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Ror Studies Series | Storia e mistero

L’antropologia ratzingeriana dell’Imago Dei come via di uscita dallo storicismo teologico

Isabel Troconis Iribarren

Pontificia Università della Santa Croce, Roma

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Introduzione

Come è noto, Joseph Ratzinger è un teologo che si contraddistingue per il suo grande apprezzamento per la storia in teologia. A favore di ciò parla non soltanto la sua Habilitationschrift sulla Rivelazione e la teologia della storia in san Bonaventura1 così come le sue ricerche sul rapporto storia-fede;2 ma pure il suo metodo teologico stesso, nel quale l’esame storico e filologico delle fonti (Liturgia3, Sacra Scrittura4 e Padri della Chiesa5) ha sempre avuto un posto centrale.

Ma, l’apprezzamento di Joseph Ratzinger per la storia6 è un apprezzamento teologico, il che vuol dire critico: perché non qualsiasi comprensione della storia è compatibile con la fede cristiana, ma solo quelle aperte alla possibilità di un agire divino nel mondo.

Infatti, come afferma uno dei più noti studiosi del suo pensiero, per Ratzinger l’assunzione acritica delle moderne filosofie della storia si trova alla base delle principali difficoltà della odierna teologia (sia dogmatica7 che biblica8 e liturgica9) nel senso che, costretta a confrontarsi con queste nuove teorie, essa molte volte finì per risolvere la verità cristiana in processo di divenire storico,10 operando così una autentica reductio theologiae in historiam.

Per Ratzinger questo storicismo teologico è il risultato di due importanti cambiamenti, intrecciati fra di loro, accaduti nel panorama culturale occidentale a partire dalla modernità.

Da una parte, della trasformazione dell’idea di verità innescata dall’apparizione di un nuovo paradigma di conoscenza – la certezza –, che fece sì che la verità non venisse più considerata come una proprietà dell’ente stesso – che prima era considerato vero, dotato di razionalità, data la sua condizione di sostantivazione di Logos divino (verum est ens) –, ma che venisse capita: prima, come una proprietà dei fatti umani – giacché solo possiamo comprendere ciò che noi stessi abbiamo fatto (verum quia factum) – e più avanti, dopo la crisi dello Storicismo, come una proprietà dei progetti umani, di ciò che grazie alla razionalità tecnico-scientifica, siamo in grado di fare del nostro futuro (verum quia faciendum).11

Come secondo cambiamento Ratzinger indica l’apparizione di un nuovo paradigma nel rapporto fede-storia: il paradigma della discontinuità. Spiega il nostro autore che questo fu introdotto da figure come Lutero in reazione contro la società cristiana del suo tempo. Originariamente la salvezza cristiana era stata capita come una storia che era salvifica in modo escatologico, cioè: che poteva offrire salvezza perché, inserita (“incarnata”) nella storia profana, faceva però riferimento a qualcosa che si trovava al di sopra di essa. Ma nei tempi del riformatore di Wittenberg questo carattere escatologico della salvezza cristiana si era indebolito a favore di una concezione che tendeva ad identificare la società cristiana dell’epoca col Regno definitivo di Dio12 e quindi, quando questa società attraversò dei momenti di decadenza morale, per proteggere il cristianesimo Lutero fece la mossa opposta: cercò di sradicarlo dalla storia, facendolo diventare un puro “non ancora”, il che portò con sé l’apparizione di una nuova interpretazione della realtà cristiana, che utilizzava come criterio ermeneutico il paradigma della discontinuità:

Abbiamo tratteggiato una forma della autocomprensione cristiana in cui storia e salvezza si trovavano intimamente mescolate, ed ecco che attualmente ci troviamo davanti a un modo assolutamente contrario di determinare i rapporti fra fede e storia, modo inaugurato da Lutero. Se fino ad ora la continuità di questa storia era stata costitutiva della concezione del cristianesimo come storia della salvezza, ecco che ora il cristianesimo appare essenzialmente sotto il segno della discontinuità. Se fino ad ora esso aveva preso la forma essenzialmente di comunità e di Chiesa, ora diviene determinante il pro me, il fatto in ultima analisi discontinuo, che ciò riguarda il singolo […]. E poiché l’ontologia appariva come l’espressione filosofica fondamentale del concetto di continuità, è essa che viene combattuta come la corruzione apportata dalla scolastica, più tardi si dirà dall’ellenismo, nel cristianesimo, onde poi opporgli l’idea di storia.13

