Vai al contenuto

Ror Studies Series | Storia e mistero

Joseph Ratzinger e la liturgia

Juan José Silvestre

Pontificia Università della Santa Croce

Scarica l’articolo in pdf

“Devo dire che io ho sempre molto amato la Liturgia”.1 Queste parole, pronunciate da Benedetto XVI in un incontro con i sacerdoti della diocesi di Roma, rappresentano un’ottima introduzione a questa comunicazione.

Ci sembra utile, in primo luogo, offrire alcune pennellate tratte dalla vita di Joseph Ratzinger che riteniamo siano particolarmente importanti da un punto di vista liturgico. Gli elementi biografici e la riflessione che il protagonista stesso opera su di essi ci permetteranno, allo stesso tempo, di vedere la ripercussione che hanno avuto in tutti i suoi insegnamenti teologici e liturgici.

Un’infanzia piena di amore per la Chiesa, famiglia di Dio, e per la sua liturgia

È a tutti noto che Joseph Ratzinger è una persona innamorata della liturgia. Come egli stesso afferma: “La liturgia della Chiesa è stata per me fin dall’infanzia la realtà centrale della mia vita”.2 Ricordando, infatti, il giorno della sua nascita, diceva: “Sono nato il 16 aprile 1927, Sabato Santo, a Marktl sull’Inn. In famiglia veniva spesso ricordato che il giorno della mia nascita era l’ultimo della Settimana Santa e la vigilia di Pasqua, tanto più che io fui battezzato il mattino successivo alla mia nascita, con l’acqua appena benedetta della notte pasquale, che allora veniva celebrata al mattino: l’essere il primo battezzato della nuova acqua era un importante segno premonitore. Personalmente sono sempre stato grato per il fatto che, in questo modo, la mia vita sia stata fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale, dal momento che non poteva che essere un segno di benedizione”.3

E, anni dopo, tornava sull’argomento: “Questo giorno è sempre immerso nel Mistero Pasquale, nel Mistero della Croce e della Risurrezione, e nell’anno della mia nascita è stato espresso in modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno del silenzio di Dio, dell’apparente assenza, della morte di Dio, ma anche il giorno nel quale si annunciava la Risurrezione”.4 E ancora: “Indubbiamente, non era la domenica di Pasqua ma, appunto, il Sabato Santo. Eppure, quanto più ci penso, tanto più mi pare una caratteristica della nostra esistenza umana, che ancora attende la Pasqua, non è ancora la luce piena, ma fiduciosa si avvia verso di essa”.5

La sua infanzia è stata caratterizzata da una vita di pietà incentrata sulla liturgia, che apprese presso la sua famiglia e che poi vivrà anche nella grande famiglia della Chiesa. Da un lato fu decisivo l’aiuto dei suoi genitori. Avevano ricevuto da un parroco molto aperto – dirà poi Ratzinger – lo Schott come regalo di nozze nel 1920. Lo Schott era un libro di preghiere per bambini ispirato al Messale, dove lo sviluppo degli atti liturgici era illustrato con immagini, accompagnate anche da qualche breve preghiera che sintetizzava quelle integrali delle parti della Messa. Questo libro, sempre molto presente nella famiglia di Joseph Ratzinger, fu utilizzato dai genitori per educare i loro figli fin da piccoli alla liturgia.6

Fin da piccolo quindi cercò di immergersi in questa Sapienza presente nella liturgia. Alcune sue parole ci riportano verso la sua infanzia e risuonano per la loro semplicità, ma anche per la perfetta continuità con il suo pensiero liturgico lungo la sua vita: “Ricevetti uno Schott7 per bambini, in cui erano già riportati i testi più importanti della liturgia; poi lo Schott della domenica, in cui la liturgia della domenica e dei giorni festiva era riportata integralmente, e, infine, il messale quotidiano completo. Ogni nuovo passo che mi faceva entrare più profondamente nella liturgia era per me un grande avvenimento. I volumetti che di volta in volta io ricevevo erano qualcosa di prezioso, come non poteva sognarne di più belli. Era un’avventura avvincente entrare a poco a poco nel misterioso mondo della liturgia, che si svolgeva là, sull’altare, davanti a noi e per noi”.8

E prosegue ricordando come la liturgia sia “della Chiesa”, qualcosa da vivere e che deve rispondere a ogni singolo momento della storia per porsi in ascolto dello Spirito Santo: “Comprendevo sempre più chiaramente che qui io incontravo una realtà che non era stata inventata da qualcuno, che non era la creazione di un’autorità qualsiasi, né di una singola grande personalità. Questo misterioso intreccio di testi e di azioni era cresciuto nel corso dei secoli dalla fede della Chiesa. Portava in sé il peso di tutta la storia ed era, insieme, molto di più che un prodotto della storia umana. Ogni secolo vi aveva apportato qualcosa di suo: le introduzioni ci permettevano di capire quel che aveva avuto origine nella Chiesa primitiva, nel medioevo, in epoca moderna. Non tutto era logico, molte cose erano complicate e non era sempre facile orientarsi. Ma proprio per questo l’edificio era meraviglioso e ci si sentiva a casa. Ovviamente, da bambino non capivo ogni singolo particolare, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diventava occasione di stupore e scoperte sempre nuovi. L’inesauribile realtà della liturgia cattolica mi ha accompagnato attraverso tutte le fasi della mia vita; per questo, non posso non parlarne continuamente”.9

