Ror Studies Series | Storia e mistero
Essere e tempo. Verità, storia e teologia nel pensiero di Joseph Ratzinger
Pablo Blanco Sarto
Universidad de Navarra, Pamplona
“Si può diventare fisici di livello mondiale senza conoscere la storia della sua disciplina, ma non si può diventare grandi teologi o grandi filosofi senza avere dimestichezza con la storia della teologia e della filosofia”: diceva Ratzinger nel 1998. La storia della filosofia è filosofia, e la storia della teologia è teologia, non nel passato, ma nel presente. Le questioni relative alla totalità dell’essere non permettono risposte troppo concrete, che si sommano le une alle altre; piuttosto esistono visioni di insieme, sulle quali si è riflettuto e che sono state strutturate razionalmente. Queste visioni possono entrare in dialogo reciproco, possono essere corrette, completate, approfondite e allargate; si possono escludere elementi certamente errati, ma non si possono sommare le une alle altre: “La presenza permanente della storia, che non cade nel passato, risulta dall’alterità e della presenza transtemporale della persona umana, la quale esprime se stessa, la sua presenza nella storia, nelle domande e nei suoi grandi tentativi di conoscere se stesso, di penetrare quell’abisso che è l’uomo”.2 La storia diventa così una grande maestra, anche per la filosofia e la teologia. Historia, magistra etiam theologiae, ripete lungo tutta la sua opera; ma allo stesso tempo, come vedremo, Joseph Ratzinger non si sofferma soltanto sulle questioni metodologiche: andrà fino in fondo per stabilire una vera teologia della storia.
Una formazione storica
“Nella prima metà del secolo XIX”, spiegava Walter Kasper, “alcuni teologi di Lucerna, Tubinga, Monaco di Baviera e Vienna cercarono di formulare una teologia che fosse ecclesiale nel miglior senso della parola, e [che] fosse animata da un’autentica liberalità teologica. Era una teologia fatta da persone che pensavano in modo indipendente e originale; erano pensatori che si mantenevano aperti a tutte le correnti di pensiero e che si trovavano al centro del dibattito intellettuale dell’epoca. Uomini come Möhler e Döllinger erano, allo stesso tempo, campioni della Chiesa e spiriti aperti che seppero guadagnarsi il riconoscimento e la stima di tutto il mondo scientifico del tempo”.3
Tra le università tedesche, spiccava Tubinga, l’“Olimpo dello spirito tedesco”, secondo Kasper,4 soprattutto per quanto riguarda l’ambito umanistico-teologico. Fondata nel 1450, divenne poi un baluardo del pensiero protestante. Ciò nonostante, all’inizio del secolo XIX, fu fondata anche una facoltà di teologia cattolica. Lì nacque una teologia in dialogo critico con i nuovi principi idealistici e romantici (le “menti fondatrici” furono Hegel, Schelling e Hölderlin), e allo stesso tempo furono promossi in particolare gli studi storici e letterari. Nelle sue aule fiorì sia la teologia speculativa sia il metodo storico-positivo, e venne sviluppato anche un intenso dialogo tra i diversi autori e le diverse tendenze. In questo modo, “dai loro scritti traboccano critica e confronto dialettico, ma si tratta sempre di una critica costruttiva che sa utilizzare e appropriarsi con straordinaria agilità mentale e spirituale di ogni suggerimento positivo”.5
Kasper, al momento di valutare personalmente quei fattori, afferma che “i tubinghesi, nello spirito dell’idealismo, conciliano per mezzo della Chiesa verità e storia”,6 che sembravano inconciliabili, e da qui deriva il valore dei tubinghesi, sebbene non tutti i risultati fossero ugualmente equilibrati, dal momento che alcuni erano viziati da un certo razionalismo o da uno storicismo unilaterale.7 In modo simile a ciò che era successo a Tubinga, anche a Monaco di Baviera sorsero numerosi circoli culturali: “un vero centro che irradiava la vita cattolica in tutta la Germania; la Tavola Rotonda (così veniva chiamato il circolo di Görres [un professore di storia che successivamente entrò in piena comunione con la Chiesa cattolica]) acquisì il carattere di istituzione: per più di vent’anni vi si riunirono letterati, artisti, giuristi, teologi, romantici e parlamentari”.8 L’università del capoluogo bavarese diventerà un importante centro di scambio culturale con la Francia e con il resto del mondo germanico, cosicché farà sentire il carattere critico e storico di questa teologia del secolo XIX. Forse proprio a causa di questa e altre situazioni simili, si venne a creare la situazione di tensione che descrive Kasper. A metà del secolo XIX accadde qualcosa di negativo, perché le diverse tendenze si radicalizzarono: “entrò in scena un’ecclesialità di nuovo stampo, la storia venne percepita come pericolosa e non facile da assimilare, l’epoca moderna apparve ai loro occhi come un cataclisma tremendo”.9
Nonostante sia solo una coincidenza, Ratzinger nacque nel 1927, lo stesso anno in cui Martin Heidegger dava alle stampe Sein und Zeit. I rapporti tra ontologia e divenire, verità e storia, costituirono fin dal principio un chiaro centro d’interesse per il nostro autore, così come ricorda sopratutto Wojciech.10 Oltre a quella lezione delle scuole di Tubinga e Monaco, uno dei suoi primi maestri fu John Henry Newman (1801-1890), che, nel suo Saggio sullo sviluppo storico del dogma (1845), affermava che la Chiesa cattolica “cambia per continuare ad essere sempre la stessa”. Le varie formule degli stessi dogmi sono solo diversi modi di esprimersi nelle varie epoche. La storia può essere quindi un’istanza rivelatrice della stessa verità, senza che quest’ultima venga diluita dalla prima: questo affermava in linea con ciò che avrebbero sostenuto le scuole di Tubinga e Monaco. La nostra ricezione della verità manifestata non è atemporale, ma viene espressa in modi apparentemente diversi nelle varie epoche. È questa la grande scoperta avvenuta in pieno secolo XIX, il “secolo della storia”.11 Monaco, infatti, nel periodo in cui Ratzinger vi studiò, era, assieme ad altre università tedesche, un importante centro di studi storici, rappresentato dalle figure di Martin Grabmann (1875-1979) e Michael Schmaus (1897-1993). La storia in quegli anni aveva fatto irruzione nella teologia cattolica, soprattutto attraverso lo studio dei Padri della Chiesa e dei maestri medievali.12
“Nella Germania di quel tempo”, ricordava il cardinal Ratzinger presso l’Università di Navarra, quando ricevette il dottorato honoris causa, “esisteva un dominio assoluto dello storicismo e del pensiero storico, e sarebbe stato impossibile accedere al dottorato in teologia senza uno studio di carattere storico. Pertanto, era indispensabile lavorare su un argomento patristico, medievale o anche della prima epoca della modernità (non posteriore comunque alla Rivoluzione francese). Per queste ragioni il mio primo lavoro è stato su sant’Agostino, e successivamente su san Bonaventura”.13
Infatti, dopo il suo lavoro sull’ecclesiologia in sant’Agostino e dopo un iter piuttosto travagliato,14 Ratzinger pubblicò a Monaco la sua tesi di abilitazione intitolata La teologia della storia in san Bonaventura (1959). Indica lì l’atteggiamento del Doctor Seraphicus, che mantiene una prospettiva extra-filosofica e, (se si considera la teologia nel suo senso più stretto di teologia scolastica, sistematica e speculativa) un punto di vista extra-teologico, che permette una nuova panoramica e un ordine storico dell’insieme. Bonaventura, approfondendo la considerazione della realtà francescana, vede tutto il fenomeno della scolastica, del pensiero scientifico sotto una nuova luce. “La forma di vita di san Francesco un giorno sarà la forma generale di vita nella Chiesa: il simplex et idiota, nel senso etimologico della parola, trionferà sui grandi sapienti e la Chiesa alla fine dei tempi respirerà lo spirito del suo Spirito” (il che ricorda inevitabilmente il discorso ratzingeriano sulla “fede dei semplici”).15
Ma anche nel prologo all’edizione del 1992 della sua tesi di abilitazione, l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede portava di nuovo all’attenzione i rapporti tra storia e verità atemporale, facendo riferimento al contesto teologico di quell’epoca. E riguardo la questione sulla possibilità per un cristiano di prendere in considerazione la pienezza intramondana, una sorta di utopia cristiana, una sintesi tra mondo ed escatologia, che sarebbe poi divenuto il nucleo del dibattito sulla teologia della liberazione, affermava che “oggi come ieri, non si tratta di una semplice disputa accademica, ma di una lotta sul modo di esporre adeguatamente la storia e su come la si può mandare in fumo. Bonaventura ha adottato una posizione chiaramente diversa, come cerca di dimostrare questo libro, e non ha condannato globalmente, in assoluto, il pensiero di Gioacchino [da Fiore]. Certamente Bonaventura rigettò con decisione le pretese spinte che cercavano di separare Cristo dallo Spirito, la Chiesa organizzata cristologicamente e sacramentalmente dalla Chiesa pneumatologica e profetica dei nuovi poveri”.16 Non si può separare, quindi, Cristo dallo Spirito Santo, la Chiesa gerarchica da quella carismatica, né l’ontologia dalla storia dalla salvezza. Non si può lasciare che la verità si dissolva nella storia, e allo stesso tempo solo può manifestarsi in essa. Il tempo deve incontrarsi con l’eternità e la verità deve realizzarsi nella storia anche se, come vedremo, in un modo piuttosto complesso e problematico. Questa era la questione che occupava il giovane Ratzinger e che prendeva a modello l’incarnazione stessa del Logos: “et Verbum caro factum est” (Gv 1,14).17
Una teologia tra l’essere e il tempo
Poco dopo, in un articolo del 1960 intitolato “Theologia perennis?”, il giovane ed irrequieto professore, appena giunto a Bonn, si poneva una serie di domande decisive: “Possono i filosofi cambiare idea come ci si cambia d’abito, o la verità è sempre valida, di modo che, una volta trovata, non c’è più bisogno di cercarla o di apportare cambiamento alcuno? Non è forse l’esigenza di una ‘corrispondenza ai tempi (zeitgemäßen), un ‘aggiornamento’ una pretesa smisurata da qualsiasi punto di vista rispetto alla dignità della verità, che è eterna? Non è la verità a dover essere retta dal tempo, ma il tempo dalla verità”. La priorità della verità rispetto al tempo e alla storia sembra dunque evidente: “Una cosa è chiara: esiste una verità assoluta, che nel cristianesimo diventa visibile e accessibile. La convinzione che la fede rende possibile raggiungere la verità assoluta, appartiene al nucleo fondamentale del cristianesimo: […] che si conosca un’unica verità immutabile nel tempo e che non venga creata in ogni momento, per adeguare la verità ai tempi che corrono”.
