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Ror Studies Series | Storia e mistero

Jean Daniélou e le religioni

Angela Maria Mazzanti

Università di Bologna

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È opportuno porre alcune premesse. L’indagine è volta ad un approfondimento di questioni a partire da un orizzonte interpretativo storico religioso e non teologico.

Inoltre, nell’esporre elementi di riflessione, anche se non sarà possibile rispettare puntualmente la diacronia o fare distinzioni sugli obiettivi specifici dei vari testi analizzati, si tenderà a segnalare la successione delle pubblicazioni e l’intento indicato dall’Autore sulla finalità del singolo saggio. L’attenzione sarà posta prioritariamente all’esigenza di cogliere concezioni nodali ricorrenti nelle formulazioni dello studioso.

Le religioni

“La prima espressione dell’incontro dell’uomo con Dio, sul piano storico, è quello delle religioni antiche, anteriori alla rivelazione di Dio nell’Antico Testamento. In questo senso si può dire che il fatto religioso appare come un fatto umano, coestensivo alla storia dell’umanità”, scriveva J. Daniélou in Miti pagani mistero cristiano.1 È l’incipit di un saggio che è esito di conferenze rivolte a giovani e che, benché sia stato oggetto di rielaborazione, risente di una stesura che non aveva richiesto dimostrazioni specifiche inerenti ad ogni singola asserzione e che rimanda, per approfondimenti, a manuali di teologia.2 È chiaro il focus che, esaminato per quanto concerne i principi teorici in vari documenti elaborati in relazione al concilio,3 individua concezioni fondamentali precisate ulteriormente: l’uomo è riconoscibile come tale, secondo gli etnologi, quando lascia tracce sia dell’uso di strumenti e tecniche sia della celebrazione di culti e riti e, si legge testualmente, “questo fatto umano di una certa fondamentale relazione tra l’uomo e Dio, noi lo attingiamo storicamente a livello delle religioni”.4 Le successive argomentazioni concernono lo stato religioso naturale dell’uomo che, non senza rilievi problematici,5 è identificato con il paganesimo. Lo studioso distingueva tre stadi relativi all’umano: l’ateismo giudicato infra-umano, il cristianesimo soprannaturale e il paganesimo naturale perché si considera implichi il riferimento a Dio.

È opportuno soffermarsi immediatamente, prima di iniziare una disamina dei diversi “stadi” antropologici, sul rapporto fra “fatto umano”, “fatto religioso” e storia. L’accentuazione sul dato storico comporta una certa cognizione della religione. Gli eventi storici identificano l’opera che il divino compie rapportandosi con l’umano. La storia non è concepibile senza la connessione con la spiritualità, né è possibile considerare la religione come una componente della storia. Indicativa l’esposizione di J. Ratzinger che in Fede, Verità e Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo,6 fra l’altro, facendo riferimento a J. Daniélou, sottolineava il carattere astorico della via mistica e il carattere storico della fede che si basa sulla rivoluzione profetica: “la chiamata divina, da cui il profeta sa di essere raggiunto, è databile; ha un “qui” ed “ora”, con essa ha inizio una storia, è stabilita una relazione, e le relazioni tra persone hanno carattere storico, esse sono quelle che noi chiamiamo storia. J. Daniélou, in particolare, ha messo in forte risalto questo fatto, rimarcando a più riprese che il cristianesimo è “essenzialmente fede in un evento”, mentre le grandi religioni non cristiane affermano l’esistenza d’un mondo eterno “che si oppone al mondo del tempo. Esse ignorano il fatto dell’irruzione dell’eterno nel tempo, che viene a dargli consistenza e a trasformarlo in storia”.7 Lo studioso francese nel Saggio sul mistero della storia8 si era soffermato infatti ad esaminare tale distinzione considerando sia le antiche dottrine della Grecia sia le religioni contemporanee dell’India e l’Islam di cui aveva messo in rilievo l’istanteismo.9 Gli studi di Mircea Eliade che evocavano la nostalgia di un eterno ritorno ad un tempo primordiale, presente nelle religioni primitive, rapportabile anche a concezioni proprie della mistica moderna, sono stati ripresi dai due teologi,10 ma è opportuno considerare il diverso orizzonte concettuale da cui nasce la valutazione del religioso e del rapporto della religione stessa con la storia che i fenomenologi (il riferimento può riguardare altri eminenti studiosi) tendono a reputare in qualche modo successivo rispetto allo stato originario e contraddistinto da decadimento, da stadi diversificati in relazione a nature più o meno dotate.11

L’affermazione della consistenza “significativa” della storia, rivelata chiaramente nel cristianesimo, comporta ovviamente l’attestazione della consistenza unitaria della storia stessa, della “compenetrazione di storia sacra e storia profana”:12 come supporre infatti l’esistenza di una divisione fra storia sacra e, precisamente, cristiana e storia del mondo politico, culturale? La connessione non è determinata fondamentalmente dall’influenza delle civiltà sul dato religioso che è, per sua natura, incarnato, e, secondo una reciprocità, dall’ascendente della socialità, della politica o della ricerca scientifica sulle concezioni cristiane, ma dalla realtà stessa della storia come esito della creazione di Dio e delle opere di Dio. In sintesi J. Daniélou scriveva in La trinità e il mistero dell’esistenza che non c’è “nulla di più falso che una separazione fra la sfera religiosa e quella delle realtà materiali”. La natura stessa non è estranea al destino religioso, il cosmo partecipa della finalità umana.13

Connessa a queste asserzioni emerge la questione della possibile lettura univoca della storia stessa. Notando la parzialità nelle accentuazioni delle diverse metodologie di ricerca sia da parte degli storici, che si pongono l’obiettivo dell’accertamento dell’autenticità dei dati senza cogliere la rilevanza dell’ottica insita nello stesso tentativo di dare un “ordine” ai fatti, sia in quella dei filosofi, che hanno come scopo esclusivo l’interpretazione degli avvenimenti senza approfondimenti sulla veridicità degli stessi, J. Daniélou14 si chiedeva se fosse possibile un’indagine adeguata. Ne deriva di conseguenza anche la domanda sull’individuazione della connessione fra la lettura teologica della storia e l’investigazione sui fatti concernenti la storia “umana”.15 Esaminando le argomentazioni di uno storico e di un filosofo, lo studioso ne riconosceva analoghe conclusioni e giudizi similari su analisi di ottiche esplicative differenti. La storia profana, scriveva in conclusione l’Autore, riceve significato nel disegno totale di Dio ma la conoscenza vera della relazione fra gli avvenimenti della storia profana e di quella sacra “rimane un mistero profondo che sfugge ad ogni tentativo di determinazione”.16

Tornando ai tre stadi antropologici, si consideri in primis l’ateismo che, escluso dall’orizzonte antico, è reputato “un fatto moderno”.17 Queste premesse risentono della fenomenologia religiosa di cui J. Daniélou ha colto concezioni e talune terminologie in varie opere.18

