sistematicamente il pensiero degli autori da lui approfonditi, in particolare Gregorio di Nissa, sono testimoni della sua capacità di intuire il mistero cristiano nella sua profonda unità e coerenza, senza per questo dover costruire trattazioni esaustive e concluse. La sistematicità teologica ricercata da Daniélou è infatti quella relativa all’unità del mistero, che si articola e si può indagare in molteplici aspetti nel suo storico disvelarsi, ma non può mai essere esaurito, per intima eccedenza, da una trattazione umana.
Prima di entrare nel merito del termine akolouthía, conviene insistere sul ruolo di Gregorio di Nissa e della sua teologia nel percorso di ricerca di Daniélou, che nel 1944 pubblicava la sua dissertazione dottorale sulla dottrina spirituale di Gregorio di Nissa, Platonisme et théologie mystique:9 con questa monografia egli si inseriva nel filone di ricerca su platonismo e teologia mistica assai vivo in quegli anni e sistematizzava il percorso spirituale indicato da Gregorio nelle sue opere secondo tre tappe (via purgativa, illuminativa e unitiva), che appariranno solo successivamente nel linguaggio dei maestri dello spirito. Indicava così in Gregorio la fonte di questi successivi sviluppi o applicava le tre tappe non gregoriane per sistematizzare il pensiero del Nisseno? Ciò che colpisce, e che suscitò perplessità fin dall’uscita dell’opera di Daniélou, è la tendenza a ordinare e sistematizzare gli scritti di Gregorio di Nissa secondo schemi volta a volta inverati da testi e immagini dell’autore e poi collegati ad altri schemi del pensiero antico, in particolare quelli di Origene.10 D’altro canto, anche le critiche rivolte da Walter Völker e altri a questa sistematizzazione, che sembrava arbitraria, confermano solo l’inclinazione di Daniélou a organizzare coerentemente il pensiero antico. Tali critiche non lo avrebbero poi distolto dal suo tentativo sistematico, dal momento che anche le monografie successive su Origene (1948) e su Filone (1958) seguono lo stesso schema tripartito.11
Due anni dopo, riflettendo sul pericolo radicale costituito dall’ateismo per il pensiero cristiano, scrive: “La seconda [causa] è la virulenza delle forme attuali di ateismo, che mettono in questione non tanto un aspetto particolare del cristianesimo, ma la sua visione complessiva del mondo, e ciò obbliga i cristiani a una presa di coscienza più ampia anche in merito all’originalità della loro dottrina”.12 Anche se indirettamente, questo passo fa intuire che per Daniélou il compito della teologia è “sistematico”, perché la critica contemporanea alla Weltanschauung cristiana è radicale e totale. D’altro canto occorre porre attenzione al fatto che per Daniélou la sistematizzazione teologica può presentare dei grossi rischi, come nell’affaire modernista, che aveva messo in luce i limiti del razionalismo che tratta Dio come qualsiasi altro oggetto perdendo il senso della trascendenza.13 Ma proprio nel suo sforzo per il rinnovamento teologico, partito da un entusiastico ritorno alle fonti bibliche, patristiche e liturgiche, avverte subito, insieme alla grande opportunità,14 un rischio da non sottovalutare, cioè di perdere di mira l’orizzonte d’insieme della visione cristiana: “Il ritorno alla Bibbia si accompagna a un rinnovamento notevole della teologia patristica. E ciò non sorprende se ci si rammenta che l’opera dei Padri è in gran parte un ampio commento alla sacra Scrittura che, da Ippolito di Roma a Bernardo di Chiaravalle, costituisce l’ambito specifico del pensiero cristiano. Il pensiero cristiano ha cercato, infatti, per secoli di stabilire queste corrispondenze fra l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento, la liturgia, la spiritualità, l’escatologia, – scienza meravigliosa in cui tutto il pensiero cristiano trovava la sua unità e della quale il nostro tempo aveva perduto la chiave”.15
Passando a considerare come la teologia attuale non possa ignorare le istanze del corpo di Cristo, ovvero non debba essere slegata dall’apostolato, Daniélou torna sul tema dell’unità della visione cristiana: “Ma, d’altro canto, il teologo deve anche situare i valori in una visione totale dell’uomo cristiano e, di conseguenza, mostrare bene il primato della nuova creazione operata nell’uomo dalla grazia, la quale si dischiude nelle virtù teologali, princìpi della familiarità con Dio e della carità soprannaturale con gli uomini”.16
Pasquale offre, poi, una significativa suggestione circa il nuovo modo usato da Daniélou per dare sistematicità al pensiero teologico: “Se nessuna sintesi teologica è qui proposta, un angolo del velo è sollevato, tuttavia, per lasciar intravedere i grandi tratti di una teologia, a dispetto dell’assenza di una summa che raccolga in maniera organica un pensiero talvolta non compiuto nella sua elaborazione”.17