Quando cerca di soddisfare le esigenze moderne di verità e tempo, aggiunge che “la verità non si presenta mai agli uomini come nuda veritas, ma sempre rivestita di una forma, che certamente è stata condizionata storicamente. O, in altre parole: la verità può essere enunciata e manifestata tra gli uomini umanamente, e la parola umana è sempre parola storica, non la Parola assoluta – il Logos –, la Verità in se stessa. È vero che, in questa Parola (alla quale appartene anche il pensiero degli uomini) è contenuto l’Assoluto, la Verità in sè, ma sempre mediante la stretta mediazione della limitata comprensione umana e la sua capacità di espressione. Ciò non sopprime il carattere assoluto della verità, ma significa semplicemente che l’uomo guarda sempre da un punto di vista limitato e fondamentale”.18
Verità, linguaggio e storia risultano così strettamente legati, come hanno dimostrato le ultimissime teorie dell’interpretazione. Secondo Ratzinger, la storia, dunque, configura il modo di vedere la verità, senza determinarlo totalmente. Il tono qui impiegato dal nostro autore ricorda il modo di parlare dell’ermeneutica contemporanea: la verità si rivela e si manifesta nel tempo e, per questo, il nostro intelletto deve tener presente tale condizione di possibilità. Poco dopo il suo trasferimento a Tubinga, in un saggio del 1966 sui rapporti tra storia e dogma, il teologo ricordava l’importanza della storia nell’attualità. Così come nel Medio Evo tutta la cultura fu sottomessa ad una reductio in theologiam (tutto era teologia), si verifica ora una generale reductio in historiam: di ciascun fenomeno viene captato soltanto il carattere storico, l’essere viene riconosciuto come un divenire (Gewordensein) e di conseguenza lo si studia nel suo farsi. Tutto è storia e nient’altro che storia. “Fino ad allora, infatti, la realtà cristiana veniva concepita come un assoluto, il manifestarsi (Sich-zeigen) della immutabile verità divina, ma ora essa avrebbe dovuto porsi di fronte alle categorie di storia e di storicità, cosicché, quanto più ci si fosse rivolti al problema della storicità, tanto più sarebbe sembrato che il carattere assoluto della verità cristiana si stesse dissolvendo nel decorso storico, provocando, per così dire, la riduzione della riduzione, e cioè, il sovvertimento delle riduzioni vigenti fino ad allora”.19
In quel momento Ratzinger affrontava il problema in profondità e, come sempre, iniziava con una revisione storica della questione (status quaestionis), che non costituisce un semplice sfoggio di erudizione, ma una necessità metodologica.20 Con tale avvicinamento alla storia, si otteneva così un confronto tra la visione cattolica e quella protestante: alla nozione cattolica d’identità che aveva dominato fino ad allora (per la quale la storia dei dogmi si riduce ad una antologia di loci che provano la possibilità del dogma), viene contrapposta da parte protestante l’idea di decadenza, dal momento che si propone l’idea – in certo modo intesa in senso negativo – di evoluzione del dogma. Il cristianesimo tende alla necessaria degradazione, e perciò esige una continua purificazione, riforma e demistificazione. Con queste premesse, in campo protestante, sulla base di un determinato concetto di tradizione, questa diventa una storia dei dogmi, cosa che invece non si poteva dare nel cattolicesimo postridentino. “In fondo l’idea di decadenza non è che il negativo del principio della sola Scriptura. Se, infatti, conta solo la Sacra Scrittura, tutto ciò che viene dopo non può essere che decadenza e depravazione dell’unico principio normativo”.21 Il risultato, secondo Ratzinger, sarà profondamente paradossale: “Mentre l’affermazione cattolica postridentina riguardo alla Tradizione aveva portato alla negazione della storia, la critica protestante portava a una critica ed a un rifiuto della storia, intesa come storia cristiana, e proponeva in cambio un concetto astorico della realtà cristiana”.22 Da nessuna delle due parti poteva sopravvivere la storia, dal momento che veniva proposta come una componente isolata.
