Ror Studies Series | Storia e mistero
I Padri come risposta (Antwort) alla Parola (Wort)
Manuel Arostegi Esnaola
Universidad Eclesiástica San Dámaso, Madrid
Il tema che mi è stato chiesto di affrontare è: “I Padri come risposta (Antwort) alla Parola (Wort)”. Al riguardo, Ratzinger tenne una conferenza dal titolo “Die Bedeutung der Väter für die gegenwärtige Theologie” (“Il significato dei Padri per la teologia attuale”), in due occasioni. La prima, all’interno del IX convegno dell’Internationales Forschungszentrum für Grundfragen der Wissenschaften (Centro internazionale di ricerca per le questioni fondamentali della scienza) di Salisburgo, dal 25 al 29 settembre 1967. Il titolo delle giornate era “Geschichtlichkeit der Theologie” (“Storicità della teologia”). I relatori, oltre a Ratzinger, furono Karl Rahner, Norbert Brox, Thomas Michels, Gustave Thils e Wilhelm Dantine. Gli atti delle conferenze erano pubblicati nel 1970 da padre Thomas Michels. Sono molto interessanti, dal momento che raccolgono, oltre ai testi delle relazioni, anche il contenuto delle discussioni tra i partecipanti. Ratzinger presentò di nuovo il suo contributo presso la Facoltà di teologia cattolica di Tubinga il 9 novembre 1967, all’interno del ciclo di conferenze “Theologie und Theologien” (“Teologia e Teologie”).
Hans Küng racconta che, dopo l’intervento, Ernst Käsemann gli disse: “Adesso so di certo perché non potrei mai essere cattolico”.1 La rivista Theologische Quartalschrift di Tubinga ne pubblicò il testo nel 1968. Nel 1982 il testo apparve in un volume intitolato Theologische Prinzipienlehre, che vuol dire Teoria dei principi teologici, in cui furono raccolti vari lavori di Ratzinger riguardanti diverse questioni di teologia fondamentale. In occasione dell’edizione del 1982, Ratzinger modificò leggermente il titolo dell’articolo: da “Die Bedeutung der Väter fur die gegenwärtige Theologie” (“Il significato dei Padri per la teologia attuale”) passò a “Die Bedeutung der Väter im Aufbau des Glaubens”, vale a dire “Il significato dei Padri nella strutturazione della fede”. Credo, come mostrerò più avanti, che la modifica del titolo sia adeguata.
L’aporia del tema
Nella relazione mi concentrerò su quest’ultimo articolo. Ratzinger inizia con il constatare che, nel momento storico in cui scrive, i Padri sembrano superati,2 soprattutto per quanto riguarda l’esegesi:
I Padri sono sempre più distanti nel tempo e fondamentalmente rimane un po’ ovunque l’impressione di un’esegesi allegorica che in qualche modo lascia l’amaro in bocca e allo stesso tempo suscita un sentimento di superiorità, che presenta l’allontanamento tra il passato e il presente come un progresso e, per questo, sembra promettere un domani migliore.3
Prosegue mettendo in campo la questione a cui cercherà di rispondere nell’articolo:
I padri hanno o non hanno, in definitiva, importanza per la teologia attuale? La devono avere per forza? Non è forse meglio, per amore della stessa teologia, rinchiuderli nella dimensione puramente storica, nella semplice indagine sul passato, che, al massimo, oggi ci può venire in aiuto solo mediatamente? Analizzando i fatti con più attenzione, si avverte subito che tutto ciò è lungi dall’essere una semplice domanda retorica. Si trova qui, al contrario, un problema molto complicato, nel quale si concretizza e sintetizza tutto il dilemma della teologia.4
Dei Verbum 12
A queste domande, Ratzinger dice che hanno già risposto gli ultimi tre concili ecumenici. Nel decreto dell’8 aprile 1546 sui libri sacri e le tradizioni da accogliere, il Concilio di Trento dice che:
Nelle affermazioni sulla fede e l’ordine ecclesiale va considerato senso autentico della Scrittura quello che “la santa madre Chiesa – cui spetta di giudicare del senso e interpretazione delle sacre Scritture – ritenne e ritiene”. Pertanto “nessuno osi interpretare” la Scrittura in contrasto con questo significato e con “il consenso unanime dei Padri (DS 1507)”.5
Il Concilio Vaticano I conferma questa dottrina in Dei Filius 2:
Poiché quelle cose che il santo Concilio Tridentino decretò per porre conveniente freno alle menti presuntuose sono state interpretate in modo malvagio da taluni, Noi rinnoviamo il medesimo decreto e dichiariamo che questo è il suo significato: nelle cose della fede e dei costumi appartenenti alla edificazione della dottrina Cristiana deve essere tenuto per vero quel senso della sacra Scrittura che ha sempre tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, alla cui autorità spetta giudicare del vero pensiero e della vera interpretazione delle sante Scritture; perciò a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura contro questo intendimento o anche contro l’unanime giudizio dei Padri (DS 3007).
Che atteggiamento adottò il Concilio Vaticano II? In Dei Verbum 12 viene approvata “la ricerca dei generi storici e, pertanto, l’applicazione, in principio, del metodo storico-critico per l’interpretazione della Bibbia”.6 Il punto prosegue affermando:
Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede.
Nella stessa linea, Dei Verbum 23 afferma che la Chiesa, per acquisire una comprensione più profonda della Sacra Scrittura, “incoraggia convenientemente anche lo studio dei Padri ella Chiesa, sia dell’Oriente sia dell’Occidente, e delle sacre liturgie”.7
Il Concilio Vaticano II, dunque, ha detto “sì” all’esegesi storico-critica e ha detto “sì” anche all’esegesi patristica. Non ha spiegato, però, come articolarle e, al riguardo, Ratzinger commenta:
Ma in questo modo il problema è stato risolto davvero? Piuttosto si potrebbe affermare il contrario: è stato messo a nudo completamente […]. Questa doppia accettazione racchiude l’antagonismo di due atteggiamenti basilari che vanno in direzioni totalmente opposte, sia per quanto riguarda l’origine sia la meta finale.8
Nel 1992 Norbert Lohfink pubblicò in Trierer theologische Zeitschrift un articolo dal titolo molto espressivo: “Der weiße Fleck in Dei Verbum, Artikel 12” (“Il punto oscuro nell’Articolo 12 della Dei Verbum”). L’esegeta cattolico si trova davanti a un dilemma. Se interpreta un testo a partire dai Padri, cosa che, in teoria, dovrebbe fare, è sicuro che i risultati ottenuti non saranno presi seriamente in considerazione né dai filologi né dagli storici. L’esegesi patristica è dogmatica: nell’interpretazione delle Scritture, parte dalla regola della fede, vale a dire, dal dogma. Tuttavia, Ratzinger dice:
L’interpretazione dogmatica, l’interpretazione di un testo a partire da quel dogma, per lo storico è esattamente l’opposto di un’interpretazione storica, che non ammette altra legge al di fuori di quella che viene fuori dal testo stesso.9
In realtà, dice Ratzinger, a emergere è il dilemma davanti al quale oggi si trova la teologia: se ha intenzione di entrare in dialogo con la scienza, deve mettere da parte il dogma, ma se mette da parte il dogma, smette di essere teologia. “Il problema del ruolo attuale dei Padri ci si presenta con urgenza davanti al calvario che la teologia attuale sta percorrendo, a causa della tensione tra due mondi: il mondo della fede e quello della scienza”.10 Fondamentalmente, dice Ratzinger, si tratta della perenne questione della relazione tra auctoritas e ratio.11
Geiselmann