Ma è possibile ritenere l’ateismo fenomeno esclusivo dell’orizzonte della storia moderna? Mircea Eliade ha ribadito più volte questo assunto: in Il sacro e il profano, pur accennando a qualche distinguo su alcune personalità del mondo antico e precisando che lo stato puro della mancanza di religiosità sia difficilmente constatabile in un uomo, considerava che solo nel mondo attuale si riscontrasse la presenza di uomini areligiosi in cui esclusivamente nell’inconscio permanesse traccia della consapevolezza dell’esistenza di una realtà assoluta.19 Quali elementi possono supportare tale attestazione? L’affermazione della natura religiosa originaria nell’uomo è confortata da ricerche di paleontologia. Nei “Trattati dell’antropologia del sacro” diretti da J. Ries le cui ricerche sono connesse alle ipotesi fenomenologiche e, in particolare, negli studi di F. Facchini, le indagini su resti preistorici realizzate con lo scopo di rispondere alla questione “se il senso religioso e del sacro sia riferibile alla struttura originaria dell’esperienza umana o sia il prodotto di scelte culturali rese necessarie o comunque suggerite in una società via via più evoluta e complessa”,20 portano alla conclusione sulla presenza di un’istanza religiosa nella costituzione umana. Sarebbe necessario a questo punto comprendere se sia possibile ipotizzare la perdita (indicativo è anche l’uso del termine “caduta” per individuare un certo processo) di tale innata configurazione antropologica e se sia possibile comprendere come questa sia avvenuta. Secondo U. Bianchi,21 la negatività nella valutazione della storia moderna in base all’orizzonte interpretativo fenomenologico è causata da taluni presupposti: “opposizione e trascendenza del sacro rispetto al profano e rivelazione del sacro nella ierofania e nel simbolo”, “opposizione e trascendenza del primordiale rispetto all’attuale e storico, che sarebbe a suo confronto insignificante e «caduto»”. J. Daniélou non ha indagato in modo particolare la genesi dell’ateismo, si è soffermato a rilevare alcuni dati appurabili nel contesto attuale: la dissacrazione e la separazione di Dio dall’esistenza quotidiana rappresentato dal laicismo, la dissociazione all’interno del dominio della fede fra l’insieme delle pratiche religiose e la vita,22 l’affermazione della validità esclusiva della conoscenza razionalistica e scientifica ribadita nell’affermazione che “non ci sia altra via per conoscere il reale che la scienza e che fuori di essa, non si colga il reale, ma unicamente l’io”,23 con conseguente riduzione del religioso alla soggettività individuale. La valenza dell’io è limitata: la razionalità infatti, secondo lo studioso, in questo assunto, è infondata perché circoscritta ad una esclusiva area conoscitiva: “C’è una rinuncia a danno dell’intelligenza”, sottolineava, se si considera che l’uomo non possa andare al di là del mondo fisico.24 La natura dell’io infatti comprende, se intesa nella sua totalità, la sensibilità e l’immaginazione che sono fondamentali per cogliere il reale, a condizione di arrivare allo stadio noetico, intellettuale e quindi all’oggettivo.25 Significativa è la nozione antropologica che riverbera influssi culturali sia dal punto di vista semantico che concettuale.26 Irrinunciabile in questo “a fondo” sull’umano è la menzione della concezione di logos espressa nel “discorso di Regensburg” pronunciato da Benedetto XVI.27

Quali significati invece possono essere attribuiti al cosiddetto “paganesimo”? Il lessico dello studioso si allontana in questo caso dal linguaggio della fenomenologia che si basa sulla definizione dell’homo religiosus citato più volte,28 ritenuto forse non condivisibile totalmente perché troppo indeterminato, non corrispondente cioè alla complessità delle esperienze umane che includono anche la possibilità per l’uomo di avere accesso per grazia alla realtà soprannaturale. Il termine “pagano” è individuato secondo un’accezione particolare che non corrisponde al senso specifico della tradizione storico-religiosa.29 J. Daniélou, precisando che si tratta di una sua definizione (“nel mio vocabolario”30), identifica il pagano con “colui che riconosce il divino attraverso la sua manifestazione nel mondo visibile”.31 È opportuno soffermarsi a considerare questa enunciazione: applicabile all’uomo in ogni tempo e in varie circostanze della vita dello stesso individuo accentua la soggettività umana, la cui capacità di cogliere il divino implica l’esistenza di una relazione essenziale fra la natura antropologica e il divino stesso, e la presenza del trascendente nella realtà percepibile. Le diverse tipologie religiose, si pensi alle distinzioni che U. Bianchi ha elaborato in Problemi di Storia delle religioni,32 sono riassumibili in questa unica formulazione? La ricerca del quid religioso è certamente un quesito continuamente aperto.33 Si coglie un tentativo di categorizzazione in grado di includere le distinzioni specifiche? La verifica sarebbe rappresentata dall’oggettività dei simboli, di cui comunque si riconosce, in qualche modo, l’“analogia”?34 Significativo l’uso del termine “analogia”35 enunciato nella riproposizione della teoria eliadiana inerente alle ierofanie che J. Daniélou segnalava citando anche i diversi studiosi della scuola fenomenologica.36 L’argomentazione si estende altresì ai riti e ai miti, a dimensioni di carattere psicologico e filosofico, come si rileva in Cristianesimo e religioni non-cristiane in cui, dopo le considerazioni sulla scoperta del sacro tramite il cosmo e le stesse azioni umane, l’attenzione è posta sull’aspetto dell’io interiore.37 A fronte di un’uniformità postulata in generale dai fenomenologi,38 il teologo, pur cogliendo una certa ecumenicità,39 ha affermato la connessione, o meglio, la derivazione del simbolismo positivo dal simbolismo naturale e, nel contempo, la differenziazione non solo valoriale ma, principalmente, di contenuto.40 La differenza fondamentale dei significati conferisce contenuti specifici non identificabili fra loro. Il tema concernente i simboli apre questioni di notevole interesse. Il sole, l’acqua hanno una valenza in sé o la assumono dalla realtà di cui sono immagine? I significati, secondo J. Daniélou, non sarebbero labili e transitori.41 Il fondamento naturale del singolo segno permane pur nella pluralità espressiva in cui, fra l’altro, si verificano spesso alcune rappresentazioni comuni ma non certo coincidenti; le ipotesi interpretative largamente attestate in ambiti storico-religiosi che individuano la genesi delle connessioni nei sincretismi religiosi,42 in derivazioni da influssi reciproci non risponde ai dati storici da cui invece si trae la teoria dei parallelismi.43 La connessione di questi simboli con la struttura umana, affermata dagli psicologi in base ad analisi specifiche, rende inoltre immediatamente intuibili tali elementi e ribadisce la concezione dell’oggettività degli archetipi. “Le interpretazioni naturaliste che restringono il contenuto dei simboli ad una semplice sublimazione della stessa vita biologica, sono erronee. Ciò che i simboli ci fanno conoscere è realmente qualcosa di Dio”.44 I simboli sono testimonianze dell’operatività nella storia di Dio.45 Da questi presupposti, che si discostano dalle concezioni dei fenomenologi,46 si origina il concetto di “tipologia” che recupera, superandolo, il simbolismo cosmico.47

La singolarità dei diversi popoli è un elemento posto in particolare evidenza in questi saggi.48 In ambito diacronico si può considerare come l’incontro dell’uomo con la trascendenza nel mondo antico si sveli, in particolare, tramite il cosmo e gli astri mentre nella contemporaneità è constatabile in situazioni umane limite come la morte, l’amore, la libertà.49 Nell’articolo appena citato su Cristianesimo e religioni non-cristiane, si accentuano aspetti differenti concernenti l’“essenza”: “Le grandi religioni sono l’espressione storica dell’atto religioso nell’umanità. Le grandi religioni sono, al tempo stesso, una sola e diverse. Sono una, perché corrispondono allo stesso livello di esperienza: nel suo modo particolare, ciascuna ci rende consapevoli dei modi in cui gli uomini hanno riconosciuto Dio mediante il mondo e lo hanno cercato di là dal mondo. Al tempo stesso, la diversità è parte dell’essenza delle grandi religioni. Ciascuna è l’espressione del peculiare genio religioso di un popolo… La religione forma parte del patrimonio di un popolo”.50 Conseguente è l’impossibilità di cambiamento della religione assimilato all’irrealizzabile cambiamento della razza. “Lo stesso livello di esperienza” corrisponde alla definizione di “pagano”? Significativa anche la formulazione di religione come espressione storica dell’atto religioso nell’umanità.51 Complessi, anche se non eludibili, sono gli approfondimenti sulle diversità che riguardano l’“essenza”, in ambito di studi storico-religiosi.52

