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Ror Studies Series | Storia e mistero

Il mistero della storia secondo Joseph Ratzinger

Ludwig Weimer

Pontificia Università Lateranense, Roma

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È possibile mettere a punto una teologia sistematica della storia partendo da quanto afferma Joseph Ratzinger sulla storia? Sì, se ne possono effettivamente mettere insieme, senza obblighi, le componenti, analogamente a come Ratzinger ha posto la teologia di Bonaventura a mo’ di seconda vetta accanto a quella di Tommaso. Ma è consentito farlo anche dopo avergli visto manifestare un’esplicita avversione nei confronti delle moderne ambizioni sistematizzanti, approvando al massimo una sintesi aperta, come è l’opera omnia di un von Balthasar?1 Si tratta tuttavia di una diffidenza rivolta in primo luogo a una sintesi prematura di fede e ragione; una ragione ridotta alle scienze naturali oppure hegelianamente politicizzata, vale a dire appartenente a un illuminismo ancora imperfetto. La questione è troppo allettante perché il progetto implicito ratzingeriano di una teologia della storia resti celato. Le sue componenti sono evidenti e interconnesse:

  1. dall’amore di Dio per il mondo degli uomini discende la rilevanza positiva della storia come luogo della concretizzazione;
  2. il fine, malgrado ogni non-ancora, è già raggiunto (escatologia cristologica del presente);
  3. esso può e deve essere continuamente presentificato dalla Chiesa, e non solo sul piano liturgico;
  4. entro il tempo che continua a scorrere, l’azione di Dio resta tuttavia in incognito agli occhi del mondo;
  5. l’agire di Dio fin dentro la materia avviene infatti, in un realismo scandaloso, grazie alla fede e all’amore degli uomini nel popolo di Dio.

Adventus medius

Nell’ottica della prossimità di Dio nello spaziotempo, per Ratzinger si dà una triplice parusia di Cristo: la comparsa del Figlio di Dio in Israele nella carne, il suo ritorno nella gloria alla fine della storia universale e, nell’epoca della storia della Chiesa, il cosiddetto adventus medius. L’“avvento medio”, la presentificazione di Gesù nell’epoca della Chiesa,2 è un’idea ancora poco familiare al normale cristiano. Ma è l’asse della teologia della storia, il miracolo non pianificabile di una parziale riforma della Chiesa.

Ratzinger ha rappresentato l’adventus medius alla fine della sua opera su Gesù: la teologia dell’avvento della duplice venuta di Cristo è a suo avviso carente. Sul piano verbale, la dottrina del terzo avvento risale a San Bernardo di Chiaravalle, che lo definì un avvento “in Spirito e forza”.3 Di per sé è fondata nell’escatologia del presente del vangelo di Giovanni. La tradizione ha sempre saputo delle molte modalità di questo “avvento medio”: nella Parola, nei sacramenti, in particolare nell’eucarestia, e in eventi della vita e della storia.

Ratzinger prosegue creativamente su questa strada, enucleandone una formula della sua teologia della storia: “Ci sono tuttavia anche modalità epocali di questa venuta. L’attività delle due grandi figure di San Francesco e San Domenico, nel XII e XIII secolo, fu uno dei modi in cui Cristo rifece il suo ingresso nella storia rimettendo al centro la Sua Parola e il Suo amore; un modo per rinnovare la Sua Chiesa e trarre la storia a sé. Cose analoghe possiamo dire dei santi del Settecento: Santa Teresa d’Ávila, San Giovanni della Croce, Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio portano con sé nuove irruzioni del Signore nella intricata e ormai distante storia del loro secolo. Il Suo mistero, la Sua figura assumono una forma nuova, e soprattutto: la Sua potenza, capace di trasformare gli uomini e plasmare la storia, si fa presente in modo nuovo. […] Perché mai non dovremmo pregarlo di donare ancora oggi nuovi testimoni della Sua presenza, nei quali è Lui stesso a venire? E questa preghiera, che non guarda immediatamente alla fine del mondo e pure è vera preghiera per la Sua venuta, ha in sé tutta la portata della preghiera che Lui stesso ci ha insegnato: ‘Venga il tuo regno!’”.4

Due sono le domande che risultano da tutto questo:

  1. In che relazione stanno la (sempre inattesa) presentificazione della prossimità di Dio – presente una volta per tutte in Gesù – per mezzo di riformatori e santi da un lato e le modalità durevoli e costanti della presenza di Cristo nell’evangelo, nell’Eucarestia, nella Chiesa Corpo di Cristo e nei più poveri dall’altro?
    Si tratta di un dono supplementare che va ad aggiungersi al permanere di Cristo tra noi nei ministeri e nei sacramenti, al far memoria con la lettura dell’evangelo e ai poveri, che avremo sempre con noi.
  2. Qual è il rapporto tra la storia della salvezza dello strumento Chiesa e la storia universale? L’adventus medius storico-teologico, infatti, pare essere raro come è raro un segno profetico e tanto poco pianificabile quanto una nuova Pentecoste.

La visione profetica della storia della salvezza e della storia universale

Come vede Ratzinger il rapporto tra storia universale e storia della salvezza? Nella lezione del 1967 Einführung in das Christentum (“Introduzione al cristianesimo”) si augurava di capire “come riesce l’argomento ‘Dio’ a caratterizzare tutta la storia dell’umanità”.5 E qual è, a suo parere, la realtà dell’affermazione secondo cui Cristo, alfa e omega, si trova al centro della storia del cosmo? Se solo la Chiesa sa – alcuni teologi contestano anche questo – che nell’ebraismo e nel cristianesimo ci sono stati momenti unici di affermazione come il già dell’eternità in mezzo al tempo o come la relazione tra i due attori Dio e uomo?6 Parlare di grandi gesta di Dio nella storia universale presuppone che queste non siano proiezioni di un pensiero speculativo, ma storia in carne e ossa, anche cruenta. Anche se occhi estranei non possono coglierne tutto il senso, su su fino all’incognito della theologia crucis, la potenza della fede non può non farsi visibile, almeno in parte, nella testimonianza dei cristiani.

