Ror Studies Series | Storia e mistero
Ratzinger sulla base antropologica della missione
Vincent Twomey SVD
Pontificia Università Gregoriana, Roma
La missione della Chiesa è uno dei temi fondamentali che caratterizzano la teologia di Joseph Ratzinger; tutto il suo lavoro teologico è mosso dal suo forte senso della missione che Dio ha dato alla Chiesa. La sua prima area di specializzazione fu la teologia fondamentale, che scelse, come ci ha detto egli stesso, per contribuire a dare una risposta attuale alla questione della ratio spei, la questione del motivo della nostra speranza (1Pt 3:15). E così, sin dall’inizio della sua attività come docente, si specializzò in teologia fondamentale e mostrò un particolare interesse per la storia delle religioni e gli studi religiosi comparati. La sua frequentazione fin da subito delle religioni del mondo è stata per lui una fonte d’ispirazione straordinaria dagli anni Novanta in poi, quando il rapporto tra il cristianesimo e le religioni del mondo divenne un argomento centrale in teologia e altrove. In qualità di perito al Concilio Vaticano II, ebbe accesso diretto al decreto Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche ad altri documenti più specificamente teologici, prodotti dal Concilio, come ha indicato egli stesso in un articolo successivo al Concilio, tutti contrassegnati dall’idea missionaria1. Nella fase iniziale della sua carriera di teologo, si era anche confrontato con quelle teologie della speranza che, a loro volta, si trasformarono nelle varie teologie della liberazione e che tendevano a interpretare la salvezza sempre più in termini intramondani e in realtà politici. Questi sono tutti argomenti su cui vale la pena soffermare l’attenzione al fine di delineare una teologia della missione, ma essi sono anche così ricchi e vasti da non poter essere trattati in questa sede. Ho preso la decisione di limitare qui il mio contributo a un argomento più circoscritto, cioè di delineare molto brevemente il modo in cui la coscienza può essere vista come base antropologica della missione della Chiesa. A mo’ di introduzione al mio argomento principale, ho intenzione di tratteggiare un primo tentativo sviluppato da Ratzinger al tempo del Concilio di delineare la sua più profonda comprensione della missione della Chiesa in una prospettiva oggettiva, prima di passare alla prospettiva soggettiva, che sarebbe la base antropologica per la missione.
La Chiesa: segno tra le nazioni2
L’evento Cristo ha decretato il destino del mondo. È tale fatto l’origine della responsabilità della Chiesa nei confronti del mondo. Questo è il vero contenuto dell’assioma di Cipriano “salus extra ecclesiam non est”, se correttamente compreso, ovvero dal punto di vista delle forze in azione per la salvezza di ognuno dentro e fuori la Chiesa visibile.3 Come possa essere così è difficile da dire, ma Ratzinger prova a dare il seguente suggerimento. Le moderne ricerche scientifiche indicano che tutto l’essere del mondo si caratterizza per una storia ascendente che culmina nell’irruzione dello spirito. Lo spirito è essenzialmente apertura all’Assoluto e questo perché il mondo diventa una cosa sola [Einung] con l’Assoluto. La fede porta a compimento la comprensione umana della direzione della storia mostrando che lo scopo del mondo è, davvero, l’unione reale di tutto ciò che esiste con Dio, unione che solo Dio può operare. La fede aggiunge il fatto che “la decisiva irruzione finale, che trascende totalmente l’irruzione della natura in spirito, è avvenuta in Gesù Cristo, nell’uomo che era allo stesso tempo Figlio di Dio e davvero una sola cosa con Dio”. Di conseguenza, il significato del resto della storia è “entrare nell’evento Cristo, nel quale lo scopo della storia è divenuto realtà”.4 Il rapporto tra la storia ascendente del cosmo e la venuta di Cristo è tale che la prima è una precondizione della seconda (o una sua preparazione), mentre, d’altra parte, Cristo assicura al mondo ciò che esso non sarebbe mai riuscito ad ottenere da solo. Da allora, la storia riceve il suo significato da Cristo, il quale influenza la storia attraverso la natura “rappresentativa” o vicaria della sua azione. Ciò significa che le persone possono trovarsi nello stadio preparatorio, anche dopo la venuta di Cristo, stato chiamato tradizionalmente dalla teologia “votum ecclesiae”. E, ovviamente, tali