Un’ulteriore definizione di paganesimo fa appello ad un contenuto escludente: la mancanza di appartenenza al contesto della rivelazione storica.53 La relativa unificazione ha quindi come intendimento l’accentuazione dell’assoluta diversità della manifestazione di Dio nella storia in Cristo. L’ordine delle religioni pagane e quello della rivelazione cristiana hanno genesi totalmente difformi e prospettive non comparabili. Le prime esprimono la ricerca di Dio ad opera dell’uomo, la rivelazione consiste invece nelle manifestazioni di Dio nella storia e ha come obiettivo la salvezza.54

Le qualificazioni di infra-umano, naturale e soprannaturale esauriscono tutte le possibili varietà delle relazioni dell’uomo con il divino. Questa categorizzazione non costituirebbe fra l’altro una configurazione invariabile, ma una fisionomia umana dinamica in relazione all’esperienza esistenziale e secondo una gradazione: la trasformazione da naturale a soprannaturale non è acquisibile una volta per tutte, ma delinea un percorso comunque sempre verificabile nei due sensi e non disprezzabile. “Noi siamo sempre a un certo livello di tale trasformazione”, scriveva J. Daniélou. Sono riscontrabili forme pagane o superstiziose nel cristianesimo che gli intellettuali vorrebbero estirpare avendo come obiettivo una purificazione totale del cristianesimo, rendendo problematica l’adesione alla fede per i “poveri”.55 Il cristianesimo non distrugge la natura ma opera per grazia un arricchimento. “Cristianesimo e paganesimo non sono paralleli ma complementari. Essi rappresentano due momenti della relazione tra l’uomo e Dio”.56 Il Vangelo rappresenta la realizzazione.

Il cristianesimo e le religioni

Rispetto alle religioni o, meglio, al “paganesimo”, “il fatto ebraico-cristiano ci presenta qualcosa di assolutamente diverso. Non è semplicemente un insieme di mezzi per adorare Dio. È la testimonianza di un evento… Non è necessario essere cristiani per credere in Dio, ma è necessario essere cristiani per credere che Dio viene fra gli uomini. Le religioni sono un movimento dell’uomo verso Dio; la rivelazione dà testimonianza di un movimento di Dio verso l’uomo”.57

Fra il cristianesimo e le altre religioni non c’è opposizione perché realtà che non appartengono alla stessa categoria sono incompatibili, ma c’è estraneità, proprio in relazione alla diversità. Inoltre non è possibile né concepire la possibilità di un sincretismo, né assumere la posizione di un estremo radicalismo nel tentativo di distruggere il paganesimo. Il “passaggio” dal paganesimo al cristianesimo non avviene secondo un’evoluzione omogenea, ma tramite la conversione che richiede una “rottura”.58

Le religioni pertanto possono essere considerate sia presupposti del cristianesimo, in grado di cogliere elementi di verità, sia impedimenti all’espansione del cristianesimo stesso. Perversione e anacronismo ne determinano infatti il disvalore. Rimane comunque possibile l’attuazione da parte del cristianesimo di una prospettiva positiva che comporta non il rifiuto ma l’assunzione, l’integrazione, la trasfigurazione dei valori del paganesimo.59 Significativa è l’importanza attribuita alla natura. La storia della salvezza identifica non solo il fine dell’uomo ma quello di tutto il cosmo e passa attraverso l’avvenimento della croce di Cristo,60 in un susseguirsi di eventi che sono definiti non in base ad un piano evolutivo e neppure ad una eterogenea discontinuità, ma a “crisi”, che manifestano, secondo lo studioso, il senso religioso della storia stessa.61

Fondamentale per la comprensione del cristianesimo anche in relazione alle religioni nel mondo attuale è il passaggio compiuto nell’evangelizzazione della cultura greco-romana, su cui verte principalmente l’opera di J. Daniélou. La paradigmaticità delle origini e la continuità della tradizione sono infatti dati essenziali nell’orizzonte concettuale del padre gesuita, in funzione della possibilità di lettura del presente.62 Quale rapporto emerge alle origini del cristianesimo con le religioni preesistenti, con il “paganesimo” (considerando il termine secondo la definizione abitualmente riconosciuta)?

Il giudaismo ellenistico è, per Daniélou, il luogo prioritario di quell’incontro fra la cultura classica e la rivelazione che fu determinante per il cristianesimo. A fronte della cognizione dell’esigenza che il cristianesimo si incarni in futuro in varie civiltà,63 bisogna riconoscere che la Chiesa porta impresso per l’eterno il segno della sua origine semitica e del suo ellenismo impresso nella liturgia e nella teologia.64

Il privilegio attribuito a Filone di Alessandria65 e la pubblicazione di una monografia su questo autore chiarisce la dinamica inerente all’ellenizzazione. “La Diaspora appariva come il mezzo provvidenziale con il quale Iahweh è annunciato a tutte e nazioni. Ora, in Filone questo atteggiamento raggiunge la sua suprema espressione. Il Giudaismo appare come la religione del vero Dio, che tutti gli uomini devono adottare e che si libera dai suoi legami nazionali”.66 La personalità di Filone, che, come scrisse lo studioso nell’“Introduzione” indicando il metodo adeguato di ricerca, può essere compresa solo se considerata alla luce dell’unità fra esperienza esistenziale e opera apologetica,67 attesta l’affermarsi dell’universalismo religioso e l’esprimersi del senso missionario. La prospettiva intravvista dall’esegeta alessandrino, che si discosta particolarmente dalla convinzione propria del giudaismo palestinese dell’inscindibile legame di religione e nazione, è l’unità fra religione d’Israele, cultura greca e impero romano.68 La relazione di Filone con il contesto culturale, sociale e politico del tempo è attestata nella monografia del padre gesuita tramite analisi su influssi filosofici che rimandano a concezioni affermate da scuole presenti in particolare in Alessandria e riguardano più specificatamente tematiche inerenti alla realtà del mondo in corrispondenza con la concezione del tempo.69 Gli apporti dell’autore ebreo, evidenti nei saggi più propriamente teorici, sono talora connessi a confutazioni che non risultano sempre unitarie e coerenti fra loro, ma che J. Daniélou ha teso a giustificare.70 Le tracce inconfondibili della saggezza greca e della filosofia pagana, le considerazioni sul contesto politico sono comunque funzionali allo scopo prioritario dell’opera: l’affermazione della religione giudaica.

Secondo lo studioso il cristianesimo delle origini attuò un distacco e manifestò un rifiuto nell’immediato per poi cogliere, successivamente, gli elementi condivisibili. In Messaggio evangelico e cultura ellenistica71 J. Daniélou ha considerato l’intento missionario dei primi cristiani determinato non solo dal desiderio di far conoscere la verità, ma dall’amore per le anime.72 L’invito alla conversione, di cui gli apologisti diedero testimonianza personale talora estrema, è il focus del tentativo di rapporto. “Se talvolta i nostri autori fanno appello alla tolleranza, reclamando una libertà che si accorda alle altre religioni, scriveva J. Daniélou, ciò non significa affatto che essi considerino che il paganesimo sia una forma religiosa legittima. Al contrario essi pretendono proprio di strappargli le anime che esso conduce alla perdizione”.73 La critica nei confronti del mondo circostante si svolge ad ampio raggio. Le dottrine e quindi i miti, già valutati negativamente dai filosofi che avevano rifiutato l’interpretazione letterale per trarne allegorie, sono oggetto di confutazione. La filosofia, d’altra parte, non solo espone opinioni contrastanti dimostrando di essere ancora in ricerca, ma non è in grado di connettere la vita alle teorie enunciate. I costumi pagani sono esecrabili. In modo particolare, le forme cultuali consolidate che impregnavano la vita pubblica e familiare e sulla cui mancanza di partecipazione si innestavano le accuse ai cristiani, sono aborrite e considerate opera dei demoni.74 Le “religioni” misteriche sono oggetto di giudizio specifico e, a questo proposito, sono citati alcuni passi di Clemente Alessandrino.75 In opposizione al paganesimo è presentata la verità cristiana che, pure, in qualche modo, trova talune corrispondenze nelle affermazioni dei pagani. Unità di Dio e giudizio sono concezioni fondamentali che trovano riscontro anche negli autori pagani.76 Insieme al richiamo alla coscienza nel conflitto contro il paganesimo l’accordo del messaggio cristiano con la ragione umana è argomento ampiamente sviluppato.77 C’è una divisione nello stesso paganesimo: i culti idolatrici, suscitati dai demoni hanno operato inganni sin dall’origine, ma non tutti gli uomini hanno aderito alle menzogne. La divisione fra cristiani e pagani nasce in relazione ad una separazione già attuata in precedenza. “Il cristianesimo, come dottrina del Verbo, scriveva Daniélou, è nella continuità di tutto ciò che nel mondo pagano è vissuto secondo il logos”.78 Particolarmente interessante è la concezione della storia deducibile da tali formulazioni. Il conflitto fra paganesimo e cristianesimo è il rinnovato contrasto fra il Verbo di Dio e i demoni. Vi è continuità quindi fra i saggi della Grecia e i cristiani. Gli apologisti presentano il ripudio dell’idolatria da parte di un uomo greco non come la rottura con la tradizione ma come il frutto dell’acquisita consapevolezza della verità totale rispetto alla frammentarietà o alla parzialità precedente.