Secondo il nostro autore era quindi necessario riconsiderare il tema del rapporto fede-storia sia da parte cattolica sia da parte protestante, dal momento che la storia è fondamentale anche per la fede e per una sua migliore comprensione. Ratzinger arriva alla conclusione che si potrebbe dire che per Tradizione si intende la spiegazione, nella storia della fede della Chiesa, dell’avvenimento di Cristo testimoniato dalla Scrittura: “Lo storico deve accettare, come costante del fenomeno, che il credente stesso è convinto che tale interpretazione si dà in ultima istanza sotto la guida dello Spirito, e cioè di Cristo risuscitato continuamente presente grazie proprio allo Spirito”.23 La Tradizione legge la Scrittura nel corso della storia, con l’inestimabile aiuto e protagonismo dello Spirito: pertanto Storia magistra fidei, Spiritu adiuvante. Come conseguenza di quanto detto, bisogna riformulare il concetto di storia dei dogmi, avendo presente due premesse: in primo luogo, che la storia dei dogmi non può essere ridotta a una pura “storia della decadenza”; e, in secondo luogo, che non può neppure essere ridotta all’idea di progresso né, pertanto, può essere intesa come la “storia di un’ascesa”.24 Né il progressismo né il decadentismo deterministici si possono, quindi, accettare. In modo equilibrato e profondo, Dorothee Kaes spiega come, nella concezione di Ratzinger, la storia sia träger von Wahrheit, “foriera della verità stessa” e come la Rivelazione si manifesti e si sveli storicamente. Geschichte ist mehr als Historie, la storia è qualcosa di più della narrazione storica, sembra dire Ratzinger insieme a gran parte della tradizione ermeneutica contemporanea.25
La storia è la levatrice della verità, almeno dal nostro particolare punto di vista: non la possiamo raggiungere in modo astorico. È un organo rivelatore: la storia ha una dimensione rivelatrice che non possiamo dimenticare. Alla luce di tali premesse, Ratzinger proponeva uno statuto proprio per la storia come fonte di conoscenza: lo storico, nella misura in cui egli stesso è credente, da una parte, cercherà di scoprire l’elemento originario in ciò che si trasforma, dal momento che la storia, come abbiamo appena detto, ha una dimensione rivelatrice e veritativa; dall’altra, farà scoperte e analisi critiche all’interno del processo del divenire che muove la storia: non tutto è un processo assoluto e necessario. Si presenta in questo modo il valore ambivalente e ambiguo della storia dei dogmi: può significare progresso nello sviluppo delle realtà storiche, ma anche perdita e alienazione. “Perciò la storia dei dogmi comprende sempre un duplice movimento: un movimento di sviluppo, e allo stesso tempo un movimento di riduzione. Accanto all’arricchimento e all’ampliamento deve esserci la semplificazione all’unità del reale, che è e rimarrà sempre, il vero punto di partenza di ogni arricchimento e sviluppo”. Ratzinger infine precisa che analisi e sintesi si uniscono in questo processo, anche se la Scrittura deve sempre precedere la storia dei dogmi, affinché questa non dissolva nel suo divenire la verità rivelata.26
Salvezza, storia ed escatologia
Come indica di nuovo Kaes nel suo studio dettagliato, il metodo teologico ratzingeriano “oscilla nell’equilibrio tra l’adesione ad un fondamento metafisico e l’orientamento della storia della salvezza, al fine di offrire le necessarie sfumature e raggiungere la dovuta visione d’insieme”. Anche qui la teologa tedesca dissente da Wojciech dal momento che attribuisce maggior peso alla dimensione ontologica, inseparabile a sua volta da quella storica, come abbiamo già detto.27 In un articolo del 1967, pubblicato nel Festschrift apparso in occasione dei 150 anni della facoltà di teologia cattolica di Tubinga, Ratzinger affermava che il rapporto fra l’essere e la storia risulta il tema chiave per spiegare la trasformazione della teologia negli ultimi anni. Nell’articolo si propone di studiare il concetto di storia della salvezza (Heilgeschichte), dall’origine indubbiamente protestante, ma che, successivamente, è stato assimilato ed accettato dalla Chiesa cattolica ormai già nel Concilio Vaticano II, con il termine di historia salutis:28 “a questo stadio del dibattito, l’espressione ‘storia della salvezza’ ha un significato antitetico: la teologia della storia della salvezza si presenta come antitesi della metafisica e della teologia concepita in termini metafisici”.29
Ciò nonostante, la teologia cattolica correggerà a poco a poco la sua impostazione metafisica, forse leggermente unilaterale, e accetterà una presenza maggiore della prospettiva storico-salvifica che appare nei testi della Scrittura. Più avanti sarà presa in esame la posizione di Rudolf Bultmann, che, sostiene Ratzinger, proponeva un orientamento di tutto il cristianesimo e della teologia decisamente escatologico, opposto perciò all’impostazione storico-salvifica. Per l’esegeta tedesco, la parola, il kerygma, è l’avvenimento storico autentico, l’“avvenimento escatologico”, che porta l’uomo dalla sua esistenza alienata all’autenticità. Il kerygma è attualità, presenza attuale, lì dove risuona e, in ogni momento concreto, per gli uomini è possibilità attuale di salvezza. “La salvezza in larga misura viene detemporalizzata, così come il concetto dell’elemento escatologico viene accentuatamente spogliato di tutte le determinazioni temporali”.30
Storia ed escatologia diventano così due realtà contrapposte, in base a tale interpretazione. Il valore della storia veniva di nuovo messo in dubbio, dopo essere stato recuperato, dato che la parola viene relegata, questa volta in modo esclusivo, al futuro escatologico: non ha possibilità di esistenza storica. Così, l’accusa al cattolicesimo da parte della teologia protestante in quel preciso istante si capovolge: se prima veniva condannata l’apostasia della storia della salvezza divenuta metafisica, come l’errore cattolico per antonomasia ora, viceversa, viene denunciato come errore cattolico il fissare una linea storica che resta e progredisce lungo una serie di avvenimenti. “Al posto dell’antitesi tra storia della salvezza e metafisica, si introdusse ora quella tra storia della salvezza ed escatologia”,31 nonostante siano concetti analoghi e complementari. Essi non sono visti in un continuum, ma in contrapposizione dialettica. Successivamente, la parte cattolica cercò di costruire un ponte tra tomismo e pensiero esistenziale di Heidegger, dimenticando però il concetto di Heilgschichte. Pertanto, il problema veniva così posto con chiarezza nei seguenti termini: “Come dobbiamo comportarci davanti alla doppia antitesi metafisica-storia della salvezza, e storia della salvezza-escatologia, che sta davanti a noi e implica la decisione fondamentale per la via futura della teologia?”32
Per risolvere questo problema, dopo aver considerato l’aspetto storico (status qæstionis) e quello ontologico della definizione cristologica di Calcedonia (che risponde alla semplice confessione della divinità di Cristo, attraverso la formula ellenica che recita: Gesù è il Kyrios, il Cristo), Ratzinger fissava il suo sguardo attento sulla resurrezione di Cristo, dal momento che era un avvenimento storico, allo stesso tempo ontologico ed escatologico: “Il punto centrale dell’evangelo consiste nel messaggio della risurrezione e dunque in un messaggio sull’azione di Dio, che precede ogni attività umana”.33 Pertanto, la dimensione storica precede quella ontologica e la dimensione ontologica precede quella meramente esistenziale: l’in sè va davanti al per me, e il reale e oggettivo precede ogni soggettività, per quanto ricca ed espressiva possa essere, “Dio ha agito: di questo si deve anzitutto parlare, prima che dell’uomo, del suo peccato e della sua ricerca del Dio di grazia”.34 L’agire di Dio precede qualsiasi azione umana, e la dimensione ontologica precede quella esistenziale. Ma, a sua volta, al contrario di ciò che pensa Bultmann, la Rivelazione precede la proclamazione, che cerca di esprimere con parole umane l’azione di Dio e, in conclusione, “è questo il punto di partenza del principio sacramentale, la ragione per cui la parola-azione di Dio deve essere ricevuta dall’uomo mediante parole e segni”.35 Anche qui “al principio era il Logos” (Gv 1,1), dove l’umano è è correlativo al divino: il Logos divino costituisce il fondamento di ogni logos creato.36
La resurrezione di Gesù Cristo è, in definitiva, un avvenimento escatologico che supera e trascende la storia: questo morto non è più morto, ma Egli stesso, in quanto tale, nella sua individualità e singolarità, è vivo e vive per sempre: “Credere nella resurrezione di Gesù significa invece credere all’eskhaton entro la storia, la storicità dell’agire escatologico di Dio”.37 Il futuro si trova già nel presente. Per questo Ratzinger arriva alla conclusione che la resurrezione di Cristo è insieme passato, presente e futuro, che diventano a loro volta eternità. In tal modo la dimensione ontologica – che è atemporale – stabilisce un rapporto con la dimensione storica ed escatologica, con il passato e il futuro. “La teologia della resurrezione condensa al suo interno tutta la storia della salvezza e la fa consistere nel suo significato esistenziale”. La resurrezione trascende la storia e rompe i rigidi schemi temporali, perché ha valicato le frontiere tra l’umano e il divino, che si coniugano al presente: “Gesù è il Cristo, Dio è uomo, e avvenire dell’uomo significa dunque essere una cosa sola con Dio e conseguentemente essere una cosa sola con l’umanità […]. Dio è uomo: solo in questa formula si trova finalmente accolta, con tutte le conseguenze che comporta, la realtà pasquale e diventa così, da un punto della storia transeunte, l’asse stesso della storia, dal quale noi tutti siamo portati”:38 la resurrezione di Cristo, attraverso la quale l’essere è stato riconciliato con la storia e con il futuro allo stesso tempo. Passato, presente e futuro si fondono nell’eternità. Ratzinger arrivava alla conclusione che in Cristo e nella sua resurrezione l’equazione impossibile tra essere e tempo, verità e storia, momento ed eternità viene risolta.