Come si può apprezzare da questo paragrafo, per Joseph Ratzinger questa frattura fra storia e fede è ciò che paradossalmente sta alla base della espulsione della filosofia dalla teologia e, per tanto, della sua storicizzazione. Perché, infatti, spinta dal lodevole desiderio di difendere la trascendenza divina, a partire da Lutero, la teologia riformista rifiutò sempre di più la filosofia14 e optò invece per “un pensare a partire dalla Parola Biblica”15 che in molti casi portò alla riduzione della salvezza alla storia.

Per Ratzinger questa reductio diede luogo a due tappe. La prima rimase “entro la struttura tradizionale della ricerca, […] concentrandosi […] sul problema della relazione fra storia e essenza, del ruolo di mediazione della storia in rapporto all’essenziale”.16

Invece la seconda, più rivoluzionaria rispetto alla prima, coniugò la storia essenzialmente al futuro, comprendendola come salvezza non per motivo di un suo supposto ruolo di mediazione verso la trascendenza, ma perché, in quanto tempo non ancora accaduto, costituiva lo spazio necessario per lo sviluppo della libera autodeterminazione umana.17

Come si vede, si tratta di due correnti diverse: per la prima la storia sarebbe salvifica come mezzo, per l’altra, invece, come fine.

In ogni modo, per il nostro autore in entrambi i casi la comprensione della salvezza diventò storicista, perché ambedue le correnti sostenevano una radicale rottura fra condizione storica dell’uomo e vita di fede. Così lo spiega lo stesso Ratzinger a proposito della dottrina paolina del Cristo come secondo Adamo:

Si sa che Lutero, almeno in una parte della sua opera, ha talmente accentuato la differenza causata dall’alienazione, la quale si esprime nel modello dei due Adamo, che l’Adamo storico è soltanto legno e pietra, paragonato alla nuova esistenza inaugurata nella fede. Secondo la sua opera prima, egli quanto all’esistenza toccatagli sulla terra continuerebbe ad essere tale anche ulteriormente, cosicché tutto l’agire dell’uomo, dal punto di vista della salvezza, non potrebbe essere che peccato, mentre lo stesso peccato non sarebbe in grado di sopprimere la nuova esistenza portata dalla fede. Qui i due termini sono pensati in una rigorosa discontinuità e per tanto non esiste già più per principio l’ontologia, cioè una continuità e identità dell’essenza, che abbracci anche le differenze della storia.18

Come rappresentanti di questa posizione Ratzinger menziona grandi figure come Barth,19 Bultmann20 e Moltmann. Riferendosi a loro afferma:

Tutte queste dottrine non sono che delle variazioni di un solo e medesimo sforzo per descrivere la fede come salvezza in maniera puramente d’evento storico, rifiutando le categorie dell’essenza e risolvendo il problema della mediazione della storia nei confronti dell’essenza col sopprimere quest’ultima e con il dichiarare che solo la storia è quanto ha consistenza d’essere ed essenzialità.21

Potremmo continuare approfondendo le idee di Joseph Ratzinger al riguardo, nel fatto che per lui tutte queste teologie abbiano in comune l’idea che l’evento salvifico non possa mai oggettivizzarsi in essere o in esistente, o nel fatto che l’azione personale di Dio manchi interamente di una dimensione oggettiva.22 Ma penso che basti con quanto detto finora per capire che, secondo Ratzinger, il problema dello storicismo teologico ha le sue radici in questa rottura fra storia e ontologia.

Passiamo a considerare invece come il nostro autore concepisca il rapporto fra ontologia e storia.