persone possono sbagliare direzione in tale stadio di preparazione. Come ciò avvenga in pratica per quanto riguarda i singoli individui lo sa solo Dio. Ratzinger arriva alla conclusione che la funzione della Chiesa nella realtà intera è rendere l’avvento di Cristo presente nella storia ed essere il compimento, l’accrescimento di tale avvenimento penetrando la storia intera.5 Ciò si realizza soprattutto nell’insieme del sistema sacramentale centrato sull’Eucarestia inteso come liturgia cosmica.6 L’essenza e il significato della missione, allora, non significano che la salvezza dei non-cristiani è possibile soltanto attraverso l’incorporazione visibile alla Chiesa. Piuttosto significa che “la salvezza di Cristo presente nella Chiesa è un potere che traina, che ha lo scopo di attrarre a sé tutto il cosmo; inoltre, la missione appartiene essenzialmente a [la natura della Chiesa come segno], essa è l’atteggiamento [Gestus] di apertura, di essere-per-l’-altro, senza il quale essa non potrebbe più essere se stessa”.7
La missione di Cristo è stata fondare la Chiesa non fine a se stessa ma per il bene della non-Chiesa, l’umanità intera, ciò che il Nuovo Testamento chiama “i molti”.8 Proprio come Cristo morì per i molti, la Chiesa, partecipando alla sua missione, esiste per i molti. “Questa guarigione del tutto si verifica, per volere di Dio, nell’antitesi dialettica tra i pochi e i molti, in cui i pochi sono il punto di partenza dal quale Dio cerca di salvare i molti”.9 Questa, allora, (per quanto abbozzato, per mia stessa ammissione, molto inadeguatamente), è la comprensione ratzingeriana di base della missione della Chiesa all’interno della storia della salvezza, in una prospettiva, per così dire, oggettiva.
La salvezza nella sua applicazione al soggetto
E cosa avviene per quanto riguarda l’aspetto soggettivo della questione? In altre parole, alla luce dell’interpretazione conciliare dell’assioma “salus extra ecclesiam non est”, una persona come viene salvata al di fuori dalle frontiere visibili della Chiesa?10 Ratzinger si accosta alla questione cercando di scoprire di cosa, secondo le Scritture, ci sia bisogno per essere cristiani. In primo luogo, il Nuovo Testamento insegna che “se si ha l’amore, si ha tutto”. Ma nessuno ha veramente l’amore (cfr. Rm 3,23: tutti hanno peccato e non meritano la gloria di Dio): il nostro amore è infangato e deformato dall’egoismo. Dal momento che tale è la condizione umana, da quel punto di vista per la legge noi saremmo condannati, se non fosse per il fatto che
Cristo paga con l’eccedenza del suo amore vicario il deficit del nostro amore. C’è bisogno solo di una cosa: che apriamo le mani e accettiamo il dono della sua misericordia. Questo gesto di aprirci al regalo dell’amore vicario del Signore viene chiamato da Paolo “fede”.11
Seguendo Yves Congar, Ratzinger dice che la fede nella sua pienezza presuppone tutta la pienezza di quelle realtà testimoniate dalla Bibbia, ma che c’è anche qualcosa come una “fede prima della fede”, la cui natura è difficile da determinare, se non dicendo che è più della semplice buona volontà. Più precisamente, è l’opposto di ciò che gli antichi chiamavano “hubris”, autogiustificazione; è ciò che nella Bibbia viene definito “semplicità di cuore”12, come nell’espressione “i poveri di spirito”, gli anawim. La fede sviluppata appieno è un’estensione di tale atteggiamento.
Il Nuovo Testamento, dunque, ci dà due risposte, in apparenza contraddittorie, ma che di fatto formano un insieme unitario: da una parte, “L’amore da solo basta”, e dall’altra “solo la fede basta”.
Entrambi, insieme, esprimono un’inclinazione ad andare oltre se stessi, in cui la persona umana inizia ad abbandonare il proprio egoismo e a stendere la mano verso l’altro. Per questo motivo, il fratello, il compagno è il luogo in cui viene messa alla prova tale inclinazione; in questo “tu”, il “Tu” di Dio viene incontro alla persona in incognito.13
Ma, in aggiunta, si possono scegliere altre presenze in incognito sotto varie forme, come quelle molte realtà nel mondo religioso o profano, che per ognuno possono essere una chiamata o un aiuto nell’esodo salvifico oltre se stessi. Ma è anche chiaro che ci sono cose che non possono mai essere una presenza in incognito di Dio, come l’odio, l’egoismo edonistico o l’orgoglio. E queste non le si può scegliere14.