La liturgia fondamento della vita cristiana e della teologia

Dobbiamo ora fare un salto in avanti in questa breve introduzione biografico-liturgica su Joseph Ratzinger e mettere da parte con nostalgia la freschezza e la profondità di queste confidenze dei suoi anni di infanzia.10 Ci occuperemo ora del giovane studente di Teologia a Monaco che prende contatto con il movimento liturgico sia attraverso la lettura delle opere di Casel e Guardini, sia assistendo alle lezioni del teologo di pastorale Pascher.11 Sono assai indicative le riflessioni del nostro autore su questa epoca della sua vita: “Fino ad allora [1948 quando legge il libro Eucaristia di Pascher, n.d.a.] il mio atteggiamento nei confronti del movimento liturgico era stato contrassegnato da qualche riserva. In molti dei suoi rappresentanti mi pareva di cogliere un razionalismo e uno storicismo unilaterali, un atteggiamento troppo mirato alla forma e all’originarietà storica, ma che lasciava trasparire una strana freddezza nei confronti dei valori del sentimento, che la Chiesa ci faceva invece sperimentare come il luogo in cui l’anima si sente a casa propria. Certo, lo Schott mi era molto caro, anzi, insostituibile. L’accesso alla liturgia e alla sua autentica celebrazione, a cui esso aveva spianato la strada, era per me il contributo indiscutibilmente positivo del movimento liturgico. Ma mi disturbava una certa ristrettezza di molti dei suoi sostenitori, che volevano far valere solo una forma”.12 Termina poi queste riflessioni dicendo: “Grazie alle lezioni di Pascher e alla solennità con la quale ci insegnava a celebrare la liturgia, secondo il suo spirito più profondo, anch’io divenni un sostenitore del movimento liturgico. Come avevo imparato a comprendere il Nuovo Testamento quale anima di tutta la teologia, così capii che la liturgia ne era il fondamento vitale, senza di cui essa finisce per inaridirsi”.13

Del resto, è sempre la liturgia, come afferma lui stesso, la ragione dei suoi studi di teologia: “La materia che scelsi fu la teologia fondamentale, perché prima di tutto volevo andare al fondo della domanda: perché noi crediamo? Ma in questa domanda fin dall’inizio era compresa intrinsecamente l’altra domanda, quella della giusta risposta da dare a Dio e quindi la domanda circa il culto divino. A partire da qui vanno compresi i miei lavori sulla liturgia. Il mio obiettivo non erano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia all’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nell’insieme della nostra esistenza umana”.14 E più avanti aggiunge: “L’intenzione essenziale dell’opera era quella di collocare la liturgia, al di là delle questioni spesso grette circa questa o quella forma”.15 È in effetti una costante della sua vita e dei suoi scritti che, di fronte a un certo ridondante riformismo esteriore, egli abbia di mira una riforma interiore che possa perfino giungere in futuro ad avere implicazioni pratiche. Ma questo può essere soltanto il frutto di un’assimilazione interiore. Si potrebbe dire, usando le sue stesse parole, che di fronte alle controversie su temi liturgici “la questione è piuttosto: che cosa è la liturgia in base alla sua essenza? Quali sono i suoi criteri intrinseci? Solo dopo aver chiarito questo, si può chiedere ulteriormente: che cosa deve rimanere? Che cosa può e che cosa deve forse essere cambiato?”.16

Il Concilio Vaticano II: riscoprire il primato di Dio

Gli aspetti biografico-liturgici degli anni del Concilio Vaticano II e del periodo successivo a questo evento storico fondamentale per la vita della Chiesa non possono essere oggetto di analisi in questo intervento, ma vorrei sottolineare due aspetti che ritengo della massima importanza se vogliamo approfondire la comprensione della liturgia da parte di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI: il primato di Dio e la relazione tra liturgia e mistero pasquale.

Joseph Ratzinger descrive questi anni con tono poetico: “Si potrebbe dire che la liturgia era allora – nel 1918 –, per certi aspetti, simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo: nel messale, con cui il sacerdote la celebrava, la sua forma era pienamente presente, così come si era sviluppata dalle origini, ma per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e – in maniera definitiva – grazie al Concilio Vaticano II, l’affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure”.17

In effetti, il 4 dicembre 1963 Papa Paolo VI promulgò la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, che i padri conciliari avevano approvato poco prima quasi all’unanimità.18 Fu un momento memorabile perché era il primo frutto del Concilio voluto da Giovanni XXIII, preparato da un grande movimento liturgico e pastorale, nonché dall’opera magisteriale e liturgica dei Pontefici precedenti San Pio X e il venerabile Pio XII.