Come è giustificabile questa formulazione? I fondamenti antropologici sono certamente “essenziali”. La concezione teorica sull’anima naturalmente cristiana di Tertulliano ne chiarisce la plausibilità.79 Rilevante è la tesi di Giustino sul Logos :80 il seme del Logos è stato ricevuto secondo una modalità di partecipazione da tutto il genere umano, come è chiaramente testimoniato da coloro che hanno vissuto per un ideale e hanno praticato il bene, ma sono solo i cristiani che posseggono il Logos nella pienezza perché hanno ricevuto la rivelazione totale tramite l’incarnazione di Cristo.81 J. Daniélou cerca di cogliere le valenze di questa tesi anche in relazione agli apporti relativi ai “prestiti” della Scrittura riscontrabili dal testo di Giustino. Il linguaggio è stoico, il pensiero platonico. Le incongruenze, rese evidenti dalle indagini degli studiosi, si chiariscono maggiormente facendo riferimento a Filone di Alessandria. Il giudaismo ellenistico assume, di conseguenza, un rilievo specifico. In Clemente82 è riproposta la teoria concernente l’attitudine naturale a conoscere Dio da parte dell’intelligenza che è data all’uomo, come dono, da Dio stesso. Ulteriore opportunità è conferita ad alcuni filosofi a cui è stato dato il dono dell’ispirazione, benché inferiore a quella dei profeti ebraici. Questa tesi, di cui ci sono cenni in Giustino, è sviluppata in particolare in Clemente che considera la filosofia per i Greci analoga alla Legge per gli Ebrei. È necessario tenere presente, fra l’altro, che l’Alessandrino considera veri maestri non i filosofi suoi contemporanei, oggetto di critica, ma i più antichi greci, o meglio i barbari che li hanno preceduti: J. Daniélou ne ha desunto una visione della filosofia più “religiosa” che “scientifica”, fondata più sull’autorità dei sapienti che su deduzioni. L’origine di tale ispirazione è sempre il Verbo che si serve degli angeli per la comunicazione. Emerge la nozione di una “rivelazione primitiva”.83 Alla tesi dell’ispirazione si affianca quella dei prestiti biblici da parte di quei barbari che, in primis, sono identificati con i giudei. Clemente presenta un’ulteriore ipotesi sull’invenzione della filosofia: la rivelazione proveniente dagli angeli decaduti che non altera dalla genesi la positività della teorizzazione ma propone verità mescolate a falsità.

Gli studi sull’affermarsi del cristianesimo nella storia documentano in modo paradigmatico quale identità possa essere attribuita alle religioni. La novità del cristianesimo segnata dalla realtà della trascendenza incarnata in Cristo nella storia determina una diversità non rapportabile, non confluibile nelle “espressioni storiche dell’atto religioso dell’umanità”, nelle modalità in cui “l’uomo riconosce il divino nella sua manifestazione nel mondo visibile”, e, nel contempo, ha la capacità di rispondere alle istanze e di assumere le interpretazioni simboliche e mitologiche che l’animo umano concepisce in virtù del suo essere in relazione ontologica con Dio. Il processo in atto comporta la presenza di realtà che “cominciano e non finiscono”,84 in un’economia progressiva in cui la molteplicità delle culture non conduca al relativismo o all’omogeneizzazione ma all’espressione di aspetti differenziati in un unico messaggio.85

1Scritto nel 1966, il saggio è l’esito di una ricerca condotta per la preparazione di conferenze rivolte a giovani. L’assenza di note è indicativa. I riferimenti qui riportati sono tratti dalla traduzione italiana Miti pagani mistero cristiano, Edizioni Paoline, Catania 1968.

2Ibidem 5-6. Scriveva J. Daniélou: “La domanda a cui il libro vuole rispondere è concernente il linguaggio. Come parlare di Dio agli uomini di oggi?… Questo libro è l’espressione di tale ricerca. Fu dapprima dato sotto forma di conferenze”.

3Si vedano fra i lavori conciliari inerenti ai rapporti fra la Chiesa e le religioni non cristiane: J. Daniélou, Secrétariat Général de l’Episcopat. Note 17/64. Le dialogue avec les non chrétiens, «Bulletin des amis du Cardinal Daniélou»14 (avril 1988) 24-28; Secrétariat Conciliaire de l’Ėpiscopat Ėtudes et documents. 3 juillet 1965 – N.8 La Déclaration. ‘De Ecclesiae habitudine ad non christianos’, «Bulletin des amis du Cardinal Daniélou»14 (avril 1988) 31-32 commentati da E.- M. Laperrousaz in La religion est-elle, comme l’a souligné le Cardinal Daniélou dans ses mémoires «Création de la religiosité humaine» ?, in U. Bianchi (ed.) The Notion of «Religion» in comparative Research. Selected Proceedings of the XVI Congress of the International Association for the History of Religions. Rome,3rd-8th September, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 1990, 675-682.

4Miti, 7.

5In I santi pagani del vecchio testamento, Queriniana, Brescia 1964, 6, lo studioso accennava alla difficoltà di definire “la religione naturale” per le discussioni teologiche nate nel tentativo di delimitare il concetto e concludeva scrivendo “In genere infatti si intende per “natura” ciò che costituisce l’essenza dell’uomo considerato astrattamente al di fuori della sua chiamata storica alla Grazia”.

6Pubblicato per i tipi di Cantagalli a Siena nel 2005. Le pagine cui si fa riferimento sono 37, 38 e 39.

7Ratzinger, 38; nel riferimento a J. Daniélou si precisa che la citazione è tratta da Saggio sul mistero della storia, Brescia 19782, 27ss.

8Le citazioni dirette provengono dall’edizione del 2012 stampata da Morcelliana, 121-126.

9Danièlou in Saggio, 123 ascriveva a Massignon la definizione di “istanteismo” attribuito al pensiero musulmano che “ignora la durata continua e conosce solo atomi del tempo, istanti (ânât)”.

10Ratzinger, Fede, 38 e Daniélou, Saggio, 121-122.