Ratzinger prosegue enumerando alcuni tentativi di risolvere la difficoltà.12 Inizia facendo riferimento a Josef Rupert Geiselmann, secondo il quale, come è noto, la tradizione non implica un plus materiale rispetto alla Scrittura. La tradizione fa sempre riferimento alla Bibbia: nel III secolo la tradizione era il modo in cui la Chiesa dell’epoca interpretava la Scrittura; nel XX secolo, la tradizione è il modo in cui la Chiesa contemporanea si appropria della Bibbia. La Scrittura è presente pienamente in tutti i tempi attraverso le diverse modalità adottate dalla tradizione. Per questo, è un riduzionismo identificare la tradizione con i Padri della Chiesa. Quella del XX secolo è tradizione tanto quanto quella del III secolo. Voler identificare la tradizione con i Padri, dice Geiselmann, ha tutta l’aria di essere un classicismo13 secondo cui esiste un periodo primordiale che svolge il ruolo di canone per tutte le epoche posteriori. Secondo tale classicismo teologico, la creatività si troverebbe ridotta ai primi tre, quattro o cinque secoli e da lì in poi si tratterebbe soltanto di conservare quanto prodotto ai primordi.14 A Geiselmann tale concezione risulta pericolosa, perché rischia di imbalsamare la tradizione viva e farla diventare una mummia.15
Ratzinger non è d’accordo con Geiselmann, perché, se fosse vero ciò che afferma, l’argomento patristico non sarebbe esistito prima del classicismo. La verità è molto diversa:16 esso venne usato da Cirillo di Alessandria contro Nestorio e da Agostino contro Giuliano di Eclano. Tutta la teologia scolastica si articola intorno all’argomento patristico. È vero che fu fatto passare sotto silenzio dal razionalismo illuminista, ma Möhler e Drey lo recuperarono, dando nuova linfa alla teologia.17 Ci sarebbe da aggiungere che Geiselmann, che curò l’edizione critica di Möhler, diceva che quest’ultimo nel suo primo periodo (quando scrisse, cioè, L’unità nella Chiesa) peccava di classicismo.18
Lang
Altro tentativo menzionato da Ratzinger è quello fatto da Albert Lang,19 la cui teoria si sviluppa in relazione ai dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. Secondo Lang, non è detto che i Padri professassero questi due dogmi. E allora come giustificarli? Secondo Lang, è tradizione tutto ciò che la Chiesa universale ha creduto in un qualsiasi momento della storia: vale a dire, se una verità è stata creduta dalla Chiesa universale in un determinato punto della storia, allora tale verità di fatto è stata rivelata e appartiene, pertanto, alla tradizione.20 Così, perché si possano proclamare i dogmi mariani citati, non è necessario ritrovarli nei Padri; basta che siano stati creduti dalla Chiesa universale in una qualsiasi epoca. Per una diversa via, si arriva alla stessa conclusione di Geiselmann: quella del XX secolo è tradizione tanto quanto quella del II e III secolo. Ratzinger dice che “con questa destoricizzazione del concetto di tradizione si dava manforte a una minimizzazione, non esplicita, ma tacita, dell’importanza dei Padri”.21
Le idee di questi autori hanno avuto larga diffusione e hanno messo la patristica in una situazione difficile. Prima era stata emarginata dall’esegesi, che l’aveva messa da parte perché dogmatica. Ora, paradossalmente, veniva relativizzata dalla stessa teologia dogmatica, per la quale i Padri “sembravano finire con l’essere ridotti allo stesso livello del resto della storia della teologia, in modo tale che all’interno di questa storia non conservavano nessuna posizione particolare”.22
Tentativo di risposta
Chi è Padre della Chiesa? Critica di Benoit alla definizione tradizionale
Andando avanti, Ratzinger propone la sua tesi. Per prima cosa, mette in campo una domanda previa, la cui risposta è lungi dall’essere acclarata: chi è Padre della Chiesa?
Qui Ratzinger è in dialogo con André Benoit, patrologo della Facoltà di teologia evangelica di Strasburgo, che pubblicò nel 1961 una monografia intitolata L’actualité des Pères de l’Église. Il secondo capitolo si intitola “Les Pères de l’Église: essai de définition”,23 in cui Benoit sottopone a esame critico tre definizioni di Padri.
La prima è quella del cattolicesimo romano. La Chiesa cattolica fa da sempre riferimento a Vincenzo di Lerins, che in Commonitorium 28 afferma che, qualora dovesse sorgere una nuova eresia, bisogna ricorrere agli scritti dei Padri, e precisa:
Quanto ai Padri, però, bisogna consultare soltanto il pensiero di coloro che santamente, saggiamente e costantemente, vissero, insegnarono, rimasero stabili nella fede e nella comunione cattolica, e morirono fedeli a Cristo o meritarono la gioia di dare la vita per lui. Ma a costoro si deve prestare fede seguendo questa regola: ciò che tutti, o almeno la maggioranza, hanno affermato chiaramente, nello stesso senso, frequentemente e costantemente, a guisa di concilio di maestri perfettamente unanimi, e che hanno confermato col riceverlo, conservarlo e tramandarlo, ciò deve essere ritenuto per indubitabile, certo e vero. Al contrario, tutto quello che al di fuori della dottrina comune, o addirittura contro di essa, avrà penato uno solo, fosse pure un santo e un dotto, un vescovo, un confessore, un martire, deve essere relegato tra le opinioni personali, non ufficiali, private, che non hanno l’autorità dell’opinione comune, pubblica e generale, affinché non ci accada, con sommo pericolo della nostra salvezza eterna, di abbandonare l’antica verità della dottrina cattolica per seguire l’errore novello di un solo individuo.24
Al punto 2 aveva detto:
Nella stessa Chiesa Cattolica bisogna avere la più grande cura nel ritenere ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti.25
Émile Amann, anche lui professore di teologia a Strasburgo, ma presso la Facoltà cattolica, nel 1933 redasse la voce “Pères de l’Église” per il Dictionnaire de théologie catholique. Sistematizzò i testi di Vincenzo e disse che un Padre della Chiesa si distingue per quattro aspetti: ortodossia della dottrina, santità di vita, approvazione della Chiesa e antichità.26
Tale definizione non convince Benoit. L’aspetto dell’ortodossia è anacronistico: seguendo tale principio, si giudica un autore in base a criteri che nella sua epoca non esistevano. Benoit fa l’esempio di Origene: nella sua epoca nessuno mise in dubbio la sua ortodossia e, per di più, l’alessandrino allora era uno dei principali rappresentanti dell’ortodossia imperante. Per contro, Giustiniano nel 543 e il quinto concilio ecumenico di Costantinopoli del 553 lo anatemizzarono. Ha, dunque, senso giudicare un autore del III secolo in base a criteri di ortodossia definiti trecento anni dopo?
Simile è il caso del terzo aspetto: l’approvazione della Chiesa. Ci troviamo di nuovo di fronte a un elemento anacronistico, dal momento che l’approvazione ecclesiastica dipende da criteri estranei all’epoca del Padre, ma che vigono nella Chiesa nel momento in cui si formula il giudizio favorevole o contrario.27
La seconda definizione di Padre della Chiesa è quella di Franz Overbeck (*1837; †1905). Costui nel 1882 scrisse un articolo intitolato “Über die Anfänge der patristischen Literatur”, ovvero “Sugli inizi della letteratura patristica”, dove propone la seguente definizione di patristica: “la patristica è lo studio della letteratura greco-romana di confessione e d’interesse cristiani”.28 L’accento viene marcato sulla parola “letteratura”. Non tutti i testi cristiani antichi possono essere considerati letteratura e, per rientrare nel novero, un testo deve soddisfare gli standard letterari greco-romani. Dal momento che non rientrano in tali canoni, il Nuovo Testamento e i Padri apostolici non sono letteratura greco-romana e, pertanto, nemmeno patristica. Gli apologisti per poco non lo sono. Il primo autore a rientrare pienamente nella definizione è Clemente Alessandrino, che, di conseguenza, è il primo Padre della Chiesa.29
Benoit non si ritiene soddisfatto della proposta di Overbeck: per sapere se un autore è o non è Padre della Chiesa, si segue un criterio, quello dei canoni letterari greco-romani, completamente estraneo all’essenza del cristianesimo. Inoltre, viene lasciata fuori una moltitudine di autori cristiani antichi semplicemente perché avevano utilizzato una lingua diversa dal greco o dal latino;30 si pensi, ad esempio, alla ricchissima tradizione siriana.