In merito allo studio del tema liturgico durante il Concilio, Joseph Ratzinger dirà, non senza una certa polemica, “che, poi, questo testo sia stato il primo a essere esaminato dal Concilio non dipese per nulla da un accresciuto interesse per la questione liturgica da parte della maggioranza dei Padri, ma dal fatto che qui non si prevedevano grosse polemiche e che il tutto veniva in qualche modo considerato come oggetto di un’esercitazione, in cui si potevano apprendere e sperimentare i metodi di lavoro del Concilio”.19

In tal senso, anni dopo, divenuto Papa, approfondisce e completa questa idea: “Nella preparazione del Vaticano II, l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare intendeva dare risposta era: “Chiesa, che dici di te stessa?”. Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari furono, per così dire, ricondotti al cuore della risposta: si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e testimoniato. Esteriormente a caso, ma fondamentalmente non a caso, infatti, la prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia: il culto divino orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il suo primato, plasma la Chiesa, incessantemente convocata dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro con Dio”.20 Come già aveva fatto notare il beato Paolo VI nella conclusione della seconda sessione del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI anni più tardi ricordava: “Cominciando con l’argomento della liturgia, si poneva inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità assoluta del tema Dio. Prima di tutto Dio: questo ci dice l’iniziare con la liturgia”.21

Si potrebbe affermare, a nostro modo di vedere – e riteniamo che questa sia anche la tesi di fondo di Joseph Ratzinger – che il Vaticano II cominciando dalla liturgia, pur se per motivi in apparenza pratici, conferì un’architettura ben precisa al Concilio: la prima cosa è l’adorazione e, quindi, Dio. In virtù di ciò, l’approvazione della costituzione Sacrosanctum Concilium si colloca, in primo luogo, in linea con la Regola benedettina Operi Dei nihil praeponatur. A sua volta, la costituzione Lumen gentium, sulla Chiesa, sarebbe essenzialmente legata a quella precedente. La Chiesa si lascerebbe guidare dall’orazione, dalla missione di dare gloria a Dio. In tal senso, sembra logico che la terza costituzione – Dei Verbum – parli della Parola di Dio che in ogni tempo convoca e rinnova la Chiesa. Infine, la quarta costituzione – Gaudium et spes – mostrerebbe come deve avere luogo nella vita attiva questa glorificazione di Dio, attraverso il portare al mondo la luce ricevuta da Dio che converte e trasforma questo stesso mondo in gloria di Dio.22 La gloria di Dio è l’uomo vivente (Cfr. 1Cor 10,31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio.23

Recuperare questo “primato” di Dio era quindi un obiettivo fondamentale del Concilio Vaticano II e continua a esserlo a cinquanta anni di distanza. Questo primato di Dio nella liturgia, inoltre, riflette tutta una teologia, in quanto “dietro ai modi diversi di concepire la liturgia ci sono, come di consueto, modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell’uomo con Lui. Il discorso liturgico non è marginale: è stato proprio il Concilio a ricordarci che qui siamo nel cuore della fede cristiana”.24

Possiamo concludere questo prima tema con alcune parole di Benedetto XVI che riassumono e presentano in prima persona la liturgia e la sua collocazione nell’evento conciliare e, allo stesso tempo, ci introducono al prossimo argomento: “Io trovo adesso, retrospettivamente, che è stato molto buono cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’adorazione. Operi Dei nihil praeponatur: questa parola della Regola di san Benedetto (Cfr. 43,3) appare così come la suprema regola del Concilio. Qualcuno aveva criticato che il Concilio ha parlato su tante cose, ma non su Dio. Ha parlato su Dio! Ed è stato il primo atto e quello sostanziale parlare su Dio e aprire tutta la gente, tutto il popolo santo, all’adorazione di Dio, nella comune celebrazione della liturgia del Corpo e Sangue di Cristo. In questo senso, al di là dei fattori pratici che sconsigliavano di cominciare subito con temi controversi, è stato, diciamo, realmente un atto di Provvidenza che agli inizi del Concilio stia la liturgia, stia Dio, stia l’adorazione. Adesso non vorrei entrare nei dettagli della discussione, ma vale la pena sempre tornare, oltre le attuazioni pratiche, al Concilio stesso, alla sua profondità e alle sue idee essenziali. Ve n’erano, direi, diverse: soprattutto il Mistero pasquale come centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana, dell’anno, del tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e nella domenica che è sempre il giorno della Risurrezione. Sempre di nuovo cominciamo il nostro tempo con la Risurrezione, con l’incontro con il Risorto, e dall’incontro con il Risorto andiamo al mondo”.25