Ciò porta alla discussione approfondita di una concezione molto diffusa, ma falsa, della coscienza come semplice conseguenza delle convinzioni di una persona. Se la coscienza fosse paragonabile alle convinzioni personali, allora bisognerebbe vedere “nell’eroismo delle SS, la crudele esattezza della loro obbedienza perversa” una specie di votum ecclesiae (desiderio della Chiesa o battesimo implicito). Un caso così estremo mostra chiaramente la posta in gioco. Nella misura in cui la chiamata della coscienza venga paragonata a quelle convinzioni che hanno raggiunto un certo status sociale e storico, allora ciò equivale semplicemente all’affermazione che, essendo fedeli a qualsiasi sistema nel quale ci si ritrovi, ci si può salvare. Commenta Ratzinger che, sebbene oggi possa sembrare generoso e progressista sperare che un musulmano diventi un musulmano migliore, che un hindu diventi un hindu migliore, etc, tale visione si dimostra assurda se portata alle sue logiche conseguenze: per esempio che un cannibale debba diventare un cannibale migliore, una SS una SS migliore, etc.
Ciò che è sbagliato in tale concezione è il rendere il sistema, l’istituzione, un idolo. Infatti, quello che salva l’uomo non è il sistema, ma qualcosa che trascende qualsiasi sistema: l’amore e la fede che mette fine all’egoismo e alla hubris autodistruttiva. “Le religioni sono una spinta verso la salvezza nella misura in cui inducono una persona ad un simile atteggiamento; sono d’impaccio alla salvezza nella misura in cui sono un ostacolo a tale inclinazione”.15 Inoltre, se le religioni esistenti e i sistemi ideologici potessero salvare le persone, allora l’umanità sarebbe chiusa in se stessa e divisa in identità culturali separate. Ciò significherebbe, in linea di principio, che la comunicazione con gli altri al di fuori della sfera culturale sarebbe esclusa a priori. “Per contrasto, la fede in Cristo implica la convinzione che vi è una chiamata a superare queste identità a se stanti e che soltanto in questo modo, andando verso l’unità dello spirito, la storia raggiunge la sua pienezza”.16
Ma c’è un aspetto ulteriore da considerare, fa notare Ratzinger. Se per coscienza si intende una leale aderenza al sistema in cui ci si è ritrovati, allora non si tratta, come invece dovrebbe essere, di una coscienza intesa come “la chiamata di Dio comune a tutti”; ma, piuttosto, di un semplice riflesso sociale, del super-ego di un determinato gruppo. Egli domanda retoricamente: bisogna preservare tale super-ego o cercare di disfarsene dal momento che intralcia la vera chiamata dell’uomo? Difatti, la coscienza non dice a uno di essere hindu e a un altro cannibale e a un altro ancora musulmano e così via. “Ciò che dice ad ognuno di loro è che, nel bel mezzo dei loro sistemi e spesso in contrasto con essi, viene ordinato loro di fare una cosa, di essere umani nei confronti dei propri consimili, di amare. Soltanto in questo modo si realizza un votum (il ‘desiderio di Cristo’), quando si segue questa voce”.17 Vivere secondo coscienza significa non essere prigioniero delle proprie cosiddette convinzioni, ma rispondere alla chiamata che viene rivolta ad ogni essere umano: la chiamata alla fede e all’amore. Se si vive secondo questa legge di base del cristianesimo, allora probabilmente si può usare il termine “cristianesimo anonimo”, che Ratzinger definisce “discutibile”. In un altro contesto, egli scrisse più incisivamente:
Nella sua teologia della storia delle religioni il cristianesimo non prende affatto partito per l’uomo religioso, per il conservatore, che si attiene alle regole del gioco delle sue istituzioni ereditarie; il “no” cristiano agli dèi significa piuttosto un’opzione in favore del ribelle che per amore della coscienza osa evadere dalle consuetudini. Forse questo tratto rivoluzionario del cristianesimo è stato tenuto coperto troppo a lungo sotto modelli conservatori.18
Il cristianesimo e le religioni del mondo19
Forse, fra i tanti, il documento più importante emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede ai tempi in cui Ratzinger era prefetto è la Dominus Iesus (2000), proprio nel bel mezzo delle celebrazioni per l’arrivo del Terzo Millennio e come articolazione dell’intero scopo di tali celebrazioni. Tre anni più tardi, egli pubblicò una raccolta di articoli che, con una sola eccezione, aveva scritto negli anni Novanta quando il dibattito sulla teologia pluralista delle religioni era al suo culmine. La raccolta si intitola: Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo. Tutti gli articoli in questione trattano lo stesso argomento ma da prospettive diverse, ovvero “la fede in Gesù Cristo come unico Salvatore e la fede nell’indivisibilità della Chiesa da Cristo”.20 Nella prefazione, egli scrive che la pubblicazione della Dominus Iesus aveva provocato indignazione non soltanto nella moderna società occidentale, ma anche nelle grandi culture non cristiane, come quella dell’India. Venne descritto come un documento contrassegnato da intolleranza e da arroganza religiosa in contrasto con il mondo d’oggi. Ratzinger commenta che tutto ciò che la Chiesa cattolica poté fare fu “proporre con tutta umiltà la domanda che Martin Buber pose una volta a un ateo: «e se fosse vero?»”.21 E questo è il punto fondamentale.