11È interessante, per il rilievo che le concezioni della scuola fenomenologica ebbe su J. Daniélou, notare il diverso orizzonte culturale che si evince dalle formulazioni di R. Otto in Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli, Milano 1994 (1o ed. 1936) e di M. Eliade nel Trattato di storia delle religioni pubblicato a Parigi nel 1948. In questo caso il riferimento è all’edizione italiana uscita per i tipi di Boringhieri a Torino nel 1986. Otto affermava che ogni religione deve presupporre l’esistenza nello spirito umano di principi a priori capaci di farla riconoscere per vera. Nel contempo è necessario considerare che “la religione si evolve nella storia, innanzi tutto per il fatto che nello sviluppo storico dello spirito umano, mercé l’interferenza dello stimolo con la disposizione, questa si traduce in atto, e assume, attraverso quella interferenza, forma e indirizzo, in secondo luogo per il fatto che in virtù della predisposizione stessa, specifiche sezioni della storia vengono riconosciute come manifestazioni del sacro… in terzo luogo per il fatto che sulla base dei due precedenti momenti si costituisce la compiuta solidarietà col sacro, nella conoscenza, nel sentimento, nella volontà…Già la «predisposizione» universale è qui solamente una pura facoltà recettiva e un principio di giudizio, non già una produzione di tali nozioni in maniera autonoma ed indipendente. Tale capacità di produzione si trova soltanto nelle «nature ben dotate»” (pp. 163-165). M. Eliade scriveva “Se le principali posizioni religiose furono date una volta per sempre, fin dal momento in cui l’uomo prese conoscenza della propria posizione esistenziale entro l’Universo, ciò non significa che la “storia” non abbia importanza per l’esperienza religiosa in sé. Tutt’altro; tutto quel che avviene nella vita dell’uomo, anche nella sua vita materiale, trova un’eco nella sua esperienza religiosa. La scoperta delle tecniche della caccia, dell’agricoltura, del metallo, ecc. non ha modificato soltanto la vita materiale dell’uomo, ha anche fecondato – forse in misura maggiore – la spiritualità umana… E si può dire che se la storia ha influito sull’esperienza religiosa, la sua influenza è stata questa: gli avvenimenti hanno offerto all’uomo modi inediti e diversi di essere, di scoprire se stesso e di dare un valore magico-religioso all’Universo” (pp. 480-481).

12Daniélou, Saggio, 24.

13La citazione è tratta dalla p. 13 della seconda edizione, stampata nel 1989 a Brescia da Queriniana. Il saggio, scritto come meditazioni per un ritiro spirituale e uscito in stampa a Parigi nel 1968, esprime l’esigenza della spiritualità non solo per uomini consacrati ma anche per semplici fedeli. “La sconsacrazione del cosmo”, scriveva l’Autore a p. 13, “è una delle grandi tentazioni dell’uomo moderno, che tende a concepire il mondo della natura, in cui si esercita la scienza, come estraneo al destino religioso. L’uomo moderno tende a dissociare un destino religioso che sarebbe puramente personale da un destino cosmico che sarebbe profano e materiale: come se la religione fosse un affare privato, e il problema religioso un problema individuale e non il problema del senso dell’intero universo e quindi della sua realtà materiale”.

14Daniélou, Saggio, 108-118. Si veda anche a p. 27 l’affermazione che la teologia della storia può offrire una soluzione che connetta la verità di diverse interpretazioni concernenti i rapporti fra religioni pagane e storia della salvezza.

15Ibidem, 115.

16Ibidem, 118. Significative su questi temi alcune riflessioni che F. Botturi sintetizzava in Senso storico e storicità. L’aporia della fine della storia, in C. Esposito, P. Porzio, P. Porro e V. Castellano, Verum e certum. Studi di storiografia filosofica in onore di Ada Lamacchia, Levante Editore, Bari 1998, 71-96. L’evento storico è tale perché se ne coglie il senso: “Non c’è storia semplicemente perché qualcosa accade, ma solo se l’accadimento riceve un incremento complessivo di senso che lo renda ‘evento’. Il primo modo di incremento è il riconoscimento dell’appartenenza dell’accadimento ad un logos unificante la molteplicità sincronica e diacronica in cui esso è inserito”. Ne consegue l’idea di continuità che lascia comunque spazio alla libertà di espressione umana. La libertà empirica è in relazione con un logos includente. La prospettiva salvifica appare come necessaria. Il pensiero storico che prende le mosse da considerazioni legate all’orizzonte teologico giudaico-cristiano, argomentava quindi F. Botturi, si chiarisce in ambito metafisico, ma esige, come compimento, il ritorno alla fisionomia teologica.

17Daniélou Miti, 7: “L’ateismo è un fatto moderno, legato ad un certo numero di circostanze storiche, sociologiche e psicologiche ad un tempo, legato a un certo condizionamento. E, da questo punto di vista, non è conforme alle esigenze fondamentali della natura umana”.

18Si veda Daniélou, Saggio, 28 in cui si fa riferimento alle “ierofanie”, rimandando ad opere di Mircea Eliade.

19La pubblicazione dell’opera risale al 1967, le citazioni in nota sono tratte dall’edizione italiana del 1984 stampata da Boringhieri. M. Eliade scriveva nell’introduzione che le relazioni dell’uomo con lo spazio, il tempo, la natura sono estremamente diverse se affrontate secondo un’esperienza sacra o profana. “Basterà ricordare ciò che la città, o la casa, la Natura, gli utensili o il lavoro sono divenuti per l’uomo moderno e areligioso per cogliere sul vivo ciò che lo distingue da un uomo appartenente alle società arcaiche o anche da un contadino dell’Europa cristiana” (p. 16). Nella conclusione precisava “L’uomo religioso assume nel mondo un modo specifico di esistenza che, nonostante le numerose forme storico-religiose, è sempre riconoscibile. Qualunque sia il contesto storico nel quale è immerso, l’homo religiosus, crede sempre che esista una realtà assoluta, il sacro, che trascende questo mondo, in questo mondo si manifesta e per ciò stesso lo santifica e lo rende reale”. Contrapposto è l’uomo areligioso che “rifiuta la trascendenza, accetta la relatività della “realtà” e dubita persino del significato dell’esistenza”. Eliade ammetteva che anche le grandi culture del passato hanno avuto uomini areligiosi, ma solo nelle moderne società occidentali è avvenuto il pieno risveglio dell’uomo areligioso (p. 128). Eppure l’uomo areligioso allo stato puro è difficilmente incontrabile. L’uomo areligioso avrebbe perduto la capacità di vivere coscientemente la religione e quindi di comprenderla e di assumerla come esperienza, ma nella profondità del suo intimo permane comunque il ricordo. Alla valenza negativa di una prima “caduta” dell’uomo primordiale identificata con la distruzione della coscienza della natura religiosa originaria è subentrata una seconda “caduta”, la perdita della memoria e la riduzione del rapporto con il divino allo stadio dell’inconscio (pp. 134-135).

20L’emergenza dell’homo religiosus. Paleoantropologia e Paleolitico in E. Anati, R. Boyer, M. Delahoutre, G. Durand, F. Facchini, C. Faïk-nzuji Madiya, I.P. Lalèyê, V. Mulago Gwa Cikala, L.V. Thomas, J. Ries, Le origini e il problema dell’Homo religiosus, I vol., Jaca Book, Milano 1989, 141.

21La storia delle religioni in G. Castellani (a cura di), Storia delle religioni, UTET, Torino 1970, sesta ed., 160. Pone l’accento su questi elementi critici formulati da U. Bianchi N. Spineto in U. Bianchi e Mircea Eliade, in G. Casadio (a cura di), Ugo Bianchi. Una vita per la Storia delle Religioni, “il Calamo”, Roma 2002, 401-422, in particolare 418.