Salvezza e antropologia

Visto che la riflessione sullo storicismo ci ha portato alla considerazione della nozione di salvezza, incentreremo pure in essa lo studio del pensiero di Ratzinger sulla questione.

Tradizionalmente la salvezza è stata esperimentata e descritta come liberazione e come compimento. Questa è l’immagine salvifica fondamentale che troviamo pure nel pensiero del teologo tedesco.

Ma a lui piace parlare di questa liberazione e di questo compimento come di un ritorno dell’uomo a se stesso [zu sich selbe kommen]23 e alla sua essenza;24 come un diventare se stesso [werden wir selbst];25 come la liberazione dell’essere dell’uomo [Entschränkung des Seins]26 e dell’umanità originaria [Freilegung des eigentlich Menschlichen];27 come l’apertura definitiva dell’uomo verso gli aspetti sepolti della sua essenza [Eröffnung des Menschen auf sein verschüttetes Wesenliches];28 come realizzazione della piena unità con se stesso [die völlige Einheit mit sich selbst];29 e come agire/vivere secondo la verità del suo essere.30 In altre parole, per Ratzinger salvezza vuol dire liberazione e compimento della propria essenza.

Davanti a una tale affermazione si potrebbe avere l’impressione che il nostro autore si sia spostato verso l’estremo opposto della bilancia, e che al posto di una reductio salutis in historiam proponga una reductio salutis in essentiam.

Questa impressione, però, scompare quando ci fermiamo a considerare come concepisca quella essenza alla quale l’uomo deve “tornare” per poter essere salvo.

La prima cosa che si dovrebbe forse dire su questo argomento è che Ratzinger pensa l’uomo biblicamente, cioè: dalla sua caratterizzazione scritturistica come imago Dei (cfr. Gn 1,27), espressione che lui capisce fondamentalmente come la sua originaria referenzialità a Dio.

Questa è l’idea che compare, per esempio, nella sua Habilitationschrift sulla comprensione della Rivelazione e la teologia della storia in san Bonaventura. Lì l’allora giovane professore, spiega che l’uomo è immagine di Dio perché, a differenza di quelle creature che sono soltanto umbra et vestigium, – perché per loro Dio è soltanto la causa del suo essere –, per l’uomo Dio è anche oggetto di conoscenza e amore:

Per “traccia” e “ombra” Dio è soltanto “causa”, mentre che per “immagine” è anche “oggetto di conoscenza” (obiectum) (cfr. Bonaventura, Sc Chr q.4 c [V 24]). In maniera che somiglianza con Dio vuol dire essere rivolto a Dio, conoscenza di Dio. Significa non uno stato o il rango di un essere rinchiuso in se stesso, bensì l’apertura di un essere verso Dio, vuol dire una relazione di conoscenza e di amore di Dio.31

Ma come si vede, per Ratzinger questo riferimento dell’uomo a Dio non è semplicemente una relazione statica, ma piuttosto una orientazione attiva, una tendenza, un vero e proprio desiderio:

Da ciò risulta la formidabile dinamica, che abita nel concetto bonaventuriano d’imago: immagine significa non solo una relazione, bensì – nella misura in cui questa relazione qui sotto (così come già anche nel Paradiso) è rotta e incompiuta (cfr. Bonaventura, II Sent d.23 a.2 q.3 c [II 543 b]) – un movimento, una brama [Sehnzucht] verso la totale unità con Dio. In questa misura la dottrina della somiglianza divina nell’uomo è identica alla dottrina della brama naturale dell’uomo verso Dio.32

Si potrebbe avere la tentazione di non accettare queste citazioni come dimostrazione del pensiero ratzingeriano e di considerarli come idee esclusivamente bonaventuriane, e infatti questo sarebbe il caso se non fosse perché guardando il resto della sua produzione teologica si scopre che queste idee costituiscono una specie di filo rosso che percorre tutta la sua antropologia.