Per dare consistenza alla considerazione di Daniélou quale teologo “sistematico”, entriamo nella questione particolare del concetto di akolouthía, che come detto egli studia nell’opera del Nisseno. Gregorio – nota Daniélou – si discosta consapevolmente da Basilio nel commentare il testo della creazione (Gn 1), perché intende offrire non solo – come aveva fatto il fratello – una lettura dei singoli elementi del racconto biblico, ma mostrare come tutti i tasselli della narrazione siano intrinsecamente concatenati e abbisognino, di conseguenza, di una lettura logica, coerente e unitaria all’interno dell’intero episodio. Lo stesso Gregorio applica la parola akolouthía all’esegesi di un testo, in quanto si dipana in una successione ordinata che esprime il progresso del pensiero dell’autore. In campo esegetico il termine può semplicemente indicare la trama di un racconto o il contesto di un passo, sempre in riferimento alla logica d’insieme. Ma ciò che più conta è l’applicazione dell’akolouthía al testo biblico: già la tradizione esegetica aveva adattato alla Scrittura il metodo usato dai grammatici specialmente per spiegare testi letterari, per procedere dal senso dell’insieme di un ampio contesto all’interpretazione di un particolare.
Secondo Gregorio, poi, ricercare l’ordine del testo equivale a mettersi sulle tracce della successione dei fatti (historía) che il brano intende riferire. Pertanto la consequenzialità (akolouthía) con cui l’autore sacro riferisce i fatti, ad esempio i momenti della creazione, non è casuale: ha un significato che l’esegeta ha il compito di afferrare (theoría). Il livello di tale visione varierà a seconda del tipo di esegesi che si intende perseguire, sia essa letterale o allegorica: in entrambi i casi, comunque, l’interpretazione dovrà decifrare e seguire un ordine, cioè un’akolouthía.
Anche Girolamo18 condivide questa concezione di Gregorio e ciò non deve destare stupore, perché la fonte del Nisseno è appunto Origene: “Cette conception d’une akolouthia intelligible qu’il faut dégager à partir de la succession historique apparaît chez Origène, dont Grégoire ici est dependant”.19 Questo concetto aveva già una lunga storia: il primo riferimento è ad Aristotele, dal quale deriva l’idea di akolouthía come base del pensiero scientifico che ricerca la concatenazione necessaria dei fenomeni; il secondo è a Plotino, dal quale è mediato l’aspetto più originale e decisivo della consequentia, vale a dire il fatto che la coerenza e la verità di un particolare aspetto si dimostrano mediante il loro legame con i princìpi primi (archaí) e attraverso il riferimento a una comprensione d’insieme (theoría); il terzo è allo stoicismo, il cui lessico filosofico si riferisce all’“ordine del mondo”; il quarto è a Galeno, autore peraltro citato esplicitamente da Gregorio, il quale afferma che per gli stoici l’akolouthía designa il metodo scientifico stesso, che si sforza di collegare i fenomeni ai loro princìpi (archaí). Proprio quest’ultimo riferimento ci fa ritrovare la fonte dell’uso proprio e originale che Gregorio vuol fare del metodo di indagine sotteso al termine akolouthía, vale a dire che la vera conoscenza deve tendere a ritrovare il legame necessario che unisce i fenomeni.20
Alcuni anni dopo, la riflessione di Daniélou giunge a maturazione nel testo L’être et le temps chez Grégoire de Nysse,21 dove riprende anche il saggio sintetizzato sopra e lo fonde in uno sguardo d’insieme, che muove dallo studio del vocabolario del Nisseno, pur consapevole dei limiti di un’analisi lessicografica. L’utilizzazione e la trasformazione di categorie stoiche (akolouthía; tropé) da parte di Gregorio per esprimere il suo concetto di tempo e di storia conducono Daniélou a ricostruire il suo pensiero non solo sull’essere ma anche sul tempo, cioè la sua teologia della storia. Egli, dunque, svolge la sua ricerca tenendo presenti l’intera produzione di Gregorio e la letteratura critica al riguardo, ma si concentra su un versante parziale, quello del vocabolario, per arrivare ad elementi di sintesi, ritenendo i lessemi indagati capaci di dischiudere il pensiero complessivo di questo autore. Si tratta di termini chiave, capaci di organizzare e sistematizzare il pensiero del Nisseno: il verificare se l’intuizione di Daniélou sia confermata dai testi è un’altra questione, tuttavia per il teologo gesuita è possibile avvalersi di dati storico-letterari per arrivare a un sistema teologico coerente e unitario. Questa consapevolezza appare in tutta la sua chiarezza nell’introduzione all’opera, in cui afferma di vedere in Gregorio un autore che attraverso “brevi scritti d’insieme” è stato capace di costruire “[una] visione d’insieme, con la sua peculiarità sistematica”. Daniélou ritrova queste caratteristiche analizzando le diverse influenze filosofiche e religiose che animarono la