22Miti, 32 “Nulla è più grave di un certo dualismo, di una certa rottura tra il campo della fede e il campo dell’esistenza temporale. Non c’è nulla di più grave, nel mondo contemporaneo, del fatto che ci sia questa specie di dissociazione tra il dominio della fede, che riguarderebbe l’insieme delle pratiche religiose, e tutta una vita che verrebbe situata su un piano che non è nemmeno pagano, poiché nel mio vocabolario, precisamente, essere pagano è ritrovare Dio dovunque, ma che si situerebbe sul piano di un laicismo che dissacra assolutamente ogni cosa e separa Dio dalla nostra esistenza quotidiana”. Su argomentazioni inerenti all’ateismo presente nel mondo contemporaneo J. Daniélou si soffermava anche in un capitolo del Saggio sul mistero della storia (83-96), in cui analizzava il fenomeno del marxismo; l’uomo è considerato il valore supremo e, di conseguenza, riconoscere la presenza di Dio è “degradante e avvilente e respingerlo dunque è la condizione essenziale d’un umanesimo autentico”.

23Miti, 20.

24Ibidem, 66. “Perciò importa assai difendere, continua il testo, l’intelligenza e dimostrare che questa piccola creatura non è vero che non sia buona a nulla, ma che bensì può servire non semplicemente a scoprire le leggi del cosmo, come fa oggi brillantemente nel fervore del progresso scientifico, ma anche a darci accesso ad un altro ordine, che non è più quello delle leggi della materia, ma quello di ciò che è al di là del mondo fisico. L’intelligenza ha accesso a ciò che è al-di-là della fisica; essa è capace di raggiungere delle realtà di ordine intellegibile e di raggiungerle con una certezza che giustifica assolutamente il diritto che un uomo pienamente lucido, pienamente critico, ha di considerare che la credenza in Dio non è semplicemente il risultato di un impulso del cuore, ma qualcosa che resiste perfettamente a tutte le critiche della ragione”.

25Ibidem, 19. J. Daniélou considerava che la sensibilità e l’immaginazione, per non rimanere in uno stadio di sentimentalità “evanescente” debbano confluire ad uno stadio intellettuale, definito anche con il termine “noetico” e “noetica significa che si tratta di cogliere mediante l’intelligenza qualcosa di reale e di oggettivo”.

26Si colgono in questi concetti tradizioni culturali che, certamente con connotazioni non identiche, si ritrovano già nel giudaismo ellenistico. Si pensi, per esempio, all’esegesi di Filone di Alessandria sui passi genesiaci inerenti all’origine dell’uomo in cui è individuata una struttura verticale che all’apice contempla il noetico la cui essenza è in relazione con il divino.

27Discorso tenuto in occasione dell’incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg (12 settembre 2006)

28Si veda, fra l’altro, M. Eliade, Il sacro, 17. J. Ries realizzò studi specifici sull’homo religiosus. In Il Sacro nella storia religiosa dell’umanità, Jaca Book, Milano 1981 (ed. or. 1978), 233, descriveva l’intento delle analisi compiute da numerosi specialisti a partire dalla semantica: “Nei tre volumi pubblicati dal nostro Centro di storia delle religioni – circa 1100 pagine – sono racchiusi i risultati di un’indagine sistematica sull’homo religiosus nelle grandi civiltà”. Il progetto si sviluppò ulteriormente con la collaborazione di numerosi studiosi e uscirono in stampa sei volumi, fra i quali, il primo ha come titolo Le origini e il problema dell’homo religiosus citato sopra. In Miti, 52 J. Daniélou riprese il termine di uomo religioso ma specificando poi la concezione di “pagano”. L’uomo religioso “si esprime sotto tutte le forme di paganesimo, storico nel passato, o futuro in tutte le forme di ricerca di Dio del mondo di domani”.

29U. Bianchi in Problemi di Storia delle religioni, Edizioni Studium, Roma 1993 (1a ed. 1958), 78, scriveva: “Secondo l’interpretazione tradizionale, il termine “pagano” sorse in opposizione a quello di fedele, cristiano (e in concorrenza con quello biblico di “gentile”) in un periodo in cui la nuova religione ormai aveva la prevalenza e i vecchi culti resistevano, soprattutto in campagna, nella continuazione ruralmente conservatrice della celebrazioni tradizionali nell’ambito dei pagi. Forse la spiegazione è altra e il termine paganus è un termine tecnico indicante, nella religione romana, un particolare tipo di appartenenza cultuale. In ogni caso, nel linguaggio cristiano, “pagani” furono poi anche coloro che, in ambiente totalmente diverso, tutto ispirato al neoplatonismo e al sincretismo religioso della tarda antichità, mantenevano un’aderenza sostanziale alle dottrine di questi movimenti e un’aderenza formale ai vecchi culti cittadini e familiari”. Per analogia furono poi chiamate pagane quelle religioni che non si appellavano alla rivelazione abramico-mosaica.

30Si veda Miti, 32.

31Miti, 13. In Secrétariat Général nel distiguere l’“ordine” delle religioni pagane da quello della rivelazione cristiana lo studioso specificava, citando Paolo VI, che, trattandosi di un cambiamento di ordine, tale ordine “est celui des représentations que les hommes se sont faites de Dieu” (25).

32U. Bianchi in La storia delle religioni (Oggetto e metodo) in Saggi di metodologia della storia delle religioni, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1991, 78-80, spiegava il concetto di “tipologia storica”, differenziandola da quella astratta propria della fenomenologia e da quella connessa a intuizioni ed ermeneutiche di origine speculativa. In Problemi di Storia delle religioni, citato nella n. 29, U. Bianchi presenta una serie di distinzioni tra religioni.

33U. Bianchi si è soffermato su tale quesito in La storia delle religioni (Oggetto e metodo) in Saggi, 65-68: “È la religione un concetto universale, che abbia un significato univoco, e quindi esprima un “contenuto” comune rispetto a tutte quelle che chiamiamo religioni? E come enucleare e intendere questo “contenuto”? Esprimerebbe esso delle credenze di base comuni e/o atteggiamenti, bisogni, funzioni comuni, constatabili come tali già sul piano descrittivo e corrispondenti comunque a una “forma” sempre quella, la forma religiosa?”. Si vedano anche G. Sfameni Gasparro, Introduzione alla storia delle religioni, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, 7-8 e M.V. Cerutti, Storia delle religioni. Oggetto e metodo, temi e problemi, EDUCatt, Milano 2014, 81-89.

34Miti, 13: “Ciò che colpisce è che nei diversi paganesimi, africani, australiani, cinesi o greci, le stesse realtà cosmologiche significano i medesimi aspetti di Dio. Vuol dire che, in realtà, senza alcun influsso degli uni sugli altri, questi paganesimi vanno a finire nelle medesime esperienze e in una mitologia che è analoga negli uni e negli altri. Ciò dimostra che c’è un valore oggettivo dei simboli, che cioè i simboli designano oggettivamente degli aspetti di Dio, alcuni la sua bontà, altri la sua potenza, altri la sua santità”.

35Il concetto di “analogia” formulato dallo studioso ha una notevole rilevanza nella metodologia storico-religiosa elaborata da U. Bianchi che ne spiegava il significato in La storia delle religioni (Oggetto e metodo) in Saggi, 80-81: “In questa luce, la “religione”, come anche altri termini, concetti e categorie di una fenomenologia tutta da definire storico-comparativamente, ci apparirà, più che come un “univoco”, come un “analogo”, sia sul piano concettuale che su quello obiettivo. Questa analogia implica, nelle varie forme che sulla base dei risultati storico-comparativi chiamiamo “religiose, la presenza di aspetti… comuni ‘filologicamente’ e storicamente ambientati. Essa implica dunque la constatazione, nelle diverse ‘religioni’, di affinità profonde, ma a tratti, di non meno profonde disparità, formali e di contenuto, oltreché di funzione”.

36Miti, 12-13.