Ciò si vede, per esempio, nel suo articolo Gratia praesupponit naturam, scritto in occasione del sessantesimo compleanno del suo maestro e amico Gottlieb Söhngen. Lì Ratzinger spiega che l’uomo è natura: qualcosa di già dato con la creazione; ma che allo stesso tempo è anche spirito, il che vuol dire che quel “già dato” che l’uomo ha ricevuto con la creazione possiede una apertura esistenziale, una tendenza verso qualcosa che sta al di là di se stesso e che lui non può ottenere con le sue sole forze ma unicamente grazie a un dono di Dio che spetta a lui accogliere:

Uno spirito puramente naturale è inconcepibile; per lo spirito è essenziale il non poter rimanere da solo. Deve venir sostenuto da ciò che è maggiore di lui, da ciò che è “soprannaturale”. Questo “soprannaturale” non cessa mai di essere grazia liberamente donata […]; non smette mai di essere “soprannaturale”, non derivabile quindi da pura natura. E, nello stesso tempo, la struttura speciale dello spirito è così reale, la sua immediatezza con Dio così intima che egli non può vivere veramente se non nell’essere sostenuto direttamente da Dio; lo spirito supera sempre la pura natura […]; esso non può esistere se non nella forma del dialogo e della libertà.33

La stessa idea compare anche in Escatologia. Morte e vita eterna. Lì il nostro autore definisce l’uomo come unità di corpo e anima,34 intendendo l’anima (psykhe) come forma corporis, cioè: come entelechia del corpo che, allo stesso stesso tempo, è anche spirito. Quest’affermazione così classica acquista in Ratzinger delle tonalità peculiari, a causa della sua – appena indicata – comprensione relazionale e “desiderosa” dello spirito. Quindi, anche da questo punto di vista, per Ratzinger l’uomo appare come un’essere essenzialmente riferito a Dio.

Pure nel suo opuscolo In principio Dio creò il cielo e la terra troviamo queste idee sulla tensione esistenziale dell’uomo verso Dio e verso gli altri:

La somiglianza con Dio significa per prima cosa che l’uomo non è chiuso in sé stesso. Se egli tenta di esserlo, tradisce sé stesso. La somiglianza con Dio significa “riferimento”; è una dinamica che mette in moto l’uomo e lo orienta al completamente altro; significa capacità di relazione, significa che l’uomo è capace di Dio. Di conseguenza l’uomo è se stesso alla massima potenza quando esce da se, quando è capace di dire “Tu” a Dio.35

Un altro luogo dove si conferma l’assimilazione delle idee bonaventuriane da parte di Ratzinger è Libertà e verità. Lì36 – così come in Introduzione al Cristianesimo37 il teologo tedesco spiega la somiglianza divina nell’uomo stabilendo una comparazione analogica fra persona umana e Persone divine, e più specificamente fra l’uomo e la seconda Persona della Trinità. Prendendo questa via, Ratzinger riesce a mostrare come a somiglianza del Figlio, il cui distintivo personale consiste nel suo procedere dal Padre (essere-da) e nel suo tornare a Lui (essere-per) nell’Amore dello Spirito Santo; così anche l’uomo è un essere-da Dio [Sein-von] e un essere-per Dio [Sein-für]. Il Figlio lo è in quanto, generato eternamente dal Padre, riceve tutto ciò che è da Lui e a Lui lo restituisce in un atto di amorosa e totale autodedizione. L’uomo, invece, lo è in quanto, creato per amore dal nulla da Dio, ha ricevuto da Lui tutto cio che è e, per tanto, si trova essenzialmente riferito a Lui.

Conclusioni

Dopo questo breve esame degli scritti del teologo tedesco, possiamo già trarre alcune conseguenze per la nostra questione:

In primo luogo possiamo dire che per Joseph Ratzinger l’uomo è immagine di Dio a due livelli: uno, che potremmo definire come “dinamico-relazionale”, e un altro, che potremmo chiamare “di somiglianza”.