Persino quelli che sembrano colpi sferrati dal mondo contro la Chiesa possono trasformarsi, in verità, in un aiuto a Dio, una volta riconosciutone il senso nella Chiesa e avviata una riforma. Nel noto discorso al Konzerthaus di Friburgo, papa Benedetto XVI se ne mostrava convinto: “In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore”, dove le secolarizzazioni sono, spiega, “l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili”.7

La dimensione storica, il peso della storia, è per Ratzinger tanto importante da individuare nella diversa enfasi conferita al “modo in cui la storia e lo spirito si rapportano nella struttura della fede”8 la differenza tra il proprio approccio e quello di altri teologi, come ad esempio Karl Rahner. Ovviamente tutti partono dal presupposto che Dio si possa comunicare soltanto nella storia, dal momento che i soggetti umani lo devono poter comprendere; che, dunque, in gioco ci siano sempre anche luoghi ed eventi. Ma già quando si trattò di discutere dei testi conciliari Ratzinger capì, spiega, “che Rahner ed io […] vivevamo su due pianeti diversi”.9 Studiando il concetto di rivelazione in Bonaventura – che questi ancora non conosceva in quanto tale, parlando piuttosto di evento storico-salvifico – aveva compreso che la rivelazione è più grande della parola scritta: è qualcosa di vivo, un processo che avviene nel popolo di Dio: “Il suo scopo è sempre raccogliere gli uomini, unirli”.10

La storia di Dio con gli uomini

Ratzinger ha sempre sottolineato come la Chiesa non si basi sulle istituzioni, bensì sulle persone. Egli predilige, a mo’ di formula, il concetto aperto e universale di “storia di Dio con gli uomini”, un’espressione che compare già nel 1961 nell’articolo Christozentrik in der Verkündigung? (“La predicazione deve essere cristocentrica?”): “La predicazione cristiana non racconta semplici storie, ma annuncia come tale una storia, cioè la storia di Dio con gli uomini”.11 Nel 1968, nella Einführung in das Christentum puntualizza sul terzo articolo del Credo: “La dottrina sulla Chiesa deve trovare il suo punto di partenza nella dottrina sullo Spirito Santo e i suoi doni. Ma il suo scopo è una dottrina della storia di Dio con gli uomini o della funzione della storia di Cristo per l’umanità nella sua totalità”.12 Cristo è dunque fulcro e unità di misura, e questo vale per ogni cosa, dentro e fuori la Chiesa, anche per come si interpreta la secolarizzazione, e a maggior ragione per i sacramenti. Anche se per Ratzinger l’importanza degli elementi del pane e del vino per il sacramento è fondata a partire dal primato della storia rispetto alla cultura, ciò che è vincolante della forma storica, egli utilizza l’espressione “storia irripetibile di Dio con gli uomini in Gesù Cristo”.13

La redenzione tramite l’“autoprodigalità di Dio” nella morte di Cristo per noi è a suo parere già delineata nella legge intrinseca della creazione: “La sovrabbondanza è l’impronta di Dio nella sua creazione. […] La sovrabbondanza è però, al contempo, la vera base e la forma della storia della salvezza”.14

Joseph Ratzinger mette indubbiamente in evidenza il linguaggio di Dio già nella creazione, l’etica per tutti gli uomini leggibile a partire dalla natura delle cose. Il mondo, per così dire, è ricolmo di pensieri di Dio.15 Ma gli uomini sono anche liberi di poterli leggere?

In dialogo con Paolo Flores d’Arcais egli aggiorna l’ottica cattolica in rapporto al movimento ecologico: “La natura porta in sé un messaggio che dobbiamo ascoltare”.16 Ma il parlare di Dio, o meglio – visto che è uno sguardo della Chiesa, quasi, con gli occhi di Dio17 sul mondo – l’ascoltare il linguaggio di Dio negli eventi della storia ha un significato tanto rilevante quanto differenziato.18

In una predica tenuta da arcivescovo di Monaco in occasione dell’anniversario del predecessore sulla cattedra episcopale in epoca hitleriana, Ratzinger declina così la questione: è “ora di chiedersi che cosa voglia dirci il Signore attraverso i suoi testimoni, come oggi ci interpelli e ci orienti in modo nuovo a sé. Che cosa ci dice oggi per bocca del suo testimone Faulhaber?”. Nel 1910 Faulhaber aveva scelto il motto episcopale Vox temporis, vox Dei, ma era giunto il momento di vivere l’altra faccia del motto, di “resistere, fedele alla voce di Dio, a quella che voleva essere la voce dei tempi”, di protestare contro l’asservimento della fede alla razza e al popolo.19

Nella sua autobiografia Ratzinger chiama “segno dei tempi” gli sconvolgimenti del ’68 nelle università, il mutamento di pensiero con Heidegger da Bultmann al marxista Bloch.20 Colpisce, in entrambi i casi, il fatto che Ratzinger cerchi di orientarsi non sul piano della spiritualità del singolo, in una ricerca della volontà di Dio posta nella dimensione individuale e nella vita concreta, ma avendo davanti a sé, nell’orizzonte del bene globale, la fede di tutti e della Chiesa. Chi conosce un po’ Ratzinger sa però quanto forti sono i suoi rimandi anche a una fede personale e praticata nella Provvidenza.

Escatologia del presente

La componente più rilevante della teologia ratzingeriana della storia, tuttavia, è la concezione dell’oggi nel tempo successivo a Cristo, basata su un’escatologia del presente o realizzata. Sulla cristologia si fonda ogni cosa, dal momento che essa mostra, spiega Ratzinger, “la preoccupazione di Dio per il tempo in mezzo al tempo”.21 Ratzinger trova un alleato tra gli studiosi di Nuovo Testamento soltanto in Charles Harold Dodd, con la “realized eschatology” di cui parla il suo libro sulle parabole gesuane del Regno di Dio, e in particolare della necessità di vigilare per la presenza divina.22 In ultima analisi, Dodd e Ratzinger hanno rivoluzionato il pensiero sull’apocalittica e l’escatologia fino ad oggi dominante con la scoperta che Gesù non predicava un’attesa particolarmente vicina e inquieta, ma non aveva fatto che prendere sul serio la volontà di Dio di essere vicino al Suo popolo, presente nella sua vita. Così, la Chiesa e l’Eucarestia devono diventare “sacramento di un’escatologia realizzata”.23 Ragiona Ratzinger: “Ai cristiani fu data la gioia inaudita di un futuro che è divenuto presente, poiché ora sta accadendo l’inconcepibile: i pagani cadono davvero in ginocchio”, il pellegrinaggio escatologico dei popoli ha avuto inizio.24