La storia dei dogmi
Nel già citato articolo del 1967, il professore di Tubinga faceva alcune considerazioni sul “problema dello sviluppo della formulazione dogmatica”, emerso durante il Concilio Vaticano II. Scriveva che bisognava superare un angusto concetto di tradizione ed aprire la strada a una riconciliazione tra storia e dogma. Citando Rahner, Ratzinger affermava che il dogma può restare fedele alla propria essenza e al suo significato presente; ma allo stesso tempo “può mutare ancora, pur nella sua immutabilità”. D’altro canto, il dogma non sarebbe altro che un’interpretazione autorevole della Scrittura: trasporre l’equivocità propria del linguaggio della Scrittura nell’univocità del linguaggio concettuale. L’interpretazione ha ormai una lunga storia, anche se si può ravvisare un “circolo ermeneutico” tra Scrittura e magistero. La prima sarebbe un momento costitutivo del secondo: “Come il teologo in una interpretazione teologica della Scrittura, parte dalla totalità della Bibbia con le sue numerose autenticità e tensioni storiche e può cogliere l’enunciato biblico in se stesso, […] così anche il dogma lo si deve comprendere solo nell’unità della storia dei dogmi”. Così il Vaticano I per esempio va letto insieme ai concili antichi, a quello di Costanza e al Vaticano II. Questa sarebbe l’impostazione storica necessaria per capire fino in fondo i dogmi: “il dogma dev’essere compreso nell’unità della sua storia particolare”. Però questa impostazione non ha niente a che vedere con lo storicismo e con la dissoluzione del vero nella storia propria della modernità; esige invece che il dogma “sia inteso nella sua stessa storicità così da rendere possibile per la teologia cattolica non solo una storia ad esso introduttiva, ma una vera storia del dogma in sé”.39
Anche in una collaborazione del 1968,40 Ratzinger partiva dalla tensione tra immutabilità e storicità: “questa tensione è diventata di coscienza comune negli anni del Concilio, da quando noi stessi siamo divenuti testimoni della storicità dei dogmi, dietro la quale però ci si fa sempre più visibile la loro immutabilità”. Perciò il nostro teologo cercava di capire in primo luogo cosa volesse dire “storicità”; successivamente, cosa significasse la parola “dogma”, per metterle poi insieme e comprenderle meglio. Nell’Antichità e nel Medioevo, riassume Ratzinger, il tempo aveva un senso negativo, come qualcosa proveniente dal non-essere: “è senza fine, disordinato, informe ed anche senza un suo significato proprio, quindi illogico: la storia non può essere scienza perché la sua successione dall’uno all’altro non ha alcun significato”. Il concetto di storia della salvezza non era quindi presente in questo orizzonte, ma la situazione mutò radicalmente nel secolo XIX. Da una parte, il primo passo fu la formulazione della teoria dell’evoluzione: gli esseri naturali non sono forme definite pronte ad essere contemplate, ma realtà che possono mutare. La creazione non è più cosmo ma tempo. L’essere diventa quindi un concetto problematico: “l’essere non appare più come il cosmo dell’antico significato, ma come una sinfonia, l’esecuzione di una partitura, la cui interezza si compie non altrimenti che nel corso del tempo”. La storia diventa una categoria fondamentale e si può avvertire, inoltre, una certa resolutio in historiam, una riconduzione di tutta la realtà alla storia. Il passo successivo sarebbe consistito nel comprendere il vero come qualcosa che si fa e che si costruisce (verum quia faciendum), concetto che si trova nell’ideologia marxista.41
Dopodiché Ratzinger passava a occuparsi del significato della parola “dogma”. Secondo l’accezione odierna, questo concetto sarebbe stato forgiato nel secolo XIX, e indicherebbe soltanto lo sviluppo e la cristallizzazione delle formulazioni delle verità cristiane attraverso i secoli. Nasce, però, dalla formula battesimale, e cioè da un avvenimento liturgico che sorge a sua volta dal processo vitale della conversione. Anche la fede proviene dall’esterno (ex audito) e non è qualcosa di manipolabile da noi, secondo il significato di symbolum come ciò che si unisce – come per le antiche tesserae hospitalitatis – e implica a sua volta la precedenza e la permanenza come realtà necessarie. Il dogma “non è rinchiuso su di sé come il concetto, che cerca di conoscere l’interezza della cosa nel movimento del comprendere, ma è la metà che ha consistenza solo insieme agli altri e soprattutto nel rinvio a ciò che mai si esprime esaustivamente. Non è un rinchiudere, ma un’apertura che instrada”. Ma allo stesso tempo, il dogma ha a che vedere con la parola, perciò può essere espresso in diverse formule: “certamente non si tratta di una lotta per delle parole, ma per la possibilità di render pensabile la cosa, dandole la possibilità di essere espressa”. Vi è dunque anche una grammatica della fede che deve essere osservata dalle nostre parole, e in questo modo si potrà fare una confessione di fede con le nostre stesse parole.42
Infine, Ratzinger riunisce entrambi i concetti nel sintagma “la storicità dei dogmi”. Arriva alla conclusione che a) il dogma è un fenomeno del linguaggio, perché la parola è espressione del pensiero, e pertanto si uniscono qui sia l’immutabilità sia la storicità. Questo linguaggio b) è sottomesso alla storia, ma non all’arbitrarietà di qualsiasi parlante: “il linguaggio senza continuità perderebbe la sua funzione, altrettanto l’attualità del suo farsi tale”. Il dogma c) ha anche “continuità e unità come processo ininterrotto dell’andare oltre e trasformarsi”. Però questo deve a sua volta rinviare sempre alla fede, che può essere soltanto una. Così, infine, d) lo sforzo di formulare il dogma che esprime veramente la fede ha bisogno di coraggio e pazienza allo stesso tempo: “Rimanere pazienti nel coraggio e coraggiosi nella pazienza sembra il vero compito della nostra ora. Solo così può compiersi anche nella nostra generazione ciò che Paolo ha annunciato come l’eterno compimento della fede: “glorificare unanimi e con una sola bocca il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 15,6)”.43
Salvezza, storia e ontologia
Il Logos incarnato, morto e risorto, sarà di nuovo un fondamento stabile al momento di risolvere il dilemma esistente tra storia e verità atemporale, come affermava Ratzinger ormai professore a Ratisbona. In un articolo del 1970 dal significativo titolo “Salvezza e storia”, spiegava come la dimensione storica offra garanzie all’esistenza reale, perché si tratta di una storia fondata sul divino e precisamente nell’accettazione della dimensione storica si fa presente quella soprastorica, ossia eterna: “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14), e questa carne rivela il Logos eterno. Solo quando la storia comincia a entrare in conflitto con le esperienze fondamentali della vita, solo quando invece di proteggere l’uomo lo disperde e lo dilania, solo quando, invece d’indicare un cammino, fa arrivare il dilemma dell’esistenza a un limite insopportabile, quando l’eterno si riduce al temporale e il Logos alla carne, allora la storia diventa un problema. La salvezza avviene nella storia, ma non è quest’ultima a salvare. Sorge così il sospetto che “la storia non conduca all’essenza, ma la ottunda, che essa non sia più salvazione, ma oppio, che essa non sia un cammino verso l’essenziale, ma solamente la forma dell’alienazione”.44 È il problema dello storicismo e del materialismo storico, della dissoluzione della verità nella dimensione puramente intrastorica. Secondo tale concezione, salvezza e storia non solo sarebbero unite, ma s’identificherebbero, dal momento che l’ontologia, proprio come avevano affermato i riformatori, si presenterebbe come una soprastruttura, come un’istanza estranea al vero cristianesimo. La storia è un punto di riferimento inevitabile nell’esistenza umana, ma non deve essere assolutizzata né esagerata, perché quest’ultima, l’esistenza, è chiamata all’eternità e a trovare nell’eternità la stessa Verità sussistente.
Per cercare di risolvere il dilemma tra storia e salvezza, il nostro teologo approdava al concetto di storia della salvezza in Karl Rahner. La conclusione sembrava chiara: tutto ciò significa, detto con la maggiore semplicità possibile, che per l’uomo è essenziale la storicità. Di fatto egli è un essere-nella-storia. I limiti di questa idea – importante in sé – risiedono nel fatto che in essa si tiene presente solo la storicità in generale e, di conseguenza, la mediazione storica viene legittimata come essenziale, sempre e comunque strettamente necessaria. Senza la storia, non vi è salvezza. Eppure, non dobbiamo dimenticare che, per la fede cristiana, “la storia è ‘storia della salvezza’ nella misura in cui essa è dappertutto e sempre la forma della mediazione che porta l’uomo alla sua propria essenza”.45 Ratzinger si chiede, quindi, se possa essere vera una riduzione antropologica della salvezza cristiana che prescinda dalle circostanze concrete di ogni persona. Con una certa ironia diceva che è ben vero che il teologo, il quale può soffrire per l’eccessiva peculiarità del cristianesimo, sente un po’ di sollievo quando alla fine può dire: “no, lo specifico [del cristianesimo] è ciò che è generico”. Il cristianesimo non sarebbe così molto diverso dalle altre religioni e stili di vita; la particolarità del cristianesimo entra così nella filosofia comune e nella sua razionalità.