La terza definizione citata da Benoit è quella di André Mandouze, che nel 1959 presentò una comunicazione al terzo Congresso internazionale di studi patristici di Oxford. Secondo la sua proposta, “i Padri sono dunque gli autori dei primi secoli cristiani universalmente invocati come testimoni diretti o indiretti della dottrina cristiana o della vita della Chiesa in un’epoca determinata”.31 Tale definizione ha il vantaggio di non ricorrere a criteri estrinseci, come quello di una ortodossia definita secoli dopo, o quello dei canoni letterari del mondo pagano. Per Benoit, però, nella definizione vi è un elemento che risulta essere problematico e cioè l’espressione “universalmente invocati”. I Padri sarebbero quegli autori cristiani che, con il passar del tempo, furono riconosciuti dalla Chiesa universale come testimoni della sua dottrina e della sua vita. Si troverebbero inclusi, così, autori come Origene e Tertulliano, dal momento che la Chiesa universale usa i loro testi all’interno del suo magistero e della liturgia. Eppure, in sostanza, il problema continua ad esserci: per determinare se un autore è o non è Padre, si segue un criterio a posteriori ed estrinseco all’autore, e cioè quello del suo futuro riconoscimento da parte della Chiesa universale.32
Successivamente, Benoit propone la sua definizione. Parte da un principio fondamentale: il centro della fede cristiana è confessare che Gesù Cristo è nostro Signore. Gli apostoli ebbero una conoscenza diretta di Gesù. Dopo la sua morte, bisognava rivolgersi ai discepoli degli apostoli e ai discepoli dei discepoli. Man mano si formò così la tradizione della Chiesa. Con il passare del tempo, la tradizione cresce, ma allo stesso tempo si va allontanando dall’origine e corre il rischio di deformarsi. Per far fronte a tale rischio, intorno all’anno 150, la Chiesa riconosce autorità a una serie di scritti, cioè, ritiene che in essi sia espressa la tradizione autentica, che ci collega agli apostoli e, attraverso di loro, al Signore. Nasce, così, il Nuovo Testamento e tale insieme di scritti sarà considerato la norma suprema della dottrina e della vita della Chiesa. Da questo momento, gli scritti del Nuovo Testamento saranno oggetto di interpretazione, di esegesi. A chi realizza tale interpretazione viene dato il nome di Padre della Chiesa. Ciò significa che sono Padri della Chiesa gli esegeti del Nuovo Testamento.
Rispetto alla definizione di Vincenzo di Lerins, Benoit ritiene che la sua ha il vantaggio di non fare distinzione tra ortodossi ed eterodossi: permette l’inclusione di Tertulliano, Origene e Nestorio, dal momento che tutti loro sono stati interpreti del Nuovo Testamento. Rispetto alla definizione di Overbeck, ha il vantaggio di non discriminare nessun’area geografica: sono Padri della Chiesa tutti gli esegeti del Nuovo Testamento, anche se non hanno scritto né in latino né in greco.
Benoit riconosce che la sua definizione presenta una difficoltà: ovvero la delimitazione del periodo patristico, sia per quanto riguarda l’inizio che la fine. Per quanto riguarda l’inizio, se applichiamo rigorosamente il criterio di Benoit, non possono esserci Padri finché non viene fissato il canone del Nuovo Testamento, cioè, fino all’anno 150. I Padri apostolici e gli apologisti non sarebbero, dunque, Padri della Chiesa. Il primo sarebbe sant’Ireneo, anche se Benoit dice che non bisogna essere eccessivamente rigidi su tale punto. Prima dell’anno 150 la Chiesa non aveva il Nuovo Testamento, ma si affidava all’Antico Testamento. Si potrebbero considerare Padri gli autori di quella epoca che operavano un’interpretazione cristologica dell’Antico Testamento. In tal modo, si troverebbero inclusi i Padri apostolici e gli apologeti.
La delimitazione risulta problematica anche per quanto riguarda la fine del periodo patristico. Se accettassimo la definizione tout court, sarebbero Padri della Chiesa tutti gli interpreti cristiani della Scrittura fino ai nostri giorni. Fondamentalmente staremmo dicendo la stessa cosa di Geiselmann. Secondo Benoit, bisogna fissare un limite, e crede che sia opportuno fissarlo al 1054 d.C., anno dello scisma d’Oriente. I Padri sarebbero, così, gli esegeti del cristianesimo indiviso.33
Opinione di Ratzinger
Che giudizio merita la definizione di Benoit? A mio avviso, gli si possono muovere alcune obiezioni (questo lo dico io, non Ratzinger). In primo luogo, non credo che il discernimento del canone del Nuovo Testamento sia stato fatto entro il 150; su questo ritorneremo più avanti. In secondo luogo, personalmente non condivido la tesi di fondo che propone Walter Bauer nel suo celebre Rechtgläubigkeit und Ketzerei im ältesten Christentum. Tuttavia credo che su un punto abbia ragione: il cristianesimo indiviso non è mai esistito. Benoit afferma che il primo Padre della Chiesa in senso stretto, ovvero il primo esegeta del Nuovo Testamento, è sant’Ireneo di Lione. Ebbene, se qualcuno crede che al tempo di Ireneo il cristianesimo non fosse diviso, legga il primo e il secondo libro dell’Adversus haereses. D’altra parte, credo che la definizione di Benoit abbia il grande merito di collegare Padri e Scrittura. Di questo punto (decisivo, a mio avviso) parleremo ancora.
Ritorniamo all’articolo di Ratzinger. Vediamo che dice Ratzinger riguardo alla proposta di Benoit. Si trova d’accordo con il giudizio che emette il patrologo di Strasburgo su Overbeck e Mandouze.34
Ratzinger è d’accordo anche con Benoit nel rifiutare la definizione di Vincenzo di Lerins,35 per il quale Ratzinger non ha mai provato troppa simpatia. Il 15 dicembre 1965 tenne una conferenza a Düsseldorf dal titolo “Das Problem der Dogmengeschichte in der Sicht der katholischen Theologie” (“Il problema della storia dei dogmi dal punto di vista della teologia cattolica”). In quella sede Ratzinger disse che Vincenzo di Lerins era un semipelagiano che aveva formulato un concetto astorico di tradizione con un solo scopo: evitare che sant’Agostino (la cui dottrina della grazia gli sembrava molto pericolosa) fosse considerato Padre della Chiesa.36 Nel 1967 Ratzinger scrisse un commentario parziale sulla Dei Verbum per il Lexikon für Theologie und Kirche. Quando commenta il punto 8 (“De sacra traditione”) ricorda che tanto il Concilio di Trento quanto il Vaticano I avevano citato il testo del Commonitorium.37 Il Vaticano II, invece, aveva intenzionalmente evitato tale citazione, dal momento che le ricerche storiche avevano dimostrato che, in realtà, Vincenzo di Lerins era un semipelagiano che rifiutava Agostino con la sua dottrina della grazia, considerandola contraria alla tradizione.38
Nell’articolo che stiamo prendendo in esame, Ratzinger considera che dei quattro aspetti di Vincenzo di Lerins-Amann, i più discutibili sono quello di “ortodossia” e di “antichità”.39 Sul criterio di “ortodossia”, oltre ad affermare che è discutibile, non si pronuncia. Tuttavia, nella discussione che seguì la sua relazione a Strasburgo nel 1968, Erika Weizierl gli chiese di spiegare più approfonditamente la sua posizione. Ratzinger le rispose che in sostanza si trovava d’accordo con Benoit e citò l’esempio di Origene.40
Sulla critica all’aspetto di “antichità” si sofferma più a lungo. Nel mondo pagano il criterio di antichità era fondamentale. Al principio, si verificò un contatto immediato con il divino ed è per questo che è all’origine che si trova quanto di più puro e vero ci sia. Da quel momento in poi, la storia non è che una progressiva decadenza, un inesorabile allontanamento dalla purezza primordiale. Ratzinger esprime così tale concezione pagana:
Prevale qui un concetto naturale di antico secondo cui ciò che viene prima è, in quanto tale, di livello più elevato, più vicino al divino; di conseguenza, nella misura in cui il tempo va avanti, le generazioni successive si distanziano sempre di più dall’origine, cosicché proprio per questo tali generazioni hanno più bisogno di preservare l’origine, che trasmettono alla loro epoca tarda il messaggio della verità ormai distante.41
Esponente di tale mentalità sarebbe Platone, che in Filebo 16 c afferma che gli antichi “erano migliori di noi e abitavano più vicino agli dei”.