Una delle conseguenze di questa escatologia del presente è la ripresa dell’idea paolino-giovannea (Fil 1,21; Gv 3,16-21) che la vera divergenza non sia tra vita e morte, ma “tra essere con Cristo ed essere senza di Lui o contro di Lui”. La morte vera e propria, il trapasso, è dunque il battesimo.25

Che significato ha l’attesa del ritorno di Cristo nel Giorno del Giudizio26 per l’atteggiamento del cristiano nell’oggi? Non è consentito speculare sui segni premonitori. L’atteggiamento giusto verso “il particolare relazionarsi del Risorto rispetto al tempo mondano” non è neanche – letteralmente – la “filosofia o teologia della storia, bensì la ‘vigilanza’”.27 Ratzinger si confronta qui con Jean Daniélou, sposandone l’ottica, che spiega il problema partendo dal retaggio della duplice attesa ebraica, la speranza nazionale e quella trascendente, e risolvendolo con la teologia di Calcedonia. Le due linee – il Messia terreno e l’intervento di Dio – sono comunicate storicamente in Cristo.

L’equilibrio di Daniélou, secondo Ratzinger, mostra l’unità interna tra le componenti umane della storia e il tutt’altro di essa. È interessante, ritiene, che la vigilanza cristiana non si aspetti qualcosa di simile a una suprema maturità storica – segno della transizione verso la fine –, ma debba tenere conto della decadenza della storia, della sua inettitudine, del suo opporsi al Regno di Dio, di guerre e catastrofi.28

L’escatologia del presente non può non affermare che la parusia avviene già adesso, nella liturgia. Non si tratta di sfuggire dal mondo reale, e lo si può dimostrare: “La Chiesa, nella liturgia, per così dire nell’andare con Lui [sc. il cosmocratore Cristo], deve preparargli nel mondo delle dimore. La tematica della vigilanza si approfondisce così nel compito concreto di far diventare reale la liturgia, finché è il Signore stesso a conferirle quell’ultima realtà”.29

Ratzinger ha chiarito la discussione in tre punti:

  1. La sua visione può trasformare in una tensione produttiva la dolorosa separazione tra il centro della storia in Cristo e la fine di essa.
  2. Qui il compimento anticipativo di Gesù si accompagna alla cosiddetta “riserva escatologica”; resta spazio per il destino di tutta l’umanità e della materia, il permanere di mondo e tempo assume un significato positivo, e non è necessario rinunciare all’aspetto della “attesa vicina”.
  3. In questo modo, l’attesa del mondo nuovo è anche messa al riparo dal rischio di essere indebitamente trasformata in utopia politica.30

Parlare di un’escatologia del presente significa mettere in evidenza che la storia della salvezza va avanti, anche nell’ora attuale. Ratzinger fu favorevolmente colpito da due studi dell’esegeta Oscar Cullmann, Christus und die Zeit (“Cristo e il tempo”) e Heil als Geschichte (“La salvezza come storia”), i quali enucleano la coscienza dei primi cristiani di essere strumenti di una storia con Dio, “di portare avanti ogni giorno la divina storia di salvezza, di essere organo del divino avvenimento salvifico, di aver parte a un evento che è evento di salvezza tanto quanto lo fu ciò che avvenne prima dell’Incarnazione e lo sarà la porzione escatologica di là da venire”.31 Il che significa, secondo Cullmann, per l’idea di Chiesa e per l’oggi:

“Se la fine dell’epoca apostolica avesse il senso di un’interruzione della storia della salvezza fino agli eventi ultimi, ciò che avviene nel presente non si troverebbe più sullo stesso piano storico di ciò che è avvenuto nella Bibbia. […] Ma così andrebbe anche perduta tutta la dinamica grazie alla quale ci sappiamo inseriti nella Chiesa, oggi, nell’immenso flusso di un evento di salvezza e grazie alla quale a noi si svelano nessi profondi anche di quanto accade nel cosiddetto tempo profano”.32

Sono proprio affermazioni di un esegeta protestante come queste a spingerlo a dare cattolicamente prosecuzione alla “attesa vicina” del cristianesimo primitivo in quanto storia della salvezza che avviene anche oggi. Un’ottica verificata e purificata con lo studio di Bonaventura e del Movimento Francescano. Ratzinger stila i criteri di una ortoprassi: che una parte della Chiesa interpreti la propria storia è cosa consentita e anzi necessaria, ma va inserita in modo corretto nella Chiesa universale. I riformatori ecclesiastici non potranno mai sostenere che è solo con loro che ha di nuovo inizio la vera Chiesa; devono ammettere che c’è già sempre il tutto e al contempo un non-ancora, e che sarà sempre così; è questa l’“attesa vicina” correttamente intesa.33

In un’escatologia del presente “l’attesa escatologica non contiene in sé l’idea di un compimento interno della storia; esprime anzi l’impossibilità di un compimento interno del mondo”.34

Presentificazione

Ma come è possibile una presenza imperitura di Gesù nella storia che sia davvero un permanere della sua persona e figura e non solo culto della memoria, immedesimazione di storico, beato guardarsi indietro, culto di ciò che è stato ma non c’è più? E se poi è tanto intensa come “la straordinaria nuova presentificazione di Cristo nella figura di San Francesco d’Assisi”?35 In modo che il “nuovo, parificato criterio di interpretazione” della Scrittura possa essere, accanto ai Padri della Chiesa, il populus sanctus, il popolo santo di Dio di oggi, cioè un discorso della montagna vissuto?36

Non basta pensare a una presentificazione che avvenga esclusivamente all’interno di una liturgia che resta nel “più o meno” religioso dell’applicazione delle letture oppure di un sacramento concepito magicamente.37 Ratzinger vede la liturgia storico-salvifica, efficace fin nella vita, in questo modo: il legame con l’unico evento originario, l’elemento incarnatorio-cristologico, e la permanente presenza di Cristo nello Spirito, la componente cristologico-pneumatologica, ne rendono possibile la presenza sacramentale, il “sempre” del sacramento. Alla Chiesa è così data al contempo continuità e vivacità.38