Di base le domande sorte sfociano nella domanda sulla verità: “Si può conoscere la verità? O il problema della verità nell’ambito della religione e della fede è puramente e semplicemente inappropriato?”.22 La risposta della chiesa, che Ratzinger cerca di articolare nel corso del libro, è “sì” alla prima domanda e un fermo “no” alla seconda. Il fermo sì della Chiesa si basa sul fatto che Dio ha rivelato se stesso all’uomo e, così facendo, ha rivelato l’uomo all’uomo, come afferma il Vaticano II. La fede cristiana riguarda prima di tutto l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo. Ma ciò, a sua volta, richiede da parte dell’uomo la capacità di conoscere la verità, il cui rifiuto nel mondo moderno si chiama relativismo “il problema più grande della nostra epoca”.23
L’unico capitolo del libro ad essere stato scritto prima degli anni Novanta è il primo, e in vari modi, anticipa i temi fondamentali degli scritti successivi. Nel contributo a un Festschrift per il sessantesimo compleanno di Rahner, Ratzinger si occupò del posto del cristianesimo nella storia delle religioni.24 Rifiutando come inadeguata qualsiasi riduzione della “religione” a una generalizzazione filosofica e mettendo in discussione l’assunto comune che vede le culture come entità statiche, guarda le religioni del mondo come fenomeni storici per scoprire per contrasto l’unicità del cristianesimo. Difatti, si occupa principalmente (ma non solo) delle grandi religioni dell’Asia.
La rivoluzione monoteista (Israele prima e il cristianesimo poi), ad esempio, differisce radicalmente dalle religioni asiatiche. In primo luogo, tutto ciò che conta nelle religioni mistiche orientali è l’esperienza dell’uomo: Dio rimane interamente passivo. D’altra parte, nel monoteismo la chiamata divina del profeta può essere localizzata nel tempo e quella chiamata costituisce ciò che noi definiamo storia. Come fa notare Jean Daniélou, il cristianesimo “è essenzialmente fede in un evento”.25 In secondo luogo, in confronto alle imponenti personalità religiose dell’Asia, gli attori principali nella storia della Salvezza (come Abramo, Isacco e Giacobbe e i profeti) “appaiono terra terra”.26 L’uomo non si innalza a Dio attraversando i vari stadi dell’essere per vedere il divino, ma “è vero l’opposto: è Dio che cerca l’uomo in mezzo alle cose del mondo e della terra”. Di sua spontanea volontà, Dio entra in relazione con l’uomo cosicché il misticismo biblico “non è principalmente il trovare una verità, ma l’agire di Dio stesso che dà forma alla storia. Il senso di essa non risiede nel rendersi visibile della realtà divina all’uomo, ma nel rendere colui che riceve la rivelazione protagonista della storia divina”.27 (Qui Ratzinger cita di nuovo Daniélou). In fine, a differenza delle religioni mistiche dell’oriente, il cristianesimo non riconosce una religione a due livelli, dove soltanto il mistico può fare esperienza diretta, di prima mano, del divino e il comune credente si deve accontentare dei simboli religiosi, esperienza, per così dire, di seconda mano. Nel cristianesimo, “di prima mano qui è solo Dio stesso. Gli uomini sono, tutti e ognuno, di seconda mano: al servizio della chiamata divina”.28 Ognuno risponde direttamente alla chiamata di Dio.