riflessione di Gregorio e, in seconda battuta, mettendo in luce che la sua opera “rimane pur sempre una sintesi originale, molto esatta nei suoi collegamenti principali”. Lo studio del lessico lo porta a cogliere la sintesi gregoriana come una filosofia dell’essere e del tempo, ovvero a mettere in luce il tratto originale del suo pensiero che consiste nella coordinazione di questi due aspetti. Ciò che più conta per la nostra ricerca, però, è l’indicazione di metodo in cui Daniélou teorizza il suo modus operandi: dallo studio analitico di alcuni vocaboli ricorrenti (storico-letterario) arriva a trovarne due particolarmente significativi “per esprimere la sua concezione del tempo e dello spazio”, cioè akolouthía e tropé. Mentre conferma con questo saggio l’influenza filoniana sul pensiero del Nisseno e contemporaneamente ne fa emergere l’originalità, Daniélou ritiene di non essere arrivato alla sintesi del pensiero del suo autore – il metodo seguito per sua stessa ammissione è parziale –, ma pensa di averla resa possibile con uno studio non preconcetto delle sue fonti. Al riconoscimento dei limiti della ricerca, però, segue una dichiarazione sul lavoro svolto che ci illumina: “Pensiamo che questi materiali non si presentino in modo inorganico, ma che il loro raggruppamento indichi già alcune linee d’insieme. Essi si sono riuniti intorno a tre aspetti principali, che costituiscono le maggiori suddivisioni del libro: la struttura dell’universo, la natura dello spirito, la crescita dell’uomo. In conclusione, vorremmo dire che ci auguriamo che questo lavoro storico sia anche un contributo al rinnovamento del pensiero filosofico del cristianesimo”. L’opera di Gregorio che gli appare “esemplare […], perché unisce l’arditezza della ricerca all’attendibilità della fede”, diventa paradigmatica anche nell’ispirare la teologia patristica di Daniélou che, seguendo il criterio dell’akolouthía, parte dalla coerenza testuale per arrivare alla scienza del reale, ovvero a una visione d’insieme del mistero cristiano.
Ci sembra di aver posto le premesse, attraverso questa discussione purtroppo desultoria dell’opera di Daniélou, per studiare il suo metodo teologico formatosi sotto la spinta della riflessione del Nisseno, capace di far emergere la consequenziale unità e organicità del mistero, senza per questo dover cedere alla creazione di sistemi chiusi e onnicomprensivi.
La necessità di una visione d’insieme, insita peraltro nel mistero cristiano, è stata reclamata da altri autori, anche in ambiti non propriamente teologici. Una voce autorevole a questo proposito è quella di Joseph Ratzinger, che in questo simposio è accostato alla figura di Daniélou. Nell’ambito di un convegno tenutosi a Parigi e Lione nel 1983, l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede mise a tema la necessità di un insegnamento sistematico della dottrina cristiana nella catechesi.22 Anzitutto notò che, se la composizione del catechismo come libro risale al tempo della Riforma, in realtà la trasmissione dei contenuti della fede, inseriti in una struttura coerente e unitaria, risale al catecumenato. Questo mette radicalmente in discussione la tendenza pastorale odierna che ha fatto propria l’ipertrofia del metodo rispetto al contenuto, tipica nella pedagogia contemporanea, insieme all’idea marxista di subordinare la teoria alla prassi e al fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso. In conclusione, afferma Ratzinger, questa modalità di insegnamento fa perdere di vista l’unità del mistero di fede e la possibilità di costruire relazioni strutturate fra i diversi articoli del Credo. Proprio Benedetto XVI, che non esitò ad attribuire il titolo di teologo a Daniélou, ci ha fatto pensare a questa esigenza che, messa in luce nella catechesi, deve crescere a partire dalla teologia.23 Ma come tenere insieme l’esigenza di andare alle fonti e quella di essere attenti al pensiero contemporaneo, senza umiliare l’intrinseca necessità di una soluzione sistematica del pensare teologico? La teologia patristica, che Daniélou studia e imita nella sua riflessione sul mistero cristiano – il ressourcement diventa nelle sue mani sorgente di rinnovamento anche del metodo teologico –, non è sistematica in quanto crea un sistema che organizza e limita il mistero divino, ma coglie la coerenza di tale mistero e ne fa intuire l’unità, la semplicità e la verità, mostrando la concatenazione armoniosa dei membra che a prima vista si presentano disiecta a colui che lo indaga. Nelle mani del teologo Daniélou l’akolouthía come elemento filosofico per la costruzione della teologia della storia della salvezza (corpo mistico) e della teologia mistica e sacramentale (vita spirituale in tre tappe) diventa una categoria capace di far assurgere la sua indagine al rango di pensiero cristiano unitario, cioè sistematico.