Nei grandi atti di Dio c’è qualcosa di unico, ma anche l’“ancora” di un recuperare sempre nuovo. Della morte di Cristo in croce dice: “Questo atto di misericordia è tutt’altro che un mero evento spirituale. È un atto spirituale che assume in sé la corporeità […], che oltrepassa il tempo ma, provenendo a sua volta dal tempo, rende sempre possibile recuperare in esso il tempo. Ecco perché è possibile una simultaneità […]. Lo ephapax (“una volta”) è legato allo aionios (“sempre”). L’oggi abbraccia tutto il tempo della Chiesa.39

La fecondità dell’unico, il poter recuperare sempre nuovo si basano essenzialmente sull’accoglienza da parte del soggetto, cioè sull’apertura di cuore di coloro che, oggi e qui, sono raccolti a celebrare. Essi devono accogliere le parole dell’evangelo da seguaci di Gesù nell’oggi. E la vocazione li porta, a livello sacramentale ed esistenziale, sotto la croce, come se il tempo che li divide da essa non fosse passato. L’Eucarestia li rende il Corpo di Cristo nell’oggi: divengono un noi, presentificano in ciò che fanno l’evento di Gesù. La “liturgia cosmica” non è una fantasia o un’evocazione, ma un aspetto del nuovo culto che sfocia in una responsabilità universale.

Acqua, olio d’oliva, pane di frumento e vino sono elementi sacramentali che non si possono sostituire con doni provenienti da altre culture. È qui che si fa infatti visibile, afferma Ratzinger, il primato della storia, che è la storia irripetibile di Dio in Israele.40

Presentificare la vita di Gesù e il suo sacrificio sulla croce significa che l’antico evento storico, essendo il centro del tempo e il precompimento dello scopo, non è obsoleto, ma è in grado di fondare sempre nuova storia.

Nel 2012 Benedetto XVI ha definito l’episodio dell’arresto e rilascio di Pietro e Giovanni, raccontato in At 4, “piccola Pentecoste”, interpretandolo in questo senso.41 Per Luca è per così dire la prima nuova presentificazione del miracolo dell’invio dello Spirito, riferito nel secondo capitolo. Gli Apostoli, vittime di persecuzione, raggiungono uno stato di limpidezza; il tutto inserito nella lotta della comunità in preghiera, che prega non per sopravvivere all’emergenza o alle vendette, bensì per il coraggio dell’annuncio. Benedetto: “In un primo momento essa cerca tuttavia di comprendere l’accaduto in tutta la sua profondità, di leggere gli eventi alla luce della fede”. Il salmo 2, “Perché le genti congiurano?”, li porta alla comprensione della realtà del mondo anche dopo la vittoria di Gesù. “L’opporsi dei potenti alla potenza di Dio si dipana come un filo per tutta la storia”. Il Crocifisso è la chiave per comprendere la persecuzione. Il papa inquadra questo testo nella propria teologia della storia con queste parole: “Questa prima comunità non era una semplice associazione, ma una comunità che vive in Cristo, per cui tutto ciò che le accade è parte del piano divino. Come Gesù, anche i suoi discepoli trovano resistenze, incomprensioni, persecuzioni. Con l’aiuto della preghiera, dell’osservanza della Sacra Scrittura alla luce del mistero di Cristo, la presenza può essere intesa come parte della storia della salvezza realizzata da Dio nel mondo, come parte imprescindibile del mondo”.

Benedetto non manca di ricordare anche la parte visibile del senso nascosto, detto il “braccio di Dio”. Devono accadere guarigioni, segni e miracoli, “in modo dunque che la bontà di Dio si faccia visibile come una forza che muta la realtà, il cuore e la vita degli uomini, annunciando la radicale novità dell’evangelo”. E sottolinea: “La fede ha dunque la forza di cambiare la terra e il mondo. […] Questo è il frutto della preghiera corale della comunità cristiana”. Così, anche l’odierna “storia personale e collettiva” va osservata dalla prospettiva divina.42

La causalità nell’agire di Dio nella storia

“L’agire divino è sempre agire divino-umano, cioè un agire trasmesso attraverso un altro essere umano (il Dio-uomo Gesù Cristo e la sua corporeità)”; nella Chiesa l’io agisce non più come io, ma nel noi in quanto parte del Corpo di Cristo, spiega Ratzinger.43

Tra gli scritti ratzingeriani c’è un breve testo di sintesi sistematica sugli effetti dell’agire di Dio. Il contesto è la questione di come viene esaudita una preghiera. Come interviene Dio nello spaziotempo?

“Ma come va pensata la via dell’esaudimento? Se cerchiamo di ottenerla nella più succinta brevità, la risposta potrebbe essere di questo tenore: in Gesù Dio ha parte al tempo. Nell’aver parte al tempo egli agisce in quanto amore dentro il tempo. Il suo amore agisce come purificazione dentro l’uomo; come spazio di identificazione diventa unione, resa possibile grazie alla purificazione (e non in qualche altro modo). In altri termini, con l’aver parte di Dio al tempo in Gesù l’amore diventa efficace nel mondo come causa, come cagione, capace di cambiare il mondo e di intervenire in esso ovunque e in ogni tempo. L’amore è causa, una causa che non supera l’ordine causale meccanico, ma si serve di esso e lo accoglie in sé. L’amore è il potere che Dio ha nel mondo. Pregare significa mettersi dalla parte di questa causalità, la causalità della libertà contro il potere della necessità. È questo il nostro compito supremo di cristiani: essere uomini oranti”.44

In un testo denso come questo è importante notare in primo luogo che non vi è la formulazione generica secondo cui Dio agisce là dove un uomo ama, ma si afferma che l’interazione tra Dio e uomo è fissata nell’uomo-Dio, cioè nella dimensione divina. Non l’umanesimo, ma la purificazione, la redenzione dell’uomo e il riflesso dell’amore di Dio portano Dio ad agire nel mondo. E, in secondo luogo, la formula classica per definire il rapporto tra natura e grazia viene applicata alla questione dell’intervento divino: il liberante atto d’amore non supera l’ordine causale naturale, ma lo utilizza e lo compie. Applicando al tema della teologia della storia quanto è stato definito in relazione all’esaudimento delle preghiere, c’è un terzo elemento che colpisce: che Dio può intervenire nella storia universale in ogni momento e in ogni luogo in tutta la densità e forza dello Spirito di Gesù, ogni volta che ci siano cristiani purificati, oranti, in dialogo con Dio.