37Nel saggio, tratto dal volume P. Burke (a cura di), La parola nella storia, Queriniana, Brescia 1968, 89-103, si legge: “La presenza del sacro è percepita ancora più fortemente attraverso le azioni umane”. “L’uomo percepisce la presenza di una realtà divina nel suo interiore, distinta da lui e che pure agisce dentro di lui. L’uomo percepisce questa realtà nei freni della sua coscienza, che lo rendono consapevole dell’assoluto bene e dell’assoluto male; la percepisce nell’illuminazione della sua mente, che lo mette in contatto con una verità che abita nel cuore del suo essere; la percepisce nei richiami di amore”.

38U. Bianchi in La storia delle religioni in Storia delle religioni, 1-168, in particolare 157-159, considera criticamente le concezioni proprie dei fenomenologi, notando l’accentuazione di elementi aprioristici. N. Spineto in Ugo Bianchi e Mircea Eliade in G. Casadio (a cura di), U. Bianchi. Una vita, 419-420 scrive: “Bianchi nega che, sulla base di una indagine storica, sia possibile attestarne l’“ecumenicità” e il “carattere metastorico”… L’obiezione di Bianchi corrisponde ad una caratteristica effettiva dell’opera eliadiana: tra la ricerca storica e l’ipotesi archetipica va rilevata l’esistenza di un salto che non si giustifica tramite il ricorso alla comune attività storiografica, ma sulla base di una serie di scelte filosofiche di natura ermeneutica”.

39Miti, 15: “Dico ciò a proposito di quel fatto assai degno di nota della costatazione, al termine delle ricerche della storia delle religioni, di una specie di convergenza di tutte le religioni pagane, senza alcune influenza delle une sulle altre, nel riconoscere nelle stesse realtà del cosmo il simbolo delle medesime esperienze metafisiche e spirituali […] Ci sono le ierofanie del mondo celeste […] Il sole è una delle ierofanie essenziali in tutte le religioni”. E nel considerare il simbolismo solare il linguaggio relativo a tale similarità si esprime tramite definizioni profondamente diverse: “Il sole è come un sacramento nel mondo pagano nella misura in cui è il segno visibile di una realtà invisibile. C’è un primo sacramentalismo che è precisamente il sacramentalismo pagano, e in cui gli oggetti materiali sono già dei segni efficaci” (pp. 15-16).

40Dando particolare rilievo alla unitarietà di taluni simboli, J. Daniélou non trascurava di considerare le diversità essenziali, come si è sottolineato anche nella nota precedente. Si veda in particolare Saggio, 146: “Lascio da parte per il momento la questione della differenza dei valori dati a queste rappresentazioni nelle religioni pagane e in quelle rivelate. L’essenziale per il momento è notare la comunanza di rappresentazioni e di sottolineare che essa non implica una comunanza di contenuto”.

41Saggio, 148: secondo J. Daniélou, sia l’analisi oggettiva dei simboli sia l’analisi soggettiva della funzione mitica nella psicologia del profondo portano a constatare che i simboli sono “dotati di contenuti costanti”.

42In Ibidem, 119-134 J. Daniélou, confrontando varie religioni con il cristianesimo discute sulle ipotesi di sincretismo, anche sul piano dottrinale avanzate da alcuni studiosi.

43Ibidem., 146-147: “Che vi siano influenze di dettaglio è certo, ma questa non è una spiegazione sufficiente: Un’altra interpretazione consisteva nel vedere in questa comunanza di rappresentazioni le vestigia di una tradizione comune primitiva più o meno degradata…Tutte queste spiegazioni sono insufficienti. Bisogna arrivare alla conclusione che la comunanza di simboli in religioni diverse è l’espressione di sviluppi paralleli e che è quindi legata al contenuto oggettivo dei simboli stessi”.

44Ibidem, 149. Il passo prosegue “Così il valore oggettivo del simbolismo religioso ci si mostra come davvero corrispondente alla natura stessa delle cose”.

45Ibidem 151-154. La rivelazione biblica rettifica la religione naturale: Dio non si rivela solo nei cicli cosmici ma negli eventi storici.

46Il rilievo attribuito al dato storico nel quale la natura religiosa dell’uomo si riconosce sembra, fra l’altro, delineare un diverso orizzonte concettuale nei confronti degli assunti fenomenologici che affermano un a priori antropologico, anche se potenziale e in attesa di attuazione, rispetto al verificarsi della storia. Si può fare riferimento a R. Otto, Il sacro, 163-165, già citato alla n. 5 di p. 2. M. Eliade scriveva in Il sacro, 134: “I simboli risvegliano l’esperienza individuale e la tramutano in atto spirituale, in una presa metafisica del Mondo”.

47Ibidem, 156-158. “La rivelazione di Dio quale ce la fa conoscere la Scrittura è una rivelazione progressiva. Dio viene conosciuto, in un primo momento, tramite la sua manifestazione nel cosmo. Poi si rivela nei suoi interventi successivi nella storia…Di conseguenza i simboli cosmici attraverso i quali Dio è conosciuto nella rivelazione naturale, sono ripresi dalla religione abramica e dalla religione cristiana, e caricati di nuovi significati” (pp. 157-158). J. Daniélou in Messaggio evangelico e cultura ellenistica, EDB, Bologna 2010, 238 scriveva “[La relazione fra i due testamenti] riguarda la relazione storica tra i due momenti del disegno di Dio, e quando stabiliamo le corrispondenze teologiche tra questi momenti per enucleare le leggi dell’azione divina, la chiamiamo tipologia, conformandoci all’uso dei Padri”.

48Miti, 9. Parlando del cristianesimo J. Daniélou accentua l’esigenza che l’annuncio sia ricevuto nelle forme proprie del singolo popolo. Approfondimenti sulle differenti culture pagane e sul possibile rapporto con il cristianesimo sono trattati in Saggio, 44-68.

49Ibidem, 11-12: “Il pagano contemporaneo non è un pagano del cosmo, ma un pagano dell’uomo. Egli percepisce nell’esperienza umana un certo elemento di trascendenza e di sacro. Ma questo sacro è percepito maggiormente nell’esperienza dell’amore, o nell’esperienza della morte, che nella contemplazione delle stelle”. Sarebbe opportuno fare un’ulteriore riflessione su tali concezioni nel momento attuale.

50Cristianesimo, 2

51E.M. Laperrousaz in The Notion, 675-682, pone la questione sulla attendibilità della definizione di religione come “creazione della religiosità umana” formulata da J. Daniélou. Dopo avere considerato gli elementi di connessione e di valorizzazione delle religioni “pagane” distinguendole dal cristianesimo e averle definite “creazione della religiosità umana”, “rappresentazioni che gli uomini si sono fatti di Dio”, realtà che esprimono la ricerca di Dio, “disposizioni differenziate in rapporto alla salvezza”, “espressioni della dimensione religiosa costitutiva dell’uomo”, “creazioni del genio religioso dei popoli”, ne ha analizzato il carattere relativo. La mancanza di permanenza temporale e “ontologica” affermata da alcuni studiosi non costituisce un criterio di discriminazione diffusamente accettato, è sul piano dottrinario che si colgono le differenziazioni. L’approfondimento infatti di talune teorie quali, per esempio, le concezioni intorno alla creazione, alla discontinuità fra le creature, alla connessione fra costituzione spirituale e materiale, manifestano, nelle enunciazioni proprie delle singole epoche, una certa validità tanto da trovare corrispondenza con gli studi scientifici attuali. Le religioni sono più propriamente, conclude l’autore, non “creazione della religiosità umana” ma “espressione della ricerca di Dio”, secondo una delle enunciazioni di J. Daniélou.

52Si veda U. Bianchi in La storia delle religioni (Oggetto e metodo) in Saggi, 68-70.

53Cristianesimo, 1.

54Si vedano le pagine di Saggio, 11-30 in cui J. Daniélou, introducendo le argomentazioni successive, pone in rilievo la categoria dell’evento e mostra come la totale diversità di prospettiva originata dal cristianesimo sia stata acquisita consapevolmente nel tempo. Pur in qualche modo ricompreso nell’ottica cristiana, il contrasto con le culture greca ed ebraica è evidente.