Per livello “dinamico-relazionale” mi riferisco piuttosto alla dimensione simbolica della nozione d’immagine. Cioè, al fatto che una immagine è sempre qualcosa che ne rappresenta un’altra e perciò il suo essere consiste nel rinviare, nel fare riferimento a una cosa che sta al di là di essa.38 Questo è il senso in cui i primi testi citati (la tesi di Ratzinger su Bonaventura, Gratia praesupponit naturam, Escatologia e In principio Dio creò il cielo e la terra) parlano dell’uomo come immagine di Dio.

Col secondo livello, invece, mi riferisco alla dimensione di somiglianza pure contenuta nella comprensione ratzingeriana dell’uomo come imago Dei. In questo secondo senso l’uomo sarebbe immagine di Dio perché gli assomiglia, perché, analogamente a come succede con le Persone divine, pure lui è un sussistente relazionale, un co-esistente: un essere-da, un essere-con e un essere-per. Questo è il senso con il quale l’espressione “immagine di Dio” viene utilizzata da Ratzinger in Introduzione al Cristianesimo e Libertà e verità.

Come si può notare, questi due livelli si trovano intrecciati fra di loro, nel senso che la relazionalità che fa dell’uomo un essere somigliante a Dio, è anzitutto la sua referenzialità verso Dio e, derivatamente, quella verso gli altri esseri.

Una seconda conclusione che emerge dalla riflessione su i testi esposti è che l’antropologia ratzingeriana dell’imago Dei si fonda sulla sua comprensione relazionale della Creazione, sul fatto che per Ratzinger Dio non crea solo con Sapienza ma piuttosto attraverso la sua Parola, cioè: attraverso una Sapienza che allo stesso tempo è anche relazione.39 Questa prospettiva permette al nostro autore di presentare la Creazione come un dialogo amoroso fra Dio e le sue creature. Dialogo che nel caso dell’uomo acquista delle caratteristiche peculiari perché, a differenza di ciò che accade con il resto degli esseri, Dio gli uomini li conosce e li ama in modo individuale e particolare, Lui “chiama ogni singolo con il suo nome, sconosciuto agli altri”.40 Ciò determina che per gli uomini Dio non sia solo causa dalla quale dipendono ma pure oggetto con il quale si relazionano attraverso la conoscenza e l’amore, con il quale si rapportano in modo personale.

Questo porta con sé pure il fatto che l’apertura esistenziale dell’uomo verso Dio sia, da un lato, qualcosa di proprio – o, in terminologia tomista, naturale –, nel senso che esso non costituisce per lui una dimensione aggiunta dall’esterno, ma qualcosa che sta ancorata nel più profondo del suo essere. Ma, da un altro lato, questa apertura lo mette pure al di là della sola natura perché, trattandosi di una tendenza verso Dio, essa lo spinge verso qualcosa che sta al di là e al di sopra di se stesso.

Arrivati a questo punto possiamo finalmente rispondere alla nostra domanda iniziale. Avevamo cominciato il nostro percorso dicendo che Ratzinger concepisce la salvezza come il “ritorno a se stesso”, come l’arrivare all’“identità con la propria essenza”, come “raggiungere ciò che le caratterizza come uomo”. Adesso, dopo questo breve esame della sua antropologia, possiamo affermare che queste descrizioni non sono enunciati di una salvezza né autoreferenziale né esclusivamente ontologica perché, caratterizzando l’essenza dell’uomo come riferimento dinamico e libero verso Dio, come co-esistenza, e come desiderio di Dio, ci risulta che la sua salvezza solo può essere raggiunta sotto la forma di esodo, di uscita da sé verso la “comunione con il totalmente Altro”; il che soltanto può avere luogo nell’esercizio della propria libertà, cioè: nella storia.

Così vediamo come l’antropologia ratzingeriana dell’imago Dei, rende possibile un concetto di salvezza che riesce a mettere insieme ontologia e storia, che riesce a creare una “continuità e identità dell’essenza, che abbracci anche le differenze della storia”:41 “La tensione fra ontologia e storia ha in definitiva il suo fondamento nella tensione dell’essenza umana stessa, che ha bisogno di essere fuori di sé, per poter essere presso di sé; essa ha il suo fondamento nel mistero di Dio, che è libertà e che quindi chiama ogni singolo con il suo nome, sconosciuto agli altri: in tal modo nel particolare, a lui si dà in possesso il tutto”.42

1Gesammelte Schriften, Band II.: Offenbarung Verständins und Geschichtstheologie Bonaventuras, Herder, Freibug im Breisgau 2009.