Dio agisce dunque attraverso gli uomini. Ma questi devono essere liberati, purificati, in modo da imitare l’amore di Gesù e di Dio. Il potere che muove le azioni di Dio è l’amore; un amore che non è misterioso, mitico-magico, né deve limitarsi a interventi sporadici. Un amore, d’altra parte, che non è nemmeno un amore umanizzato-panteistico e meramente intramondano. Esso presuppone luoghi in cui i cristiani diventano una cosa sola con la volontà di Dio e prestano così le proprie mani a Lui.

Ratzinger presuppone un’unità di teologia della creazione e teologia storico-salvifica della redenzione, e anzi un’unità finale tra escatologia e protologia. Il tempo della storia universale non è uno spazio che Dio ha abbandonato, ma la storia del Suo amore per la creatura che ha lasciata libera.

Il testo citato fu stampato nel 1981. Possiamo prendere a mo’ di complemento una versione più recente, del 2005, sorta nell’ambito della tematica “Nascita da una vergine e tomba vuota. Una puntualizzazione”:

“Dio è vivo, e questo significa che è un Dio che agisce, che ascolta e che parla. È il Creatore. […] Non è un Dio arbitrario. Egli rispetta le leggi della creazione e la libertà dell’uomo, che egli stesso ha voluto. Ma non è nemmeno un Dio impotente, con un ruolo puramente ‘spirituale’, ‘esistenziale’. […] La questione è se la fede penetri davvero nella storia, se la materia sia sottratta al potere di Dio o meno, se Dio sia Dio ed abbia agito davvero nella storia fino dentro alla corporeità, dimostrandosi Signore della morte, che è in fondo un fenomeno biologico, un fenomeno del corpo. La questione è insomma se ci fidiamo di Dio e possiamo vivere e morire sul fondamento della fede”.45

Il testo ha quasi la stessa struttura: come base imposta la teologia della creazione e la cristologia, ed esige anche il “noi” dei credenti. Dalla differenza tematica risulta un diverso mediatore tra natura e grazia. Nel primo testo esso era l’amore degli uomini, attraverso il quale Dio interviene nel mondo senza abolire l’ordine causale; qui si tratta invece della cristologia stessa, del natus ex Maria virgine e della resurrezione corporale di Gesù. Qui si definisce la fede cristologica di una cristianità credente, in un linguaggio che sembra abolire consapevolmente l’ordine causale naturale, per poter dare espressione con più contrasti che analogie al miracolo del dono, della persona divina del Redentore.

Nell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI ha scritto, da papa, una piccola teologia della storia, che corregge estesamente una fede vissuta a livello meramente individualistico e spirituale. Il comandamento di forgiare il mondo, cioè di intervenire nella storia, è reso manifesto proprio nei monaci, che da operai della terra hanno nobilitato il lavoro (n. 15).

L’enciclica ammette come una concezione ridotta di pietà sia stata corresponsabile del fatto che l’amore nei confronti del mondo si è rivolto a ideologie di speranza del tutto diverse e meramente terrene (nn. 16-22). Afferma: “È necessaria un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno” (n. 22). È vero che, “poiché l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato” (n. 24b), ma che, “d’altra parte, dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito” (n. 25).

Sulla cooperazione con Dio si afferma: “Il regno di Dio è un dono […]. Tuttavia, con tutta la nostra consapevolezza del ‘plusvalore’ del cielo, rimane anche sempre vero che il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia” (n. 35). Nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, papa Benedetto XVI ha detto in merito alla catastrofe dell’uccisione di sei milioni dei nostri fratelli maggiori: “Il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell’egoismo, della paura degli uomini, dell’indifferenza e dell’opportunismo”.46

L’agire in incognito di Dio e il problema di Israele

Del nascondimento di Dio nella storia, il minimo lo si può dire ricorrendo ad alcune citazioni provenienti dall’excursus sugli elementi costitutivi della dimensione cristiana presente nella Einführung in das Christentum. La terza struttura è detta Das Gesetz des Inkognito, “La legge dell’incognito”. Nella seconda Ratzinger aveva presentato il “per” dell’amore come luogo in cui si palesa il divino nel mondo. E ora afferma che “conseguenza” di tale fatto è “che l’essere-totalmente-Altro di Dio […] divent[a] totale alterità, radicale inconoscibilità di Dio. Significa che l’essere nascosto di Dio, ammesso dall’uomo come ovvio, assum[e] ora la scandalosa forma della sua tangibilità e visibilità in quanto Crocifisso. […] A questo proposito, in tutta la Bibbia ci si imbatte continuamente nell’idea di una duplice modalità di manifestazione di Dio nel mondo. Dio si manifesta certamente, in primo luogo, nella potenza cosmica. […] Questa, però, è soltanto una delle maniere in cui Dio si manifesta nel mondo. L’altro segno di presenza, che egli si è imposto e che, mentre più lo nasconde ancor meglio lo mostra in ciò che gli è più proprio, è il segno dell’infimo, che misurato secondo la scala quantitativo-cosmica è completamente insignificante, addirittura un puro nulla. A questo proposito andrebbe citata la sequenza: terra – Israele – Nazaret – croce – Chiesa, nella quale Dio sembra gradualmente scomparire nel più piccolo, rivelandosi, proprio così, sempre più per quello che è”.47

Come ogni teologia della storia, anche quella di Ratzinger è debitrice dell’interpretazione presente nell’Antico Testamento, e non può scindere l’eterna alleanza tra Dio e Israele dalla storia della salvezza.48 Come si potrebbe mai dimenticare il ruolo assunto in Gesù da Israele e dalla conversione all’agire di Dio di tutti gli Ebrei chiamati, e limitarsi a rimetterlo in scena il Giorno del Giudizio?