E Ratzinger arriva alla conclusione che il cristiano “non tarderà a porre la questione: posso io lasciar cadere la positività ecclesiale, se comunque è solo quanto in maniera irriflessa già da sempre esiste?”46 La domanda inevitabile è: a cosa servono allora la fede e la Chiesa? Possono salvare anche la filosofia, l’umanità, la mera razionalità? Rahner aveva cercato di rivendicare per la dimensione cristiana la razionalità generale, e di dimostrare che, in definitiva, la ragione umana considerata in generale, non in modo specifico, non dimostra altro se non che sono validi i contenuti cristiani, e che questi contenuti non sarebbero, in ultima analisi, altro che l’umano in generale, ossia, il razionale. “Ora il movimento del pensiero viene ribaltato: se i contenuti cristiani coincidono con l’umano-universale, con il razionale-comune, allora quest’ultimo è l’elemento cristiano in se stesso. Allora si può, anzi, è doveroso interpretare il fatto cristiano con i criteri del razionale-comune”.47 La salvezza diventa così un puro processo razionale, e la soteriologia pura antropologia. Questa “svolta antropologica” (come la denominerà Fabro) condurrebbe a una diluizione del cristianesimo in un generico fattore puramente antropologico. La religione rientrerebbe in definitiva nei limiti della ragione, dell’azione e del pensiero meramente umano. Di conseguenza la Chiesa sarebbe una struttura facoltativa e fondamentalmente non necessaria. Ratzinger ricorda che il cristianesimo ha bisogno della ragione, ma, allo stesso tempo, non può dissolversi in essa, né diventare un becero razionalismo,48 così come ricordano Molnar ed altri autori.49
La Chiesa diventerà, invece, come afferma Kaes, la “mediatrice tra l’essere e il tempo”, tra la storia e l’eternità, per la sua natura sacramentale e la sua capacità di unire dimensione atemporale e dimensione storica, cosa da cui si deduce la sua necessità.50 Il nostro teologo, inoltre, arriva alla conclusione che in Rahner non sembra esserci un chiaro concetto – così essenziale nel cristianesimo – come quello della libertà. Difendere la libertà implica, perciò, a causa della sua stessa essenza, la negazione di un sistema chiuso e isolato. Ormai non siamo più in grado di dedurre del tutto la logica. Una sintesi concorde con la concezione cristiana deve essere, per conseguenza, una sintesi aperta, che rinunci a una logica esauriente, onnicomprensiva, che abbraccia la totalità dell’essere e degli enti; in questo caso si tratterebbe piuttosto di un sistema chiuso, nel quale una libertà assoluta si presenta sola e isolata, fondamentalmente lontana da Dio: “La debolezza della sintesi cristiana è la sua forza. Il concetto centrale di una filosofia e di una teologia cristiana della storia, dovrebbe quindi essere la libertà, la libertà reale, che certo include l’indeducibilità ed esclude perciò la coerenza perfetta del pensiero. La persona di Gesù Cristo come evento di ciò che è nuovo e imprevedibile, è allora l’espressione centrale di questa libertà, che quindi diviene figura centrale della storia in genere”.51
Una teologia della libertà
Dopo la critica del sistema di pensiero rahneriano, Ratzinger arriva ad afferma che la libertà si presenta come punto centrale per risolvere la dicotomia tra verità e storia: la prima si realizza nella seconda per mezzo della libertà. Così, a partire dal problema dei rapporti tra la verità e le sue manifestazioni storiche (tra essere e tempo, in definitiva), arriviamo a un problema con risvolto etico e profondamente esistenziale: quello della libertà. Una riflessione sulla libertà ci farà scoprire i contenuti della verità, così come il suo profondo legame con la storia. La manifestazione della verità si dà nella storia e attraverso la libertà, secondo le condizioni stabilite in precedenza. Questa liberazione proviene dal liberarci da noi stessi e dal donarci a chi può veramente arricchire il nostro essere e far crescere la nostra libertà. Dobbiamo perciò aver presente la rivelazione di Cristo riguardo alla libertà, “questa libertà con la quale Cristo ci ha liberato” (Ga 5,1). In questo modo, Ratzinger giungerà fino alla fondazione teologica della libertà umana, ad una sua ontoteologia. La libertà di Cristo aiuterà a risolvere questo dilemma tra verità e storia: “Tale filosofia della libertà e dell’amore è allo stesso tempo una filosofia della conversione, dell’uscita da sé, della trasformazione”.52
Grazie a questa stessa libertà, il Logos si è fatto uomo, l’eternità è entrata nel tempo e la verità nella storia: “La tensione fra ontologia e storia ha in definitiva il suo fondamento nella tensione dell’essenza umana stessa, che ha bisogno di essere fuori di sé, per potere essere presso di sé; essa ha il suo fondamento nel mistero di Dio, che è libertà e che quindi chiama ogni singolo, con il suo nome, sconosciuto agli altri”.53 La libertà di Dio offrirà dunque altre chiavi per approfondire non solo la libertà umana, ma anche il rapporto tra verità e storia, che malgrado tutto è stato criticato da Häring e Rollet, mentre altri (Molnar, Wojciech, Corkery) lo considerano uno dei successi del pensiero ratzingeriano.54 Kaes afferma che la debolezza del cristianesimo nel riconoscere la libertà diventa la sua forza, la creazione di uno “spazio per la libertà”, la cui massima concretezza si trova nella persona di Gesù Cristo.55
In fine, in un omaggio del 1998 al teologo Johann Baptist Metz (n. 1928), in occasione dei suoi sessanta anni,56 dopo aver fatto alcune considerazioni sul tempo e l’eternità in Aristotele, Plotino e san Tommaso, oltre che sui concetti di progresso in Kant e di evoluzione in Teilhard de Chardin, il prefetto Ratzinger faceva alcune considerazioni di teologia della storia, al centro delle quali si trovava di nuovo l’idea di Dio e della libertà: secondo questa concezione, il tempo ha a che fare essenzialmente con la libertà, dal momento che è un movimento della libertà. Così, per andare fino in fondo nella questione del tempo, sarà necessario così affrontare la sua fine e, di conseguenza, la questione di Dio e della nostra libertà. Il teologo bavarese rifiuta ogni determinismo ed evoluzionismo radicali, e cita Pieper: “l’evoluzione non ha martiri”, perché appunto questi sono vittime di un uso sbagliato della libertà che genera una storia crudele. Il mondo al contrario nasce dalla libertà creatrice di Dio, il quale – con il movimento cosmico – predispone, prima di tutto, un luogo per la libertà: il cosmo non è neutrale nei confronti della persona, e l’uomo non è un povero parassita dell’essere, ma entrambi sono stati creati per la libertà. “L’essere non divino non è ancora per se stesso qualcosa di negativo, ma, al contrario, il frutto positivo della volontà di Dio. Naturalmente non deve dimenticarsi che esiste il rischio della libertà con tutte le sue conseguenze, del quale per noi il segno più terribile è Auschwitz, che nessun ottimismo può eludere o lasciare fuori dalla riflessione”.57
Il male è l’inevitabile pietra di scandalo della libertà, nella quale inciampiamo ancora e ancora. Ma esiste anche la possibilità di un ritorno, di un reditus a quello stato originario di amore e verità. Ratzinger propone così l’esempio della pecora smarrita: “Il pastore che la prende e la riporta a casa è il Logos stesso, la Parola eterna, il senso eterno che abita nel Figlio di Dio, che ci viene incontro e si mette la pecora sulle spalle, cioè, assume la natura umana e come Dio uomo recupera la creatura umana”. Una tesi centrale della fede neotestamentaria è che esiste la possibilità di riscattare la libertà decaduta, il tempo perso, da parte di un amore vicario e così può riconciliarci, in maniera che le ferite dell’ingiustizia e del male si convertono – tramite la sofferenza che gli assume – in segni di pace. Elabora così Ratzinger tutta una teologia della libertà, dove affronta in profondità questa dimensione essenziale del messaggio cristiano in rapporto al divenire storico. Il tempo e la storia nascono dalla libertà di Dio e nostra, e pertanto dall’amore: “Solo il Dio che rinuncia alla sua distanza come creatore e signore fino ad arrivare alla condizione di servo, che si sottomette fino al punto di lavare i piedi; soltanto Lui e il suo amore sono la forza che recupera il cosmo alla libertà e all’amore, capace di introdurre la vera autonomia, la vera libertà”. Per questo la storia può essere anche filia libertatis et amoris.58
Quindi in queste pagine siamo riusciti a vedere come risolvere tre diversi dilemmi: verità e storia, verità e libertà, e infine verità e amore. La figura del Logos agapico (Gv 1,1), che è amore e creatore (Verbum spirans amorem, lo chiamava Agostino) risolve questa falsa dialettica tra logos ed eros. Poi “tutto è venuto ad essere per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è venuto ad essere di ciò che esiste” (Gv 1,3): tutto il logos della Creazione è segnato dal Logos originario. Ma anche questa Verità viene rivelata nella storia e il tempo entra nell’eternità (cf. Gv 1,14): il Verbo si è fatto uomo, muore e risuscita per suo potere. L’incarnazione e la resurrezione sono quindi la chiave per spiegare la rottura tra tempo ed eternità. Così il tempo entra a sua volta nell’eternità, la storia nell’essere eterno e la materia viene glorificata. Il modello di Cristo (il Logos incarnato, morto e risorto) può aiutarci a risolvere questo dilemma tra verità e storia, tra tempo ed eternità, e noi abbiamo bisogno sia della prospettiva storica sia della prospettiva ontologica (e forse si può dire ontoteologica). Ma allo stesso tempo dobbiamo riconoscere la priorità del Logos eterno sull’incarnazione e quindi della sua resurrezione, perché queste sono le incursioni e gli sviluppi dell’eternità nel tempo. Tale processo può essere spiegato soltanto dalla libertà e dall’amore, come abbiamo visto, “dall’inizio” (Gn 1,1; Gv 1,1).