2“La difesa del legame inscindibile tra fede cristiana e verità, tra dimensione storico-salvifica del messaggio cristiano e livello ontologico rappresenta uno dei cardini dell’intera rifflessione teologica di Ratzinger, presente fin dalle prime opere (cfr. Der Gott des Glaubens), ripreso in Introduzione al cristianesimo e affrontato poi dettagliatamente in diversi articoli riuniti successivamente nella Theologische Prinzipienlehre” (A. Bellandi, Fede cristiana come “stare e comprendere”. La giustificazione dei fondamenti della fede in Joseph Ratzinger, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1996. 105-106, nota 17).

3Cfr., per esempio, il capitolo su l’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia della sua opera Lo spirito della Liturgia nel volume XI della sua Opera Omnia (LEV, Città del Vaticano, 2010). Sull’importanza dello studio storico delle fonti liturgiche: “un rinnovamento liturgico che non vuole essere distruzione e dispersione e non vuole porre una contrapposizione generalizzata al posto della forza unificatrice della liturgia, non può ignorare l’eredità liturgica della patristica” (Natura e compito della Teologia, 160).

4Cfr., fra altri: Opera Omnia, vol. 6/1: Gesù di Nazareth, 120-121: “Il metodo storico – proprio per l’intrinseca natura della teologia e della fede – è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico”.

5Si pensi, ad esempio, al suo lavoro dottorale sulla eclesiologia di sant’Agostino. Circa l’importanza che Ratzinger concede ai Padri nel lavoro teologico, cfr.: I Padri nella teologia contemporanea in: Natura e compito della Teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 1993. 143-162: “i Padri non sono […] definiti semplicemente dal fatto che sono “antichi”, e neppure l’essere cronologicamente vicini all’origine del Nuovo Testamento prova abbastanza che essi gli stanno al di dentro […]. Se la loro primitività cronologica deve avere un significato teologico positivo, questo può derivare soltanto dal fatto che essi in modo speciale appartengono all’evento originario” (p. 155). “Scrittura e Padri appartengono allo stesso ambito come parola e risposta. Certo, l’una non è l’altra, non hanno la stessa valenza e la stessa forza normativa […], ma entrambe, per quanto diverse e non confondibili tra loro, non sono però neppure separabili. Infatti solo perché la parola ha trovato risposta è rimasta tale ed effettiva” (p. 156). Un po’ più avanti, sempre in riferimento ai Padri, Ratzinger parla dell’ “irrevocabilità di quella prima risposta che ha dato alla parola la sua configurazione storica” (p. 157). In questa piccola frase il teologo tedesco riesce a sintetizzare le raggioni, allo stesso tempo storiche e teologiche, per cui nel suo lavoro ermeneutico la teologia non può prescindere del loro contributo.

6“Solo chi si pone nella storia può anche superarla, ma chi non ne vuole tener conto resta imprigionato in essa” (Natura e compito della Teologia, 161).

7“Secondo Ratzinger, alla base di tutte le difficoltà della moderna teologia dogmatica, c’è un problema di fondo. Si tratta della natura del processo storico, in relazione alla trascendenza di Dio e alla sua verità” (A. Nichols, Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996. 239-240). O nelle stesse parole di Ratzinger: “Questa domanda introduce nel problema fondamentale dell’attuale teologia in genere, posta sotto il segno del dissenso tra storia e dogma” (La festa della fede in: Opera Omnia, vol. 11: Teologia della Liturgia, LEV, Città del Vaticano 2010. 418).

8Cfr. l’introduzione di Gesù di Nazareth. Dal battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione in: Opera Omnia, vol. 6/1: Gesù di Nazareth. La figura e il messaggio, LEV, Città del Vaticano 2013.