Ratzinger, nel suo libro sistematico sull’escatologia, ha evitato di far uso di espressioni come “Israele”, “Ebrei” o “Conversione degli Ebrei come segno della parusia”. Al termine di un colloquio del 1983 sull’unità della Chiesa con la rivista “Communio” ha affermato: “Quando saranno finalmente uniti tutti i cristiani? Ritengo sia di fatto impossibile rispondere a questa domanda. Non va infatti dimenticato che vi è anche legata la questione dell’unità tra Israele e la Chiesa”.49 Nel 1994, in occasione di un incontro ebraico-cristiano a Gerusalemme, ha detto: “Ebrei e cristiani devono accogliersi a vicenda in profonda riconciliazione interiore, senza prescindere dalla loro fede o addirittura negarla”.50 Nel 1997, a Parigi, sempre durante un incontro ebraico-cristiano, Ratzinger, ricorrendo a un linguaggio prudente, offre una lettura di Israele come interlocutore permanente del cristianesimo, parlando del ruolo positivo della missione ebraica all’epoca dei cristiani gentili, testimonianza della regalità di Dio in questo mondo atta a impedire lo scacco della storia universale.51

Troviamo dettagliate considerazioni in questo senso anche nel libro intervista Gott und die Welt, “Dio e il mondo”. Alla domanda se l’evoluzione del mondo non sia misteriosamente connessa a quella del popolo ebraico, Ratzinger risponde con un “È chiarissimo”: “Che gli Ebrei siano rimasti Ebrei, che siano restati un popolo anche nei duemila anni in cui erano rimasti senza terra, è un mistero assoluto. […] La fede di questo popolo non è scomparsa, e continua anche ad essere ancora una spina piantata nel cuore della cristianità. […] Il cristianesimo non è una religione diversa dalla religione di Israele, ma è l’Antico Testamento riletto con Cristo”.52 Grazie alla fedeltà di Dio si può dire che “da cristiani crediamo che alla fine ci ritroveremo quali siamo. […] Certo, solo Dio sa con che modalità, quando e come si compirà l’unità tra Ebrei e pagani, l’unità del popolo di Dio”.53 Quella alla domanda sul senso del “nuovo Israele”, cioè dei cristiani, è una risposta articolata: i cristiani “sono, per così dire, l’Israele ‘accresciuto’ […], in modo da aver parte al servizio di Cristo, al servizio di Israele per la storia”.54

Da papa, Ratzinger ha messo ancor di più in evidenza la nuova consapevolezza che Gesù fu e rimase ebreo, intenzionato a radunare nuovamente Israele con l’aiuto di dodici Apostoli e a condurre il popolo di Dio là dove doveva giungere: all’immediata prossimità a Dio,55 nel libro su Gesù56 e nei discorsi.57 Nella terza parte del libro su Gesù, nel prologo, scrive: “Di fatto, nella sua missione di Figlio Gesù ha introdotto una nuova fase del rapporto con Dio. […] Ma questo non è un attacco alla pietà di Israele”.58 Il fatto che Gesù inizialmente si sia limitato a una nuova raccolta di Israele, ponendola come segno per il mondo dei gentili, si accorda alla teologia della storia dei Profeti e dei Salmi. “Pellegrinaggio dei popoli” è un’espressione un po’ imprecisa, visto che ciascuno è sempre e solo chiamato in quanto persona, in quanto singolo. E tuttavia il pellegrinaggio dei gentili a Sion ha cambiato la storia universale degli ultimi duemila anni. Ratzinger ha capito fin dall’inizio che i cristiani stanno tornando ad essere minoranza, “più di quanto non lo siano mai stati dalla fine dell’antichità in poi”.59 Ma anche: “Credo che si possa fare un ragionamento molto concreto sul piano storico-sociologico: se non ci fosse più la Chiesa, se non ci fossero più uomini tesi ad esporsi a tutta la serietà che comporta la fede praticata nella Chiesa, il mondo sarebbe diverso. Se la fede dei cristiani si estinguesse, davvero – lo si può dire senza timore di esagerare – ‘il cielo si abbatterebbe’ sul mondo”.60

1Cfr. P. Hofmann, Offenbarung und Geschichte. Joseph Ratzingers Kommentar zu Gaudium et spes als angewandte Bonaventura-Rezeption, in: M. Schlosser, F.-X. Heibl (a cura di), Gegenwart der Offenbarung. Zu den Bonaventura-Forschungen Joseph Ratzingers (“Ratzinger-Studien” 2), Regensburg 2011, 74-103, in part. pp. 88, 102.

2Il lavoro di Ratzinger su Bonaventura aveva messo in evidenza il suo generale principio di duplicità nell’accoglimento della rivelazione: la rivelazione diviene realtà “in un gioco che alterna ogni volta un evento interno e un evento esterno, un rivolgersi interiore e immediato a Dio e un ammaestramento storico esteriore”. Bonaventura lo chiamava un adventus Christi in mentem e un adventus Christi in carnem (JRGS = “Joseph Ratzinger Gesammelte Schriften” 2, 219-220, 757).

3Bernardo, In Adventu Domini, serm. III,4.V1: PL 183, 45A. 50C-D.

4J. Ratzinger/Benedetto XVI, Jesus von Nazareth. Zweiter Teil, Freiburg-Basel-Wien 2011, 316-317 (Gesù di Nazaret. Seconda parte, tr. it. e cura di I. Stampa, P. Azzaro, Milano 2012).

5J. Ratzinger, Einführung in das Christentum, München 1972, 63 (Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, tr. it. di E. Martinelli, Brescia 200715). Per il padre delle Geisteswissenschaften (“scienze dello spirito”), Wilhelm Dilthey, la questione non doveva invece essere di pertinenza dello storico. Tra gli esponenti dell’interpretazione cristiana faceva, per il medioevo, i nomi di Ottone di Frisinga, Dante e Tommaso, senza Bonaventura, e ne definiva così l’essenza: “Il fondamento è il rapporto tra Dio e il nesso finalistico del mondo posto nella teologia-filosofia, ecc. Qui si pone dunque per la prima volta il principio di un nesso storico universale, colto come nesso significativo o finalistico”. Considerava tuttavia un “difetto” il fatto che “questa teoria” abbia il suo “fondamento in una metafisica religiosa” (W. Dilthey, Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, Frankfurt am Main 1974, 339 [in: Critica della ragione storica, tr. it. e cura di P. Rossi, Torino 1954]).

6Cfr. su J. Daniélou: I. Fuek, Moral – Geistliches Leben, vol. II, Gesetz – Glaube. Split 2004, 307-311.