La liturgia come attualizzazione del mistero pasquale

La liturgia intesa come attualizzazione del mistero pasquale è il secondo aspetto che considero essenziale per comprendere la sua produzione liturgica e il vero insegnamento conciliare. Come affermava Benedetto XVI, “il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri Conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero. Il suo vero scopo era di condurre la gente ad un incontro personale con il Signore, presente nell’Eucaristia, e così al Dio vivente, in modo che, mediante questo contatto con l’amore di Cristo, l’amore reciproco dei suoi fratelli e delle sue sorelle potesse anch’esso crescere. Tuttavia, non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la “partecipazione attiva” è stata confusa con l’agire esterno. Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla via del vero rinnovamento liturgico. In un mondo cambiato, sempre più fisso sulle cose materiali, dobbiamo imparare a riconoscere di nuovo la presenza misteriosa del Signore Risorto, il solo che può dar respiro e profondità alla nostra vita”.26

Qual è il mistero in cui dobbiamo entrare? Non c’è dubbio che si tratti del mistero pasquale e anche se questa è una affermazione ammessa a prima vista quasi da tutti, vorrei soffermarmi lo stesso su di essa. Alcune parole pronunciate da Joseph Ratzinger in un discorso del 2003 mettono in luce il motivo per cui ritengo conveniente farlo. Diceva in quell’occasione l’allora cardinale: “A mio parere, la maggior parte dei problemi collegati all’applicazione concreta della riforma liturgica ha a che fare con il fatto che non si è tenuto sufficientemente presente che il punto di partenza del Concilio è la Pasqua; ci si è attenuti troppo alle cose puramente pratiche rischiando di perdere di vista ciò che sta al centro. Mi sembra perciò essenziale riprendere questo approccio come criterio di rinnovamento ed approfondire ulteriormente ciò che il Concilio necessariamente ha solo accennato. Pasqua significa inseparabilità di Croce e Risurrezione, così come è presentata soprattutto nel Vangelo di Giovanni”<.span class=”footnote-mark”>27 Per questo poi può concludere: “Un’idea di fondo del Concilio è, infine, il riferimento al Mistero pasquale: nella Pasqua si sintetizza l’intera storia della salvezza, è presente in forma concentrata l’intera opera della redenzione. Si può ben dire che la Pasqua costituisce la categoria centrale della teologia liturgica del Concilio”.28

Giunti a questo punto sembra opportuno domandarsi perché il contenuto del Mistero pasquale e la sua relazione con le nostre celebrazioni liturgiche risulti estraneo al cristiano di oggi? Ovviamente, in queste pagine non potremo tentare altro che un approccio a questo problema attraverso l’opera di Joseph Ratzinger, e cercare di incominciare a dare un abbozzo di risposta.

L’“oblio” del mistero pasquale

Il nucleo del problema il nostro autore lo ha indicato nel libro Cantate al Signore un canto nuovo,29 dove ricordava che la situazione della fede e della teologia in Europa è oggi caratterizzata da una smobilitazione ecclesiale. L’antitesi Gesù sì, Chiesa no sembra riassumere bene il pensiero di tutta una generazione, come ha detto in varie occasioni Papa Francesco.30 Ma dietro questa diffusa contrapposizione tra Gesù e la Chiesa si nasconde un problema cristologico. La vera antitesi si può esprimere con questa formula: Gesù sì, Cristo no, o Gesù sì, Figlio di Dio no. Ci troviamo quindi di fronte a una questione cristologica essenziale.

Per parecchie persone Gesù è solo un personaggio storico importante tra tanti altri. Si avvicinano a Gesù dall’esterno, per così dire. Grandi studiosi riconoscono la sua altezza morale e spirituale, nonché il suo influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e altri saggi e “grandi” personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità.31 Di lui attrae soltanto il lato umano. Riconoscerlo come Figlio Unigenito di Dio sembra allontanarlo da noi e confinarlo nell’inaccessibile e irreale fino a sottometterlo alla “amministrazione” del potere ecclesiastico. La separazione tra Gesù e il Cristo corrisponderebbe dunque alla separazione tra Gesù e la Chiesa.

In realtà, come diceva Benedetto XVI, “Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre, allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo, abbiamo solo idee umane di Dio. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo!”.32

Questa forte visione cristocentrica attraversa tutta la fede e per questo “è necessario che i cristiani sperimentino che non seguono un personaggio della storia passata, bensì Cristo vivo, presente nell’oggi ed ora delle loro vite. Egli è il Vivente che cammina al nostro fianco, rivelandoci il senso degli avvenimenti, del dolore e della morte, dell’allegria e della festa, entrando nelle nostre case e rimanendo in esse, alimentandoci col Pane che dà la vita. Per questo la celebrazione domenicale dell’Eucaristia deve essere il centro della vita cristiana”.33