55Miti, 8.

56Ibidem, 10.

57Cristianesimo, 2-3.

58Saggio, 134: “(Il cristianesimo) non tratta con disprezzo religiosi delle religioni pagane. Ma li purifica innanzitutto da ogni errore, ossia distrugge la corruzione e soprattutto l’idolatria. Per questo la conversione sarà sempre una rottura. Non si può mai passare dal paganesimo al cristianesimo per evoluzione omogenea”.

59Saggio, 134: “E poi il cristianesimo conclude e completa le verità imperfette che sussistono nelle religioni pagane, con la saggezza cristiana. Esso riprende i valori naturali dell’uomo religioso, li riprende per consacrarli. Così vediamo il cristianesimo antico integrare, dopo averli purificati, i valori della filosofia greca. E così potremo vedere domani il cristianesimo riprendere, dopo averli purificati, tutti i valori che contengono l’ascesi degli Indù o la saggezza di Confucio”.

60Ibidem, 40: “L’uomo moderno è abituato a concepire il mondo sotto forma di un’evoluzione cosmica. Se non dimostriamo come l’ordine cosmico sia dominato dalla croce di Cristo, sia sottomesso alla sua azione sovrana, v’è pericolo che la storia sacra si perda nella storia naturale, che il Cristo si dissolva nel divenire cosmico”.

61In Ibidem, 42-43 J. Daniélou affermava che la storia non è costituita da un progresso continuo e neppure da un susseguirsi di civiltà eterogenee ma da un succedersi di kairoi che segnano il crollo di una civiltà e insieme il rinnovamento. Questi kairoi costituiscono la ripresa del kairos fondamentale che è la passione e la risurrezione di Gesù Cristo e l’anticipazione del kairos finale. Per l’individuo questo giudizio è continuamente presente nell’esistenza, ma è necessario che “tutte le realtà del mondo conoscano questa crisi che le condanna e le salva al tempo stesso. Sul concetto di crisi si vedano gli Atti di un Seminario di Studi, svolto a Bologna e uscito in stampa recentemente: A.M. Mazzanti (a cura di), Crisi e rinnovamento tra mondo classico e cristianesimo antico, Bononia University Press, Bologna 2015 (in cui compaiono, fra l’altro, riferimenti e passi di J. Daniélou).

62Indicativo il titolo del capitolo settimo del Saggio (108): “Un’interpretazione biblica della storia contemporanea”. J. Daniélou non si sottrasse al compito di giudicare le ideologie contemporanee e i suoi rilievi sono permeati dalla consapevolezza dei mirabilia Dei (22) e delle testimonianze della prima comunità cristiana negli scritti patristici. Si esamini anche il Capitolo Quinto dedicato alla “Storia marxista e storia sacramentale” (83-96 e partic. 88-89 e 94-96).

63In Saggio, 44-49 J. Daniélou ha affermato che il cristianesimo non è legato ad una civiltà particolare perché non è un fatto di civiltà, ma è l’avvenimento di Dio nella storia. L’evangelizzazione implica comunque una serie di problemi: le varie culture devono essere purificate, il passaggio della rivelazione a orizzonti ideologici e linguistici diversi è complesso e richiede tempi lunghissimi. Alcuni studiosi ritengono che l’identificazione del cristianesimo con la cultura occidentale sia inevitabile, ma è opportuno non legare troppo strettamente la Chiesa alla romanità e alla latinità e comprendere che anche l’Oriente ha in sé i fondamenti di una “preparazione” provvidenziale all’avvenimento di Cristo.

64Scrisse J. Daniélou in Saggio 51 “Noi siamo, spiritualmente, semiti, ha detto Pio XI. Noi siamo spiritualmente anche greci”, e citava un passo di Florovsky che afferma che l’ellenismo ha assunto nella Chiesa un carattere perpetuo, incorporandosi nel suo stesso tessuto; si tratta di una categoria eterna dell’esistenza cristiana. In vari scritti J. Ratzinger ha affrontato il tema dell’ellenizzazione; si veda, fra gli altri Fede, verità e tolleranza, in particolare 93-98. Alcuni elementi problematici rilevabili negli studi sull’argomento sono focalizzati in A.M. Mazzanti, Introduzione in A. Valvo (a cura di), W. Jaeger. Cristianesimo primitivo e paideia greca con saggi integrativi di Autori vari, Bompiani, Milano 2013, 229-235.

65L’analisi degli scritti filoniani è parte degli approfondimenti che J. Daniélou ha dedicato al contesto alessandrino, si pensi, fra l’altro, alle indagini su Origene.

66Filone d’Alessandria, Edizioni Arkeios, Roma 1991 (1a ed. 1958), 30.

67J. Daniélou nell’Introduzione di Filone, 7-9, ha citato in sintesi le controverse interpretazioni dell’opera filoniana, attribuendone le erronee deduzioni alla mancanza di connessione fra l’uomo e i suoi scritti.

68Ibidem, 28-30.

69Ibidem, 67-84.

70In Filone, 70-84, J. Daniélou analizzando il De providentia I e il De aeternitate mundi, affermava che la presenza di contraddizioni è determinata dall’intento espositivo degli insegnamenti ricevuti, mentre in De providentia II e in De animalibus le incongruenze sono giustificate dal rimando alle discussioni fra varie scuole.

71I riferimenti sono tratti dall’edizione italiana del 1975, ristampata nel 2010 da EDB. Si tenga presente che l’edizione originale di Histoire des doctrines chrétiennes avant Nicéé, pubblicato nel 1961, è composta da due volumi, il primo dei quali è intitolato Théologie du judèo-christianisme.

72Messaggio, 19.

73Ibidem, 23.

74Il concetto è espresso anche in Miti, 28-29: “I primi cristiani che erano piuttosto severi rispetto alle religioni pagane, avevano la tendenza ad interpretare i riti pagani come prodotti dalla magia e ad attribuire loro una casualità demoniaca. È una spiegazione possibile”.

75Messaggio, 26-28.

76Ibidem, 30-31. Gli apologisti considerano talune affermazioni dei pagani come ulteriori attestazioni, anche se congetturali, delle verità di cui la rivelazione rende certi.

77Ibidem, 42-44.

78Ibidem, 44.

79Ibidem, 30.

80Ibidem, 52-62.

81L’azione singolare ed esclusiva di Dio nel pensiero di Giustino è spiegata in sintesi da J. Daniélou, in I santi pagani, 24: “Giustino intende parlare di un’azione soprannaturale della grazia (δύναμις) e non di un semplice esercizio della ragione. Storicamente infatti l’uomo appartiene a un ordine soprannaturale”. P. Pizzuto in La teologia della rivelazione di Jean Daniélou. Influsso su Dei Verbum e valore attuale, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2003, 162-163, si sofferma riferendo gli studi di J. Daniélou sul tema dei rapporti fra stato naturale e grazia in particolare su Gregorio di Nissa che considera l’uomo creato da Dio a sua immagine come già inserito in uno stato di grazia. Sulla concezione della presenza del logos nell’uomo in relazione al Logos in testi di ambito giudaico, in autori cristiani dei primi secoli e in scritti filosofici coevi si vedano i saggi presenti in A.M. Mazzanti (a cura di), Il logos di Dio e il logos dell’uomo. Concezioni antropologiche nel mondo antico e riflessi contemporanei, Milano 2014.

82Ibidem, 62-83.

83Messaggio, 76.

84Saggio, 13.

85Si vedano in Saggio in particolare gli epiloghi dei capitoli secondo e terzo “Il cristianesimo e le civiltà” e “La divisione delle lingue”, 54 e 68 in cui si legge: “Il suo [il riferimento è al cristianesimo] messaggio unico esprimendosi attraverso queste diverse civiltà, come attraverso un prisma, manifesta meglio questo o quello dei suoi aspetti”.