7Benedetto XVI, In Gott ist unsere Zukunft. Ansprachen & Predigten während seines Besuchs in Deutschland, Leipzig 2011, 146 (vers. it.: http://www.vatican.va/ holy_father/benedict_xvi/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_ 20110925_catholics-freiburg_it.html, verificato il 27 gennaio 2015).

8J. Ratzinger, Aus meinem Leben (1927-1977), Stuttgart 1998, 107 (La mia vita. Autobiografia, tr. it. di G. Reguzzoni, Cinisello Balsamo 1997).

9Ibidem, 131.

10Ibidem, 129.

11«Trierer Theologische Zeitschrift» 70 (1961), 1-14. Citato in: Idem, Dogma und Verkündigung, München-Freiburg i.Br. 1973, 60 (Dogma e predicazione, tr. it. di G. Poletti, Brescia 1974). Qui, nella nota 18, cita i libri e teologi dell’epoca, definendo opera eccellente Heil als Geschichte di O. Cullmann (Tübingen 19672; Il mistero della redenzione nella storia, tr. it. di G. Conte, Bologna 1966).

12J. Ratzinger, Einführung in das Christentum, cit., 246s. Nell’excursus Strukturen des Christlichen leggiamo: “Chiesa e cristianesimo esistono principalmente per la storia, a causa dei nessi collettivi che segnano l’uomo” (178); “Essere cristiani […] è un carisma […] sociale”; “Si è cristiani perché la diaconia cristiana ha senso ed è necessaria per la storia” (179) (tr. it. pp. 238-239).

13Idem, Der Geist der Liturgie, Freiburg i.Br. – Basel – Wien 2000, 192; JRGS 11, 188 (Introduzione allo spirito della liturgia, tr. it. di G. Reguzzoni, Cinisello Balsamo 2001).

14Idem, Einführung in das Christentum, cit., 189 (tr. it. p. 251).

15“In ambito etico, visibile è essenzialmente il messaggio morale presente nella creazione stessa. La natura non è infatti, come sostiene uno scientismo totalitario, un assemblaggio creato dal caso e dalle regole del suo gioco, ma è creazione, nella quale si esprime il Creator Spiritus. Quindi non esistono mere leggi naturali nel senso di funzioni fisiche, dal momento che la vera legge naturale è una legge morale. È la creazione stessa a insegnarci come essere uomini in modo retto. […] La morale che la Chiesa insegna non è una zavorra pensata appositamente per i cristiani, ma è la difesa dell’uomo dal tentativo della sua stessa eliminazione” (Idem, Abbruch und Aufbruch, “Eichstätter Hochschulreden” 61, München 1988, 17).

16P. Flores d’Arcais, J. Ratzinger, Gibt es Gott? Wahrheit, Glaube, Atheismus, tr. ted., Berlin 2006, 62 (orig. Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo, Roma 2005).

17“Guardare il mondo con gli occhi di Dio e vivere di conseguenza: ecco che cosa significa seguirlo” (J. Ratzinger, Der Gott Jesu Christi. Betrachtungen über den dreieinigen Gott, München 1976, 27; Il Dio di Gesù Cristo. Meditazioni sul Dio uno e trino, tr. it., Brescia 1978). La teología de la historia en san Buenaventura (1959), 14.

18Il nesso tra esperienza e fede è spiegato così ricorrendo a Jean Mouroux: “Esistono tre livelli o tipi di esperienza: quella empirica, quella sperimentale e quella esperienziale o esistenziale; il terzo tipo è adeguato all’esperienza di Dio, poiché tiene conto della libertà dell’altro ed esige l’offerta di sé; nell’esperienza cristiana sono a sua volta racchiuse tre modalità: esperienza di creazione e storia come via verso Dio, comunità cristiana come luogo di incontro con il Creatore e Governatore della storia ed esperienza personalissima di partecipazione (Idem, Erfahrung und Glaube, «Internationale katholische Zeitschrift Communio» 9 [1980] 58-70).

19Idem, Christlicher Glaube und Europa. 12 Predigten, a cura del Pressereferat dell’arcidiocesi di Monaco-Frisinga, München 1981, 128, 130.

20Idem, Aus meinem Leben, 138.

21Idem, Eschatologie – Tod und ewiges Leben, (“Kleine katholische Dogmatik” 9), Regensburg 1977, 152 (Escatologia. Morte e vita eterna, edizione rinnovata e ampiata a cura di S. Ubbiali, tr. it. di B. Desleux Muff, S. Ubbiali, Assisi 2008).

22Per J. Daniélou, Dodd enfatizza eccessivamente l’escatologia del presente, per quanto abbia ragione, avendola vista in prossimità dell’escatologia esistenziale di Bultmann; egli stesso prediligeva l’espressione “escatologia iniziata” (J. Daniélou, Vom Geheimnis der Geschichte, tr. ted., Stuttgart 1956, 311-312; orig. Essai sur le mystère de l’histoire, Paris 1953; Saggio sul mistero della storia, tr. it. di E. Cassa Salvi, Brescia 20123).

23Ratzinger, Eschatologie – Tod und ewiges Leben, 57.

24Ibidem, 63.

25Ibidem, 185.

26J. Daniélou può definire la storia un “Giudizio universale perpetuo, permanente” (Vom Geheimnis der Geschichte, cit., 312); J. Ratzinger sottolinea il fatto che il singolo è giudicato definitivamente solo quando tutta la storia ha cessato di soffrire e ciascuno ha ottenuto il suo posto in essa il Giorno del Giudizio (Eschatologie – Tod und ewiges Leben, 157).

27Ibidem, 161.

28Ibidem, 163.

29Ibidem, 168.

30J. Ratzinger definisce in questo modo l’utopia escatologica del chiliasmo: determinante, in essa, è “l’attesa di una condizione salvifica intrastorica che oltrepassi in sé le possibilità di un agire politico ma si debba creare con mezzi politici” (Eschatologie und Utopie, «Internationale katholische Zeitschrift Communio» 6 [1977] 97-110, qui p. 101).

31O. Cullmann, Christus und die Zeit. Die urchristliche Zeit- und Geschichtsauffassung, Zürich 19623, 153 (Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel cristianesimo primitivo, tr. it., introduzione di B. Ulianich, Bologna 19803).

32Idem, Heil als Geschichte, 278.