Se la vera crisi investe la cristologia e non l’ecclesiologia, a che cosa è dunque dovuta? Le cause ovviamente sono varie: la riduzione del mondo a ciò che è empiricamente dimostrabile, la riduzione della vita umana al solo aspetto esistenziale, ecc. Seguendo il nostro autore, ci concentreremo però su un aspetto che ci sembra fondamentale, ovvero la perdita dell’immagine di Dio, del Dio vivo e vero, che avanza incessantemente fin dai tempi dell’Illuminismo.34 Il deismo si è praticamente imposto nella coscienza generale. Non è più possibile concepire un Dio che si preoccupa degli individui e che agisce nel mondo. Dio può aver originato al principio l’universo, ammesso che lo abbia fatto, ma nel mondo dei lumi non gli resta nulla altro da fare. Non si accetta che Dio entri vivamente nella nostra vita. Dio al massimo può essere un’idea spirituale, un complemento edificante per la mia vita, ma resta un qualcosa di indefinito appartenente alla sfera soggettiva. Sembra quasi ridicolo immaginare che possano interessargli le nostre azioni buone o malvagie. Siamo così piccoli e insignificanti di fronte alla grandezza dell’universo. Sembra mitologico attribuire a Dio un’azione nel mondo. Ci sono fenomeni inspiegabili ma le cause vanno ricercate altrove. La superstizione sembra avere maggiore fondamento della fede; gli dei – ovvero fatti inspiegabili nel corso della nostra vita, con i quali dobbiamo tagliare corto – sono più credibili di Dio.

Se Dio non ha nulla a che fare con noi, decade anche l’idea del peccato. Così che un atto umano possa offendere Dio è ormai ritenuto inimmaginabile da molti. Non ci sono margini per un’idea di redenzione nel senso classico della dottrina cattolica, perché appena qualcuno arriva a interrogarsi sulla causa del male nel mondo e della propria esistenza nel peccato.

Sono assai illuminanti a questo riguardo alcune parole di Benedetto XVI: “Se ci domandiamo: perché la Croce? la risposta, in termini radicali, è questa: perché esiste il male, anzi, il peccato, che secondo le Scritture è la causa profonda di ogni male. Ma questa affermazione non è affatto scontata, e la stessa parola peccato da molti non è accettata, perché presuppone una visione religiosa del mondo e dell’uomo. In effetti è vero: se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato – che è cosa diversa dal senso di colpa come lo intende la psicologia – si acquista riscoprendo il senso di Dio”.35

Siamo di fronte a una visione del mondo in cui non c’è posto per il concetto di peccato e di redenzione e dove tantomeno ci può essere spazio per un Figlio di Dio venuto al mondo per salvarci dal peccato e che muoia sulla croce per questa causa. “A partire di qui – dirà Ratzinger – si spiega ancora una volta la fondamentale mutazione nella comprensione di culto e liturgia verificatasi negli ultimi tempi (da lungo preparati): il loro soggetto primo non è Dio, e nemmeno Cristo, ma il noi dei celebranti. E la liturgia non può nemmeno avere l’adorazione come senso primario; per essa anzi non c’è alcuna motivazione, in una concezione deistica di Dio. Così pure non si può parlare di espiazione, di sacrificio, di remissione dei peccati. Si tratta piuttosto di questo, che i celebranti si assicurino della loro comunione fraterna e così escano dell’isolamento in cui l’esistenza moderna rinchiude il singolo. Si tratta di trasmettere esperienze di liberazione, di gioia, di riconciliazione, di denunciare ciò che è dannoso e di dare impulsi per l’azione. Per questo è la comunità che deve costruire da sé la sua liturgia, e non riceverla di tradizioni divenute incomprensibili. Essa presenta se stessa e celebra se stessa”.36 Un’attenta lettura di questa diagnosi può essere un ottimo stimolo per un fecondo esame di coscienza sulle celebrazioni liturgiche e sul nostro sentire liturgico.

Ora probabilmente si comprende un po’ di più perché molte volte il mistero pasquale e la sua celebrazione-attualizzazione non costituiscono il centro né della celebrazione liturgica, né della vita della comunità cristiana e di ognuno dei suoi membri. Esiste, invece, “una mentalità incapace di accettare la possibilità di un reale intervento divino in questo mondo in soccorso dell’uomo. La confessione di un intervento redentore di Dio per cambiare questa situazione di alienazione e di peccato è vista da quanti condividono la visione deista come integralista, e lo stesso giudizio è dato a proposito di un segnale sacramentale che rende presente il sacrificio redentore. Più accettabile, ai loro occhi, sarebbe la celebrazione di un segnale che corrispondesse a un vago sentimento di comunità”.37

Recuperare il mistero pasquale nella liturgia e nella nostra vita

La risposta a questa mentalità deista passa per la riscoperta del mistero pasquale e presuppone, allo stesso tempo, tentare di dire cosa esso sia e cosa abbia a che vedere con noi. L’uomo che desidera l’unione con Dio, come intuisce e si prepara, spesso senza saperlo nemmeno, a partecipare al mistero di Cristo? La risposta nasce spontanea. È Gesù Cristo con la sua vita e specialmente con la sua passione, morte, resurrezione e ascensione – ovvero con il suo mistero pasquale – a rendere possibile questa comunione con Dio. A partire da questa realtà, una volta aperte le porte all’unione con Dio, possiamo varcare la soglia. E lo possiamo fare nella Chiesa dove, in unità con Cristo per mezzo dello Spirito Santo, possiamo dialogare con il Padre.