Ratzinger conclude la sua prima incursione nella questione del rapporto tra cristianesimo e religioni del mondo proponendo una nuova visione per il futuro – la speranza escatologica dell’unione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini alla fine dei tempi verso cui sono dirette tutte le religioni e tutti i popoli. Nel contributo che sottomise alla sottocommissione conciliare che stava preparando la bozza finale di Ad gentes, Ratzinger scriveva:
I valori culturali e religiosi delle nazioni non sono semplicemente valori naturali che precedono il Vangelo e in quanto tali semplicemente si aggiungono ad esso. Una simile prospettiva allo stesso tempo sottovaluta e sopravvaluta quei lavori. Nel nostro mondo, naturale e soprannaturale non sono mai nettamente separati, ma si compenetrano. Pertanto, tutti i valori veramente umani sono caratterizzati sia da una divina aspirazione soprannaturale sia dal peccato umano. Non possono mai essere aggiunti semplicemente al Vangelo, ma sono al servizio del Vangelo, secondo la legge della croce e della resurrezione. La religione pagana muore nella fede cristiana, ma nella stessa fede la religione umana si innalza e offre alla fede le forme in cui in vari modi si articola la fede.29
Riassumendo, la sua concezione di tutte le religioni e delle loro espressioni culturali è dinamica, non statica, nella misura in cui sono aperte a nuovi approfondimenti ed esperienze e sono capaci di autotrascendenza e di arricchirsi mutuamente. Per Ratzinger, tutte le culture hanno una dimensione di avvento: sono in attesa di compimento, che è possibile soltanto in Cristo. Approfondiamo un po’ di più questo argomento.
Cultura e coscienza30
La cultura, secondo Ratzinger, “è la forma di espressione comunitaria, sviluppatasi storicamente, delle conoscenze e dei giudizi che caratterizzano la vita di una comunità”.31 In altre parole, la cultura riguarda la comprensione da parte di una società del posto che occupa nel mondo, dei valori da difendere e del proprio ruolo nel tessuto delle relazioni che la costituiscono in quanto società; riguarda il modo di essere umani. “Nel problema dell’uomo e del mondo è sempre incluso il problema della divinità, come problema previo e fondante”.32 Questo andare oltre il visibile, apre la porta alla Divinità e si collega all’abilità di qualche individuo di trascendere se stesso, andare al fondo di tutte le cose ed entrare in comunicazione con la Divinità, per trovare supporto reciproco in una più grande dimensione sociale, “le cui conoscenze egli può per così dire prendere a prestito e sviluppare”.33 Le culture si sviluppano nel tempo, venendo a contatto con nuove realtà e assimilando nuove percezioni. “Storicità delle culture significa la loro attitudine ad aprirsi e ad accogliere la trasformazione mediante l’incontro”.34 Questa è, dunque, la dimensione di avvento delle culture, per usare un’espressione coniata da Theodore Haecker. Dal momento che la stessa fede cristiana può esistere soltanto in una particolare forma culturale, il termine “inculturazione” è forse inadeguato e dovrebbe venire sostituito dal termine “interculturalità”. Tale asserzione è lo sviluppo di ciò che Ratzinger definisce la natura potenzialmente universale delle culture, vale a dire, la loro capacità intrinseca di essere aperte alle altre culture, alla verità, e dunque aperte a un ulteriore arricchimento.
Per quanto riguarda la relazione tra il cristianesimo e le religioni del mondo, oggi sono stati identificati tre atteggiamenti teologici fondamentali: uno pone l’accento sull’esclusività del cristianesimo (per esempio, Karl Barth), l’altro è descritto in termini di inclusivisimo (associato ad esempio a Karl Rahner), mentre la terza posizione (che è diventata quella predominante) è conosciuta come la teologia pluralista delle religioni (John Hick e Paul Knitter). Ratzinger le critica tutte e tre per due motivi. Prima di tutto, tutte e tre si basano su un’identificazione troppo affrettata della religione con la questione della salvezza. È vero, chiede retoricamente, che la salvezza è legata alla religione? Senza dubbio dobbiamo osservare il quadro più ampio dell’intera esistenza umana. (Mi sembra che questo sia il punto da mettere in risalto, dal momento che fa riferimento all’intera portata del comportamento morale e non solo all’osservanza di rituali religiosi). In secondo luogo, le tre posizioni tendono a occuparsi delle religioni del mondo indiscriminatamente. Oggi non c’è quasi bisogno di evidenziare che non tutte le religioni per se conducono gli uomini a quanto di più alto e nobile ci sia; in realtà, esse stesse esistono in una varietà di forme, alcune delle quali possono essere (e sono) altamente distruttive.35 Ma la domanda fondamentale formulata dai teologi delle religioni pluralisti è essenziale: bisogna semplicemente trarre il meglio da qualsiasi religione in cui ci si ritrovi e dal modo in cui agiscono gli altri intorno?