Fino a che punto è questa la concezione cristiana? Ratzinger ora cita l’interpretazione medievale di un passaggio del capitolo 3 della Regola di San Benedetto.42 Si tratta di una questione con cui il teologo tedesco ha avuto molto a che fare.43 Che io sappia, se ne è occupato nella tesi di abilitazione44 e anche in un articolo pubblicato nel 1958 in Trierer theologische Zeitschrift intitolato “Offenbarung-Schrift-Überlieferung” (Rivelazione-Scrittura-Tradizione),45 in cui studiava la teoria medievale dell’evoluzione dei dogmi.
Il capitolo 3 della Regola inizia così:
Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore.
In altre parole, secondo san Benedetto, al momento di prendere decisioni di una certa importanza, bisogna convocare tutta la comunità, inclusi i bambini, “perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore”. Il classico esempio è, ovviamente, il profeta Daniele, che, da bambino, ricevette la rivelazione che salvò Susanna dalla morte (cfr. Dn 13,45).
Vediamo che conclusioni tiravano gli uomini del Medioevo da questo testo della Regola. Pietro Abelardo (*1079; †1142), in un sermone, si interroga circa l’assunzione corporea della Vergine Maria in cielo e dice:
Sappiamo molto bene che san Girolamo […] nutriva dei dubbi […] riguardo a questa resurrezione […]. Ma, posto che […] san Benedetto dice che la regola che Dio rivela spesso al più giovane ciò che non rivela al più vecchio, può darsi che ciò che ai tempi di Girolamo era sommerso dall’incertezza si sarebbe manifestato successivamente attraverso la rivelazione dello Spirito Santo.46
Guido di Orchellis (†1225) richiama l’attenzione sul fatto che Alessandro di Hales avesse risolto questioni riguardanti il sacramento del battesimo su cui sant’Agostino era in dubbio. Guido si domanda: “Come ci si può pronunciare al riguardo, se lo stesso Agostino nutriva dei dubbi?” Nel rispondere, Guido fa appello al testo di san Benedetto: “In certe occasioni viene rivelato al più giovane qualcosa che non è stato manifestato alla persona più adulta. Così, venne rivelato ad Alessandro ciò che ad Agostino risultava oscuro”.47
Queste affermazioni medievali esprimono, secondo Ratzinger, un importante convincimento cristiano: non sempre è vero che ciò che è più antico, per il solo fatto di esserlo, sia anche più autentico. Se i Padri hanno autorità, non è semplicemente perché sono antichi. È vero che noi cristiani crediamo che esiste un avvenimento originale vincolante che serve da norma e metro per tutto ciò che viene dopo, ovvero la rivelazione di Gesù agli apostoli. Tuttavia, se i Padri hanno un’autorità speciale, non si deve al fatto che temporalmente si trovino più vicini agli apostoli di quanto lo possiamo essere noi. Simon Mago ebbe a che fare con gli apostoli più da vicino che non sant’Ireneo e, tuttavia, non è un Padre della Chiesa. Il fatto che alcuni si trovino temporalmente più vicino agli apostoli non significa che lo siano anche interiormente. In una frase a mio avviso illuminante, Ratzinger dice che se la vicinanza temporale dei Padri deve avere significato teologico, questo può solo derivare dal fatto che fanno parte in modo particolare dell’avvenimento originario. Questa è, secondo me, la tesi dell’articolo: i Padri fanno parte dell’avvenimento rivelatore originario. Questo è un punto su cui ritorneremo.
Così, dunque, fondamentalmente Ratzinger si trova d’accordo con il giudizio di Benoit sulle definizioni di Vincenzo di Lerins, Overbeck e Mandouze. Ma che pensa della definizione di Benoit stesso? Di base è d’accordo, ma critica solo un punto: l’aver fissato il limite al 1054. Secondo Ratzinger, tale data è eccessivamente tarda. Nel 1054 viene sancita de iure una rottura che de facto era già in corso. In tale frattura de facto si possono distinguere tre punti nodali: le invasioni germaniche, l’irruzione dell’Islam e, infine, la propensione del papa per l’Impero carolingio. Pertanto, la frontiera tra l’epoca patristica e quella medievale si dovrebbe situare intorno all’800 d.C. Oltre questo punto, Ratzinger è d’accordo con Benoit sul fatto che i Padri sono i maestri del cristianesimo indiviso48 e su questo già mi sono espresso.
Dopo aver preso in considerazione il pensiero di Benoit, segue la parte più personale e, a mio giudizio, più interessante dell’articolo,49 nella quale viene sviluppata l’intuizione appena menzionata secondo la quale i Padri fanno parte dell’avvenimento rivelatore originario.
I Padri come risposta (Antwort) alla parola (Wort)
In quello che, a mio giudizio, è il paragrafo centrale, Ratzinger dice:
La conclusione tratta prima, secondo cui quando si legge la Scrittura la si legge sempre seguendo dei determinati “Padri”, può sfociare in una formula più generale: la Scrittura e i Padri sono un tutt’uno, come la parola e la risposta (Wort e Antwort) Questi due elementi non sono la stessa cosa, non sono allo stesso livello, non possiedono la stessa forza normativa. La parola viene prima ed è seguita dalla risposta, e questa sequenza è irreversibile. Ma, per quanto diverse, comunque non ammettono mescolanze, tantomeno separazioni. Soltanto quando la parola trova risposta può permanere ed essere efficace. La parola è, per sua natura, una realtà relazionale, presuppone tanto il parlante quanto l’ascoltatore-allocutore. La parola si estingue non soltanto quando nessuno parla, ma anche quando non c’è nessuno che ascolta. […] Così dunque, la parola esiste soltanto insieme alla risposta, attraverso di lei. E ciò vale anche per la parola di Dio, per la Scrittura […] Rimane valido il fatto che non possiamo leggere né ascoltare facendo a meno della risposta che ha ricevuto quella parola e che è essenziale alla sua permanenza”.50
La parola è una realtà relazionale e, come ogni relazione, per esistere esige un termine a quo e un termine ad quem. Il termine a quo della parola di Dio sono gli agiografi e, attraverso di loro, Dio stesso. Il termine ad quem sono i Padri o meglio la Chiesa di cui essi sono testimoni. Senza i Padri, senza la loro Antwort, la Wort smetterebbe di esistere, dal momento che senza termine ad quem non può esserci realtà relazionale. Pertanto, possiamo formulare la seguente definizione: i Padri sono la prima risposta alla parola, in virtù della quale questa parola si trova costituita come tale. In altre parole: senza i Padri della Chiesa non c’è rivelazione, in essa essi hanno un ruolo fondamentale.51
Ratzinger arrivò a tale convinzione studiando san Bonaventura. Nella sua abilitazione afferma che, secondo il Serafico, i Padri “sono portatori di una nuova rivelazione spirituale, senza l’accettazione della quale la Scrittura non risulta efficace come rivelazione”.52 Nell’autobiografia, Ratzinger scrive che secondo san Bonaventura e, in generale, i teologi del XIII secolo,
Del concetto di rivelazione fa sempre parte il soggetto ricevente: dove nessuno riceve la rivelazione, lì non si può avere nessuna rivelazione, perché lì non è stato svelato niente. L’idea stessa di rivelazione implica un qualcuno che entri in suo possesso. Tali concetti, acquisiti grazie ai miei studi su Bonaventura, diventarono inseguito molto importanti per me, quando nel corso del dibattito conciliare vennero affrontati i temi della rivelazione, delle sacre Scritture e della Traduzione.53
Nel 1965, insieme a Karl Rahner Ratzinger pubblicò il volume 25 della collana Quaestiones disputatae dal titolo Offenbarung und Überlieferung, vale a dire Rivelazione e tradizione. In tale opera il teologo bavarese afferma quanto segue:
Può esserci Scrittura senza rivelazione; la rivelazione diventa realtà soltanto dove c’è fede […] La rivelazione si verifica solo quando, oltre ai suddetti materiali che la testimoniano, opera la sua realtà storica sotto forma di fede. In tal senso, nella rivelazione rientra, in certa misura, anche il soggetto ricevente, senza il quale non vi è rivelazione. Non ci si può mettere la rivelazione in tasca, come fosse un libro. È una realtà viva che chiede o richiede l’uomo come luogo della sua presenza. Riflettendo di nuovo su ciò che viene prima, possiamo dire: la rivelazione trascende il fatto “Scrittura” in due direzioni: a) verso l’alto, si innalza sempre, in quanto realtà che viene da Dio, verso Dio [termine a quo della parola]; b) in quanto realtà che si rivolge all’uomo stesso nella fede [termine ad quem], ma oltre, come dall’altro lato, del fatto trasmittente della Scrittura.54
Ebbene, questa tesi presenta almeno due difficoltà. La prima è che risulta difficilmente conciliabile con l’affermazione secondo cui la rivelazione termina con la morte dell’ultimo apostolo. La seconda è che, secondo il principio proposto, dovrebbe far parte della rivelazione non solo il modo in cui i Padri accolgono la Scrittura, ma anche quello dei credenti attuali. In ultima istanza, staremmo dicendo lo stesso di Geiselmann: non c’è differenza di rango tra i Padri e i credenti del XX secolo, dal momento che sia gli uni che gli altri sono costitutivi per la rivelazione.