Che cosa è allora il mistero pasquale, e cosa ha a che vedere con noi? Joseph Ratzinger risponde collocandosi in un contesto di filiazione, preghiera e sacrificio per gli altri che caratterizza tutta la vita di Gesù. Qui risalta l’evento dell’Ultima Cena e l’istituzione dell’Eucarestia che “è la grande preghiera di Gesù e della Chiesa”.38 Le parole ivi pronunciate da Gesù sono un anticipo della sua morte, una trasformazione di ciò che non ha senso in un senso che si schiude dinanzi a noi. Parole che sono vere e non semplici metafore o espressioni retoriche, perché non sono semplici parole: la morte reale del Signore le sostiene. Di fatto, l’atteggiamento sacrificale con il quale Gesù glorifica il Padre è l’aspetto fondamentale del culto reso da Cristo al Padre e fonda la spiritualità autentica dell’orazione. La glorificazione del Padre da parte di Cristo non avviene tanto con le parole, ma con la vita. La morte di Gesù, in tal modo, ci rivela la chiave per comprendere l’Ultima Cena: la Cena è anticipo della morte, la trasformazione di una morte violenta in sacrificio volontario, in quell’atto d’amore che redime il mondo. E la morte acquisisce il proprio significato attraverso l’atto d’amore infinito della Cena. Cena e Croce insieme sono l’unica e indivisibile origine dell’Eucarestia.

Questa morte, a sua volta, sarebbe un che di vacuo se non fosse vero che l’amore è più forte della morte. La morte ci si presenta priva di contenuto e le parole sono vane se non giunge la Resurrezione a mostrarci che sono state pronunciate con l’autorità di Dio. La Resurrezione è la risposta e l’interpretazione divina della Croce. Abbiamo evidenziato, assieme al nostro autore, che la Cena fu anticipo della morte violenta, e che la Croce senza il gesto della Cena sarebbe priva di significato. Ora dobbiamo affermare che la Cena anticipa anche la Resurrezione. La Cena senza la Croce e la Croce senza la Cena non avrebbero senso. Entrambe però sarebbero una speranza delusa senza la Resurrezione.

La Resurrezione fu, dirà Benedetto XVI, “come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che sciolse l’intreccio fino ad allora indissolubile del “muori e divieni”. Essa inaugurò una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale, in modo trasformato, è stata integrata anche la materia e attraverso la quale emerge un mondo nuovo. È chiaro che questo avvenimento non è un qualche miracolo del passato il cui accadimento potrebbe essere per noi in fondo indifferente. È un salto di qualità nella storia dell’“evoluzione” e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.39 Con ciò, le parole e i gesti della Cena, la morte e la Resurrezione sono unite. Questa triade è ciò che noi chiamiamo mistero pasquale, origine e fonte da cui scaturisce l’Eucarestia. “L’intero Triduum paschale è come raccolto, anticipato, e concentrato per sempre nel dono eucaristico”.40

Cristo ci offre la sua croce, ci attrae alla sua presenza. Il Signore non vuole che restiamo semplici spettatori di questo mistero d’amore.41 Questa è la grandezza dell’opera di Cristo: Egli non rimane su un piano distinto e isolato di fronte a noi, condannandoci a una mera passività. Egli si identifica con noi a tal punto che si appropria dei nostri peccati, mentre noi ci appropriamo del suo essere. Dio si fa uomo, assume un corpo e viene incontro a noi che viviamo nella carne. È un sacrum commercium, uno scambio tra Dio e gli uomini di cui già parlavano i Padri.

Se ci facciamo domande su quanto accadde durante l’Ultima Cena, che si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucarestia e che si prolunga nella Liturgia delle Ore, possiamo rispondere con le parole del nostro autore: “Dio, il Dio vivente stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli crea una consanguineità tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, mediante il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità molto reale con Gesù e quindi con Dio stesso. Il sangue di Gesù è il suo amore, nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola”.42

Questa particolare consanguineità, questo “essere uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28) implica morire a noi stessi per vivere con Cristo, per Cristo e in Cristo. Ed è quello che accade, in primo luogo, nel Battesimo, che è assai di più di un bagno, assai di più che una semplice presentazione in società.43 “Il Battesimo è più che un lavaggio. È morte e risurrezione. Paolo stesso parlando nella Lettera ai Galati della svolta della sua vita realizzatasi nell’incontro con Cristo risorto, la descrive con la parola: sono morto. Comincia in quel momento realmente una nuova vita. Divenire cristiani è più che un’operazione cosmetica, che aggiungerebbe qualche cosa di bello a un’esistenza già più o meno completa. È un nuovo inizio, è rinascita: morte e risurrezione”.44