1 Prima di tutto desidero qui manifestare la mia gratitudine nei confronti di monsignor Franz-Xavier Heibl e del dottor Christian Schaller, cosí come di Gerlinde Frischeisen e Heide Gabler, efficiente personale dell’Istituto Papst Benedikt XVI di Ratisbona, dove ho potuto dedicarmi al presente studio per alcuni giorni nell’estate del 2013. Nella compilazione di queste pagine mi è risultato molto utile il magnifico lavoro di Dorothee Kaes (Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit. Zur Hermeneutik Joseph Ratzingers, pro manuscripto, Dissertationen. Theologische Reihe, Bd 75, St. Ottilien 1997), anche a lei devo la mia gratitudine. Mi ha aiutato con la traduzione del testo Claudio Basevi, professore emerito della Facoltà di Teologia nell’Università di Navarra, al quale sono grato anche per i suggerimenti e le correzioni.
2J. Ratzinger, Teologia e Magistero, «Sacra doctrina» 43 (1998/2) 78-79; il libro cui ci si riferisce è Storia della teologia, Bologna 1996-1997, di Battista Mondin.
3W. Kasper, Unidad y pluralidad en teología. Los métodos dogmáticos (1967), Sígueme, Salamanca 1969, 32.
4W. Kasper, D. Deckers, Al corazón de la fe, San Pablo, Madrid 2009, 44.
5W. Kasper, Fe e historia (1970), Sígueme, Salamanca 1974, 15; cfr. anche E. Vilanova, Historia de la teología cristiana, III, Herder, Barcelona 1985, 453.
6W. Kasper, Fe e historia, 30.
7Cfr. J.L. Illanes, La teología en las épocas moderna y contemporánea, en J.I. Saranyana, J.L. Illanes, Historia de la teología, BAC, Madrid 1995, 283; K.H. Neufeld, La scuola cattolica di Tubinga, in R. Fisichella (ed.), Storia della teologia III, Dehoniane, Bologna 1996, 148-150.
8P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, Paris 1938, IV, 519; citato in E. Vilanova, Historia de la teología cristiana, III, 446.
9W. Kasper, Unidad y pluralidad en teología. Los métodos dogmáticos, 32.
10Come vedremo con maggior chiarezza più avanti, Ratzinger ha sempre cercato un “ungeklärten Zuordnung von historischer und systematischer Theologie”, una inspiegabile associazione di teologia storica e teologia sistematica, (Katholische Theologie, in K. Galling (ed.), Die Religion in Geschichte und Gegenwart VI, Tubingen 19623, 776). Cosí affermava circa il metodo storico-critico: “Sicher ist nur, daß es keinen Weg mehr an der historich-kritischen Methode vorbei gibt und daß sie gerade als solche einem Auspruch der Sache der Theologie selbst entspricht” (Einleitung und Komentar zu Art. 1-10 u. 21-26 der Dogmatischen Konstitution über die göttliche Offenbarung, LThK II, 1967, 499). Wojciech lo considera quasi come un esempio irrinunciabile: “dans la théologie de Ratzinger la question de l’histoire constitue, à notre avis, une des questions-clefs et mériterait à ce titre d’etre étudiée d’une façon plus approfondie” (J. Wojciech, La foi comme dialogue, Institut Catholique, Paris 1991, 200, n. 41; cfr. anche 8-9; R.A. Krieg, Kardinal Ratzinger, Max Scheler und eine Grundfrage der Christologie, «Theologische Quartalschrift» 160 (1980) 108; A. Bellandi, Fede cristiana come “stare e comprendere”. La giustificazione dei fondamenti della fede nelle opere di Joseph Ratzinger, pro manuscripto, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1993, 332-335).
11Cfr. M. Arostegi Esnaola, Newman, Ratzinger y la Tradición viva, «Alfa y omega» 829 (18.4.2013) 32.
12Cfr. G. Thils, Orientations de la théologie, Ceuterick, Louvain 1958, 45. Kaes stabilisce una genealogia delle idee circa la storia in Ratzinger attraverso il pensiero di Lubac, Balthasar e Söhngen: cfr. D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 224.
13El cardenal Ratzinger en la Universidad de Navarra. Discursos, coloquios y encuentros, Facultad de Teología, Universidad de Navarra, pro manuscripto, Pamplona 1998, 52. Milbank definisce questa ricezione di Agostino come un “augustinismo critico posmoderno”: J. Milbank, Post-modern critical augustinianism: a short summa in forty-two responses to unasked questions, «Modern theology» 7 (1991) 311-333.
14Cfr. J. Ratzinger, Mi vida, Encuentro, Madrid 1997, 81-85.
15Idem, La teología de la historia en san Buenaventura (1959), Encuentro, Madrid 2004, 233.
16La teología de la historia en san Buenaventura (1959), 14. Nel prologo dell’edizione americana, Ratzinger fa un’interessante dichiarazione di principi, che ci situa nel contesto storico: “Quando posi mano al lavoro preliminare a questo studio nell’autunno del 1953, una delle questioni in primo piano nei circoli teologici cattolici di lingua tedesca era quella sul rapporto tra storia della salvezza e metafisica. […] Si trattava di un problema che era nato soprattutto dal contatto con la teologia protestante che, dai tempi di Lutero, ha teso a considerare il pensiero metafisico un allontanamento dalla specifica rivendicazione della fede cristiana che indirizza gli uomini non solo verso l’eterno, ma verso Dio, che agisce nel tempo e nella storia” (The Theology of History in St. Bonaventura, Chicago 1989, ix; cfr. anche A. Bellandi, Fede cristiana come stare e comprendere, 281-282).
17Si veda: D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 39-63, 228-229.