O [l’uomo] non deve in ogni caso essere in ricerca, adoperarsi per avere una coscienza purificata e così avvicinarsi – almeno questo! – alle forme più pure della sua religione? Se non possiamo né dobbiamo presupporre una tale disposizione interiore in chi si trova in cammino, viene meno anche il fondamento antropologico della missione.36
Tale base antropologica per la missione viene illustrata nelle Scritture. Commentando l’episodio dei Magi, papa Benedetto XVI scrive che essi non erano solo astronomi o “saggi”. “[Essi] rappresentavano la dinamica dell’andare dal di là, intrinseca alle religioni – una dinamica che è ricerca della verità, ricerca del vero Dio e quindi anche della filosofia nel senso originario della parola”.37 Si deve al fatto che gli Apostoli e i primi discepoli ebrei erano alla ricerca della “speranza d’Israele” che essi furono capaci di riconoscere il Signore. Allo stesso modo, erano i Gentili “timorati di Dio”, insoddisfatti delle loro tradizioni religiose e alla ricerca della verità, ad essere aperti alla fede e a diventare i primi cristiani38. Questo, a mio avviso, è il nocciolo della teologia della missione di Ratzinger: vale a dire la coscienza primordiale che è data a ogni persona umana dal momento in cui è stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Essa spinge l’uomo a cercare la verità, a cercare oltre la superficie delle cose, oltre le rivendicazioni degli usi e dei costumi comunemente accettati. Si deve far distinzione tra questo e il secondo livello di coscienza, vale a dire un giudizio su una particolare azione da fare o da non fare all’interno della sfera della storia. Il primo livello di coscienza, per così dire, ontologico, allora, consiste nel fatto che
qualcosa di simile a una memoria primitiva (eine Urerinneung) del bene è infusa in noi; che vi è una interna tendenza essenziale nell’uomo creato a somiglianza di Dio verso quanto è in conformità con Dio […] Questa anamnesi dell’origine, che risulta da quella costituzione del nostro essere che è conforme a Dio, non è una conoscenza concettuale e articolata, un tesoro di contenuti richiamabili. È come un senso interno, capacità di ricognizione, cosicché la persona che è chiamata in questo modo e che interiormente non sia offuscata, riconosce la sua eco in sé39.
Sant’Agostino formulò tale concetto in maniera più semplice come l’orientamento al bene inciso dentro di noi. Secondo Ratzinger,
su questa anamnesi del Creatore, che si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza, si basa la possibilità e il diritto della missione. Il Vangelo può, anzi, dev’essere predicato ai pagani, perché essi stessi, nel loro intimo, lo attendono (cfr Is 42,4). Infatti la missione si giustifica se i destinatari, nell’incontro con la parola del Vangelo, ri-conoscono: “Ecco, questo è proprio quello che io aspettavo”.40
E, ovviamente, dovremmo essere consapevoli del fatto che con “pagani” qui ci si riferisce anche a quelli che Ratzinger una volta descrisse come i “nuovi pagani”, gli occidentali che a parole si dicono cristiani41.
Ratzinger è acutamente consapevole del fatto che la fede cristiana sa che vi è molto di umano nelle sue particolari forme culturali, e anche molto che ha bisogno di essere purificato. Per questo egli comprende che uno dei valori positivi del dialogo genuino con le religioni del mondo è contribuire a quel processo di autocritica e così di autopurificazione. Ma la fede cristiana
è certa tuttavia anche di essere, nel suo nocciolo, il rivelarsi della verità stessa, e quindi di essere redenzione, poiché la vera sciagura dell’uomo proprio l’essere all’oscuro della verità. Ciò che falsa il nostro agire, e ci mette gli uni contro gli altri, è che non vediamo chiaro in noi stessi, siamo alienati da noi stessi, staccati del fondamento del nostro essere, da Dio. Quando la verità fa dono di sé, siamo tratti fuori dalle alienazioni, da quello che separa; subentra un criterio comune che non fa violenza ad alcuna cultura, ma porta ciascuna al suo proprio cuore, poiché ognuna, in ultima istanza, è attesa della verità.42
Qui Ratzinger esprime una delle ragioni fondamentali per la missione: testimoniare pubblicamente la verità, l’autorivelazione di Dio in Cristo. È, secondo le sue parole, “l’obbligo morale di mandare tutti i popoli a scuola da Gesù. Poiché Egli è la verità in persona e perciò la via per essere uomini”.43 Ratzinger, inoltre, riassume la sua convinzione che le culture del mondo sono modellate dalle religioni del mondo: nonostante le grandi differenze di espressione, esse condividono valori morali comuni a tutte (e riunite nella Regola d’Oro), ma vivono anche nell’attesa di una verità più grande, l’autorivelazione di Dio.