Allo stesso tempo, Gesù Cristo trasformando il suo sacrificio e la sua morte in parola – in orazione – rende possibile la rap-presentazione della sua morte, che può essere resa presente perché Egli vive nell’orazione e l’orazione attraversa i secoli.45 Questa morte è effettivamente comunicabile e noi possiamo entrare in questa orazione trasformante, possiamo prendervi parte. “E questo dunque, il nuovo sacrificio che lui ci ha donato, in cui ci accoglie tutti: poiché ha fatto della morte la parola di ringraziamento e di amore, può ora essere presente lungo tutti i tempi come fonte della vita, mentre noi possiamo entrare in lui nella condivisione di questa preghiera”.46 In tal senso, ci pare importante sottolineare il carattere di orazione della Santa Messa, anche dal punto di vista della morfologia della celebrazione eucaristica:47 “La celebrazione eucaristica è il più grande e il più alto atto di preghiera, e costituisce il centro e la fonte da cui anche le altre forme ricevono la linfa.48

In realtà, “la comunione tra Dio e l’uomo realizzata nella persona di Gesù diviene comunicabile nel mistero pasquale, cioè nella Morte e Risurrezione del Signore. L’Eucaristia è la nostra partecipazione al mistero pasquale e così essa costituisce la Chiesa, il corpo di Cristo”.49 Per questo sia il sacramento del Battesimo che quello dell’Eucarestia fanno parte dell’esistenza cristiana.

In fin dei conti, solo nella comunione con Lui, realizzata nella fede e nei sacramenti, malgrado tutte le nostre carenze ci convertiamo in sacrificio vivo e possiamo offrire il vero culto.50 Di fatto, “partecipare all’Eucaristia, comunicare con il corpo e il sangue di Cristo esige la liturgia della vita, la partecipazione alla passione del Servo di Dio”.51 Tutto ciò ci porta a concludere che se nella vita di Gesù l’orazione è la chiave, lo è anche nella sua passione, morte e resurrezione. L’orazione è ciò che caratterizza l’Eucarestia e che deve impregnare tutta la nostra vita. Come afferma il Papa emerito: “il nostro vivere quotidiano nel nostro corpo, nelle piccole cose, dovrebbe essere ispirato, profuso, immerso nella realtà divina, dovrebbe divenire azione insieme con Dio. Questo non vuol dire che dobbiamo sempre pensare a Dio, ma che dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la nostra vita – e non solo alcuni pensieri – siano liturgia, siano adorazione”.52

Vogliamo concludere il nostro intervento con alcune parole dalle forti tinte poetiche, con le quali Benedetto XVI presentava questo incontro con Dio informato dall’amore: “La liturgia è il luogo privilegiato per l’ascolto della Parola divina, che rende presenti gli atti salvifici del Signore, ma è pure l’ambito nel quale sale la preghiera comunitaria che celebra l’amore divino. Dio e uomo s’incontrano in un abbraccio di salvezza, che trova il suo compimento proprio nella celebrazione liturgica”.53

1Benedetto XVI, Discorso nell’incontro con sacerdoti e diaconi della diocesi di Roma, 2 marzo 2006.

2Benedetto XVI, Prefazio in J. Ratzinger, Opera omnia vol. XI, Teologia della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 6.

3J. Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, 6.

4Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa in occasione dell’85o genetliaco del Santo Padre, 16 aprile 2012.

5J. Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, 6.

6Ibidem, 17.

7Lo stesso Ratzinger spiega cosa è questo Schott: “C’era un libro di preghiera per i bambini ispirato al messale, in cui lo svolgersi dell’azione liturgica era illustrato con immagini, così che si potesse seguire bene quel che avveniva; esso presentava poi di volta in volta una breve preghiera, in cui l’essenziale delle singole parti della liturgia veniva sintetizzato e reso accessibile per la preghiera dei bambini” (Ibidem).

8Ibidem.

9Ibidem.

10Cfr. C. Cologne – P. Colonge, Benoît XVI. La joie de croire, Cerf, Paris 2011; P. Blanco, Benedicto XVI: el Papa alemán, Planeta, Barcelona 2010; R. Moynihan, La Vision spirituelle de Benoît XVI, Ed. Fides, Montreal 2007.

11Cfr. R. Reyes, L’unità del pensiero liturgico di Joseph Ratzinger, BEL-Subsidia 158, CLV-Edizioni Liturgiche, Roma 2011, 59-65.

12J. Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, 57.

13Ibidem, 58.

14Benedetto XVI, Prefazio in J. Ratzinger, Opera omnia, vol. XI, Teologia della liturgia, 6.

15Ibidem, 8.

16Idem, Opera omnia, vol. XI, Teologia della liturgia, 633.

17J. Ratzinger, Der Geist der Liturgie. Eine Einführung, Friburgo 2000. Traduzione italiana: Introduzione allo spirito della liturgia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 5-6.