Ratzinger è cosciente di entrambe le difficoltà. Vediamo come affronta la prima.
La rivelazione e la morte dell’ultimo apostolo
Dal suo punto di vista, non si può accettare senza batter ciglio la tesi secondo cui la rivelazione è terminata con la morte dell’ultimo apostolo. Nella sua abilitazione, fa presente che su questo punto vi è una differenza tra Bonaventura e noi:
[In Bonaventura] già si verifica un ampliamento dell’età della rivelazione, che va più in là del tempo per noi abituale, che ordinariamente vede fissato il limite della rivelazione nella morte dell’ultimo apostolo.55
In Rivelazione e tradizione, Ratzinger afferma che, alla luce della tradizione patristica e medievale, la tesi secondo cui la rivelazione finisce con la morte dell’ultimo apostolo è troppo poco differenziata.56
Poco sopra abbiamo fatto cenno alla conferenza che Ratzinger tenne a Düsseldorf il 15 dicembre 1965 su Il problema della storia dei dogmi dal punto di vista della teologia cattolica. Al riguardo, egli afferma:
In questa [stessa] direzione si mosse anche la seconda decisione magisteriale che riguardo a questa questione si pronunciò all’inizio del XX secolo, e cioè, la sezione sul concetto di rivelazione e del dogma del decreto Lamentabili di Pio X. Qui venne formulato per la prima volta un assioma che, di certo, era considerato evidente, che oggettivamente esprime un dato fondamentale della fede cristiana, ma che nella sua formulazione rivela una riflessione del tutto insufficiente della connessione tra rivelazione e storia, vale a dire, l’affermazione secondo cui la rivelazione, che costituisce l’oggetto della fede cattolica, terminò con gli apostoli.57
Ratzinger non rifiuta l’assioma, ma pensa che vada inteso in maniera corretta. Se si interpreta nel senso che la rivelazione apostolica è piena e definitiva, è corretto. Dice Tertulliano in De exhortatione castitatis 4 che tanto gli apostoli quanto gli altri fedeli hanno lo Spirito di Dio, ma non nello stesso modo: gli apostoli lo hanno proprie e plene, mentre gli altri fedeli ex parte. Qualcosa di simile afferma Clemente Alessandrino in Stromati IV 133: “Ciascuno ha un suo particolare carisma da Dio, chi in un modo, chi in un altro […] ma gli apostoli furono completi in tutto”.58 In altre parole, negli apostoli si dà già tutto. Quello che ancora manca è che la Chiesa si appropri di tutto ciò nel corso della storia. Eppure, se per questo gli apostoli fossero concepiti come un gruppo autosufficiente e chiuso in se stesso, si commetterebbe un errore. La parola apostolica è, in quanto parola, una realtà di relazione. Senza l’Antwort della Chiesa, che la accoglie, non c’è rivelazione.
Passiamo alla seconda difficoltà: quella dei credenti del tempo presente non è Antwort tanto quanto quella dei Padri?
Singolarità dell’Antwort patristica
Ratzinger crede che esista una differenza di qualità tra l’Antwort dei Padri e quella di epoche posteriori. I Padri sono primi non solo cronologicamente, ma anche qualitativamente. L’Antwort dei Padri è unica, irripetibile e costitutiva per il resto delle epoche. Perché? Secondo Ratzinger, perché i Padri dovettero realizzare quattro discernimenti straordinariamente importanti.59
Il primo è il discernimento del canone biblico. In quell’epoca circolavano molti vangeli, non solo i quattro che conosciamo e lo stesso per quanto riguarda le numerosissime apocalissi, lettere e atti. Quali di questi erano parola apostolica e, pertanto, potevano essere letti nella liturgia? Quali no? Con Ireneo di Lione (alla fine del II secolo), si era già arrivati a uno stadio abbastanza avanzato di completezza della comprensione. Mancava solo che il discernimento testimoniato dal vescovo di Lione venisse consolidato e universalizzato. Si può dire che per l’inizio del V secolo già si è compiuto il processo di formazione dell’insieme di libri chiamato “Nuovo Testamento”.
È difficile esagerare l’importanza di tale processo. Diceva Harnack che in tutta la storia della Chiesa è difficile trovare un atto creativo superiore alla formazione della raccolta apostolica.60 Ratzinger si trova d’accordo con tale giudizio: “La formazione del canone e la formazione della Chiesa primitiva sono un solo ed unico processo, visto da angolature differenti”.61 Cita sant’Agostino, che fa il paragone fra questo discernimento e la separazione delle acque superiori dalle inferiori per mezzo del firmamento (cfr. Gn 1,6), in virtù della quale il caos venne trasformato in cosmo.62
Così si comprende il valore costitutivo dei Padri. Senza di loro non avremmo gli scritti apostolici. I testi esisterebbero, certamente, ma non sarebbe stato operato alcun discernimento su di essi; avremmo soltanto un miscuglio di documenti enorme, disomogeneo e caotico.
Secondo discernimento. Uno dei criteri principali per distinguere gli scritti apostolici da quelli che non lo erano, era la loro conformità (o mancata conformità) con la regula fidei, la confessione di fede battesimale. Ebbene, con le confessioni di fede accadeva lo stesso: ce n’erano molte e molto diverse (per esempio, sappiamo da Ireneo che circolavano regulae fidei gnostiche);63 tutte, ovviamente, pretendevano di essere apostoliche. Ma quali delle confessioni di fede in circolazione raccoglievano davvero l’insegnamento degli apostoli e quali no? La Chiesa dovette compiere tale discernimento, che sta più in profondità e viene prima di quello del canone neotestamentario. Ebbene, i Padri della Chiesa sono i testimoni di tale discernimento.
Terzo discernimento. Si trova in una forte relazione con i due precedenti. È il discernimento delle forme basilari (Grundformen) della liturgia. La connessione con gli altri discernimenti è chiara, dal momento che la Chiesa antica, la lettura della Scrittura e la confessione di fede erano, innanzitutto, atti liturgici della comunità. Il problema era molto simile: quali dei numerosi e variegati riti in circolazione raccoglievano la preghiera che ci hanno trasmesso gli apostoli e quali no?64
Quarto discernimento. Che atteggiamento adottare nei confronti della filosofia? Bastano le forme ebraiche di pensiero o è necessario aprirsi alla filosofia greca? Spiega Ratzinger che i Padri concepirono la fede come una philosophia, come l’autentica philosophia. I Padri cercarono di dimostrare che la fede in Gesù, il Logos incarnato, è la risposta alle domande ultime dei filosofi. Il loro programma si esprime con la formula “credo ut intelligam”, “credo per comprendere”, credo affinché la mia intelligenza arrivi alla pienezza. Nasce così la teologia, che non è altro che lo sforzo dei Padri di far vedere come in Gesù trovano risposta le domande ultime della filosofia.