18J. Ratzinger, Theologia perennis? Über Zeitgemäßheit und Zeitlosigkeit in der Theologie, «Wort und Wahrheit» 15 (1960) 184. E termina con una rivendicazione del pensiero ermeneutico, contro un’impostazione meramente razionalista o positivista: “Deshalb haten allen menschlichen Aussagen etwas Zeitbedingtes an, selbst noch den abstrakten Formeln der Mathematik ist ihre Herkunft aus dieser oder jener Denkwelt anzusehen. Und natürlich wird der Zeitindex um so deutlicher, je konkreter eine Aussage ist. Das muß ihr nichts von ihrer Würde nehmen: sie kann zeitbedingt Absolutes sagen. Es wird nur darauf ankommen, sie zu übersetzen –wieder in zeitbedingtes Denken hinein, das wieder neu das eine Wahre sieht” (ibidem, 184-185). Sulla dimensione storica della salvezza cristiana, si veda: D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 25-38.
19J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il Teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 1993, 109-110.
20Cfr ibidem, 110-116.
21Ibidem, 114, in cui cita gli sviluppi di A. von Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschischte I, Tubingen 19315, e di M. Werner, Die Entstehung des christlichen Dogmas, Bern-Tübingen 1941. Tale problema sarà anche affrontato in “La storicità dei dogmi” (1971), in Natura e compito della teologia, 131-142.
22Ibidem, 116.
23Ibidem, 122.
24Ibidem, 123; ne parla qui come di un limite da evitare A.M. Landgraf, Dogmengeschichte der Frühscholastik I y IV, Regensburg 1952-1956.
25Cfr. D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 64-85, 88-91.
26J. Ratzinger, Natura e compito della teologia, 124; critica qui l’impostazione di K. Rahner, Schriften zur Theologie I, Einsideln 1954, 18; cf. Natura e compito della teologia, 125.
27D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 100; cfr. anche 99, 95-104.
28Cfr. J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale. Saggi sulla fede e sul ministero, Morcelliana, Brescia 1982, 121
29Ibidem, 122. Al riguardo sviluppa allora un percorso storico, nel quale emergono alcuni nomi di teologi protestanti come Karl Barth ed Emil Brunner in dialogo con il maestro di Ratzinger, Gottlieb Söhngen, e fa riferimento al dibattito che ebbe luogo in Francia tra Jean Daniélou e Oscar Cullmann: cfr. ibidem, 121-125.
30Ibidem, 126, in cui cita R. Bultmann, Der Römerbrief (Bern 1919). Kaes fa una valutazione dell’importanza di questo articolo: “Ratzinger weiß, daß mit diesem Hinweis die Antithesen, von denen er ausgegangen war, nicht aufgehoben sind, da von den Vertretern der jeweiligen Richtung die Auferstehung als heilsgeschichtliches Ereignis bzw. als die Geschichte überschreitendes und sie negierendes Geschehen verstanden wird. Dennoch scheint ihm der Auferstehungsglaube der geeignete Ausgangspunkt, um einen Weg zwischen den Extremen zu finden” (D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit. Zur Hermeneutik Joseph Ratzingers, 93; cfr. 86-88). “Anderseits ist Ratzinger trotz der eindeutigen Präferenz für die Heilsgeschichte weit davon entfernt, sich jener Form heilsgeschichtlichen Denkens anzuschließen, die dieses in radikaler Antithese zur Metaphysik konstruieren wollte. Vielmehr ist es in seinem Konzept gerade die seinshafte Fundierung des Glaubens, die den Wirklichkeitsgehalt des geschichtlichen Ereignises sichern und zugleich das Vergegenwärtigungsproblem lösen kann. […] Mit dem Gesagten wird aber der zuvor geäußerte Vorzug der heilsgeschichtlichen gegenüber der metaphysyschen Äusrichtung der Theologie nicht aufgehoben” (ibidem, 95; si veda anche 121-126).
31J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale, 128.
32Ibidem, 132. Ratzinger attribuisce a Tommaso d’Aquino l’abbandono della prospettiva storico-salvifica: “E fu proprio il metafisico san Tommaso che da un ceto punto di vista ha attuato il distacco dalla concezione della storia della salvezza, […] sostituendo la regola ermeneutica fondamentale fino allora vigente: Quid credas docet argumentum, con quella direttamente contraria: Ex solo sensu litterali potest trahi argumentum. La svolta ermeneutica, la rivoluzione dell’impostazione teologica, che appare in senso positivo e negativo (anche negativo!) nell’opposizione delle due formule sono lungi dall’essere state prese sufficientemente in considerazione.” (ibidem, 132; la prima citazione è di Niccolò di Lira, mentre il riferimento tomista si trova in S.Th. I, q.1 a.1 ad 1).
33Ibidem, 136-137.
34Ibidem, 137-138.
35Ibidem; cfr. D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 93-95.
36Cfr. P. Blanco Sarto, Logos. Joseph Ratzinger y la historia de una palabra, «Límite» 14 (2006/1) 57-86.
37Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale, 139.
38Ibidem, 143.
39Ibidem, 128-129.
40“Zur Frage der Geschichtlichkeit der Dogmen”, in O. Semmelroth, R. Haubst, K. Rahner (Hg.), Maryria, Liturgia, Koinonia. Festschrift H. Volk, Grünewald 1968; tr. in: Natura e compito della teologia, 131-142.
41Ibidem, 132-134.
42Ibidem, 136-138.
43Ibidem, 141-142.
44Ibidem, 98-99. Successivamente Ratzinger approfondisce il discorso sulle origini storiche del problema e, secondo lui, si verifica una divisione tra fede e storia in seguito alla radicale scissione luterana: “Si potrebbe mostrare questo processo di passaggio dalla continuità alla discontinuità in rapporto a tutti gli elementi fondamentali ed essenziali della forma ecclesiale: al posto della successio che esprime e garantisce la continuità, si ha la potenza carismatica dello Spirito che agisce qui e ora; al posto della tipologia che annuncia la continuità della storia ella promessa e nel compimento, ora si ha il ricorso letterale alle origini; la storia compresa come unità di promessa e adempimenti è ora spiegata come l’opposizione tra legge e Vangelo. E poiché l’ontologia appariva come l’espressione filosofica fondamentale del concetto di continuità, è essa che viene combattuta come la corruzione apportata dalla scolastica, più tardi si dirà dall’ellenismo, nel cristianesimo, onde poi opporgli l’idea di storia: l’idea di storia della salvezza appare nella storia della teologia moderna come l’antitesi protestante all’impostazione ontologica della teologia cattolica.” (ibidem, 102-103, in cui cita E. Käsemann, Exegetische Versuche und Besinnungen II, Göttingen 1964, e considera anche l’impostazione di J.B. Metz, Zur theologie der Welt, Mainz-München 1968, e altre sue opere). La teologia protestante cerca di contrapporre la storia all’ontologia, affermando perciò che “la Bibbia, salvo qualche spunto, non conosce il pensiero ontologico, anzi rappresenta esattamente il contrario del modo di pensare ontologico greco.” (Ratzinger, Natura e compito della teologia, 106).
45Ibidem, 110; qui si dà anche a uno studio esaustivo di K. Rahner, Einführung in den Begriff des Christentums, Freiburg i.B. 1976.
46Ratzinger, Natura e compito della teologia, 114; sulla critica all’impostazione rahneriana si veda D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 126-129, 226-227.
47Ratzinger, Natura e compito della teologia, 115.
48Su questo argomento si veda P. Blanco Sarto, Joseph Ratzinger: razón y cristianismo. La victoria de la inteligencia en el mundo de las religiones, Rialp, Madrid 2005. Più avanti, il professore bavarese spiega il nucleo della sua critica a Rahner: secondo Ratzinger, il gesuita tedesco parte da un concetto troppo vasto di libertà umana: “Io credo dunque, in una parola, che il nucleo del problema posto dalla sinesi di Rahner consista nella sua concezione della libertà. Certo ci sono nella sua opera dei passaggi impressionanti, nei quali è sviluppato chiaramente il concetto cristiano della libertà dell’uomo, di questa libertà mescolata di possibilità di disporre, e di soggezione a disposizione altrui. Ma nell’impostazione fondamentale Rahner ha ripreso largamente il concetto di libertà proprio della filosofia idealista. Tale concetto non conviene se non allo spirito assoluto, a Dio, mentre non è affatto adatto all’uomo.” (Ratzinger, Natura e compito della teologia, 117). Perciò, continuerà Ratzinger, è necessario un adeguato concetto di libertà per capire il messaggio cristiano, con le necessarie possibilità e limitazioni che porta con sé per l’essere umano.