18Effettivamente, lo Schema sulla Liturgia fu approvato il 22 novembre 1963 (2158 placet, 19 non placet). Il 4 dicembre fu effettuata la solenne votazione Della costituzione Sacrosanctum Concilium (2147 placet, 4 non placet) e fu promulgata da Paolo VI, esattamente 400 anni dopo la fine del Concilio di Trento (1545-1563).

19J. Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, 91. Anni dopo ripeterà la stessa idea: “Il fatto che il tema della liturgia si sia trovato proprio all’inizio dei lavori conciliari e che la Costituzione che ne tratta sia divenuto il suo primo risultato fu – se visto dall’esterno – piuttosto un caso. Papa Giovanni aveva convocato l’Assemblea dei Vescovi nel desiderio, da tutti condiviso con gioia, di ribadire la presenza del cristianesimo in un’epoca di profondi cambiamenti, ma senza proporle un programma determinato. Dalle commissioni preparatorie era stata messa insieme un’ampia serie di progetti. Mancava però una bussola per poter trovare la strada in questa abbondanza di proposte. Fra tutti i progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò quello meno controverso. Così esso apparve il più adatto a servire quasi come una specie di esercizio con il quale i Padri potessero apprendere i metodi del lavoro conciliare” (Benedetto XVI, Prefazio in J. Ratzinger, Opera omnia, vol. XI, Teologia della liturgia, 5).

20Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea della CEI, 24 maggio 2012.

21Benedetto XVI, Prefazio in J. Ratzinger, Opera omnia, vol. XI, Teologia della liturgia, 5.

22Cfr. J. Ratzinger, “L’ecclesiologia della costituzione Lumen Gentium” in J. Ratzinger, Weg Gemeinschaft des Glaubens, Sankt Ulrich, Augsburgo 2002. Traduzione italiana: La comunione nella Chiesa, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 132-133.

23Cfr. Ireneo, Contro le eresie IV, 20, 7: PG 7, 1037.

24J. Ratzinger, Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1985, 123.

25Benedetto XVI, Discorso nell’incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, 14 febbraio 2013.

26Idem, Messaggio per la chiusura del 50o Congresso Eucaristico Internazionale a Dublino, 17 giugno2012.

27J. Ratzinger, Opera omnia, vol. XI, Teologia della litugia, 775.

28Ibidem, 774.

29J. Ratzinger, “Cristo e la Chiesa. Problemi attuali di teologia e conseguenze per la catechesi”, in J. Ratzinger, Ein neues Lied für den Herrn. Christusglaube und Liturgie inder Gegenwart, Herder, Friburgo 1995. Traduzione italiana: Cantate al Signore un canto nuovo, Jaca Book, Milano 1996, 39-48.

30Cfr. Francesco, Omelia 1 gennaio 2014; Udienza generale, 29 maggio 2013.

31Cfr. Benedetto XVI, Omelia nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2007.

32Idem, Discorso nell’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 13 giugno 2011.

33Idem, Discorso nella sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007.

34Cfr. J. Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, 41-43.

35Benedetto XVI, Angelus, 13 marzo 2011.

36J. Ratzinger, Cantate al Signore un canto nuovo, 42.

37Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Regione Norte 2 di Brasile in visita “ad limina apostolorum”, 15 aprile 2010.

38Idem, Udienza generale, 11 gennaio 2012.

39Idem, Omelia nella Veglia Pasquale, 15 aprile 2006.

40Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, n. 5.

41“L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” (Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, n. 13).

42Idem, Omelia nella Santa Messa in Cena Domini, 9 aprile 2009.

43Cfr. Idem, Lett. enc. Spe salvi, n. 10; Omelia nella Veglia Pasquale, 7 aprile 2007.

44Idem, Udienza generale, 10 dicembre 2008.

45Cfr. J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesú di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, 160.

46J. Ratzinger, Gott ist uns nah: Eucharistie Mitte des Lebens, Sankt Ulrich, Augsburgo 2001 contiene J. Ratzinger, Eucharistie – Mitte der Kirche. Vier Predigten, Munich 1978. Traduzione italiana: Il Dio vicino: l’Eucaristia cuore della vita cristiana, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 46.

47Cfr. J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesú di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, 157-164; J. Ratzinger, “Forma e contenuto della Celebrazione eucaristica” in J. Ratzinger, Opera omnia, vol. XI, Teologia della liturgia, 412-429.

48Benedetto XVI, Omelia in un’ordinazione sacerdotale, 3 maggio 2009.

49J. Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora, Milano 1985, 140.

50Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen Gentium, n. 11. In questo senso è interessante leggere G. Derville, La liturgia del trabajo. Levantado de la tierra atraeré a todos hacia mí (Jn 12,32) en la experiencia de San Josemaría Escrivá de Balaguer, in «Scripta Theologica» 38 (2006/2) 821-854.

51J. Ratzinger, Il cammino pasquale, 106.

52Benedetto XVI, Lectio divina nel Seminario romano maggiore, 15 febbraio 2012.

53Idem, Udienza generale, 5 ottobre 2005