Conclusione
Qualsiasi tentativo di delineare completamente la teologia della missione di Ratzinger dovrebbe mostrare come le sue idee si siano sviluppate partendo dall’iniziale visione ampia e generale della Chiesa come strumento di cui Dio si serve per condurre l’umanità all’unificazione finale, quando Dio sarà tutto in tutti fino a giungere a una teologia più personale e spirituale centrata sulla persona di Cristo e la persona umana. All’inizio, il suo interesse per il tema della missione era in qualche modo estrinseco ai suoi interessi principali, come quello della centralità della “pro-esistenza” cristiana, dove la Chiesa viene vista come i pochi scelti per i molti, o quello di cosa significhi essere cristiani oggi, se non c’è bisogno di essere cristiani battezzati per essere salvati. La visione generale dei suoi primi tempi da teologo, che sembra essere stata influenzata dalle idee di Teilhard de Chardin, per quanto mai abbandonate, con il passar del tempo cede il passo a preoccupazioni più concrete poiché diventa sempre più consapevole della minaccia costituita dal relativismo e delle sfide lanciate dalle teologie pluraliste della religione,44 che tendevano ad identificare al più la missione al dialogo. In tale contesto, la questione della verità diventa di primaria importanza per Ratzinger e con essa la riscoperta della coscienza, l’apparato sensoriale della verità, come base antropologica per la missione. Mi sembra che quello che Rahner aveva proposto come la dimensione esistenziale soprannaturale nell’uomo può essere più accuratamente identificata con la coscienza primordiale, elemento che ha basi filosofiche e teologiche più solide. A tal proposito, non sono in grado di rintracciare negli scritti di Ratzinger qualcosa di simile ad una coscienza dell’urgenza della missione nel significato proprio di proclamare la Buona Novella ai non battezzati o, se battezzati, ai cristiani soltanto a parole. Per quanto ne so, si avvicina maggiormente alla questione nel suo libriccino sulla cristologia spirituale:
La vera azione liberatrice della Chiesa consiste nel conservare la verità nel mondo […] Il reale atto di liberazione della Chiesa che essa non può differire e che proprio oggi è di grande urgenza, consiste nel conservare la verità nel mondo; nel fatto che Dio esiste; nel fatto che Dio ci conosce, nel fatto che Dio è al modo con cui Gesù Cristo è e che egli in lui ci dà la via. Solo se si dà questo, c’è anche la coscienza, la capacità dell’uomo di giungere alla verità, con la quale ciascuno è a contatto con Dio ed è più grande di tutti i sistemi pensabili del mondo.45
E forse tali affermazioni sono sufficienti.
1Cfr. J. Ratzinger, “Konzilsaussagen über die Mission ausserhalb des Missionsdekrets” in J. Schütte, Mission nach dem Konzil, Mainz 1967, 39.
2“Kirche – Zeichen under den Völkern”, (pubblicato per la prima volta nel 1964) in J. Ratzinger, Gesammelte Schrifiten [=JRGS], Gerard Ludwig Müller (a c. di), Freiburg, Basel, Vienna 2010, 8/2, 1021-34.
3Cfr. ibidem, 1032.
4Ibidem, 1033.
5“La Chiesa è così il segno pubblicamente eretto dell’intento salvifico di Dio nei confronti del mondo, l’effettivo sacramento dell’unione fraterna di Dio con l’umanità”. (Ibidem, 1034)
6“…[il Santissimo Sacramento] porta in sé una dinamica che mira alla trasformazione dell’umanità e del mondo nel nuovo cielo e nella nuova terra, nell’unità del corpo risorto di Cristo”.. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Milano 2001, 83. Cfr. anche p. 86. Per un approccio al tema più completo, si consulti il suo “Kommunion – Kommunität – Sendung”, in JRGS 8/1, 308-332 (soprattutto 322-7); “Eucharistie und Mission” in JRGS 11, 397-423.