1M.-J. Rondeau, Jean Daniélou théologien, in J. Fontaine (ed.), Actualité de Jean Daniélou, Éditions du Cerf, Paris 2006, 127-136.
2Ibidem, 152.
3Ibidem, 137.
4Ibidem, 137.
5Ibidem, 139.
6J. Daniélou, Il segno del Tempio ovvero della presenza di Dio (1942), Morcelliana, Brescia 1953, 7.
7Ibidem, 52. Si può anche ipotizzare, pur senza precisi elementi al riguardo, che lo schema degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola abbia influenzato la tendenza a ricondurre a unitaria coerenza il percorso del cristiano nell’unità semplice e armonica di Dio: B. Pottier, Le Grégoire de Nysse de Jean Daniélou. Platonisme et théologie mystique (1944): Eros et agapé, «Nouvelle revue théologique» 128 (2006) 262.
8Rondeau, Jean Daniélou, 148.
9J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Essai sur la doctrine spirituelle de saint Grégoire de Nysse, Aubier, Paris 1944.
10Cfr. Pottier, Le Grégoire de Nysse, 258-273: “Tous les spécialistes ont critiqué cette manière dont Daniélou systématise Grégoire et ils n’ont pas tort sans doute” (262).
11Pottier, Le Grégoire de Nysse, 262, 267-271.
12J. Daniélou, Gli orientamenti attuali del pensiero religioso (1946), in G. Pasquale, Jean Daniélou, Morcelliana, Brescia 2011, 101.
13Ibidem, 101-103, 117.
14“Un primo tratto importante del pensiero religioso contemporaneo è il fatto che si è ripreso contatto con le fonti essenziali che sono la Bibbia, i Padri della Chiesa, la liturgia. Certamente questo contatto, teoricamente, non è mai stato perso. Ma dopo il tredicesimo secolo la teologia, che fino a quel momento era stata essenzialmente commentario della Bibbia, si è costituita come scienza autonoma. Autonomia che fu, a suo tempo, fattore di progresso. Ma ne è conseguita una rottura progressiva fra l’esegesi e la teologia – sviluppandosi ciascuna disciplina secondo il suo proprio metodo –, e un progressivo impoverimento della teologia stessa. Il protestantesimo manifesta un violento ritorno alla Bibbia, a condanna di una teologia puramente scolastica”. Ibidem, 105.
15Ibidem, 107.
16Ibidem, 123.
17Pasquale, Jean Daniélou, 126.
18Girolamo, In Hab. 2, 3, 1. Cfr. Introduzione, in S. Mantelli (a cura di), Girolamo. Commento al profeta Abacuc, c.d.s.
19J. Daniélou, Akolouthia chez Grégoire de Nysse, «Revue des Sciences Religieuses» 27 (1953) 239 in riferimento a Or., Princ. 4, 2, 9; CIo. 20, 12; 10, 26.
20Ibidem, 219-249.
21J. Daniélou, L’être et le temps chez Grégoire de Nysse, Brill, Leiden 1970.
22J. Ratzinger, Transmission de la Foi et sources de la Foi, in D.J. Ryan, J. Ratzinger, G. Daniels & F. Marcharski, Transmettre la foi aujourd’hui, Éditions du Centurion, Paris 1983, 41-61.
23“Comment ne pas évoquer la figure de ce théologien de la Compagnie de Jésus”. Rondeau, Jean Daniélou, 11