9Si veda, per esempio, Forma e contenuto della celebrazione eucaristica in: Opera Omnia, vol. 11: Teologia della Liturgia, specialmente le pp. 429-430.

10“La realtà cristiana era concepita come l’assoluto, il manifestarsi dell’immutabile verità divina, ma ora essa doveva porsi di fronte alle categorie di storia e di storicità così che quanto più ci si coinvolgeva nel problema della storicità tanto più sembrava che il carattere assoluto della verità cristiana si risolvesse nel processo del divenire storico” (Natura e compito della Teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 1993. 109-110).

11Cfr. Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 199611. 27ss.

12Cfr. Elementi di teologia fondamentale. Saggi sulla fede e sul ministero, Morcelliana, Brescia 1986. 99ss; e anche Natura e compito della teologia, 22.

13Elementi di teologia fondamentale, 102-103.

14Per considerarla “espressione […] dell’uomo che non sa nulla della grazia a che cerca di costruirsi da sé la propria sapienza e la propria giustizia” (Natura e compito della Teologia, 22).

15Ibidem, 22.

16Elementi di teologia fondamentale, 103.

17Cfr. Elementi di teologia fondamentale, 103-104.

18Ibidem, 106-107.

19“Che descrive la fede come l’azione di Dio sull’uomo e nell’uomo senza aggancio umano” (Elementi di Teologia Fondamentale, 107).

20“Che, rigettando la continuità lineare, descrive la fede come l’‘adesso’ di volta in volta ricorrente della decisione, che si compie solo nell’atto puntuale dell’istante” (Elementi di Teologia Fondamentale, 107).

21Elementi di teologia fondamentale, 107.

22Cfr. Gesammelte Schriften, Band II: Offenbarung Verständins und Geschichtstheologie Bonaventuras, 60-61.

23Introduzione al Cristianesimo, 208-209 e 227 [Gesammelte Schriften, Band IV.: Einführung in das Christentum, Herder, Freiburg im Breisgau 2014. 212 e 230]; Elementi di Teologia Fondamentale, 139 [Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Erich Wewel Verlag, München 1982. 196]; In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006. 101 [Im Anfang schuf Gott. Vier Münchener Fastenpredigten über Schöpfung und Fall, Erich Wewel Verlag, München 1986. 57].

24Elementi di Teologia Fondamentale, 97, 98-99 e 103, [Theologische Prinzipienlehre, 160, 161 e 165].

25In principio Dio creò il cielo e la terra, 100 [Im Anfang schuf Gott, 56].

26Escatologia. Morte e vita eterna, Citadella Editrice, Assisi 19963. 247 [Gesammelte Schriften, Band X.: Auferstehung und ewiges Leben, Herder, Freiburg im Breisgau 2012. 237].

27Elementi di Teologia Fondamentale, 100 [Theologische Prinzipienlehre, 162].

28Ibidem.

29Escatologia. Morte e vita eterna, 81 [Auferstehung und ewiges Leben, 88-89].

30In principio Dio creò il cielo e la terra, 95 [Im Anfang schuf Gott, 54]; Opera Omnia, vol. 6/1: Gesù di Nazareth, 620 [Gesammelte Schriften, Band VI/I.: Jesus von Nazareth. Beitrage zur Christologie, Herder, Friburg im Breigau 2013. 563].

31Gesammelte Schriften, Band II: Offenbarung Verständins und Geschichtstheologie Bonaventuras, 320-321 (la traduzione è mia).

32Ibidem.

33Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1973. 146.

34Cfr. Escatologia. Morte e vita eterna, 158ss.

35In principio Dio creò il cielo e la terra, 68-69.

36Cfr., Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Edizioni Cantagalli, Siena 2003. 261-262.

37Cfr. Introduzione al Cristianesimo, 145-146.

38Cfr. In principio Dio creò il cielo e la terra, 68-69.

39Cfr., Introduzione al Cristianesimo, 145.

40Elementi di Teologia Fondamentale, 120.

41Ibidem, 107.

42Ibidem, 120