7Op. cit., JRGS 8/2, 1032.
8Cfr. Rm 5:12-21; Mc 10.45 par, Mc 14:24 par.
9J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005, 94.
10Quanto segue si basa su Idem, “Kein Heil außerhalb der Kirche?” in op. cit., JRGS 8/2, 1050-77.
11Ibidem, 1070.
12Si veda il mio articolo, “Ratzinger on Theology as a Spiritual Sense” in D.J. Keating (Ed.), Entering into the Mind of Christ. The True Nature of Theology (Omaha, NB, 2-14), 49.
13Op. cit., JRGS 8/2, 1070-1.
14Cfr. ibidem, 1071, in cui si cita Congar.
15Ibidem, 1072.
16Ibidem.
17Ibidem, 1073.
18Nell’edizione inglese, si veda la nota a piè di pagina che fa riferimento al suo libro Die Einheit der Nationen, 41-57. Edizione italiana con traduzione di G. Colombi: J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, 19-20.
19Si veda W.A. Auler, “Die Kirche und die Vielfalt der Religionen. Die ekklesiologische-religionstheologischen Studien von Joseph Ratzinger” in Ch. Schaller (ed.), Kirche – Sakrament – Gemeinschaft, Regensburg 2011, 365-384.
20“Interludio” in J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, 53.
21Ibidem, 7.
22Ibidem, 8.
23Ibidem, 75. Dopo il collasso del marxismo nel 1989, “il relativismo è divenuto il problema centrale per la fede nella nostra epoca” (ibidem, 121).
24Scritto nel 1963, pubblicato nuovamente in Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, 15-43.
25Ibidem, 38, in cui cita J. Daniélou, Saggio sul mistero della storia, Brescia 1978, 121.
26Ibidem, 40.
27Ibidem, 41.
28Ibidem, 42.
29Cfr. J. Wicks, “Six Texts by Prof. Joseph Ratzinger as peritus before and during Vatican Council II”, Gregorianum 89 (2008) 289.
30Si veda P. Casarella, “Culture and Conscience in the Thought of Joseph Ratzinger/Pope Benedict XVI” in J.C. Cavadini (Ed.), Explorations in the Theology of Benedict XVI, Notre Dame IN 2012, 63-83. Si veda anche D.V. Twomey SVD, “Ratzinger on modern culture, truth and conscience” in Forum Theologiczne XIII (2012) 155-70.
31Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, 62.
32Ibidem, 63.
33Ibidem.
34Ibidem, 64.
35Cfr. ibidem, 53. Il 19 gennaio 2004, dibattendo con Jürgen Habermas a Monaco, il cardinale Ratzinger parlò liberamente delle patologie della religione, fortemente pericolose, come delle patologie della ragione.
36Ibidem, 54.
37Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano 2012, 111.
38Sin dall’inizio della sua carriera accademica, Ratzinger ha sempre sottolineato che la Chiesa primitiva, che rifiutava il mondo delle religioni pagane, aveva trovato degli alleati nei filosofi, cioé coloro che erano critici nei confronti dei valori culturali e religiosi ereditati. Si veda la sua lezione inaugurale del 1959 a Bonn, pubblicata di nuovo con il titolo Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, a cura di Heino Sonnemans, Marcianum Press, Venezia 2007.
39J. Ratzinger, Wahrheit, Werte Macht. Prüfsteine der pluralistischen Gesellschaft, Knecht, Freiburg-Basil-Wien 1994, 51-2. Si veda anche Idem, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena 2009; Per una critica si veda S. Chalmers, Conscience in Context. Historical and Existential Perspectives, Oxford, Bern, etc. 2014, 243-61.
40Ratzinger, L’elogio della coscienza, 25.
41Cfr. Idem, “Die neuen Heiden und die Kirche”, in JRGS 8/2, 1143-58.
42Idem, Fede, Verità, Tolleranza, 69.
43Ibidem, 69.
44Ratzinger mette anche in evidenza le comuni premesse filosofiche di notevole spessore delle religioni asiatiche e del relativismo occidentale.
45J. Ratzinger, Guardare il Crocifisso, Jaca Book, Milano 2005, 112-113