Non sono mancati teologi critici nei confronti di questo quarto discernimento. Ratzinger cita Karl Barth. Si potrebbero aggiungere tutti coloro che vedono in tale discernimento una indebita ellenizzazione del cristianesimo.65 Il paradosso è che tale critica parte da un campo, quello della teologia, che se non fosse per questo discernimento, non esisterebbe.66
Per questi quattro discernimenti, i Padri dovettero vedersela con nemici potenti, alcuni dei quali erano, a mio giudizio, teologi straordinari, il che esigeva una risposta che fosse, almeno, al loro stesso livello. Come si può dimostrare, si tratta di quattro questioni che riguardano il fondamento stesso non solo della teologia, ma anche della fede (perciò credo che fosse adeguato il cambiamento di titolo al quale ho fatto allusione prima). Penso che su questi discernimenti si fondi il significato singolare e costitutivo dell’Antwort patristica.
Ratzinger non lo fa, ma credo che sulla base di tali considerazioni si possa formulare la seguente definizione di Padre della Chiesa: sono Padri i testimoni del discernimento che fece la Chiesa del canone apostolico (intendendo il termine “canone” nel suo senso più profondo67). Penso che in tal modo si possa dare una risposta anche alla difficile questione della frontiera della patristica: verrebbe così a coincidere con il tempo del discernimento delle regulae fidei e degli scritti del Nuovo Testamento (periodo che si può datare con relativa precisione). Da questo momento in poi dovremmo entrare in una nuova fase della storia della Chiesa.
Partendo da tale concezione, si spiegherebbe anche il significato ecumenico dei Padri, sul quale tanto insistono Benoit e Ratzinger. Tutte le confessioni che riconoscono l’autorità degli scritti del Nuovo Testamento o delle regulae fidei della Chiesa antica, implicitamente stanno riconoscendo anche l’autorità dei Padri che hanno operato il discernimento.
Conclusione
Ricordiamo la domanda con la quale si apriva l’articolo di Ratzinger:
I padri hanno o non hanno, in definitiva, importanza per la teologia attuale? La devono avere per forza? Non è forse meglio, per amore della stessa teologia, rinchiuderli nella dimensione puramente storica, nella semplice indagine sul passato, che, al massimo, può venire in aiuto del nostro oggi solo mediatamente? Analizzando i fatti con più attenzione, si avverte subito che tutto ciò è lungi dall’essere una semplice domanda retorica. Si trova qui, al contrario, un problema molto complicato, nel quale si concretizza e sintetizza tutto il dilemma della teologia.68
Ratzinger conclude l’articolo rispondendo a tale domanda:
Per semplici ragioni storiche non si arriva mai al punto quando tra il ricercatore e la Bibbia si trova il vuoto e quando ci si vuole dimenticare del fatto che la Bibbia arriva fino a noi attraverso la storia. Soltanto chi affronta la storia può dominarla. Chi la vuole bypassare è suo prigioniero. E soprattutto, chi asseconda questa tendenza non ha la benché minima opportunità di leggere davvero storicamente la Bibbia, per quanto possa sembrare che utilizzi metodi storici. In fondo, continua ad essere rinchiuso nell’orizzonte del suo pensiero, in cui si riflette soltanto la propria immagine.69
E continua citando il bel finale del libro di Benoit, nel quale dice di identificarsi pienamente:
Il patrologo è, senza dubbio, colui che studia i primi secoli della Chiesa; ma dovrebbe essere anche colui che prepara il futuro della Chiesa. Questa, in ogni caso, è la sua vocazione.70
1H. Küng, Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, Piper, München 2007, 227: “Jetzt weiß ich wieder, warum ich nicht katholisch sein kann“.
2Cfr. J.A. Alcáin, La tradición, Universidad de Deusto, Bilbao 1998 22010, 515; I.V. Leb, Kardinal Ratzinger und die Theologie der Kirchenväter, in K. Nikolakopoulos (ed.), Benedikt XVI. und die Orthodoxe Kirche. Bestandsaufnahmen, Erwartungen, Perspektiven, EOS, St. Ottilien 2008, 42-60, qui 49s; e C. Mayer, Augustinus im Denken von Joseph Ratzinger/Benedikt XVI. (*1927), in N. Fischer (ed.), Augustinus. Spuren und Spiegelungen seines Denkens, Bd. 2, Von Descartes bis in die Gegenwart, Meiner, Hamburg 2009, 309-20, qui 314.
3J. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Wewel, Donauwörth 1982, 22005, 140: “Die Väter sind weit in die Vergangeheit entrückt, ein unbestimmter Eindruck von allegorischer Exegese bleibt zurück und hinterläßt einen schlechten Geschmack, zugleich freilich ein Gefühl der Überlegenheit, das die Entfernung vom Einst zum Heute als Fortschritt ausweist und damit ein noch besseres Morgen zu verheißen scheint”. Cfr. Blanco, Joseph Ratzinger: razón y cristianismo. La victoria de la inteligencia en el mundo de las religiones, Rialp, Madrid 2005, 191.
4Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 140: “Gibt es also eine Bedeutung der Väter für die heutige Theologie oder gibt es sie nicht? Soll es sie überhaupt geben oder muß man die Väter, um der Sache der Theologie willen, ins rein Historische verweisen, in die bloße Erforschung des Gewesenen, die das Heute, wenn überhaupt, dann nur höchst mittelbar betrifft? Sieht man ein wenig näher zu, so wird man bald gewahren, daß dies beileibe keine bloß rhetorische Frage, sondern vielmehr, ein höchst komplexes Problem ist, in dem sich das ganze Dilemme der Theologie […] findet”.
5Ibidem, 141: “daß in Sachen des Glaubens und der kirchlichen Ordnung jener Sinn als wahrer Schritsinn festzuhalten sei, ‚den die Heilige Mutter Kirche, der es zukommt, über die wahre Meinung und die rechte Erklärung der Heiligen Schriften zu entscheiden, festgehalten hat und festhält. Niemandem ist es daher verstattet, gegen diesen Sinn oder auch gegen die einmütige Auffassung der Väter die Heilige Schrift auszulegen‘”.
6Ibidem, 141: “nach Ihrem Ja zur gattungsgeschichtlichen Forschung und so prinzipiell zur Anwendung der historisch-kritischen Methode auf die Erklärung der Bibel…”.
7Cfr. ibidem, 141.
8Ibidem, 141: “Aber ist damit das Problem etwa erledigt? Eher könnte man das Gegenteil behaupten: Es ist so erst in seiner vollen Schärfe gestellt […] In diesem doppelten Ja verbirgt sich der Antagonismus zweier Grundeinstellungen, die in ihrem Ursprung wie in ihrer Zielrichtung einander durchaus gegenläufig sind”. Cfr. I. Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen? Die Aktualität der Vätertheologie aus der Sicht Joseph Ratzingers. Ein orthodoxer Standpunkt, in M.C. Hastetter, H. Hoping (ed.), Ein hörendes Herz. Hinführung zur Theologie und Spiritualität von Joseph Ratzinger/Papst Benedikt. XVI, Pustet, Regensburg 2012, 149-60, qui 154.
9Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 142: “Dogmatische Auslegung, Auslegung eines Textes von einem Dogma her, ist für ihn das gerade Gegenteil zu historischer Auslegung, die kein anderes Gesetz als eben das vorliegenden Textes kennen will”.
10Ibidem, 143: “Die Frage nach der Aktualität der Väter hat uns damit vor die Zerreißprobe der heutigen Theologie überhaupt gestellt, die ihr von ihrem Ausgespanntsein zwischen zwei Welten – Glaube und Wissenschaft – auferlegt wird”.