49Molnar riassume l’impostazione ratzingeriana: “Non c’è niente di superficiale in questa critica del pensiero di Rahner. Ratzinger rifiuta con decisione qualsiasi tentativo di fondare «il nucleo del cristianesimo» sulla «ragione», perché, quando ciò avviene, il cristianesimo diventa sempre co-estensivo con le affermazioni della ragione umana, e Cristo diventa superfluo” (P.D. Molnar, Can Theology be Contemporary and True?, «The Thomist» 52, 1988, 531), nonostante l’incondizionata difesa che il teologo tedesco fa della necessità della ragione nel cristianesimo. “Qui ci troviamo di nuovo nel cuore reale della ricerca teologica. Se Rahner fu portato a confondere la libertà di Dio con la necessaria autoaffermazione delle creature perché non si rese conto che il limite della riflessione e dell’esistenza cristiane è solo Cristo, allora la strada per una filosofia o una spiritualità autoreferenziale, per principio, sarebbe stata preclusa ai cristiani” (ibidem, 533). E ancora: “il problema reale sembra essere il fatto che la tensione tra ontologia e storia affonda le sue radici sia nella ‘natura umana’ sia al di fuori di essa e in Dio” (ibidem, 534). Wojciech da parte sua spiega in sintesi e con grande lucidità la differenza dei punti di vista di entrambi i teologi: “On peut dire, certes en simplificant, que si pour Rahner assumer son existence humaine, vivre pleinement en homme équivant à dire oui a Christ, à être chrétien même inconsciemment […], pour Ratzinger c’est le contraire qui se produit: c’est en vivant pleinement en chrétien que l’on devient vraiment humain” (J. Wojciech, La foi comme dialogue, 186, n. 3).
50D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 140; cfr. anche 141-159, 182-191.
51Ratzinger, Natura e compito della teologia, 119.
52Ibidem, 119.
53Ibidem, 119-120.
54Nella risposta alla recensione di Ratzinger a Christ sein (München 1974) di Hans Küng (Wer verantwortet die Aussagen der Theologie?, «Theologische Revue» 70, 1974, 223-238), Häring sembra non capire tutte le sfumature del nostro autore: “Ratzinger führt zwei Gründe gegen das unbeschränkte Recht der historischen Methode an. Historische Kritik, so Ratzinger, bleibt “innerweltlicher Vernunft” verhaftet. Deshalb sind ihre Ergebnisse, je umfassender sie sein wollen, desto mehr der “Plausibilität einer Epoche” ausgeliefert” (ibidem, 13). “Es scheint plausibel zu sein: historische Kritik bleibt auf der Ebene historischer Rückfrage stehen, kann ihre eigene Ebene nicht verlassen. Gott kann aber historisch nicht erreichbar, überprüfbar sein. Muß nicht eine Art höherer Vernunft ins Spiel kommen? […] Die Frage an Ratzinger dagegen lautet: Ist nicht Jesu Geschichte, die in Analogie zur Geschichte anderer Menschen erfaßt werden kann, zugleich die Geschichte der (geschichtlich erfaßbaren!) Gegenwart Gottes? […] Ratzinger aber beurteilt die innerweltliche Vernunft als vieldeutig, weil sie der Plausibilitat der Epochen ausgeliefert, weil sie geschichtlich bedingt sei. Wer aber wollte die Manipulierbarkeit menschlicher Vernunft leugnen? Deshalb ist Ratzingers Antwort einleuchtend: das Dogma stellt die Wahrheit ein für allemal fest, gibt der Vernunft Halt, schafft ihr den Freiraum, innerhalb dessen sie sich nicht selber in den Rücken fällt” (H. Häring, Katholische Theologie, aber wie?, «Theologishe Quartalschrift» 156, 1976, 302-303).
Tra le critiche appare anche quella di J. Rollet in Le Cardinal Ratzinger et la théologie contemporaine, Editions du Cerf, Paris 1987, 23-26, dove sviluppa una sintesi dei citati articoli di Ratzinger. Il teologo francese prospetta il dilemma tra metafisica e storia della salvezza: “La question en soi n’est pas neuve: en termes plus concrets, c’est le debat entre Athènes et Jérusalem qui se trouve exprimé là. Doit-on et peut-on exprimer le contenu de la révelation judéo-chrétienne dans les termes et la problématique de la métaphysique grecque? Respecte-t-on alors la tradition biblique et la culture contemporaine? Le probleme se repose de façon analogue en ce qui concerna la religion: le Dieu de la foi judéo-chrétienne est-il le Dieu de la religion?” (ibidem, 96). Come vedremo, Ratzinger lo propone in termini meno antagonistici: preferisce la logica dell’et-et a quella del aut-aut. Alcuni, al contrario, lo considerano un punto d’onore nel pensiero di Ratzinger. “Per alcuni versi questo libro [=Theologische Prinzipienlehre] rappresenta un interessante cambiamento metodologico nella teologia fondamentale stessa della Chiesa di Roma. Invece di costruire fondamenta filosofiche, esistenziali e antropologiche per rendere possibili rivelazione e fede, Ratzinger si chiede: «Esiste una verità che rimanga vera in ogni periodo storico perché è vera?»” (P.D. Molnar, Can Theology be contemporary and true?, «The Thomist» 52, 516). “Nous avons ici, nous sembre-t-il, le principe fondamental de la théologie ratzingérienne, principe qui es en même temps la clef néccesaire de la compréhension exacte et de la juste appréciation de cette théologie” (J. Wojciech, La foi comme dialogue, 397). Corkery cerca le radici antropologiche di tale impostazione: “L’antropologia teologica di Joseph Ratzinger cerca di rendere giustizia sia alla dimensione ontologica sia a quella storica dell’essere umano. E quando dà priorità all’ontologia, sulla base dell’affermazione del Prologo al Vangelo di Giovanni sul Logos che era in principio, ha due motivi per farlo: perché crede che le questioni dell’essere non possono essere ignorate da nessuna antropologia degna di questo nome e perché si augura di contrastare ciò che vede come un rifiuto o maltrattamento di tali interrogativi in svariati influenti punti di vista filosofici moderni” (J. Corkery, The Relationship between Human Existence and Christian Salvation in the Theology of Joseph Ratzinger, pro manuscripto, Catholic University of America, Washington 1991, 228).
55Cfr. D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 130.
56El fin del tiempo, in J.B. Metz, J. Ratzinger, J. Moltmann, E. Goodman Thau, La provocación del discurso sobre Dios (1999), Trotta, Madrid 2001, 15-34.
57Ibidem, 29; cfr. anche 30-32, 34.
58El fin del tiempo, 31-32. Sui rapporti tra fede, verità e storia afferma Kaes: “Sowohl der Versuch, den Glauben allein auf der historischen Ebene anzusiedeln, als auch das Bemühen, ihn von seinem weltverändernden Potential her zu verstehen, erkennen – so Ratzinger – durchaus etwas Richtiges. Denn der Glaube hat es tatsächlich mit dem historischen Ereignis zu tun, und er besitzt tatsächlich eine kritische Funktion gegenüber den Mächten dieser Welt. Aber die genannten Positionen greifen immer dort zu kurz, wo sie für sich Ausschließlichkeit beanspruchen. Denn sie übersehen, daß der Glaube eine Ebene berührt, die außerhalb von Gemachtem und Machbarem liegt” (D. Kaes, Theologie im Anspruch von Geschichte und Wahrheit, 71). È espresso anche in termini ermeneutici, perché Ratzinger cerca di coniugare l’unità con la molteplicità: “Was Ratzinger für nötig hält, ist eine neue philosophische Grundlegung der Theologie, in der die hermeneutische Frage als die metaphysische Frage nach der Einheit der Wahrheit in der Verschiedenheit ihrer geschichtlichen Vermitttlungen gedacht werden muß” (ibidem, 72). “Diese Beschreibung gibt das wieder, was den Kern der Ratzingerschen Geschichtsbegriffs ausmacht: die Einheit von Sein und Werden. Wo eines der beiden Elemente fehlt, kann von Geschichte nicht geredet werden” (ibidem, 74; cfr. anche 61-62, 85 y 114, dove si esprime in termini presumibilmente gadameriani). Rollet, al contrario, contrappone un modello dogmatico all’ermeneutico, annoverando il nostro autore nel primo gruppo con una sicurezza che colpisce (cfr. J. Rollet, Le Cardinal Ratzinger et la théologie contemporaine, 85-93).