33Colloquio sull’autocomprensione della Katholische Integrierte Gemeinde di Wolfesing (Monaco) il 16 ottobre 1976, in base ad appunti presi da L. Weimer.

34J. Ratzinger, Kirche, Ökumene und Politik, Einsiedeln 1987, 220 (Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, a cura di E. Guerriero, tr. it. di G. Sommavilla, E. Babini, Cinisello Balsamo 1987).

35Idem, Wesen und Auftrag der Theologie. Versuche zu ihrer Ortsbestimmung im Disput der Gegenwart, Einsiedeln-Freiburg 1993, 50 (Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, tr. it. di R. Mazzariol, C. Fedeli, riv. Da E. Guerriero, Milano 2005).

36JRGS 2, 542.

37“L’incisività della narrazione […] è dovuta al fatto che essa intende creare la presenza di ciò che viene narrato. […] Ma onestamente dobbiamo ammettere che il narrare, nella liturgia, è ormai ammutolito. La storia salvifica di Dio non viene più raccontata, bensì declamata. Le nostre esperienze non vengono più inserite in una narrazione, e questo avviene per molte ragioni, tra le quali la nostra segreta paura della narrazione biblica” (G. Lohfink, Studien zum Neuen Testament, Stuttgart 1989, 25).

38Cfr. J. Ratzinger, Kirchliche Bewegungen und ihr theologischer Ort, in: Weggemeinschaft des Glaubens. Kirche als Communio. Festgabe zum 75. Geburtstag, a cura dello Schülerkreis, Augsburg 2002, 157-158, 172-173.

39Idem, Der Geist der Liturgie, 49-50; JRGS 11, 64-65.

40Ibidem, 189-192; JRGS 11, 185-188, qui p. 188.

41Benedetto XVI, Discorso tenuto in occasione dell’udienza generale del 18 aprile 2012 (http://www.zenit.org/de/articles/ansprache-von-papst-benedikt-xvi-bei-der-generalaudienz-am-18-april-2012; verificato il 5 novembre 2014; vers. it.: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ ben-xvi_aud_20120418_it.html, verificato il 27 gennaio 2015).

42Va aggiunto che questo papa ha fatto presente in altre occasioni che le più grandi persecuzioni non vengono dai nemici esterni, ma dall’interno della Chiesa.

43Ratzinger, Kirche, Ökumene und Politik, 120-121.

44Idem, Das Fest des Glaubens, Einsiedeln 1981, 30 (La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, tr. it. di G. Beari, Milano 2005).

45Idem, Skandalöser Realismus? Gott handelt in der Geschichte, Bad Tölz 2005, 13-14.

46Benedetto XVI, Discorso in occasione della visita al campo di Auschwitz, 28 maggio 2006 (http://www.zenit.org/de/articles/ich-musste-kommen-ansprache- benedikts-xvi-im-ehemaligen-ns-konzentrationslager-auschwitz-birkenau-28; verificato il 5 novembre 2014; vers. it.: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_ xvi/speeches/2006/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20060528_auschwitz-birkenau_it.html, verificato il 27 gennaio 2015).

47Ratzinger, Einführung in das Christentum, 183-185 (tr. it. p. 246).

48Dall’Antico Testamento anche Agostino aveva appreso il pensiero storico, che in lui si impone sempre più su quello all’inizio quasi puramente ontologico (cfr. nota 2, JRGS 2, 535).

49Luther und die Einheit der Kirchen, «Internationale Kirchliche Zeitschrift» 12 (1983) 568-582, citato in: Ratzinger, Kirche, Ökumene und Politik, 115.

50 Idem, Die Vielfalt der Religionen und der Eine Bund, Urfeld 1998, 44 (La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, tr. it. di G. Reguzzoni, Cinisello Balsamo 2000).

51Apparso una prima volta nella «Internationale Kirchliche Zeitschrift» 26 (1997) 419-429; poi in: Die Vielfalt der Religionen und der Eine Bund, 93-121.

52J. Ratzinger, Gott und die Welt. Ein Gespräch mit Peter Seewald, Stuttgart-München 20003, 126-127 (Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, tr. it. di O. Pastorelli, Cinisello Balsamo 2001).

53Ibidem, 128.

54Ibidem, 180-181.

55Il fratello di papa Benedetto XVI, a cui era stato chiesto quali fossero gli influssi relativi alla sua manifesta riconciliazione con l’ebraismo, spiega in un libro intervista: “Molto è anche dovuto ai suoi intensi contatti con la Integrierte Gemeinde di Monaco. Credo che il confronto con i lavori del Prof. Weimer e del Prof. Pesch gli abbia fatto comprendere alcune cose sull’importanza del dialogo con l’ebraismo” (G. Ratzinger, Mein Bruder, der Papst, München 2011, 141-142; Mio fratello il papa, tr. it. di A. M. Foli, Milano 2013).

56È interessante che il primo volume di Jesus von Nazareth abbia inizio con l’attesa di un nuovo Mosè – “un profeta come me” – in Dt 18,15, ricollegandosi così al pensiero ebraico per spiegare l’ultima parola di Dio.

57Particolarmente chiaro nel discorso sul tema “Gli Apostoli, testimoni e inviati di Cristo”, udienza generale, 22 marzo 2006: “Il primo passo è la ‘raccolta’ del popolo di Israele, perché così tutte le genti chiamate a radunarsi nella comunione col Signore possano vedere e credere. Così, i Dodici […] cooperano col Pastore degli ultimi tempi, andando anzitutto anche loro dalle pecore perdute della casa d’Israele, rivolgendosi cioè al popolo della promessa, il cui raduno è il segno di salvezza per tutti i popoli, l’inizio dell’universalizzazione dell’Alleanza” (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ ben-xvi_aud_20060322_it.html, controllato il 27 gennaio 2015).

58J. Ratzinger/Benedetto XVI, Jesus von Nazareth. Prolog. Die Kindheitsgeschichte, Freiburg i. Br. 2012, 129 (L’infanzia di Gesù, tr. it. e cura di I. Stampa, Milano 2013).

59 Idem, Weltoffene Kirche?, in: Das neue Volk Gottes, Düsseldorf 1972, 127 (Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, tr. it. di G. Re, Brescia 19924).

60 Idem, Kein Heil außerhalb der Kirche?, in: ibidem, 174-175.