11Cfr. Blanco, Joseph Ratzinger, 191.
12Cfr. Alcáin, La tradición, 516 e Leb, Kardinal Ratzinger, 52.
13Cfr. J.R. Geiselmann, Das Konzil von Trient über das Verhältnis der Heiligen Schrift und der nicht geschriebenen Traditionen, in M. Schmaus (ed.), Die mündliche Überlieferung. Beiträge zum Begriff der Tradition, Hueber, München, 1957, 123-206, qui 184-7.
14Cfr. Geiselmann, Das Konzil von Trient, 188-9, con riferimento a Baader.
15Cfr. ibidem, 186.
16Cfr. P. Stockmeier, Die alte Kirche. Leitbild der Erneuerung, «Theologische Quartalschrift» 146 (1966) 385-408, qui 387. Ratzinger conosce l’articolo di Stockmeier: cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 144.
17Cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 144-5.
18Cfr. Geiselmann, Das Konzil von Trient, 194.
19Cfr. Leb, Kardinal Ratzinger, 52-3.
20Cfr. A. Lang, Teología fundamental, tomo II, La misión de la Iglesia, Rialp, Madrid 1967 31977, 314.
21Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 145: “Mit dieser Enthistorisierung des Traditionsbegriffs war eine Minimalisierung der Bedeutung der Väter, obzwar nicht ausgesprochen, so doch mitgegeben”. Cfr. Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 154.
22Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 145: “Zumindest scheinen sie damit auf ein und dieselbe Ebene mit der gesamten übrigen Geschichte der Theologie verwiesen”. Cfr. G. Feige, Die Väter der Kirche – ökumenisch bedeutsam?, in A. Briskina-Müller, A. Drost-Abgarjan, A. Meißner (ed.), Logos im Dialogos. Auf der Suche nach der Orthodoxie. Gedenkschrift für Hermann Goltz (1946-2010), LIT, Berlin 2011, 407-15, qui 410.
23Cfr. A. Benoit, L’actualité des Pères de l’Eglise, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel 1961, 31-52.
24Vincenzo di Lerins, Commonitorium XXVIII 6-8, ed. R. Demeulenaere (Cchr.SL 64 147-95; Turnhout 1985) 187: “Sed eorum dumtaxat patrum sententiae conferendae sunt, qui in fide et communione catholica sancte sapienter constanter uiuentes docentes et permanentes, uel mori in Christo fideliter uel occidi pro Christo feliciter meruerunt. Quibus tamen hac lege credendum est, ut, quidquid uel omnes uel plures uno eodemque sensu manifeste frequenter perseueranter, uelut quodam consentiente sibi magistrorum concilio, accipiendo tenendo tradendo firmauerint, id pro indubitato certo ratoque habeatur. Quidquid uero, quamuis ille sanctus et doctus, quamuis episcopus, quamuis confessor et martyr, praeter omnes aut etiam contra omnes senserit, id inter proprias et occultas et priuatas opiniunculas a communis et publicae ac generalis sententiae auctoritate secretum sit, ne cum summo aeternae salutis periculo, iuxta sacrilegam haereticorum et scismaticorum consuetudinem, universalis dogmatis antiqua veritate dimissa unius hominis nouitium sectemur errorem”.
25Ibidem, II 5, 149: “In ipsa item catholica ecclesia magnopere curandum est, ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est”.
26Cfr. É. Amann, Pères de l’Église, in A. Vacant, E. Mangenot, É. Amann (ed.), Dictionnaire de théologie catholique, XII, Letouzey et Ané, Paris, 1933, 1196-7.
27Cfr. Benoit, L’actualité, 33-36.
28Ibidem, 37. Cfr. F. Overbeck, Über die Anfänge der patristischen Literatur, «Historische Zeitschrift» 48 (1882) 417-72, qui 444.
29Cfr. Benoit, L’actualité, 37.
30Cfr. ibidem, 38.
31Ibidem, 39: “Les Pères sont donc les auteurs des premiers siècles chrétiens universellement invoqués comme témoins directs ou indirects de la doctrine chrétienne ou de la vie de l’Église à cette époque”.
32Cfr. ibidem, 41-3.
33Cfr. ibidem, 44-52.
34Cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 150.
35Per questo mi lasciano perplesso le parole di H. Häring, DOMINUS IESUS. Katholisch – mit Angst vor der Vielfalt?, in M.J. Rainer (ed.), “Dominus Iesus“. Antstößige Wahrheit oder anstößige Kirche? Dokumente, Hintergründe, Standpunkte und Folgerungen, LIT, Münster – Hamburg – London 2001, 144-65, quì 147 n 15; Idem, Theologie und Ideologie bei Joseph Ratzinger, Patmos, Düsseldorf 2001, 53. Per lo stesso motivo, non condivido neanche l’opinione di A. Nichols, The Theology of Joseph Ratzinger. An introductory Study, T. & T. Clark, Edinburgh 1988, 234 n 27 e Blanco, Joseph Ratzinger, 192 n 71. Molto apprezzabile, d’altro canto, Leb, Kardinal Ratzinger, 55s.
36Cfr. J. Ratzinger, Das Problem der Dogmengeschichte in der Sicht der katholischen Theologie, Westdeutscher Verlag, Köln und Opladen 1966, 9.
37Cfr. Idem, Gesammelte Schriften, Bd. 7/1 e 2, Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Formulierung-Vermittlung-Deutung, Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 2012, 759.
38Cfr. Idem, Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils, 760.
39Cfr. Alcáin, La tradición, 517-8; Leb, Kardinal Ratzinger, 56s; Kohlgraf, Glaube im Gespräch. Die Suche nach Identität und Relevanz in der alexandrinischen Vätertheologie – ein Modell für praktisch-theologisches Bemühen heute?, LIT, Berlin-Münster 2011, 18; e Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 155.
40Cfr. Th. Michels (ed.), Geschichtlichkeit der Theologie, Pustet, Salzburg-München 1970, 88-9; e A. Merkt, Das patristische Prinzip. Eine Studie zur theologischen Bedeutung der Kirchenväter, Brill, Leiden-Boston-Köln 2001, 253.
41Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 150-1: “Hier waltet ein naturaler Begriff der Alten, für den das Frühe als solches vorrangig, dem Göttlichen näher ist und die voranschreitende Zeit die Spätgeborenen nur immer weiter vom Ursprung entfernt, so daß sie um so mehr genötigt sind, das Anfängliche zu hüten, das ihrer späten Stunde Botschaft von der ferngewordenen Wahrheit vermittelt”.
42Cfr. ibidem, 151.
43Per questo non mi risulta facile comprendere le affermazioni di Häring, Theologie und Ideologie, 53.
44Cfr. J. Ratzinger, Gesammelte Schriften, Bd. 2, Offenbarungsverständnis und Geschichtstheologie Bonaventuras. Habilitationsschrift und Bonaventura-Studien, Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 2009, 188s.
45Ibidem, 693-711.
46Ibidem, 192.
47Ibidem, 193.
48Cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 151-3; Th. Nikolaou, Die Bedeutung der patristischen Tradition für die Theologie heute, «Orthodoxes Forum» 1 (1987) 6-18, qui 11-2; Alcáin, La tradición, 518; Merkt, Das patristische Prinzip, 248, 256; Th. Maaßen, Das Ökumeneverständnis Joseph Ratzingers, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2011, 66; e Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 155.
49Cfr. Merkt, Das patristische Prinzip, 6, 245.
50Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 153-4: “Der Tatbestand, auf den wir vorhin stießen, daß man nämlich die Schrift immer auf irgendeine Weise zusammen mit bestimmten ‘Vätern’ lesen wird, läßt sich jetzt auf die allgemeinere Formel bringen, daß Schrift und Väter zusammengehören wie Wort und Antwort. Beides ist nicht dasselbe, nicht gleichen Ranges, nicht gleicher normierender Kraft: Das Wort bleibt das Erste, die Antwort das Zweite – die Reihenfolge ist nicht umkehrbar. Aber beides, so sehr es verschieden ist und keine Vermengung duldet, läßt doch auch keine Trennung zu. Nur weil das Wort Ant-wort gefunden hat, ist es überhaupt als Wort stehengeblieben und wirksam geworden. Wort ist von Wesen her eine Beziehungswirklichkeit – es setzt den Sprechenden ebenso wie den hörend-Empfangenden voraus; es erlischt nicht nur, wenn niemand spricht, sondern auch, wenn niemand hört […] So gibt es das Wort immer nur mit dem Antwort, durch sie hindurch, und das gilt auch vom Wort Gottes, von der Schrift […] [Aber zugleich] gilt daß wir das Wort nicht lesen und hören können an der Antwort vorbei, die es zuerst empfangen hat und die für sein Bestehen mit konstitutiv wurde”.
51Cfr. Blanco, Joseph Ratzinger, 166, 192; e L. Boeve, «La vraie réception de Vatican II n’a pas encore commencé». Joseph Ratzinger, Révélation et autorité de Vatican II, «Ephemerides Theologicae Lovanienses» 85 (2009) 305-339, qui 321.
52Ratzinger, Offenbarungsverständnis, 539: “Sie sind Träger einer neuen geistlichen Offenbarung, ohne deren Hinzunahme die Schrift gar nicht als Offenbarung wirksam wird”.
53Idem, Aus meinem Leben. Erinnerungen (1927-1977), DVA, Stuttgart 1998, 83-4: “Zum Begriff ‚Offenbarung‘ [gehört] immer auch das empfangende Subjekt: Wo niemand ‚Offenbarung‘ wahrnimmt, da ist eben keine Offenbarung geschehen, denn da ist nichts offen geworden. Zur Offenbarung gehört vom Begriff selbst her ein Jemand, der ihrer inne wird. Diese bei der Lektüre Bonaventuras gewonnenen Einsichten sind mir später, beim konziliaren Disput über Offenbarung, Schrift, Überlieferung sehr wichtig geworden”.
54K. Rahner, J. Ratzinger, Offenbarung und Überlieferung, Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 1965, 35: “Schrift kann gehabt werden, ohne daß Offenbarung gehabt wird. Denn Offenbarung wird immer und nur erst da Wirklichkeit, wo Glaube ist […] Offenbarung ist vielmehr erst da angekommen, wo außer den sie bezeugenden materialen Aussagen auch ihre innere Wirklichkeit selbst in der Weise des Glaubens wirksam geworden ist. Insofern gehört in die Offenbarung bis zu einem gewissen Grad auch das empfangende Subjekt hinein, ohne das sie nicht existiert. Mann kann Offenbarung nicht in die Tasche stecken, wie man ein Buch mit sich tragen kann. Sie ist eine lebendige Wirklichkeit, die den lebendigen Menschen als Ort ihrer Anwesenheit verlangt. Das Bisherige nochmal bedenkend, dürfen wir also sagen: Offenbarung überschreitet das Faktum Schrift in einer doppelten Richtung: a) Nach oben hin reicht sie als Wirklichkeit von Gott her immer ins Tun Gottes hinein. b) Als Wirklichkeit, die sich auf den Menschen hin im Glauben zuträgt, reicht sie gleichsam auch nach der anderen Seite hin über das vermittelnde Faktum der Schrift hinaus”.
55Ratzinger, Offenbarungsverständnis, 539: “Hier [erfolgt] bereits eine Ausdehnung des Offenbarungszeitalters weit über die uns geläufige Zeit, die ja gemeinhin die Grenze der Offenbarungszeit mit dem Tod des letzten Apostels gegeben sieht”.
56Cfr. Rahner, Ratzinger, Offenbarung und Überlieferung, 67.
57Cfr. Ratzinger, Das Problem der Dogmengeschichte, 10: “In dieser Richtung wirkte auch die zweite lehramtliche Entscheidung, die zu dieser Frage am Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts fiel, nämlich der Abschnitt über den Begriff der Offenbarung und des Dogmas innerhalb des Dekrets Lamentabili Pius’ X. Hier wurde erstmals ein freilich seit langem als selbstverständlich angesehenes Axiom amtlich formuliert, das sachlich eine Grundgegebenheit christlichen Glaubens ausdrückt, in seiner Formulierung freilich eine durchaus ungenügende Reflexion des Zusammenhangs von Offenbarung und Geschichte erkennbar werden läßt, nämlich die Aussage, daß die Offenbarung, die den Gegenstand des katholischen Glaubens bildet, mit den Aposteln abgeschlossen wurde”.
58Clemente di Alessandria, Stromata IV 133; ed. M. Merino (FuP 15; Madrid 2003) 243: ἀλλ΄ ἕκαστος ἴδιον ἔχει χάρισμα ἀπὸ θεοῦ͵ ὃ μὲν οὕτως͵ ὃ δὲ οὕτως͵ οἱ ἀπόστολοι δὲ ἐν πᾶσι πεπληρωμένοι.
59Cfr. H. Grotz, Die Stellung der römischen Kirche anhand frühchristlicher Quellen, «Archivium Historiae Pontificiae» 13 (1975) 7-64, qui 11s; Alcáin, La tradición, 518-9; Blanco, Joseph Ratzinger, 192s; Leb, Kardinal Ratzinger, 57s; Mayer, Augustinus, qui 315s; K. Koch, Die Kunde von einem Sprechenden Gott. Überlegungen zum Verhältnis von Offenbarung, Wort Gottes und Heiliger Schrift, http://www.c-b-f.de/documents/VD_Koch_de.pdf (2010) (ultimo accesso 16 gennaio 2015) n 25; Feige, Die Väter der Kirche, 413-4; Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 155s; e K. Koch, Die Primatstheologie von Joseph Ratzinger/Benedikt XVI. In ökumenischer Perspektive, in M.C. Hastetter, Chr. Ohly (ed.), Dienst und Einheit– Reflexionen zum petrinischen Amt in ökumenischer Perspektive: Festschrift für Stephan Otto Horn zum 80. Geburtstag, EOS, St. Ottilien 2014, 15-37, qui 32.
60Cfr. A. von Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte I Die Entstehung des Kirchlichen Dogmas, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1886, 51931, reimpr.1990, 395 n. 3.
61Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 155: “Die Konstituierung des Kanons und die Konstituierung der frühen Kirche sind ein und derselbe Prozeß, nur von verschiedenen Seiten her betrachtet“.
62Cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 155.
63Cfr. Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, 363.
64Cfr. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 156-7.
65Cfr. H. Häring, Selbstverschuldete Taubheit, in T. Galrev (ed.), Der Papst im Kreuzfeuer: zurück zu Pius oder das Konzil fortschreiben?, LIT, Berlin-Münster 2009, 183-91, qui 185-6.
66Il tema della relazione con la filosofia ha accompagnato Ratzinger sin dal principio. Lo studio fondamentale è Blanco, Joseph Ratzinger. Si veda anche Kohlgraf, Glaube im Gespräch, 20 e Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 157.
67Cfr. Ratzinger, Das Problem der Dogmengeschichte, 19.
68Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre, 140.
69Ibidem, 158: “Es [kann] rein vom historischen Denken her zu keinem guten Ende führen, wenn man zwischen sich und der Bibel das Nichts aufrichtet und vergessen will, daß die Bibel durch eine Geschichte hindurch zu uns kommt. Nur wer sich der Geschichte stellt, kann sie auch überwinden; wer sie übersehen will, bleibt erst recht gefangen in ihr. Er behält vor allem keinerlei Chance, die Bibel wirklich historisch zu lesen, wie sehr er auch die historischen Methoden anzuwenden scheint. In Wirklichkeit bleibt er dem Horizont der eigenen Denkens verhaftet und bespiegelt nur sich selbst”.
70Benoit, L’actualité, 84: “Le patristicien est certes l’homme qui étudie les premiers siècles de l’Église, mais il se devrait d’être aussi l’homme qui prépare l’avenir de l’Église. Telle est, en tout cas, sa vocation!”. Cfr. Alcáin, La tradición, 519 e Moga, Neuer Wein aus alten Schläuchen?, 153-4.